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Terminato l’iniziale incontro alquanto burrascoso tra “quel pezzo di legno” e Mastro Ciliegia, ecco che il secondo capitolo comincia con un altro falegname, amico del primo, il quale bussa alla porta della bottega, teatro di un improbabile tafferuglio. Entra quindi in scena un secondo lavoratore del legno, il famoso Geppetto, il quale, a differenza di Mastro Ciliegia, ha già un’idea in testa: “Ho pensato di fabbricarmi da me un bel burattino di legno; ma un burattino maraviglioso, che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali.“.

Questa frase sembra solo uno stratagemma letterario per passare la palla a Geppetto, quasi che l’autore non avesse più idea di come far proseguire l’iniziale baruffa tra Mastro Ciliegia e il pezzo di legno; all’inizio infatti ci è sembrato di intuire che a volte anche noi facciamo così: quando non riusciamo a “trattare” con i nostri figli o con il nostro coniuge, cominciamo una battaglia, e nel bel mezzo di questa capita di voler gettare la spugna, un po’ come se aspettassimo un nostro Geppetto che finalmente ci liberi da questa fatica. E’ a questo punto che partono frasi del tipo: “Ma chi me l’ha fatto fare di sposarti?… aveva ragione mia mamma , mi aveva messo in guardia… ecc… “, ci sembra che l’altro sia come un’armadio dell’Ikea che non riusciamo a montare senza istruzioni, ci pare impossibile addirittura averlo scelto al negozio e di averlo già tra i piedi in casa… e invochiamo un fantomatico Geppetto che bussi alla porta e se lo/a prenda.

Cari sposi, a volte nel matrimonio si vivono momenti così, ma per capire come uscirne non dobbiamo invocare il nostro Geppetto, ma chiederci se non siamo noi ad essere come Mastro Ciliegia, se non siamo noi ad aver perso lo sguardo sul nostro coniuge, quello sguardo che intravede già un burattino. Continuando però nella riflessione su questo inizio del capitolo secondo, si può notare come salti all’occhio una differenza sostanziale tra i due falegnami: Mastro Ciliegia non sa che farsene di quel pezzo di legno e se ne vuole disfare, Geppetto, al contrario ha già un’idea in mente, viene alla porta di Mastro Ciliegia spinto proprio da quell’idea.

Il suo approccio è totalmente diverso perché ha un progetto molto ardito, ci vuole infatti molta immaginazione per intravedere dentro un pezzo di legno da stufa un burattino che sappia ballare. Se ci pensiamo bene Geppetto sta addirittura come raffigurazione di Dio Padre. Ed ognuno di noi in fondo è come quel pezzo di legno, del quale il Creatore ha deciso di farne un burattino che sappia ballare, su ognuno di noi c’è un progetto ardito e ben definito, ognuno di noi è stato pensato e fortemente voluto da Qualcuno prima di noi. Praticamente Pinocchio esisteva nella mente di Geppetto ancora prima di esistere, ancor prima di uscire da quel legno; similmente ognuno di noi esisteva nel pensiero di Dio dall’eternità.

Quando ero piccolo sentivo i racconti di fatti della mia famiglia accaduti prima che io nascessi, e la risposta alla mia faccina esterrefatta che sentivo spesso rivolgermi era: “Tu eri ancora in mente Dei“. Col tempo ho capito la profondità di tal modo di dire, perché è vero che prima ancora che ognuno di noi venisse all’esistenza era già in mente Dei, cioè nella mente di Dio, nei Suoi progetti, nelle Sue intenzioni.

E questa consapevolezza è la prima fonte di gioia della vita: la gioia di sapermi visto, voluto ed amato da sempre. Di fronte alle domande sulla nostra origine ci sono solo due strade: o tutto è un caso oppure tutto è stato voluto, tertium non datur, cioè la terza soluzione non esiste. Se volessimo seguire la strada del caso fino alle sue estreme conseguenze, tenendo come bussola il caso, rimanendo coerenti con questa tesi, finiremmo nella più desolata delle disperazioni, non troveremmo senso neanche dentro il più bello degli amori, dentro la più bella esperienza di affetto o di amicizia, e nemmeno si spiegherebbe il desiderio di infinito che alberga dentro il nostro cuore.

