Conoscete il rito croato del matrimonio?

È risaputo che la fede cattolica è molto sentita sia in Croazia sia nelle popolazioni croate che abitano in Erzegovina ma, forse, è meno conosciuta l’usanza che ne caratterizza il rito del matrimonio cattolico, noto come rito croato. Esso non ha nulla di diverso rispetto a quello tradizionale nel senso che non toglie né modifica nulla, semmai integra con alcuni elementi molto significativi.

Innanzitutto la coppia è solita procurarsi – o ricevere in regalo – un crocifisso benedetto di legno, meglio se fabbricato da religiosi francescani, ordine religioso tra i più diffusi in questo Paese, che vanta una presenza secolare, circondata da un affetto profondo e radicato da parte della popolazione. Tale crocifisso è il protagonista, insieme agli sposi, nel momento dello scambio delle promesse: la moglie appoggia la sua mano su di esso al quale si aggiunge poi quella del marito; in questo modo l’intreccio dell’amore umano trova la sua base sulla croce di Cristo, vero ed autentico fondamento del matrimonio, tanto dal punto di vista spirituale quanto da quello fisico.

All’unione sponsale delle mani si aggiunge il gesto benedicente del celebrante al quale segue il “sì” reciproco degli sposi. Infine, il crocifisso sarà portato a casa, appeso oppure esposto in un luogo ben visibile per benedire l’abitazione e i suoi abitanti, permettendo così alla famiglia di pregare alla sua presenza.

In questo rito ci si sposa davvero in tre perché la presenza di Gesù non è solo immaginata ma reale e concretamente tangibile: in questo modo la croce non fa paura in quanto non è vista come immagine di domani indefinito nel quale ci saranno delle prove bensì come colonna portante di un’unione familiare non votata a sicure sciagure ma costruita ad immagine dell’amore più grande che esista, appunto quella del Signore che proprio su quel legno si è immolato per tutta l’umanità.

L’offerta di Gesù, infatti, ha scardinato completamente il significato di quel tipo di morte, che per i romani era la più ingiuriosa oltre che la più dolorosa; come ha magistralmente spiegato San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi: “La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio. Sta scritto infatti:  «Distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l’intelligenza degli intelligenti» […] quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti” (1 Cor 1, 18-19 e 27).

La “croce sponsale” del rito croato, allora, si configura come la roccia sulla quale costruire la casa della nuova famiglia, sicuri che resisterà alle tempeste della vita; il mondo, infatti, con i falsi dogmi della bellezza, della ricchezza, del successo e del piacere a tutti i costi, porta le coppie a edificarsi su una sabbia che inevitabilmente i venti delle difficoltà soffieranno via facilmente. Quante separazioni, quanti divorzi, quanti matrimoni spezzati!

Ecco allora che, semplice ma potentissimo nello stesso momento, il rito croato ci fa capire come quella croce non sia un soprammobile né un portafortuna ma la presenza vita e vivificante della e nella coppia, prima, e della e nella famiglia, poi. In questo modo l’indissolubilità del sacramento acquisterà un significato veramente centrale perché tradire l’unione sponsale sarebbe come tradire Gesù, ossia Colui che marito e moglie hanno stretto fisicamente tra loro nel momento decisivo in cui lo sono diventati.

Questo rito è diffusissimo, come accennavo poco righe più in alto, nella popolazione croata ma anche in quella dell’Erzegovina, la parte meridionale della Bosnia a maggioranza cattolica, la stessa porzione nella quale il tasso di divorzi è tra i più bassi d’Europa: sarà un caso? È proprio da Medjugorje e da Široki Brijeg – cittadina a pochi kilometri di distanza, ricordata per aver avuto Padre Jozo come parroco per lungo tempo – che questa tradizione si sta diffondendo; anche se è ancora poco conosciuta, ritengo che sia cosa “buona e giusta” darle visibilità in quanto permetterebbe a tante coppie di vivere con più profondità il matrimonio, a partire proprio dalla preparazione, fase importantissima per il dopo che verrà.  

Quando nel 2007 il sacerdote che ci avrebbe spostato – nonché guida spirituale del gruppo di preghiera da noi frequentato da anni – ci ha fatto scoprire e proposto il rito croato abbiamo accettato con entusiasmo non solo perché il buon Dio ci ha fatto conoscere proprio al festival dei giovani a Medjugorje ma perché abbiamo ritenuto che solamente affidandoci a quella Croce avremmo potuto affrontare e superare le tante, piccole o grandi, croci della vita.

Ora, dopo quasi diciassette anni di matrimonio, possiamo dirvi che ogni qualvolta guardiamo a quel Crocifisso non vediamo un pezzo di legno ma una presenza reale che ci sostiene e  supporta in tutto, soprattutto nei momenti difficili perché, proprio come recita il famoso canto di Monsignor Frisina, “Tu guidaci verso la meta, o segno potente di grazia. Nostra gloria è la Croce di Cristo, in Lei la vittoria. Il Signore è la nostra salvezza, la vita, la Risurrezione. Tu insegni ogni sapienza e confondi ogni stoltezza. In Te contempliamo l’amore, da Te riceviamo la vita”.

Fabrizia Perrachon

Affidatevi al miglior muratore di sempre

Dal Sal 117 (118) […]La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo. Questo è stato fatto dal Signore: una meraviglia ai nostri occhi. Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci in esso ed esultiamo! […]

Questo Salmo è pregato durante l’ottava di Pasqua, noi ne abbiamo riportato solo un versetto, ma esso è più lungo e più ricco perciò vi esortiamo a leggerlo e pregarlo tutto. Ovviamente questo versetto si riferisce al Cristo risorto, il quale è quella pietra scartata (sulla croce) ma che poi è divenuta la pietra sulla quale regge tutta la struttura.

Sappiamo bene che Gesù è risorto (e asceso poi al Cielo), e noi con il Battesimo siamo incorporati alla Sua morte e alla Sua risurrezione. Grazie a questo accesso alla Grazia di Cristo, noi abbiamo la possibilità di risorgere a vita nuova, che dovremmo aver sperimentato anche in questa Santa Pasqua. Ma il Signore è magnanimo e non limita la Sua azione misericordiosa al solo tempo quaresimale e/o pasquale, ma noi possiamo risorgere ogni qualvolta cadiamo in basso a causa dei nostri molti peccati, anche più volte al giorno se necessario.

Recentemente abbiamo incontrato diverse coppie di sposi che ci hanno testimoniato come il Signore le abbia prese da una situazione di crisi matrimoniale per alcuni, di malattia per altri, di lontananza dalla fede per altri ancora, e li abbia fatti rinascere nuovamente, una rinascita ad una vita nuova nella gioia del Risorto, nella Sua pace che non è quella che dà il mondo.

Questi sposi benedicevano quella situazione di crisi, di malattia o altro, perché essa è stata la causa della loro risurrezione, la causa di incontro col Risorto, senza quella il loro cuore non si sarebbe gettato nelle braccia misericordiose del Signore e Lui non avrebbe potuto compiere nuovamente la risurrezione a vita nuova.

Cari sposi, qual è la vostra pietra scartata? E perché l’avete scartata?

Ogni coppia di sposi può esaminare la propria storia passata o presente e trovare una pietra scartata dalla coppia stessa, ma non scartata dal Signore. Molte coppie vivono situazioni complesse e complicate dalla propria ottusità, dalla propria mancanza di fiducia nella onnipotenza del Signore; basterebbe prendere questa pietra e metterla nelle mani, o meglio sulla cazzuola, del miglior muratore, il quale sa prenderla e trasformarla in una pietra angolare.

Molti sposi ci hanno testimoniato che nella loro storia c’è un prima e un dopo rispetto a quella crisi, a quella malattia, a quella conversione, esso è divenuto uno spartiacque tra prima e dopo, tra la vita vecchia e la vita nuova nel Risorto. Per essi quella pietra che avevano scartata perché ritenuta di scarso valore, è divenuta invece la pietra angolare, quella su cui si regge la costruzione.

Il Signore non butta via niente della nostra vita, prende tutto e trasforma.

Vi riportiamo un solo un esempio: San Giovanni Bosco rimase orfano di padre alla tenera età di 2 anni e crebbe con la mamma Margherita, seconda moglie del padre dopo la precoce vedovanza dalla prima. Quindi se la prima moglie del suo papà non fosse morta, non sarebbe nato Giovanni, inoltre la mamma diventò poi un’indispensabile aiuto alla missione del giovane sacerdote torinese, il quale, fortificato dall’esperienza della precoce orfanità paterna divenne un grande padre per centinaia, forse migliaia di ragazzi: un grande santo.

Come vedete, il Signore non butta via niente, ma Lui fa nuove tutte le cose!

Se Lui non le butta, perché dobbiamo farlo noi?

Coraggio sposi, basta affidarsi al miglior muratore di sempre.

Giorgio e Valentina.

La Divina Misericordia nelle relazioni familiari

Domenica sarà un giorno speciale: quello dedicato alla Divina Misericordia. Di che cosa si tratta esattamente? E che rapporto c’è tra essa e le relazioni familiari, tra coniugi e con i figli?

Innanzitutto è importante dire che la Divina Misericordia è considerata – come si recita nelle litanie stesse – “il massimo attributo della divinità”: questo significa, l’abbiamo appena sperimentato nella Resurrezione, che il Signore non è solo giusto giudice ma è anche un Dio che perdona chiunque si penta dei propri peccati, riconosca i suoi sbagli e ritorni a Lui con cuore pentito. Diciamo la verità: se Gesù non fosse stato misericordioso come avrebbe potuto dire “Padre perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34), all’apice delle sofferenze fisiche e morali, straziato e appeso al legno della croce? Egli ci ha lasciato un esempio grandissimo e rivoluzionario, capace non solo di superare la cosiddetta legge del taglione – occhio per occhio, dente per dente – ma di offrire uno sguardo nuovo sui rapporti tra noi e tra noi con Dio.

