L’alfabeto degli sposi. La lettera C.

Con la lettera C potrei scrivere tantissime riflessioni. Ci sono moltissime parole chiave. Comunione, castità, carezze, comunità, compassione, condivisione, complicità e tante altre. Molte di queste le ho già trattate in altre riflessioni. Oggi mi soffermo su due: la comunione e la castità. Comunione perchè spesso è una parola sottovalutata nella coppia e incompresa nel suo reale significato. Castità perchè, seppur ne ho trattato diverse volte, è spesso associata ad una condizione prematrimoniale e a sentimenti negativi di frustrazione e divieto. Nulla di più sbagliato.

Comunione: non è semplice generosità.

Il matrimonio è una relazione privilegiata per maturare e crescere nella nostra chiamata all’amore. E’ la nostra vocazione. Dobbiamo essere capaci di diventare una comunione d’amore. Cosa significa? Voglio dire che non basta che io sia generoso con la mia sposa. Per quello è sufficiente il mio tempo, il mio fare, il mio dare. Non mi richiede un’apertura totale all’altro/a. E’ sempre qualcosa di unidirezionale. Qualcosa che non implica una mia apertura completa, un mio essere disarmato ed inerme. No, è qualcosa che al contrario può rendere l’altro/a dipendente e in posizione subordinata nei miei confronti. Il cosiddetto tappetino, che ha paura di perdere il suo sostegno. Qualcosa che nutre la vanagloria e l’ego e il possesso, non è amore. Non a caso questo pericolo coinvolge maggiormente l’uomo. L’uomo è portato a possedere. Ce lo dice il nostro corpo, come siamo fatti. La donna è naturalmente propensa ad accogliere, anche nel rapporto fisico. La donna accoglie dentro di sè un’alterità. Molto più impegnativo e coinvolgente l’intera persona e richiede tanta fiducia nell’altro.

La comunione è tutta un’altra cosa. Implica che si instauri una relazione profonda, alla pari. Significa essere pronti ad ammettere di aver bisogno dell’altro, di un donarsi e riceversi vicendevole che entra nelle profondità della nostra umanità. Significa sapersi riconoscere feriti e poveri. Entrare in comunione significa far cadere le barriere e le maschere, compresa quella della generosità, e significa mostrarsi così come si è. Per me non è stata una consapevolezza immediata. Ci sono voluti anni per essere capace di farlo fino in fondo. Mi è costato l’impegno di superare blocchi e di rompere i legacci. Oggi è però meraviglioso, va sempre meglio. Una libertà di amare, di accogliere, di ricevere, di dare e di incontrare la mia sposa che è pienezza. La comunione è aprire il cuore senza paura di giudizio e con la volontà di essere uno. Non è così, forse, anche la comunione che noi viviamo con Cristo nell’Eucarestia?  Con Gesù c’è solo la mia povertà. Lui è la pienezza, ma la mia predisposizione deve essere la medesima. Jean Vanier scrive nel suo libro “Lettera della tenerezza di Dio”:

Entrare in comunione è riconoscere che si ha bisogno dell’altro, come Gesù, stanco, che chiede alla samaritana di dargli da bere. Gesù non le chiede di cambiare, le dice semplicemente che ha bisogno di lei, la incontra in profondità, entra in comunione con lei, entra in una relazione dove si dà e si riceve, dove ci si ferma e si ascolta. E’ più facile dare che fermarsi, soprattutto quando si è angosciati.

scrive ancora:

E’ richiesto l’essenziale: il cuore. La via discendente è la via della risurrezione ma è molto pericolosa perché ci fa perdere qualcosa. Implica anche di scendere dentro noi stessi ed è ancora più difficile scoprire le proprie ferite e le proprie fragilità. La via discendente ci fa scoprire progressivamente, vivendo con il povero, la nostra povertà, questo mondo di angoscia che abbiamo dentro, la nostra durezza, la nostra capacità di fare anche del male. Io stesso ho sperimentato davanti a certe persone quest’ondata di potenze violente, nascoste nel più profondo di me ma molto presenti. Davanti all’intollerabile mi sono sentito capace di far male, di ferire il povero. So bene che c’è un lupo alla porta della mia ferita e che può risvegliarsi.(…) Questa via discendente allora è dolorosa, ma è la via della salvezza e della guarigione profonda.”

Questa è la via della salvezza. Solo entrando in comunione con l’altro le sue fragilità non saranno motivo di distruzione della relazione, non faranno risvegliare il lupo che è alla porta della mia miseria. Entrando in comunione le nostre fragilità riconosciute e accettate divengono luogo di incontro profondo e via di guarigione e salvezza.

Nel prossimo articolo approfondiremo la castità.

Antonio e Luisa