Al contrario, la visione di un Dio che, per sua libera ed insindacabile decisione decide di crearmi – senza chiedermene il permesso – è sicuramente eccedente ad ogni umana comprensione, ma è un mistero che illumina l’intera esistenza. Il motivo per cui il Creatore abbia deciso di creare me tra le molteplici ed infinite possibilità che aveva a disposizione resta oscuro alla mia ragione, l’unica risposta ragionevole è l’amore; alla radice della mia esistenza c’è un puro atto di amore incondizionato ed infinito perché la mia venuta all’esistenza non ha nessuna giustificazione convincente.

Facciamo un’ultima riflessione: se la radice del nostro essere è eterna, l’unico destino della nostra vita non può che essere eterno; in Dio infatti tutto esiste da sempre senza evoluzioni o successioni, ne sovviene che chi in qualche modo affonda le proprie radici nell’eternità, è fatto per vivere eternamente. La ragionevolezza della vita eterna quindi trova la sua spiegazione nell’atto creativo di Dio, in Lui l’inizio e la fine sono correlati, poiché in realtà inizio e fine sono categorie dell’umano pensiero, ma in Dio coincidono essendo in Se stesso infinito ed eterno.

Cari sposi, ogni tanto fermiamoci a ringraziare il Signore che – nonostante le nostre reticenze – ci ha donato il coniuge che da sempre ha pensato per noi, non ce n’era un altro migliore, ci ha donato quello perfetto, non perfetto in sé stesso, ma perfetto per amare solo noi e per lasciarsi amare solo da noi di un amore sponsale che deve avere il sapore dell’amore di Dio. Ma questo vale anche in relazione ai nostri figli: di genitori migliori di noi ce ne sono a bizzeffe, ma Lui ha scelto di fidarsi di noi perché solo noi abbiamo le caratteristiche perfette per amare quei figli, quelli e non altri, per realizzare il Suo progetto su quei figli ha bisogno di noi come genitori, nonostante – ma anche attraverso – le nostre povertà, le nostre fragilità, i nostri sbagli.

Coraggio sposi, non stiamo semplicemente insieme per il capriccio casuale di forze anonime alle quali siamo indifferenti, ma siamo uniti in virtù di una trascendente volontà di comunione che sta all’origine della nostra esistenza. Parafrasando le parole di Geppetto, il Creatore direbbe: “Ho pensato di fabbricarmi da me una coppia di sposi che…“.

Giorgio e Valentina.

Pinocchio /1

Inizia con oggi un serie di articoli sul famosissimo libro di Carlo Collodi, pseudonimo di Carlo Lorenzini, il quale scrisse su un giornale per bambini una serie di avventure di un simpatico burattino di legno, la raccolta di queste storie divenne poi il celebre libro che tutti conosciamo. Raccontiamo brevemente la trama per chi avesse bisogno di rispolverare la memoria: da un pezzo di legno – che magicamente ha vita propria – un falegname di nome Geppetto tira fuori un burattino che si muove senza fili avendo vita propria, e dopo una serie di avventure più o meno disastrose, finalmente il burattino diventa un bambino vero in carne ed ossa. Ci sono diversi autori che hanno tratto spunto dai racconti del burattino, noi cercheremo di fare un miscuglio tra le riflessioni che il libro ha suscitato a noi come sposi/genitori e quelle che il compianto cardinale Giacomo Biffi racconta nel suo libro “Contro Mastro Ciliegia“, definito da lui stesso un commento teologico alle avventure di Pinocchio.