La Chiesa, nella prima domenica dopo la Santa Pasqua, ci invia a riflettere sul mistero della misericordia: per noi adesso, concretamente, che cosa significa festeggiare e onorare la Divina Misericordia? Che cosa può aiutarci nel comprendere, prima, e nel mettere in pratica, poi, l’invito di Gesù:siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36)? Ci sono due componenti che dobbiamo essere capaci di fondere insieme: quella liturgico-spirituale e quella affettivo-familiare. Per penetrare con il cuore questa caratteristica unica del nostro Dio – distante anni luce dalle logiche umane, di ieri come di oggi – è fondamentale sapere, o ricordare, che oltre agli accenni evangelici tutto ciò che ruota attorno alla Divina Misericordia è stato rivelato da Gesù a Faustina Kowalska, santa suora polacca vissuta agli inizi del Novecento e universalmente nota come “apostola” della misericordia. Capiamo la portata di questa manifestazione? È Dio stesso che ha desiderato svelarci le fattezze del Suo volto, donandoci la bellissima preghiera della Coroncina e indicandoci le tre del pomeriggio come “ora della misericordia”, per ricordarci il momento esatto in cui Cristo spirò.

Disse Gesù a Santa Faustina: “Desidero che la festa della Misericordia sia di riparo e rifugio per tutte le anime, e specialmente per i poveri peccatori (…) riverserò tutto un mare di grazie sulle anime che si avvicinano alla sorgente della Mia Misericordia. L’anima che si accosta alla confessione ed alla Santa Comunione riceve il perdono totale delle colpe e delle pene. In quel giorno sono aperti tutti i canali attraverso i quali scorrono le grazie Divine. Nessuna anima abbia paura di accostarsi a Me, anche se i suoi peccati fossero come lo scarlatto” (Diario, 699). Riveló anche: “La sorgente della mia Misericordia venne spalancata dalla lancia sulla croce per tutte le anime; non ho escluso nessuno” (Diario, 1182). E ancora: “L’umanità non troverà pace finché non si rivolgerà con fiducia alla Mia Misericordia” (Diario 300).

Come detto prima, però, oltre alla conoscenza ed alla pratica nella preghiera è necessario essere in grado di trasformare in vita gli inviti ricevuti, a proposito dei quali è sempre Gesù che ne ha indicato la via: “Devi mostrare Misericordia sempre e ovunque verso il prossimo; non puoi esimerti da questo, né rifiutarti né giustificarti. Ti sottopongo tre modi per dimostrare Misericordia verso il prossimo: il primo è l’azione, il secondo è la parola, il terzo la preghiera. In questi tre gradi è racchiusa la pienezza della Misericordia ed è una dimostrazione irrefutabile dell’amore verso di Me. In questo modo l’anima esalta e rende culto alla Mia Misericordia” (Diario, 742).

Ecco dunque che il Cielo ci ha fornito sia la ricetta che il farmaco: essere misericordiosi verso il coniuge, i figli o chiunque entri in relazione con noi significa guardare oltre la pagliuzza che c’è nei loro occhi, oltre i difetti, le povertà materiali o spirituali e al di là delle mancanze o delle leggerezze perché in essi c’è innanzitutto una persona voluta e amata da Dio. Non possiamo invocare la misericordia e poi essere i primi tiranni, i primi accusatori, i primi giudici degli altri! Approcciarsi alle persone in questo modo non significa solo tradurre nella pratica il comandamento dell’amore ma provare ad amare Dio nella maniera che Lui stesso ha voluto.

La misericordia, attenzione, non è un premio vinto una volta per tutte ma un percorso, una scelta da compiersi ogni giorno e nessuno può dirsi esperto né arrivato perché le relazioni, a volte, mettono a dura prova; la cosa importante è non lasciarsi abbattere ma vincere quotidianamente pigrizia e mentalità dominante per amare e lasciarsi amare, sentirsi perdonati e sforzarsi di perdonare. Guardare al marito, alla moglie, ai genitori, ai figli, ai parenti, agli amici o ai colleghi con gli occhi della misericordia, allora, non vuol dire essere illusi, disincantati e disposti a subire passivamente offese o soprusi ma provare ad andare al di là della scorza puramente umana per scorgere l’anelito divino e la bontà che Dio ha posto nel fondo del cuore di ciascuno di noi. Solo così potremo essere veramente coerenti con quanto pronunciamo nel Padre Nostro: “rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”.

Che bellezza, che grandezza, che sconcertante modernità l’amore misericordioso di Gesù! Altro che favolette per deboli … questa sì che è roba forte! Preghiamo, quindi, di essere capaci di accogliere e vivere questo messaggio straordinario ed essere pronti ad unirci, con le labbra ma soprattutto con il cuore, al coro che inneggia: “Misericordias Domini in aetenum cantabo!”.

Fabrizia Perrachon

Ci credo perchè anche io sono risorto grazie a Lui!

La resurrezione. Cosa è la resurrezione? Ci crediamo davvero? Crediamo davvero che Gesù è morto e risorto? Cosa significa nella nostra vita che Gesù è risorto? Cosa ha cambiato? Se ha cambiato qualcosa. Nel nostro matrimonio quanto c’entra la resurrezione?

Queste sono delle domande che ieri, in un momento di meditazione personale, mi sono posto. A me stesso. Perchè se non credi che Gesù sia il risorto non ti cambia la vita. Tanti credono che gli insegnamenti del Cristo siano belli e condivisibili. Tanti pensano che Gesù sia un esempio di vita. Ma tanti non credono che sia davvero risorto. Ci credono forse a parole ma poi nei fatti vivono come se la resurrezione non c’entrasse davvero con la loro vita.

Durante la notte della Veglia Pasquale durante la benedizione del cero abbiamo ascoltato tra le altre cose questa affermazione che risale a un’omelia di sant’Agostino: Felice colpa, che meritò di avere un così grande redentore!

Io sono arrivato a credere che nella nostra vita per arrivare davvero a comprendere la resurrezione abbiamo bisogno di passare dalla sofferenza. Per me è stato così, per Luisa è stato così. Mi è piaciuta molto la definizione di don Luigi Maria Epicoco di resurrezione. La resurrezione è un imprevisto.

Ci sono dei momenti in cui nella nostra vita non riusciamo a vedere una luce. Le cose non vanno bene. Ci sentiamo bloccati. Può essere il lavoro, una malattia, un lutto, una ferita relazionale, una relazione andata male. Ognuno ha la sua storia. L’incontro con la resurrezione – dice don Luigi – è un fatto che risignifica la vita. Ma tutto parte da un fatto traumatico, da un dolore. San Paolo cade da cavallo. Dobbiamo fare esperienza – spesso attraverso il dolore – che non ci bastiamo. Che da soli non troviamo la via d’uscita.

La differenza è tutta nel modo con cui affrontiamo la prova. Se ci chiudiamo e davanti a noi non riusciamo a vedere null’altro che buio subentra la disperazione. Se invece ci apriamo ad accogliere l’imprevisto di Dio ecco che arriva – presto o tardi – la resurrezione. Nella storia mia e di Luisa è stato così. Ma non voglio parlare ancora di noi.

Mi viene in mente Ettore che scrive sul blog. Lui è risorto dalla separazione con la moglie proprio non chiudendo la porta a Dio ma restando in ascolto e in attesa di quell’imprevisto. Imprevisto che è arrivato. Ed è risorto. Non come si aspettava lui. E’ ancora separato dalla moglie ma ha trovato una guida sapiente in don Renzo Bonetti, una moltitudine di amici, un senso d’amore anche in quella separazione e ha compreso come potesse ancora rendere fecondo il suo matrimonio seppure nella separazione. Ora è una persona risorta e paradossalmente più consapevole ora dell’amore di Dio.

Auguro a tutti, qualsiasi sia la vostra situazione, la vostra storia e le vostre sofferenze, di poter dire: Gesù è risorto veramente! Ci credo perchè anche io sono risorto grazie a Lui! E se non vi sentite ancora risorti non smettete di attendere quell’imprevisto di Dio. Che non sarà probabilmente come voi vi aspettate e dove voi lo cercate.

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Le sette parole di Gesù per gli sposi

Siamo giunti così a sabato. Questa sera vivremo la veglia pasquale. Senza la Pasqua nulla avrebbe senso. Pochi ci pensano, ma Cristo su quella croce ha celebrato le sue nozze con noi. La croce è stata talamo consacrato. Sulla croce ha offerto tutto di sè. Tutto fino a dare la vita. L’amore di Cristo, inchiodato alla croce, è un amore che ogni sposo e ogni sposa dovrebbero prendere ad esempio e cercare di emulare. In quel momento così terribilmente importante, Gesù ci affida sette parole. Cercherò di declinarle e attualizzarle nella vita di una coppia di sposi.

Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Lo sposo perdona sempre. Fa di più! Intercede presso Dio e offre la sua vita per la salvezza del coniuge. Noi lo facciamo o ci lasciamo vincere dal rancore e dall’orgoglio?

Oggi con me sarai nel paradiso. L’amore non guarda il passato. Ha la memoria corta per il male subito. L’amore ha memoria lunga solo per il bene ricevuto. La persona che ama si commuove del pentimento e non smette di credere nell’uomo o nella donna che ha sposato.

Donna, ecco tuo Figlio … Chi ama davvero è come Gesù. Non pensa a sè. Gesù è sulla croce, sta morendo, ma si preoccupa delle persone che ama. Non di se stesso. Questo è l’atteggiamento che dovrebbe caratterizzare l’amore degli sposi. Lo sguardo sempre verso l’altro.

Ho sete. Siamo fatti per essere amati. Gesù soffre la sete del corpo certamente. C’è un’altra sete più profonda, La sete di un cuore che vorrebbe essere riamato da quegli uomini a cui ha dato tutto. Così anche noi sposi. Non smettiamo di dissetarci alla fonte del nostro amore. Non cerchiamo di spegnere la nostra sete con altro. Mettiamo al primo posto Dio nel nostro matrimonio e la nostra famiglia. Prima del lavoro, prima dei soldi, prima delle famiglie di origine, ecc.

Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Ci passiamo tutti prima o poi. Sperimenteremo, o abbiamo già sperimentato, momenti si solitudine profonda. Momenti in cui il nostro matrimonio diventa croce. Non riusciamo più a vedere la presenza di Dio nella nostra storia. Coraggio! Gesù stesso ci è passato. Lui ci insegna che non dobbiamo mollare.

Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito. Anche nel nostro matrimonio è importante conoscere, anzi riconoscere, che il nostro sposo (sposa) non è Dio. Non è è lui/lei che ci può rendere felici e dare senso alla vita. Solo l’abbandono in Dio ci può rendere capaci di essere sposi liberi di amare gratuitamente e incondizionatamente la persona che abbiamo sposato.

È compiuto.  Il nostro amore è compiuto quando riesce a spingersi oltre ogni egoismo e ogni difficoltà. Solo così le nostre morti diventano occasione di resurrezione e di nuova vita, per noi, per il nostro coniuge e per la nostra relazione.

Non mi resta che augurare a tutti una meravigliosa celebrazione della Pasqua.

Antonio e Luisa

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Segniamo la porta del nostro cuore con il sangue dell’Agnello.

Stamattina mi sono alzato presto.  Sono andato in chiesa. Oggi è il venerdì in cui Gesù viene giudicato, offeso, condannato, frustato e infine caricato della croce e condotto sul Golgota a morire. La chiesa è nella semioscurità. C’è l’atmosfera giusta per immergersi in Gesù, per fare un salto nel tempo e trovarsi nella Gerusalemme di circa duemila anni fa. Penso alla solitudine di Gesù, all’abbandono da parte di tutti o quasi. Solo la madre, poche donne e il discepolo amato sotto la sua croce.

Quel sangue versato per noi, per tutti noi, per dirci che ci ama e ci desidera come nessun altro. Ho pensato a tante cose e mi sono sentito profondamente indegno del suo sacrificio. Il suo sacrificio capace di salvarci dalla morte e di rendere nuova ogni cosa. Capace di andare oltre le nostre miserie, i nostri fallimenti, le fragilità e gli errori.

Capace di prendere sulle spalle, insieme alla croce anche il peso della nostra incapacità di amare e trasformare il nostro matrimonio. Gesù che ieri, giovedì, stava ricordando con i suoi apostoli la pasqua ebraica (Pèsach) . Stava ricordando la liberazione del suo popolo dall’Egitto oppressore.

Non tutti erano felici di lasciare l’Egitto e seguire Mosè. Alcuni preferivano rimanere schiavi perché almeno avevano un tetto sopra la testa e un pasto sicuro. A volte ci comportiamo allo stesso modo. Talvolta ci aggrappiamo alle nostre “schiavitù”, convincendoci che le cose non vanno poi così male. Dopotutto, ci sono persone che stanno ancora peggio di noi. Ci aggrappiamo alla nostra zona di comfort e ci rifiutiamo di lasciarla.

Attraversare il deserto costa fatica. Il nostro matrimonio può diventare santo, ma dobbiamo volerlo. Il nostro matrimonio, se noi lo desideriamo, attraverso quel sangue versato, può risorgere dalla morte del peccato. Il nostro matrimonio è come la porta delle dimore di quegli ebrei schiavi in Egitto.

Dio ci chiede di segnare la porta del nostro cuore e  del nostro matrimonio con il sangue dell’Agnello sacrificato. Solo cosi la morte del peccato non ci toccherà e passerà oltre. Non basta però il sacrificio di Gesù per noi, ma è necessario il nostro riconoscerci bisognosi e desiderosi di segnarci del Suo sangue, serve che ci professiamo cristiani non solo con le parole, ma portando il segno del suo sacrificio aderendo ai suoi insegnamenti e aprendo il nostro cuore alla Sua Grazia che salva.

Come in modo significativo predicava un vescovo del IV secolo: Per ogni uomo, il principio della vita è quello, a partire dal quale Cristo è stato immolato per lui. Ma Cristo è immolato per lui nel momento in cui egli riconosce la grazia e diventa cosciente della vita procuratagli da quell’immolazione.

Questo giorno è un momento decisivo. Non per Cristo, che ha già preso la sua decisione, ma per noi. Anche noi abbiamo tradito molte volte. Possiamo seguire l’esempio di Giuda e lasciarci consumare dal rimorso, oppure trasformare il nostro tradimento in una nuova vita. Come fece Pietro, quando, di fronte a Gesù incatenato che lo guardava con amore nonostante lui l’avesse appena rinnegato, non riuscì a trattenere le lacrime. Fu proprio quel pianto a spalancare finalmente il suo cuore. Da quel momento Pietro divenne veramente la roccia che Gesù aveva intravisto chiamandolo “Pietro”.

Antonio e Luisa

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Il matrimonio secondo Pinocchio /25

Pinocchio mangia lo zucchero, ma non vuol purgarsi: però quando vede i becchini che vengono a portarlo via, allora si purga. Poi dice una bugia e per castigo gli cresce il naso.

Affrontiamo ora il capitolo XVII di questo racconto che si sta svelando come un grande aiuto per la nostra vita poiché le vicende che il burattino affronta sono comuni all’umano vivere di ogni epoca.

Da questo capitolo traiamo tre spunti di riflessione: il primo sull’intervento della Fata, il secondo sulla paura delle medicine e il terzo sulle bugie.

1. L’intervento della Fata. Dopo il consulto pittoresco e inconcludente dei tre medici, la Fata prende in mano la situazione e prepara da sé il farmaco per la guarigione, si può notare come il Grillo non basti più: per poter cambiare vita non è sufficiente l’intervento, che pure è necessario, della coscienza e del suo giudizio sui nostri atti, abbisogniamo dell’intervento della realtà, l’unica che ci può somministrare la medicina, ovvero della Chiesa, qui raffigurata dalla Fata.

Chi vorrebbe un Gesù senza la Sua Chiesa, è come se pretendesse di conoscere/incontrare uno sposo senza mai conoscerne/incontrarne la sposa, essa però è la dispensatrice della Grazie del Suo sposo divino. Certamente qualcuno potrebbe obiettare che Dio è infinito e che, di per sé, non abbia alcun bisogno della Chiesa, in quanto Dio fa quello che vuole, quando vuole e come vuole; questo è vero, ed è talmente vero che ha deciso di volersi servire ordinariamente della Chiesa per far passare la Sua Grazia, poi che in modo straordinario Lui operi comunque non è un nostro problema anche se non v’è sicurezza che avvenga, lasciamo a Dio fare il Suo mestiere, ma noi siamo corpo di questa sposa che si sottomette al Suo sposo.

Ma qual è la medicina che ci dà la Chiesa ? I sacramenti.

2. La paura delle medicine. In un passaggio significativo Pinocchio così si esprime:

-Egli è che noi ragazzi siamo tutti così! Abbiamo più paura delle medicine che del male.

Quanta verità in queste poche parole, se applicate alla nostra vita spirituale si apre la nostra seconda riflessione. Perché i sacramenti sono così snobbati dalla maggior parte dei cristiani cattolici? Sicuramente per una serie di motivi che non vogliamo tirare in ballo, ci basti però ricordare la verità espressa da quel pezzo di legno parlante, e cioè che molti battezzati preferiscono restare a lamentarsi (come Pinocchio che cerca ogni scusa pur di non prendere la medicina) nel proprio stato di peccato piuttosto che di affidarsi alle cure esperte della Chiesa, quella Fata che, senza usare “effetti speciali e colori ultravivaci”, si serve di umili elementi (acqua, olio, pane, vino) per operare i più grandi miracoli. Lasciamo alla sapienza del compianto cardinal Biffi spiegarci in poche righe questo passaggio:

Ma il “principio sacramentale”, che piace poco a noi, piace molto a Colui che unico ci può salvare, forse perché è conforme al suo vivo senso dell’umorismo. Egli probabilmente si diverte a vedere che per avere il cuore trasformato uno non debba soltanto dibattere i suoi problemi entro il tribunale dell’anima, ma anche farsi lavare la testa nel Battesimo e farsi ungere nella Confermazione, così come si compiace di assegnare un uomo (Gesù) come capo e salvatore degli angeli. […] …tra la magia ed il sacramento la differenza è assoluta : nella magia l’uomo cerca di piegare la divinità al proprio volere con mezzi assurdamente sproporzionati; nel sacramento l’uomo cerca di piegare la sua volontà individualista e orgogliosa fino a farla entrare nell’allegro gioco di Dio, che ha deciso di elevare le creature più umili (acqua, pane…) alla dignità di strumenti salvifici per la creatura più alta (l’uomo).

3. Le bugie. Sicuramente uno degli elementi che fa decidere a Pinocchio di dire alcune bugie alla Fata è la paura, ma non è curioso che il Gatto e la Volpe siano ritenuti degni della sua verità mentre la Fata no? Eppure anche questo atteggiamento è rivelatore, non è forse vero che quando la tentazione ci assale conosca la verità di noi stessi nel profondo delle nostre fragilità personali? Perché allora di fronte alla medicina che la Chiesa ci vuole somministrare nascondiamo le nostre malefatte, scusandole ed arrogandoci il diritto di decidere cosa è bene e cosa è male?

Cari sposi, anche il sacramento del matrimonio è una medicina per la nostra anima e per la nostra umanità malata e ferita dal peccato originale, impegniamoci quindi a non rifiutare tale medicina: dobbiamo riscoprire che il nostro consorte è quello giusto per noi, per combattere le nostre cattive inclinazioni, per distruggere il nostro orgoglio e la nostra presunzione, per dilatare il nostro cuore ad amare sempre meglio e sempre di più, per imparare la via del sacrificarsi per l’altro, per non mettere al centro solo noi stessi. Coraggio!

Giorgio e Valentina.

19 marzo, San Giuseppe: “Ecco perchè oggi festeggiamo i papà!”

Giuseppe, lo sappiamo, di Maria era promesso

ma qualcuno, tra loro, fece il suo ingresso;

da un sguardo caduto sul suo addome

egli s’accorse che era un pancione:

“Maria che hai fatto?” pensò nel cuore

e si allontanò per diverse ore.

Nel sonno, però, venne un angelo da Lassù:

“Non temere, è arrivato Gesù!

I tuoi piani non stravolgere completamente,

di lui sarai padre veramente, 

qui sulla terra insieme a Maria

come aveva profetizzato perfino Isaia”.

Un po’ sconvolto e un po’ turbato

Giuseppe dalla fidanzata è tornato:

“Maria, una famiglia noi siamo,

insieme a Gesù lo sai che ti amo”.

Fu così che iniziò una grande avventura,

anche se i conti con una mezza sciagura

di fretta e di furia dovette affrontare:

“Veloci a Betlemme a farvi registrare!”.

