Una delle pratiche più importanti della Quaresima è senza dubbio la Via Crucis, pregata soprattutto dalle persone di una certa età ma riscoperta anche tra i giovani. Un pio esercizio che nella mia parrocchia è molto sentito tanto che, ogni venerdì, ne sono pregate ben due: una pomeridiana, in Chiesa, prima della Santa Messa ed una serale, all’aperto, animata dai bambini e dai ragazzi del catechismo. Non male, direi, se consideriamo l’aridità spirituale con la quale, sempre più spesso, dobbiamo fare i conti nell’attuale società.
La Vie Crucis che ricordo con maggiore affetto e commozione, tuttavia, sono quelle che teneva Don Erminio Nichetti, l’anziano coadiutore della nostra comunità che con la sua fede integerrima, la sua umiltà disarmante e la sua straordinaria spiritualità ci ha sostenuto per tanti anni, fino a pochi mesi prima della morte, avvenuta nel torrido luglio del 2023. Questo sacerdote, ex-missionario in America Latina, ha portato una profondità religiosa in mezzo a noi che sono certa rimarrà a lungo: lo si vedeva sostare per diverso tempo in preghiera dopo la celebrazione del Sacrificio Eucaristico perché, com’era solito ricordarci, “al termine della Messa è come se stessimo scendendo dal Calvario, non possiamo far finta di non aver visto Gesù morire in Croce”.
Ciò che porto indelebile nel mio cuore, come accennavo poc’anzi, sono innanzitutto le Vie Crucis che preparava per il venerdì sera alle ore venti e che pregavamo all’interno della chiesina di campagna nella quale ha svolto il suo ultimo incarico terreno. Nella semplicità e nell’umiltà di quell’edificio – che rispecchiavano perfettamente le virtù dell’anziano sacerdote – eravamo soliti raccoglierci in pochi ma con un desiderio di pregare e di ascoltare le sue meditazioni che ci facevano vincere la stanchezza, il freddo e la pigrizia. Quell’appuntamento, divenuto ormai imprescindibile, scandiva con dolcezza la nostra settimana tanto che non avremmo mai rinunciato, anzi: sempre in compagnia di nostro figlio, allora piccolino, e spesso di nostra nipote, il ritrovarci ogni venerdì sempre allo stesso posto e alla stessa ora ci rendeva consapevoli che stavamo facendo qualcosa di estremamente prezioso per la nostra anima, non solo per quei tre quarti d’ora, ma per tutti i giorni seguenti, fino al venerdì successivo. Finita la Quaresima, sentivamo una forte mancanza: quei momenti di raccoglimento, genuini e sinceri, avevano portato così tanto bene nelle nostre anime che la loro interruzione ci sembrava quasi un torto. Altro che digiuno! Quelle Vie Crucis erano delle vere leccornie spirituali che ci saziavano completamente l’anima e non ci facevano sentire alcuna mancanza. Non erano più un sacrificio ma un’esigenza, un dolce dovere del cuore cui anelavamo e di cui avevamo realmente bisogno.
Ogni venerdì la nostra cara guida spirituale, che da un pezzo aveva superato gli ottant’anni, stampava i foglietti con le varie stazioni e le meditazioni tutto rigorosamente prodotto da lui: scritti, contenuti e stampa. Ci metteva il meglio delle sue conoscenze e capacità, spendendo molte ore e prodigandosi che fosse sempre tutto preciso e puntuale: quanta cura, quanta attenzione aveva per ciascuno di noi! Tutto doveva essere perfetto perché era immagine non solo della sua premura nei nostri confronti, quanto piuttosto dell’amore che Nostro Signore, protagonista del cammino del dolore, ha per tutti noi. Così strutturata, la Via di Gesù diventava l’occasione per riflettere con profondità sui dolori che, nel mondo, affliggono donne, bambini ed emarginati, gli ultimi degli ultimi che tanto assomigliano a Gesù sofferente; essendo stato missionario in Venezuela e Guatemala, il nostro sacerdote ben conosceva le sofferenze delle categorie sociali più svantaggiate, non perdendo occasione per fare dei parallelismi e aprirci in questo modo la mente su realtà lontane che troppo spesso ignoriamo o non conosciamo.
Vissute così, quelle Vie Crucis ci aiutavano ad essere più empatici non solo verso il dolore di Cristo ma anche verso quello che ancora troppi fratelli e troppe sorelle patiscono in questa vita; ma, soprattutto, ci facevano sentire uniti tra noi e con Dio perché permettevano di capire che il dolore non è mai inutile né fine a stesso ma che diventa lo strumento maestro per aprirci alla forza e alla bellezza della fede, nella speranza della Resurrezione. Quanto valore avevano quelle Vie Crucis! Grazie a Don Erminio avevamo riscoperto un pio esercizio di preghiera attuale e modernissimo, conoscendo aspetti sempre nuovi di Gesù ai quali, magari, non avevamo mai pensato. Il mio augurio è che ciascuno possa incontrare una guida spirituale così, capace di amare e di far amare il Buon Dio sopra ogni cosa.
Fabrizia Perrachon