Il 16 aprile 1879 una giovane donna …

Nel 1879 il 16 aprile era un mercoledì, precisamente quello dell’ottava di Pasqua, festeggiata pochi giorni prima; alle tre e un quarto del pomeriggio una giovane donna lasciava la vita sulla terra per entrare in quella eterna: il suo nome era Bernadette Soubirous. Un evento lontano ma che può dirci ancora moltissimo, scopriamo insieme perchè.

Suor Maria Bernarda, con cui si chiamò dopo l’ingresso nelle Suore della Carità di Nevers, aveva lasciato Lourdes da ben tredici anni per rifugiarsi in un luogo lontano, affinché la sua presenza non fosse d’intralcio a Colei che era, ed è, la protagonista delle apparizioni, la Madonna. Di Bernadette è stato scritto moltissimo e non basterebbero interi trattati per addentrarsi a dovere nella sua spiritualità, coronata da una straordinaria umiltà, che ben la rende vicina e somigliante ad Aquerò, come era solita chiamare la Bella Signora. Nella vita della veggente, così come nel ciclo di Lourdes, ci sono date e ricorrenze senz’altro non casuali, come quella del mercoledì dopo Pasqua: non solo data della nascita al Cielo di Bernadette ma lo stesso giorno in cui ventun’anni prima, esattamente nel 1858, durante la penultima apparizione, avvenne il cosiddetto “miracolo del cero”: nella mano di Bernadette rimase accesa la candela che portava con sé senza ustionarla né lasciarle alcuna cicatrice. Molti presenti, assistendo a ciò che stava accadendo, credettero.

Una fiamma viva: quella del lumino era stata un’anticipazione di ciò che sarebbe stata lei stessa, esempio di una santità autentica e semplice, quella della ragazza della porta accanto, dell’insospettabile fanciulla caduta in disgrazia insieme alla sua famiglia, povera tra i poveri. Malata, Bernadette, consumata proprio come quella candela eppure accesa, luminosissima, presente. Ciò che l’ha resa santa non fu tanto, e solo, aver avuto il privilegio di vedere la Vergine quanto l’aver accettato senza condizioni tutte le croci della vita: la miseria, la salute precaria, le umiliazioni gratuite, le mortificazioni, amandole come mezzo di santificazione e amando Colui che le permetteva.

Lei, che al comando di Maria aveva scavato nella terra e scoperto la sorgente dell’acqua miracolosa, non chiese per se stessa la grazia della guarigione ma quella della pazienza per sopportare tutto ciò che il Signore le chiedeva. Bernadette, insomma, aveva capito che unire i propri sacrifici quotidiani a quello eterno e perfetto di Gesù è qualcosa che rende il Cielo non solo più vicino ma fattibile, pur nel nascondimento e nello svolgimento della propria vita quotidiana; solamente così – sembra dirci ancora a noi, adesso – l’ordinario si colora di straordinario, rendendolo fattibile, realizzabile, concreto.

Per lei non c’erano previsioni di ricchezza né agio in questa vita: “Non prometto di rendervi felice in questo mondo ma nell’altro”, le disse Maria durante la terza apparizione, il 18 febbraio 1858. Fu proprio così; Bernadette stessa, che non si lamentava mai delle sue condizioni, affermò: “Non avrei mai creduto di soffrire tanto” e ancora: “Sono macinata come un chicco di grano”. Bernadette fu proprio questo: un seme piccolo, nascosto nelle profondità dell’umiltà e della purezza che è divenuto una pianta rigogliosissima, colma di frutti – materiali e spirituali – per tutti quelli che ne assaggiano e se ne cibano, non tanto di lei ma di ciò di cui è stata portavoce: la bellezza della fede, la grandezza dell’abbandono, l’eternità della promessa.

Bernadette è un compendio di virtù, un catechismo della Chiesa Cattolica fatto a persona perché nella sua vita possiamo rileggere la storia dell’umanità che ha sete di Dio, di salvezza e di santificazione, un’umanità che non ha paura di offrire la propria disponibilità e lasciarsi trasformare dall’amore, sapendo che paura, dolori e avversità non sono la fine ma il fine, quello per raggiungere il Cielo, guadagnandoselo, com’era solita dichiarare, perché  “Dio parla al cuore, senza rumore di parole”.

Oltre a Gesù e Maria, Bernadette amava profondamente San Giuseppe; si racconta che un giorno la Superiora, scorgendola a pregare davanti alla sua statua e non a quella della Madonna, la rimproverò, dicendole che aveva sbagliato santo; lei, con la sua tipica calma e naturalezza, rispose che Maria e Giuseppe sono sempre d’accordo.

E così fu proprio di mercoledì, il giorno dedicato al Santo obbediente per eccellenza e della vita nascosta, che Bernadette fu chiamata ad entrare nella felicità eterna, quella preannunciatale da Maria a Lourdes; allo stremo delle forze, pronunciò le ultime parole: “Madre di Dio, prega per me, povera peccatrice … povera peccatrice”. Nell’ora della morte del Signore – quella della Misericordia – entrò in Paradiso, lasciando dietro di sé la scia di una luce che non accenna a spegnersi, anzi, brilla ancora oggi, rischiarando chiunque si avvicini. Bernadette non ci ha lasciato solo un esempio mirabile, eppure possibile, di come amare il Signore e la Madonna ma anche il suo corpo incorrotto, che giace proprio a Nevers. Così come da viva non tornò mai più a Lourdes, anche le sue spoglie mortali sono rimaste laddove ha vissuto gli ultimi anni, per continuare a non inquinare con la sua presenza il luogo benedetto, scelto da Maria; umile e nascosta fino alla fine, e oltre.

Grazie, Bernadette! Grazie perché con la tua vita ci hai fatto comprendere moltissimo del Regno di Dio ed in particolare ciò che ha detto Gesù: “Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassìnano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore.” (Mt 6, 19-21). Grazie, Bernadette! Anche noi, proprio come dicevi tu pensando a Maria, non potremo che venirti a ringraziare in Cielo.  

Fabrizia Perrachon

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