Giuseppe e Maria si mettono in cammino

anche se è imminente l’arrivo del Piccino;

quanti passi fatti a piedi, senza lamento,

con lo sguaro su Maria vigile e attento.

In città non c’è posto per loro

si sentono dire come in un triste coro;

“Gesù dove nascere potrà?”

“Vieni, c’è una grotta poco più in là”.

E così, forse un po’ impaurito,

Giuseppe solo ha assistito 

alla nascita del Redentore,

nel momento in cui tutte le ore

per un attimo si sono fermate

perché le leggi per sempre erano cambiate. 

“Così tenero, piccolo e delicato,

eppure per il mondo è stato mandato,

per sconfiggere la morte e il peccato 

affinché ciascuno di noi sia riscattato”.

Giuseppe sapeva ma a nessuno diceva

che la sua sposa era una nuova Eva,

madre e figlia nello stesso momento

per dono di Grazia e vero portento.

Quante cose ha dovuto sopportare,

quanto legno ha saputo lavorare,

quanti sguardi d’amore per il fanciullo

anche quando tutto si faceva brullo

e di nuovo, improvvisamente, scappare

perché la vita di Gesù bisognava preservare.

Che dire poi di quel giorno nel tempio 

quando, scambiato per empio,

Gesù sembrava da tutti scappato:

“Con chi mai si sarà allontanato?”.

Ancora un volta, in silenzio e preoccupato,

Giuseppe in marcia si era incamminato,

sempre accanto alla sua Maria:

“Speriamo di trovarlo, mogliettina mia”.

Gesù, invece, tranquillo se ne stava

perché la Legge del Padre ora insegnava:

“Non sapevate che Lui devo testimoniare 

affinché la gente si possa salvare?”

Giuseppe capisce che l’ora si sta avvicinando

e che quel figlio la storia sta mutando,

“Chissà quanti giorni ancor qui passerà 

prima che in croce trafitto sarà”.

Giuseppe non vide quel grande tormento 

ma dal Cielo senz’altro ne fu sgomento:

guardare il figliolo con cattiveria oltraggiato

e senza pietà percosso e flagellato;

come il peggior criminale mai esistito, 

non gli fu risparmiato nemmeno un dito

ma tutto grondante di sangue e sudore

alle tre tornò dal Padre, il nostro Creatore.

 

Non una parola di Giuseppe è stata riportata

eppure la Bibbia è un’opera accurata;

forse perché è più importante ricordare

non come egli abbia potuto parlare

ma quello che i fatti hanno raccontato:

grande esempio ben proporzionato

tra rispetto, fede e obbedienza,

amore, dedizione ed esperienza.

San Giuseppe fu sposo e papà,

autentico maestro di somma pietà

perché a Maria e a Gesù ha donato 

ciò che mai sarà dimenticato,

tanto appoggio e altrettanta virilità 

il tutto condito da profonda umiltà. 

Ecco perché oggi festeggiamo i papà!

In Giuseppe hanno un’immagine di santità 

a cui tutti sono chiamati:

fatevi forza, non siete scusati!

Questo falegname, com’è scritto nel Vangelo,

vi fa da apripista per il Cielo;

si può essere Lassù, felici e beati,

anche se padri e da anni sposati 

anzi è proprio questa condizione

ad essere sicuro segno di vocazione: 

se moglie e figli con amore e affetto

si portano nel cuore, oltre che sul petto,

per vivere ogni giorno con pazienza e fedeltà 

perche è così che alla vita un sapore si dà.

 

Immagine potente di castità e purezza 

in te abbiamo un modello di saggezza 

e quel giglio bianco e profumato,

semplice simbolo per te usato,

ci ricorda che Dio mai ci abbandona 

pur se la tempesta a volte risuona

perché mai lasciato solo è 

chi confida nell’unico Re. 

Anche se le prove non mancheranno 

tutti in Giuseppe un appiglio riceveranno:

vera impronta del Padre onnipotente

egli è patrono di ogni morente 

perché tra le braccia di Maria e Gesù 

è passato da questa terra alla vita di Lassù,

per sempre in Paradiso beato 

dopo aver tanto faticato.

Anche questo a noi succederà 

se già in vita avremo praticato la carità:

ti preghiamo, Giuseppe, resta a noi vicino 

finché un dì saremo con te, accanto al Bambino.

Fabrizia Perrachon 

Don Antonio: ho sempre riconosciuto una sensibilità per la pastorale familiare

Mi presento. Sono don Antonio. Un uomo di 46 anni e da 21 sacerdote. Sono parroco di due parrocchie in provincia di Salerno. Ho studiato prima nel seminario di Potenza, e poi presso S. Anselmo a Roma dove ho compiuto la licenza in Teologia sacramentaria. Sono stato educatore nel seminario di Salerno per 9 anni, e dal 2005 insegno teologia dei sacramenti ai futuri sacerdoti. Sono impegnato nella formazione permanente del clero e nell’accompagnamento di fidanzati e coppie sposate. In passato anche della vita consacrata femminile.

Fin da quando ero in seminario, ho sempre riconosciuto una sensibilità per la pastorale familiare. Devo ringraziare l’impegno pastorale presente in Italia in modo particolare ad opera dei sacerdoti don Renzo Bonetti e don Carlo Rocchetta. Li ho incontrati personalmente una sola volta. Ma grazie ai social sono come dei padri spirituali per la mia formazione pastorale. Sono loro riconoscente per il fatto che “penso la mia vita sacerdotale” sempre in relazione “alla vita familiare” e sono incamminato nel Regno divino “dell’amore sponsale” impegnandomi nella virtù della “tenerezza”.

Qualche tempo fa, un pomeriggio, lessi un commento su questo blog ad un post di Antonio. Era un forte giudizio, ormai diventato comune, su papa Francesco e sul suo collaboratore il card. Fernandez. Si accese un moto interiore e scrissi un messaggio in privato ad Antonio … e conversando anche a viva voce ricevetti la proposta di condividere le mie riflessioni con voi. Io sto con il papa. Questo o quello. Senza magistero papale non c’è Chiesa di Gesù, e allora non c’è neppure Gesù. Quello degli apostoli. Pur sapendo che Gesù agisce anche fuori dai “confini” della sua Chiesa. Ma intanto che io vivo nel suo corpo della Chiesa, non posso stare qui e anche fuori lì. Perciò io sto sempre con la Chiesa.

Forse perché da giovane le sue rughe, scavate sul Volto, a causa della sua umana fragilità, mi hanno spaventato e allontanato da Lei e quindi da Gesù. Poi ho imparato che puntare il dito significa non amare, non perché si giudica, ma perché si vuole prendere le distanze. Io, prete, attendo dalla famiglia che nasce dal sacramento del matrimonio di essere aiutato ad amare di più questa Chiesa, la Chiesa di oggi, che cresce e si sviluppa a partire dalla Chiesa di ieri, e vuole diventare sempre più per domani la Chiesa di Gesù Cristo.

La famiglia, piccola Chiesa domestica, riflette e incarna l’amore di Gesù per la Chiesa, ma anche quello della Chiesa per Gesù. Perciò, io che sono prete, ho bisogno veramente di questo sano amore della famiglia per la Chiesa, affinché io possa amare la mia chiesa parrocchiale così come il sacramento dell’amore ogni giorno edifica la Chiesa e la società.

Ritornando e concludendo la mia presentazione, con Antonio abbiamo pensato che i miei interventi saranno dei “frammenti sui sette segni”. In questo primo contatto ho voluto dare voce soltanto al frammento sulla mia persona affinché dietro a questa firma – don Antonio Marotta – ciascuno d’ora in poi possa essere certo del mio intento: risvegliare la Chiesa nelle anime (R. Guardini) – fu il messaggio di papa Benedetto XVI nel suo ultimo discorso pubblico – che esplicitato su questo blog significa voler ri-leggere i tratti familiari dei sette sacramenti. La dimensione ecclesiale dei sacramenti. I sette sacramenti per la chiesa domestica.

Don Antonio Marotta

Il matrimonio secondo Pinocchio /24

La bella Bambina dai capelli turchini fa raccogliere il burattino: lo mette a letto, e chiama tre medici per sapere se sia vivo o morto.

Il Collodi si inventa la morte apparente per poter continuare il racconto, richiesto a gran voce dai piccoli lettori e dall’editore, dobbiamo ringraziare questa insistenza che ci ha permesso di leggere un’opera indimenticabile per l’infanzia e dal grande valore educativo. Si inserisce quindi una nuova figura, la bella Bambina, che potrebbe sembrare distrarre Pinocchio dal suo rapporto con Geppetto.

In realtà scopriremo, nei prossimi capitoli, che questa figura femminile non entrerà mai in conflitto con la figura paterna del falegname, al contrario, la sua funzione sarà quella di aiutare Pinocchio nella relazione col proprio padre.

Come non vedere in questa graziosa Bambina l’immagine della Vergine Maria?

Senza fare nessuna forzatura, la quale andrebbe a snaturare il racconto, possiamo rilevarne alcune caratteristiche che richiamano la Madonna: i capelli turchini, la (sempre) giovane età, la capacità di comandare con garbo e serietà nello stesso tempo, il rispetto con cui tratta Pinocchio da “morto apparente” salvaguardandone la dignità nonostante sia solo un burattino, e lo si denota da come si rivolge al Falco prima e al Can-barbone poi:

– Orbene: vola subito laggiù: rompi col tuo fortissimo becco il nodo che lo tiene sospeso in aria e posalo delicatamente sdraiato sull’erba a piè della Quercia. […] – Su da bravo, Medoro! – disse la Fata al Can-barbone; – Fai subito attaccare la più bella carrozza della mia scuderia e prendi la via del bosco. Arrivato che sarai sotto la Quercia grande, troverai disteso sull’erba un povero burattino mezzo morto. Raccoglilo con garbo, posalo pari pari su i cuscini della carrozza e portamelo qui.

Tra le caratteristiche mariane della Fata, ne scegliamo solo una per la nostra riflessione: il rispetto e la delicatezza, il garbo con cui tratta i burattini, ovvero come la Madonna ci tratta nonostante le asinate che combiniamo, per usare un eufemismo.

