“O Signore nostro Dio, incoronali di gloria e di onore”

Cari sposi,

il vangelo di oggi ci riporta sul Golgota e ci pone ancora una volta ai piedi della croce sulla quale Gesù sta donando la vita per ciascuno di noi. A nostro fianco ci sono Maria, Sua Madre, la Maddalena e Giovanni. Assistiamo sgomenti, esterrefatti, paralizzati da tanto dolore e sofferenza proprio in Colui che ci ha amati dall’eternità ed è lì non è per sé stesso ma per noi. Vorrei focalizzarmi su una semplice frase del Vangelo che contiene un senso immenso per ogni credente ma in modo particolare per voi sposi ed è: “Se tu sei il Re dei Giudei, salva te stesso!”. Gesù stavolta non risponde non tanto perché non potesse – e sappiamo la sofferenza indicibile di un crocefisso di trovare il fiato anche solo per dire una parola – quanto perché non c’era bisogno: il Suo restare lì era già la risposta più esauriente. Proprio perché Gesù rimane sulla Croce dimostra che è il Figlio di Dio. Come mai sto dicendo questo? Se c’è uno che poteva evitare o almeno alleviare il dolore era proprio Gesù, il Dio fatto uomo, contava infatti su tutta la sua Onnipotenza per farlo, eppure non ha voluto. In effetti, l’amore di Cristo è stato talmente grande da restare, da rimanere in Croce per tre ore e infine da morire su di essa, consapevolmente e liberamente.

Questo rivela che solo chi sa possedersi, chi è padrone di sé, chi sa cosa vuole fare della sua vita, può amare davvero, può donarsi agli altri, può decidere come esprimere questo amore. Qui stiamo balbettando qualcosa sulla regalità di Cristo, una condizione che Lui ha regalato a ciascuno di noi a partire dal Battesimo e in voi sposi è stata rafforzata nel Matrimonio. Mi è molto piaciuta la sottolineatura che i nostri fratelli orientali fanno del matrimonio. Al di là del fatto che è un’unione legale tra uomo e donna, esso significa il riconoscimento da parte della Chiesa dell’unione che Dio ha già operato nelle vite degli sposi. Vale a dire che è la loro partecipazione misteriosa, alla dimensione divina del Regno di Dio, in cui Cristo è unito per sempre alla Chiesa.

È proprio per questa partecipazione, come ha sottolineato il Concilio Vaticano II, che voi sposi appunto siete coinvolti in tale unione (Cfr. Lumen Gentium 11) e grazie ad essa Cristo vi dona un modo nuovo di essere re, sacerdoti e profeti. In particolar modo nelle nozze questo viene evidenziato dal rito dell’incoronazione quando il celebrante ponendo sui capi dei nubendi dice: “O Signore nostro Dio, incoronali di gloria e di onore”. La corona che idealmente ricevete nel matrimonio è segno di gloria e onore, due parole gravide di un senso cristiano estremamente profondo. La gloria e l’onore sono parole sinonime nel mondo biblico. Per Gesù non significano il successo di aver fatto tutto bene, di aver lavorato in modo efficace e redditizio, non consistono nell’aver aggiunto plusvalenza alla propria impresa o essersi fatto un nome in ambito lavorativo. La gloria e l’onore sono la fecondità spirituale derivante dal dono della propria vita e Gesù ambisce ad esse e ne fa dono a voi sposi grazie al sacramento. Quanto onore e gloria ha ricevuto Gesù da quell’infamante morte in croce! Parimenti, quanto onore e gloria vi donate vicendevolmente ogni volta che decidete di amarvi con un amore oblativo come quello di Gesù!

L’onore e la gloria di Gesù derivano dall’appartenere al Padre, dalla sua dignità assoluta di Figlio amato ed Egli non vede l’ora che anche voi sposi ne siate pienamente consapevoli. Siete re, cari sposi, quando vi trattate come figli amati del Padre, quando i vostri gesti sono il riflesso della certezza di essere un riflesso per l’altro di un Amore superiore. Così, da quel momento voi avete una capacità di amare che attinge direttamente dal Cuore stesso di Gesù sulla Croce, in grado di diventare un dono reciproco per l’altro, anche quando la sensibilità è totalmente contraria e avversa. Perciò il dono regale nel matrimonio si manifesta nell’autocontrollo e nella vittoria sul peccato per dominare voi stessi e diventare dono a vicenda e per i vostri figli. Re e regine allo stile di Gesù nel donarvi intenzionalmente e deliberatamente lo stesso onore e la stessa gloria che ardeva nel Suo Cuore.

Per concludere, vi condivido che mi ha colpito il fatto che l’Esortazione apostolica Familiaris Consortio di san Giovanni Paolo II è stata firmata proprio il giorno di Cristo Re del lontano 1981. Lo interpreto come un segno che il suo insegnamento si possa considerare come un grande approfondimento dei tre doni battesimali (re, sacerdote e profeta) che in voi sposi sono vissuti e interpretati in modo originale. Per questo vorrei finire questa mia riflessione con l’ultimo paragrafo:

Cristo Signore, Re dell’universo, Re delle famiglie, sia presente, come a Cana, in ogni focolare cristiano a donare luce, gioia, serenità, fortezza. A Lui, nel giorno solenne dedicato alla sua Regalità, chiedo che ogni famiglia sappia generosamente portare il suo originale contributo all’avvento nel mondo del suo Regno, «Regno di verità e di vita, di santità e di pace, verso il quale è in cammino la storia” (Familiaris Consortio, 86).

ANTONIO E LUISA

Non voglio aggiungere molto alle parole di padre Luca che sono già così belle ed intense. Vorrei solo testimoniare cosa significa per me essere re nel matrimonio. E’ qualcosa che non ho compreso subito ma mi è servita tanto la relazione con Luisa. Essere re non ha nulla a che fare con il possedere Luisa, con assoggettarla ai miei desideri e al mio modo di pensare. Nulla di tutto questo. E badate che non è scontato capirlo. Tanti matrimoni falliscono proprio perchè l’altro non è come vorremmo che fosse. Attenzione. Io ho scoperto il mio essere re nel momento in cui ho deciso di abbandonarmi all’amore. Quando ho combattuto il mio egoismo e mi sono messo al servizio dell’amore, al servizio quindi di Luisa. Certo sbagliando ancora tantissime volte ma adesso so quello che voglio. Essere re significa avere lo sguardo di Gesù che è lì sulla croce e non pensa a sè stesso ma alle persone che ha accanto. Pensa a Maria e Giovanni affidandoli uno all’altra e pensa al buon ladrone. E’ quello sguardo che manifesta la sua regalità. E noi? Siamo capaci di quello sguardo?

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