Le nostre riflessioni non seguiranno il susseguirsi dei capitoli pagina dopo pagina, ma potrà succedere di saltare qualche capitolo a piè pari, a volte ci soffermeremo su qualche particolare, capiterà che citeremo alcune frasi chiave del Collodi, altre volte analizzeremo un personaggio piuttosto che un altro, di modo che gli sposi che avranno la pazienza di seguirci in questo percorso potranno avere la possibilità chi di fare un cammino di crescita personale, chi di crescere come coppia, chi di crescere come genitore, chi di crescere nella fede, chi di guarire dalle ferite del passato.

Fatte le dovute premesse cominciamo ad aprire il primo capitolo che ci fa entrare “nella bottega di un vecchio falegname, il quale aveva nome mastr’Antonio, se non che tutti lo chiamavano maestro Ciliegia, per via della punta del suo naso, che era sempre lustra e paonazza, come una ciliegia matura“. Ma a ben vedere non siamo noi ad entrare in questa bottega, semmai ci limiteremo ad osservare dal di fuori gli avvenimenti che fra poco accadranno in tale luogo, ciò che invece entrò davvero in questa bottega artigiana fu “Non un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d’inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze“. Mastro Ciliegia è un uomo senza fronzoli, che incarna il materialista tipo, uno per il quale è vero solo ciò che si vede e si tocca, che non lascia spazio alle novità, insomma… per lui un pezzo di legno è solo un pezzo di legno. Tant’è vero che gli pare inconcepibile il sentire una vocina uscire da quel legno, si convince che possa essere un’autosuggestione, siccome non rientra nei suoi schemi è impossibile e non ci crede neanche quando la sente ripetutamente. Lui aveva già segnato il destino di quel pezzo di legno, e gli pareva di avergli già concesso troppo considerarlo “una gamba di tavolino“, una gran fortuna per un pezzo di legno da catasta.

Quante volte anche noi consideriamo il nostro coniuge come un pezzo di legno da catasta? Quante volte anche noi ci pare che averlo/la già considerato come una gamba da tavolino sia pure troppo per un pezzo da catasta?

Cari sposi, troppe volte anche noi bolliamo con un marchio il nostro amato, la nostra amata, e non glielo leviamo più, perché per noi è impossibile che esca una vocina da quel pezzo di legno che è il nostro coniuge, ci pare impossibile che dentro quel legno ci sia un’anima, siccome non rientra nei nostri schemi imprigioniamo lei/lui nel pre-giudizio che abbiamo nei suoi confronti. Lo incateniamo dentro le nostre definizioni “sei sempre lo stesso/la stessa“… “è impossibile, non cambierai mai” … “lascia stare che tu non sei capace” … “. Questo è il metodo migliore per bloccare lui/lei che magari sente una spinta a cambiare se stesso/a ma ne è impedito/a dalle prigioni in cui noi lo/la abbiamo rinchiuso/a. E così succede anche con i bambini: se l’educatore continua ad apostrofarlo “stupido“, il bambino crescerà convinto di esserlo e lo diventerà davvero; così com’è altrettanto pericoloso definirlo sempre “sei un genio“, questo crescerà convinto di esserlo ma presto o tardi si scontrerà con la dura realtà e saranno dolori.

L’amore degli sposi deve sempre più assomigliare all’amore di Dio Padre: un amore che incoraggia a migliorarsi sempre, un amore che ci fa sentire unici ed irripetibili, un amore che non nega i nostri difetti ma li abbraccia, un amore che vede più in là del nostro naso, che non vede solo quel pezzo di legno da catasta che siamo, ma intravede già ciò che potremmo diventare con la Sua Grazia. Coraggio sposi, la strada del matrimonio non è fatta per gente statica, facciamo sentire la nostra vocina a lui/lei, ma soprattutto apriamo le nostre orecchie per sentire la vocina del nostro coniuge che si sforza di uscire da quel pezzo di legno da catasta che per noi è già tanto se diventerà una gamba di tavolino.

Giorgio e Valentina.