Ella non ci ripaga secondo le nostre opere, da chi avrà mai imparato?, ma usa sempre parole gentili e rispettose, nonostante i rimproveri ed i consigli accorati siano sempre quelli, quanta pazienza… proprio come fa una mamma comune. Cari genitori, dobbiamo chiederci se anche noi usiamo questo garbo e rispetto nei confronti dei nostri figli, malgrado siamo costretti tutti i giorni a ripetere sempre le solite, identiche cose alle solite, identiche persone… le mamme infatti spesso vengono etichettate dai figli come un disco rotto. Ma non per questo dobbiamo scoraggiarci e smettere con la solita cantilena, fa parte del nostro dovere.

Se pensiamo a quanta fatica si faccia per far entrare un concetto in quelle “zucche vuote”, non è niente rispetto alla fatica che si fa per farlo entrare nel cuore affinché lo facciano proprio e si decidano a viverlo da soli: è un’impresa molto più ardua.

Cari sposi genitori, dobbiamo imitare la delicatezza di questa bella Bambina dai capelli turchini, la quale usa tanto garbo e delicatezza soprattutto quando Pinocchio si dimostra un burattino e non vive da figlio, ella non gli toglie la dignità.

Quando dobbiamo riprendere i nostri figli, se li trattiamo calpestando la loro dignità e non li rispettiamo, non crescerà la loro autostima né la loro consapevolezza di creature ad immagine di Dio; se, al contrario, li trattiamo con garbo (anche deciso e risoluto) e rispettoso della loro dignità di figli, già questo atteggiamento dirà loro: “Tu vali di più dell’asinata che hai combinato, tu sei fatto per grandi imprese, tu sei capace di fare meglio”. Coraggio sposi, impariamo dalla Madonna chiedendone l’intercessione.

Giorgio e Valentina.

Con cuore di vedova

Sono rimasta vedova a quarantacinque anni con quattro figli ancora in età scolare (all’epoca avevano 19 anni, 17, 15 e 10), dopo vent’anni di matrimonio. Il momento della morte del proprio coniuge è una di quelle cose che non si vorrebbe mai accadessero e se poi arriva troppo presto si aggiunge, al dolore del lutto, la fatica di crescere la famiglia da sole.

Il Signore mi ha dato la grazia di arrivare a quel momento preparata, perché sapevo che la malattia di Francesco era terminale, e il giorno del suo funerale per me era già in cielo. Lui ha vissuto la sua vita matrimoniale spendendosi tutto per Dio e per la famiglia e, quando è arrivata la malattia, l’ha accettata sapendo dove lo stava conducendo. Non ho mai avuto dubbi sulla sua resurrezione perché, come ho sperimentato di persona e scritto in uno dei miei libri: “Vivi la perdita del tuo amato esattamente come hai vissuto l’amore per lui. Il tipo di amore che hai sperimentato in vita diventerà anche il tipo di lutto che sperimenterai quando il tuo sposo morirà.

Quando è iniziata la mia vita da vedova però, mi sono accorta che questa certezza della risurrezione era condivisa da poche persone. Ricordo che, prima di aprire la pagina Facebook (e la sua gemella Instagram) “Con cuore di vedova”, sfogliavo altre pagine Facebook dedicate a chi aveva perso un proprio caro. Alcune avevano tantissimi follower e un sacco di commenti ai post, ma erano tutte improntate soltanto al ricordo del “caro estinto”. Mancava ogni riferimento alla risurrezione che, invece, per me è la testata d’angolo su cui costruisco ogni giorno le mie giornate.

Da qui è nata l’esigenza di testimoniare l’esperienza di risurrezione che Dio ha portato nella mia vita: Dio è rimasto fedele al sacramento del matrimonio donandomi un amore che va oltre la morte. Con questo spirito ho aperto la pagina “Con cuore di vedova” che ad aprile 2024 compirà tre anni.

Tre anni in cui ho proposto post di vario genere – ma sempre improntati alla fede cristiana – indirizzati alle vedove che, come me, stanno portando ogni giorno questa pesante croce.

La vedovanza è un cammino pressoché sconosciuto alla gente perché, in genere, non se ne parla. Così questa pagina, col tempo, è diventata anche un momento di confronto con altre vedove per condividere “come si fa” a sopravvivere a un dolore che sconquassa da cima a fondo e che non passa mai. Come si può ricostruire la propria identità di donna, tornare a sorridere (è il tema della Quaresima 2024 che ho proposto nelle meditazioni settimanali) e crescere una famiglia da sole. Spero che abbia fatto del bene alle persone che l’hanno incrociata anche soltanto per un post.

È anche un’occasione di dare voce a chi non ha voce.

La perdita del proprio sposo è una realtà che, comunemente, non viene toccata in nessun ambito ecclesiale. A parte i rari (e bellissimi) discorsi dei papi alle vedove consacrate, a parte le catechesi dei sacerdoti in occasione della giornata dei defunti, a parte una discreta scelta di libri sul lutto (ma non su come si vive “il dopo”, da sole) direi che manca una realtà che accompagni con costanza chi porta quotidianamente la croce della vedovanza, specifica per loro. Queste pagine web “Con cuore di vedova” sono un modo di dare voce a una realtà che passa sotto silenzio.

Inoltre questa pagina è anche un modo di affrontare la vedovanza alla luce della Parola di Dio. Per me sarebbe impensabile farne a meno: è semplicemente fondamentale. Ed è bello leggere anche le testimonianze che offrono le sorelle di fede vedove: è davvero arricchente e stimolante. Benvengano queste testimonianze perché aprono la prospettiva sulle realtà celesti. Ancora adesso una delle cose che mi fa più soffrire è vedere quante persone, anche cattoliche, anche che vedo a messa, non siano sicure di dove sia l’anima del loro sposo defunto. C’è tanto da annunciare!

Infine un altro obiettivo di questo “servizio” è diffondere gli interventi della chiesa, dei papi, del magistero, dei padri della chiesa, dei laici sul tema della vedovanza, sperando che lettrici e lettori ne possano trarre beneficio, insegnamento, riflessione. Io stessa scrivo le riflessioni che mi suscita la preghiera, o le poesie che mi nascono da dentro. Ci tengo a precisare che ogni cosa che scrivo nasce dalla preghiera.

Vorrei concludere con uno dei discorsi più belli alle vedove, fatto da Papa Pio XII nel 1957. È un po’ la Magna Charta di tutti i documenti successivi:

 “La morte, anziché distruggere i legami di amore umano e soprannaturale contratti con il matrimonio, può perfezionarli e rafforzarli. È fuori dubbio che sul piano puramente giuridico e su quello delle realtà sensibili, l’istituto matrimoniale non esiste più. Ma sussiste tuttora ciò che ne costituiva l’anima, ciò che le conferiva vigore e bellezza, cioè l’amore coniugale con tutto il suo splendore ed i suoi voti di eternità. [.. .] Se il sacramento del matrimonio, simbolo dell’amore redentore di Cristo e della sua Chiesa, trasferisce agli sposi la realtà di questo amore[..], ne consegue che la vedovanza diventa, in qualche modo, il compimento di questa mutua consacrazione[..]. Ecco la grandezza della vedovanza quando è vissuta come prolungamento delle grazie del matrimonio e come preparazione del loro dischiudersi nella luce di Dio!

Vi ringrazio di avermi dedicato questo spazio e di aver consentito di aprire una finestra sul mondo della vedovanza.

Elisabetta Modena vive e lavora in provincia di Verona, ed è scrittrice di narrativa e poesia (pubblica sia con il suo nome, che con lo pseudonimo Judith Sparkle)

Intervista su Tv 2000

Su Aleteia sono apparsi due suoi articoli: 1 2

Ariticolo su Punto Famiglia

Una sua testimonianza è stata raccolta e pubblicata da Cecilia Galatolo nel libro “Vivere il lutto insieme a Dio” per l’editore Mimep docete.

Ha dedicato un libro di poesie a suo marito, con illustrazioni della figlia, dal titolo: “Come un campo di girasoli” (Amazon).

Fino alla fine. Un libro fuori dal coro

Qualche giorno fa è uscito il libro di un mio caro amico, nonché teologo, Marcelo Fiães che, presso il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II (Roma), ha ottenuto la Licenza in Sacra Teologia (Summa cum Laude, e premio seconda migliore tesi di licenza dell’Istituto per l’anno 2021), con la tesi intitolata “Il significato della separazione fedele”. Da questo lavoro è nato questo libro, Ti amerò fino alla fine (Il significato della separazione fedele nel matrimonio cristiano), nella collana “Saggi” di Mistero Grande, con la prefazione di Don Renzo Bonetti e questa è la sua presentazione:

Il matrimonio è da anni una realtà in crisi, con metà delle coppie che divorzia e intreccia nuove relazioni. I cattolici non fanno eccezione a questo trend e anche fra molti battezzati è diventato usuale “rifarsi una vita” dopo una separazione matrimoniale. Non tutti i credenti, però, ritengono questa una scelta obbligata. Alcuni, nonostante siano stati traditi o abbandonati dal coniuge, decidono di rimanere fedeli al Sacramento delle nozze e non cercano nuovi legami. Perché lo fanno? Qual è il significato di una scelta giudicata come insensata e fondamentalista agli occhi dei più? Cosa spinge i separati fedeli a continuare ad amare chi – per vari motivi – ha voltato loro le spalle? L’autore, a partire da una solida base teologica e dalla viva testimonianza di separati fedeli, propone alcune piste di riflessione per approfondire un tema poco conosciuto e raramente affrontato, anche in ambito ecclesiale. Un libro “fuori dal coro” che ha lo scopo di ricordare come il matrimonio cristiano, anche quando il legame fallisce, non perde il suo valore sacramentale e profetico, poiché conserva l’immagine delle nozze definitive dell’umanità con Cristo.

È un libro che ritengo molto importante, non solo perché ha basi teologiche solide e riporta testimonianze di separati fedeli, ma perché sottolinea il fatto che il Sacramento del matrimonio è efficace e generatore di frutti anche se il coniuge non è più fisicamente accanto. Non è una cosa facilmente comprensibile, perché nella stragrande maggioranza dei casi, i separati fedeli vengono visti come persone menomate che, poverini, sopravvivono in qualche modo, come fossero uccelli ai quali vengano legate le ali.

Questa è una visione errata, perché la capacità di amare e lo svolgimento della missione non sono legati alla presenza del coniuge: quest’ultimo è certamente un aiuto importantissimo nel crescere nell’amore gratuito, nell’unità, nel perdono, nella pazienza, nella tenerezza, nella reciprocità e complementarità, ma nel Sacramento del matrimonio viene benedetta la relazione e, poiché Gesù non divorzia mai da nessuno, qualsiasi cosa succeda, rimane ugualmente in piedi.

Paradossalmente il coniuge a volte può essere non un aiuto, ma un peso nello svolgimento della missione, se si limita tutto solo alla coppia e alla propria famiglia, senza guardare fuori, ritenendo che gli sposi “bastino a sé stessi”: è un atteggiamento che può portare alla fine di una relazione.

I separati fedeli sono chiamati non tanto a svolgere servizi vari in parrocchia o aiuto ai parroci, ma a rendere fruttuoso il loro Sacramento, a essere protagonisti nella Chiesa e per la Chiesa, non per i propri meriti, ma per la Grazia che deriva proprio dal Sacramento: ovviamente mostrano un volto particolare di Gesù, quello ferito, ma che lo Spirito Santo rende efficace, perché continua ad amare nonostante tutto.

Anche Papa Francesco ha voluto sottolineare l’importanza di questa scelta: Per evitare qualsiasi interpretazione deviata, ricordo che in nessun modo la Chiesa deve rinunciare a proporre l’ideale pieno del matrimonio, il progetto di Dio in tutta la sua grandezza…..Comprendere le situazioni eccezionali non implica mai nascondere la luce dell’ideale più pieno né proporre meno di quanto Gesù offre all’essere umano (Amoris Laetitia, 30).

Se qualcuno pensa che questa strada sia percorribile realmente solo da alcune persone, quelle magari particolarmente convinte o con le dovute qualità, sta di fatto mettendo un freno, un limite alla potenza di Dio e allo Spirito Santo: ho visto persone semplici, che non hanno studiato, rimanere fedeli attraverso una fede sincera e un totale affidamento a Gesù, seguendo il desiderio del proprio cuore.

Anche io m’inserisco fra le persone che, senza studi teologici, senza particolari doti e senza la presunzione di capire tutto, si sono messe in cammino giorno per giorno, confidando nella Provvidenza e ottenendo frutti inaspettati, gioie, consolazioni e tanti amici. Grazie Marcelo per questo tuo libro che sarà utile a tanti sposi!

Ettore Leandri (Presidente Fraternità Sposi per Sempre)

Quanta sete abbiamo?

Dai Sal 41-42 (42-43) Come la cerva anèla ai corsi d’acqua, così l’anima mia anèla a te, o Dio. L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio? Manda la tua luce e la tua verità: siano esse a guidarmi, mi conducano alla tua santa montagna, alla tua dimora. Verrò all’altare di Dio, a Dio, mia gioiosa esultanza. A te canterò sulla cetra, Dio, Dio mio.

Qualche settimana fa, in occasione del famoso giorno di S. Valentino, abbiamo sentito o letto frasi d’amore romantico da strappacuore, al limite del tenerume, alcune ci sono sembrate quasi esagerate, chi le avesse lette tutte si sarà fatto un’indigestione di romanticismo… tanta dolcezza da rischiare il diabete amoroso.

Ma nessuna di queste frasi amorose ha toccato vertici come lo fanno le parole di questo Salmo, forse perché quest’ultime sono state ispirate da Colui che è la fonte dell’amore, anzi, ci dice S. Giovanni, è l’Amore stesso.

Una delle esperienze più vivide dell’umano vivere è quella della sete: tutti abbiamo fatto esperienza di quanto sia preziosa l’acqua dopo che ne abbiamo vissuto la mancanza, quanto è buono e dissetante il primo bicchiere dopo tante ore senza poter bere! Ebbene, il salmista fa riferimento proprio a quest’esperienza corporale per farci meglio comprendere come dovrebbe essere il nostro desiderio di vivere in Dio, o meglio, che Dio possa vivere in noi.

Quando due sposi si amano intensamente sperimentano quella comunione di cuori presente già nella natura, e questa unione è destinata ad aumentare con l’aumentare dell’amore che i due si scambiano, e già questa esperienza ci fa intravedere che la vita non può essere tutta qui, sarebbe troppo riduttivo, e ci si chiede dove sia la fonte di tutto questa bellezza.

Già vivendo questa esperienza naturale i due vivono desiderando che l’altro possa vivere dentro sé in ogni istante; quando uno dei due vive una bella esperienza vorrebbe che l’altro fosse lì, per esempio se sta ammirando un tramonto particolare o un altro spettacolo del creato il desiderio non è solo che l’altro sia lì ma che addirittura possa guardare coi propri occhi, si vorrebbe che i propri occhi fossero una telecamera cui l’altro possa collegarsi come si fa con il wi-fi.

Tutto ciò fa parte dell’amore umano, ma quando la Grazia interviene (ovvero quando il matrimonio diviene Sacramento), prende questa bellezza e la eleva, la perfeziona e la trasfigura ad immagine di Colui che di questo amore ne è la fonte. E’ allora che questo desiderio di comunione sempre più profonda fa diventare la sete della presenza dell’altro in sete della presenza di Dio che nell’altro si manifesta, prende forma carnale in un volto ben preciso: il mio coniuge.

La presenza dell’altro con le sue manifestazioni sensibili ci aiuta ad aprire sempre più il nostro cuore a Colui che di quelle manifestazioni è la fonte, esse sono segno nel tempo di Chi vuole essere ricambiato nel Suo amore eterno.

Il Signore è il primo ad avere sete del nostro amore, ce lo ha dimostrato sulla croce (cfr <<Ho sete>> Gv 19,28), sembra un’assurdità, quasi che a Dio, perfettamente sussistente in se stesso, manchi qualcosa se non lo ricambiamo col nostro amore. Il Salmo ci mette sulla bocca le stesse parole di Gesù sulla croce per farci comprendere con quale intensità dobbiamo vivere il nostro amore a Dio per poter trasfigurare il nostro matrimonio ad immagine del suo amore crocifisso. Coraggio sposi, non lasciamo morire di arsura il nostro coniuge.

Giorgio e Valentina.

Gelosia divina

Cari sposi, siamo approdati a metà del nostro cammino quaresimale. Abbiamo iniziato nel deserto per poi salire sul monte della trasfigurazione domenica scorsa ed oggi entriamo con Gesù nel tempio a Gerusalemme.

L’evangelista Giovanni colloca questo fatto nella prima Pasqua di Gesù e appena dopo il primo “segno” compiuto a Cana, discostandosi così dalla narrazione dei Sinottici.

Anzitutto vediamo il contesto in cui avviene il racconto. Siamo poco prima di Pasqua, quindi in piena primavera e per quella grande festa giungevano a Gerusalemme anche centomila persone, procedenti dalla Spagna al Medio Oriente. Ogni pellegrino poi offriva nel tempio generalmente un agnello e si calcola che in pochi giorni venivano immolati circa 18-20 mila agnelli. Immaginate il giro di soldi che questo comportava! E tutto questo trafficare avveniva proprio nel recinto del tempio. Siccome poi i pellegrini venivano da ogni parte dell’Impero Romano era chiaro che ci volevano pure i cambiavalute, come nei nostri aeroporti, che cambiassero i sesterzi, i denari, gli aurei in sheqel.

Un’ultima annotazione importante: la legge ebraica non proibiva affatto questo tipo di attività economica che avveniva appunto attorno al Tempio, nel cosiddetto emporion mentre Gesù è proprio lì che pronuncia il suo discorso e attua la cacciata. Se allora, Gesù non è venuto a cambiare nemmeno una virgola della Legge ebraica (cfr. Mt 5, 18), allora in ciò che dice e fa c’è un senso molto più profondo.

È molto interessante, nel testo greco del Vangelo, vedere come Giovanni, parlando del tempio, non usa il vocabolo comune, che è nàos, ma piuttosto ièron, cioè proprio quella parte intima in cui era custodita l’Arca dell’Alleanza e dimorava perennemente la Shekinah, la Presenza di Dio.

Detto questo si può già arrivare a un’importante conclusione. Gesù non sta dicendo banalmente di non fare sacrifici nel tempio, difatti essi erano un anticipo del Vero Sacrificio che Lui avrebbe fatto di lì a poco.

La sfuriata di Gesù non è affatto un colpo di testa, un segno di burn out o di accumulo di stress. Piuttosto, la collera di Gesù è quella di uno Sposo che si sente ingannato dalla Sposa e ha appena scoperto i segni del suo tradimento. È come quando un coniuge scopre certi messaggini sul cellulare o alcune chat sul computer oppure siti particolari nella cronologia di Google

Gesù in questa scena sta provando un’indignazione solenne per constatare che il Suo Amore è vilmente svenduto! Tutta quella gente lì stava correndo dietro a cose sacrosante ma in realtà stavano dimenticando per Chi lo facevano. Gesù Sposo, allora, reclama a grida il cuore della Sposa che al contrario è tutta dedita ad affari e sta mettendo in secondo piano l’Amore Vero.

Ecco allora che la parte più interna del tempio è direttamente collegata alla nostra coscienza, all’intimo del nostro cuore. Il Catechismo, difatti, afferma che: “La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria” (1777).

Gesù Sposo conosce meglio di chiunque altro il nostro cuore e in questa Quaresima è il più interessato a renderlo puro, cioè, innamorato di Lui. La scena evangelica odierna è esattamente quanto Gesù intende compiere nel cuore di voi sposi, come coppia e singolarmente. E come lo fa?

Anzitutto con i Sacramenti e con lo Spirito. Il Battesimo che abbiamo ricevuto è esattamente il lavacro che ci ha rigenerati e per voi esso è culminato nel Matrimonio, con cui Gesù vi ha uniti a sé in un’alleanza eterna di amore. L’Eucarestia è il Suo Corpo dato per amore che vi rende ogni volta che La ricevente concorporei, consanguinei a Lui. Ed infine lo Spirito è Colui che rende fruttuosi i sacramenti e vi guida in questo cammino di purificazione.

Cari sposi, dobbiamo accettare che il nostro cuore è perennemente visitato da idoli, da intrusi che tendono a farci distogliere dallo Sposo, la vita odierna non fa che bombardarci quotidianamente. Ci distraggono, ci confondono, ci disorientano e vogliono mettersi al posto di Cristo, vogliono rubarci l’anima. Gesù lo sa bene, non si scandalizza, anzi, perciò in questa Quaresima anela profondamente a darvi un cuore nuovo, un orientamento nuovo nella vostra via cristiana.

Lasciamoci guidare, permettiamo che lo Sposo continui a mondarci e a liberarci, anche se può far male, in modo che la vostra fede e il vostro amore sia sempre più simile all’amore con cui Cristo Sposo ama la Sua Sposa.

ANTONIO E LUISA

Gli idoli di cui parla padre Luca non sono necessariamente vizi o distrazioni. Può essere un idolo anche nostro marito o nostra moglie. Gesù è geloso quando facciamo dell’altro il nostro tutto, il nostro dio. In realtà sa bene che solo nella relazione con Lui – mettendo Lui al primo posto – potremo amare davvero l’altro nella gratuità e non fare del nostro matrimonio quel mercato che ha indignato Gesù. Perchè non solo noi siamo tempio di Dio ma lo è anche il nostro matrimonio che è abitato dalla reale presenza di Cristo.

Dio vede in voi una meraviglia

Il Vangelo del padre misericordioso – proposto oggi dalla liturgia – è uno dei passi più conosciuti, letti, riletti e approfonditi. Cosa può ancora dirci? Tanto! Innanzitutto perché lo ascoltiamo in momenti diversi della nostra vita. Quello che ci può toccare oggi non è quello che ci ha toccato le volte precedenti. Cambiamo sempre e quindi cambia ciò che la Parola provoca in noi.

Detto questo, parto da una riflessione di don Fabio Rosini di un po’ di tempo fa. Mi è sembrata molto centrata ed efficace. Una prospettiva forse un po’ diversa da quella solita. Gesù rivolge una serie di tre parabole agli scribi e farisei. Lo fa per rispondere al loro atteggiamento verso di Lui. Sono scandalizzati che lui abbia relazioni, che si intrattenga e mangi insieme a pubblicani e peccatori. Gli scribi e i farisei credono di essere i soli meritevoli, mentre gli altri non meritano né considerazione né rispetto. Non hanno dignità. Sono considerati la feccia.

Gesù racconta la parabola del Padre misericordioso per mostrare la diversa esperienza vissuta dal padre da parte dei suoi due figli. Il figlio peccatore che torna a casa ha commesso molti errori. È vero, il suo comportamento è stato davvero sbagliato. Ha sprecato tutto ciò che il padre gli aveva dato, vivendo una vita dissoluta. Tuttavia, c’è un punto di svolta. Questo porta Gesù a dire in un’altra occasione, in Matteo 21: “I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio“. Quando tocca il fondo, il figlio comprende la miseria della sua condizione e del modo in cui ha vissuto. Il peccato lo ha reso vulnerabile e spoglio. Tornando a casa, l’abbraccio del padre lo fa sentire amato, nonostante abbia deluso, disobbedito e si sia perduto. L’abbraccio del padre diventa per lui un’occasione per sentirsi amato per ciò che è, e non per ciò che ha fatto o non fatto. È un amore autentico e incondizionato.

Arriviamo all’altro fratello. L’altro ha sempre condotto una vita onesta. Non lo ha fatto per amore, ma per senso di responsabilità. Per sentirsi in pace. Questo lo fa sentire come se il Padre fosse un padrone e lui un servo. Tutto diventa gravoso. Capite la differenza nella relazione tra i due figli e il Padre? Non voglio dire che il peccato sia positivo, ma potrebbe essere un’opportunità per rinascere.

Anche io ho toccato il fondo nella mia vita e lì ho scoperto lo sguardo di un Dio che mi voleva bene anche così, beh è cambiato tutto. Credo di avere avuto la mia vera conversione.

Quanti sposi e quante spose si sentono miseri e misere, sentono di non farcela, sentono di avere un sacco di problemi, di fragilità e di difetti. Quante coppie credono di avere un matrimonio povero che non brilla. Quante coppie guardano con invidia altre coppie che sembrano più belle e sante. Quella è l’occasione di alzare lo sguardo verso Dio e specchiarsi in ciò che lui vede. Lui vede una coppia bellissima, lui vede una coppia che ha tutto per mostrare qualcosa di Lui al mondo. Per farlo anche nella difficoltà più o meno grandi che la vita ci riserva. Lui non smette mai di credere in noi, perché non dovremmo crederci anche noi, sempre, nel nostro matrimonio?

Dovremmo fare nostre le parole che cantano i The sun nella canzone Johnny Cash:

Alla fine ho accettato il fatto che Dio pensava ci fosse in me qualcosa che valesse la pena di salvare e chi ero io per dirgli che aveva torto, non sono mica Dio, non sono mica Dio.

Coraggio Dio vi guarda e vede una meraviglia, cercate di vederla anche voi.

Antonio e Luisa

Quando fare l’amore può essere un fioretto quaresimale

Ho ricevuto una mail da Agata (nome di fantasia) che mi ha fatto riflettere. Anche perché simile a un aneddoto che ci raccontava sempre padre Raimondo – il frate che ci ha seguito e dato una regolata da fidanzati – che mi aveva colpito già tanti anni fa.

In questa mail Agata, che conosciamo già da un po’ di tempo e sappiamo che ha problemi a lasciarsi andare nell’intimità con il marito, ci ha confidato di aver scelto per questa quaresima un fioretto diverso dal solito: ha scelto di non avere rapporti sessuali con il marito per tutta la durata della quaresima.

Un fioretto di questo genere può essere davvero gradito a Dio? Lo può essere nella misura in cui ci aiuta a crescere e a perfezionare il nostro matrimonio. Faccio un esempio. Se io sposo faccio fatica a rispettare i tempi dei metodi naturali e sono spesso in difficoltà ad accogliere i periodi di astinenza per esercitare la mia paternità responsabile, ecco che un fioretto di questo tipo può essere positivo. Vissuto però con la consapevolezza che lo sto attuando per essere capace di amare di più e consapevole che mi sta costando fatica perché voglio rendere quella fatica feconda. Soprattutto deve essere condiviso con la mia sposa che non può non essere coinvolta in una situazione che non riguarda me ma riguarda noi.

La comprensione e l’accettazione dei sacrifici necessari nel matrimonio possono portare a una crescita personale e spirituale. Affrontare le sfide con l’obiettivo di migliorare la relazione con il proprio coniuge dimostra un impegno profondo e un desiderio sincero di amore e reciprocità. Questa consapevolezza può portare a una maggiore armonia e intimità, creando così una base più solida per il matrimonio.

Non è proprio il caso di Agata. L’autrice della mail sta usando Dio per coprire una difficoltà che lei e il marito hanno nel vivere l’intimità. A lei non costa nessuna fatica rinunciare al sesso con il marito! Per quaranta giorni ha la “scusa” buona. Anzi, ha trovato il modo di rendere “santa” una scelta che invece è sbagliata per la coppia. Perché li allontana sempre di più! Meno si sta vicini – e l’intimità fisica è il massimo della vicinanza – e meno desiderio si avrà di cercarsi.

Per questo ho dato ad Agata lo stesso consiglio che padre Raimondo diede a quella coppia: che fatica fareste a non fare l’amore? Io in Quaresima vi invito a farlo di più, impegnatevi a cercarvi e a curare la vostra relazione.

Un fioretto ha senso quando fatto per il bene e a volte non ci chiede di rinunciare a qualcosa ma di impegnarci, per amore, a superare fatiche e difficoltà.

Antonio e Luisa

C’è un giudice in Alabama!

Parafrasando la celeberrima espressione di Bertold Brecht, con grandissima soddisfazione possiamo affermare che c’è un giudice in Alabama (finalmente)! Mi riferisco alla notizia più importante che ho letto negli ultimi giorni, quella relativa alla sentenza emessa dalla Corte Suprema del suddetto Stato americano che ha decretato che anche gli embrioni congelati per la fecondazione artificiale sono bambini quindi essere umani veri e propri

La cosa più curiosa di tutta la vicenda sono i titoli utilizzati nei giornali nostrani: quelli che hanno deciso di pubblicarla hanno usato espressioni come “sentenza shock”, “clamorosa”, “che mette a rischio i diritti riproduttivi”, “sentenza senza precedenti”, “che ostacola la riproduzione assistita” ma anche “scandalosa e inaccettabile”. Secondo voi cosa significa tutto questo? Non è, forse, già stato emesso un giudizio e quindi la diffusione stessa della notizia? I lettori, proprio a partire dal titolo, sono indubbiamente influenzati ad allinearsi al pensiero dominante: in questo modo si vizia forzatamente la loro capacità di giudizio, come se non la possedessero nemmeno. Per questo è fondamentale che ciascuno si formi in coscienza e conoscenza, proprio per liberarsi dalle pressioni di un mainstreaming che ci vuole tutti “zitti e buoni” al cospetto di pseudo-verità distanti anni luce dalla moralità evangelica.

Che ci sia vita umana fin dal concepimento è talmente evidente che, ben prima e ben oltre le assicurazioni scientifiche moderne di un gruppo sempre più nutrito e consapevole di specialisti, è stato scritto diversi secoli prima di Cristo; ora tutto questo viene addirittura fatto passare come shoccante e scandaloso: siamo veramente alla fiera dell’assurdo! Penso che non servano molte parole né commenti perché basta leggere il Salmo 139 per edificarsi e capacitarsi che nel nostro DNA è impresso quello del Creatore e che non servano chissà quali esperimenti per capire che, anche se minuscoli e appena concepiti, siamo creaturine e non un grumo di cellule. “Sei tu che hai formato i miei reni e mi hai tessuto nel grembo di mia madre […]Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto,ricamato nelle profondità della terra.  Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi; erano tutti scritti nel tuo libro i giorni che furono fissati quando ancora non ne esisteva uno.” (Sal 139, 13 e 15-16). Che saggezza, che ricchezza la Parola di Dio! Questi sono gli autentici fondamenti non solo della fede cristiana ma della vita umana, che sicuramente si scontrano con la mentalità attualmente dominante ma non dobbiamo indietreggiare perché Gesù ci ha rassicurato: “Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!” (Gv 16, 33).

È di grande gioia e conforto sapere che il giudice dell’Alabama, Tom Parker, ha utilizzato gli stessi riferimenti e detto le stesse cose che affermo da tempo, sia quando parlo con parenti, amici o parrocchiani sia quando vengo chiamata a dare mia testimonianza sull’esperienza dell’aborto spontaneo, vissuto con mio marito quasi dodici anni fa. Questo mi dimostra, una volta di più, ciò che recita un altro Salmo: “La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima; la testimonianza del Signore è stabile, rende saggio il semplice. I precetti del Signore sono retti, fanno gioire il cuore; il comando del Signore è limpido, illumina gli occhi.” (Sal 19). Non serve essere dei luminari per assaporare ed apprezzare ciò che dice Dio perché è sufficiente aprire il cuore: questo permetterà di spalancare occhi e orecchie alla Verità e fuggire da quanto cerca di propinarci il sistema dominante, che sembra proprio abbia come obiettivo quello di appiattire l’esistenza ad un misero susseguirsi di fatti dettati solo dal “dio-io”.

A volte sembra che ogni cosa sia sbagliata: hai desiderio di diventare mamma? Sei retrograda perché i figli rovinano la carriera, l’indipendenza e la libertà, si può essere donne pienamente realizzate senza assolvere all’obbligo di diventare madri! Però se vuoi un figlio a tutti i costi, scontradoti magari con situazioni che non lo permettono o forzando il piano della Provvidenza, avanti, accomodati, puoi provare ogni tecnica possibile e immaginabile, congelando perfino embrioni per essere usati a piacere, tanto non sono persone! Vedete che paradossali e assurdi cortocircuiti mentali abbiamo davanti a noi? Ma siamo più intelligenti di così e meritiamo ben altro, sicuramente molto di più del tutto e del contrario di tutto con cui tentano di anestetizzare le nostre coscienze, anche perché basta così poco per smascherare queste assurdità e ripensare completamente al valore sacro della vita, dono unico ed irripetibile di Dio! Abbiamo da secoli la Bibbia, santi sacerdoti e validissimi predicatori, possiamo informarci in ogni modo e con ogni mezzo e, grazie a Dio, abbiamo anche qualcuno che finalmente ha utilizzato la propria autorità umana per aprire il vaso di Pandora e ci ha messo davanti all’evidenza … c’è davvero un giudice in Alabama!

Fabrizia Perrachon 

P.S.: per ascoltare le mie testimonianze è sufficiente accedere ai miei profili social (Instagram e Facebook) oppure collegarsi ad uno dei seguenti link: testimonianza al Santuario del Bambin Gesù di Arenzano, intervista con Paolo Belluccio oppure intervista pubblicata sul canale Il Tempo di Maria. Da sola posso fare poco da insieme possiamo qualcosa di grande e nuovo: dar voce a tutti i bambini non nati!

Incatenati, ma non per sempre

Dal Sal 78 (79) Aiutaci, o Dio, nostra salvezza, per la gloria del tuo nome; liberaci e perdona i nostri peccati a motivo del tuo nome. Giunga fino a te il gemito dei prigionieri; con la grandezza del tuo braccio salva i condannati a morte. E noi, tuo popolo e gregge del tuo pascolo, ti renderemo grazie per sempre; di generazione in generazione narreremo la tua lode.

Abbiamo tratto le nostre riflessioni per tanto tempo dai brani evangelici e dalla cosiddetta Prima lettura, oggi traiamo spunto dal Salmo della Liturgia odierna. Per chi non ne fosse a conoscenza, spieghiamo telegraficamente che il libro dei Salmi fa parte del Vecchio Testamento e contiene 150 preghiere (la loro numerazione/catalogazione dipende dalle versioni della traduzione), praticamente ce n’è una per ogni tipo di situazione dell’umano vivere: gioia e dolore, fatica e riposo, guerra e pace, carestia e prosperità, paura e audacia, e tante altre.

Questo Salmo fa appello alla misericordia di Dio, chiede il Suo aiuto nello stile della Quaresima, ma quello che vorremmo sottolineare è il versetto centrale dove i mittenti della preghiera, ovvero noi, si definiscono “prigionieri” rincarando poi la dose alla fine della frase con l’espressione “condannati a morte“.

Ad un primo superficiale approccio sembrerebbe un’esagerazione appositamente studiata al fine di impietosire colui al quale si rivolge la supplica, ma in realtà nasconde una presa di coscienza reale di chi sia l’uomo. Poiché il nostro interlocutore non è un semplice sovrano, anch’esso umano come noi, ma è il Dio eterno, ecco che allora auto-definirsi “condannati a morte” non è per niente un’esagerazione… e non solo per ribadire la verità fondamentale che la morte fisica è un passaggio obbligato per ogni uomo, ma anche per marcare una linea di confine tra la nostra finitezza di creature e l’eternità infinita del Creatore.

Ma se scendiamo più in profondità scopriamo che forse siamo un po’ tutti dei prigionieri, ma di cosa?

La Quaresima è proprio il tempo ideale per spogliarci dell’uomo vecchio e rivestirci dell’uomo nuovo, ovvero il tempo propizio per abbandonare il peccato e vivere da liberi figli di Dio… liberi sì, ma da che cosa?

Liberi dalla schiavitù, che per l’antico Israele corrispondeva all’Egitto, antica prefigura di un’altra schiavitù ben più grave e profonda: la schiavitù del peccato. Ecco allora che comincia a prendere senso quel “prigionieri“, perché siamo ancora nel pieno del cammino quaresimale, e dobbiamo riconoscere ancora una volta in tutta sincerità di non esserci ancora scrollati di dosso molti peccati, abbiamo ancora parecchia strada da fare sulla via della conversione (detta anche penitenza), perciò ci possiamo ancora sentire prigionieri.

E se qualcuno non venisse in nostro aiuto come nostro liberatore noi ci sentiremmo sempre più dei “condannati a morte”, non tanto intesa come morte corporale (da la quale nullu homo vivente po’ scappare) ma come morte dell’anima, che diventa poi la morte eterna nell’aldilà.

Dopo aver pregato questo Salmo avendo riconosciuto il nostro stato di prigionieri e condannati a morte, vien spontaneo chiedere che venga presto un liberatore, ecco perché questo Salmo accompagna così bene la Quaresima in attesa del tanto sospirato Salvatore, l’unico che può liberarci [e che ci libera] dalle catene del peccato.

Cari sposi, anche nel matrimonio possono esserci catene che ci schiavizzano e ci tengono prigionieri molto peggio che in un carcere umano, il quale può mettere in catene solo il corpo, ma l’anima no. Dobbiamo chiedere al Signore di liberarci dalla schiavitù della lussuria, oppure da quella dell’ira, forse da quella dell’invidia o dalla gola… ogni coppia ha la propria lista.

Il primo passo è riconoscere di avere delle catene e guardarle, poi quello di riconoscere che solo Uno può liberarci perché da soli non siamo capaci, solo così si comincia un percorso di guarigione e di libertà, altrimenti il nostro matrimonio resterà sempre dalla sponda egiziana del Mar Rosso.

Coraggio sposi, il matrimonio è uscito direttamente dalle mani del Creatore, e Lui fa solo cose belle.

La bellezza salverà il mondo. (Fëdor Dostoevskij)

Giorgio e Valentina.

Rinunciate alla vostra mania di fare tutto e di avere tutto sotto controllo

Oggi riprendiamo il Vangelo di ieri che ci ha proposto la trasfigurazione. Non a caso questa Parola è posta durante il periodo di Quaresima. La Quaresima è un periodo fecondo. Non è solo rinuncia. Non servirebbe a nulla. La rinuncia è buona quando permette di fare posto. Quando è appunto feconda. Quando ci permette di rigenerare qualcosa che abbiamo forse un po’ perduto.

Non è importante solo per un individuo, ma anche per una coppia. Abbiamo bisogno di liberare spazio nei nostri cuori per permetterci di riaprire alla meraviglia che siamo. Perché, sì, una coppia di sposi è veramente una meraviglia. Se non riusciamo più a riconoscere questa meraviglia, potrebbe essere il momento di fermarsi un attimo a riflettere sulle nostre vite. Lo so, la nostra vita è così caotica. Abbiamo figli piccoli o grandi, dobbiamo far fronte al lavoro, agli impegni, alle scadenze e alla burocrazia. Sempre di corsa, non c’è mai abbastanza tempo!

E poi litigi, nervosismo, stress, crisi. Cominciamo ad avere qualche dubbio che la nostra famiglia sia poi così meravigliosa. Cominciamo a vedere solo i difetti. Guardiamo con invidia altre coppie o altre famiglie che ci sembrano perfette. Fermatevi. Voi siete una meraviglia! Non riesco a credere che non possiamo trovare un momento per fermarci e guardarsi negli occhi. Fermatevi per raccontarci quanto sia importante la presenza dell’altro/a. Fermatevi per pregare insieme. Fermatevi per riscoprire quell’emozione che provoca la vicinanza dell’altro e il suo sguardo che si posa su di noi.

Non sono romanticherie e tenerume da ragazzini. E’ ciò di cui abbiamo bisogno per riscoprirci belli e belli insieme. La Quaresima deve essere il tempo della rinuncia, dei fioretti. Fatene uno per voi. Fatene uno davvero gradito a Dio. Rinunciate alla vostra mania di fare tutto e di avere tutto sotto controllo. Lasciate i vostri figli qualche volta ai nonni o a una baby sitter. Lasciate anche un po’ di disordine per casa e cancellate qualche impegno non proprio urgente e necessario. Trovate tempo per voi. Uscite, guardatevi, parlatevi non solo delle cose da fare o da comprare, trovate tempo per la vostra intimità. Fatelo per il vostro matrimonio. Fatelo per i vostri figli. Fatelo per la vostra vocazione. Allora si che la vostra relazione tornerà meravigliosa e l’amore sarà trasfigurato. Un’esperienza di cielo sulla terra. Esattamente come è stato per i tre apostoli.

Antonio e Luisa

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La nostra fede tra i monti Moria e Tabor

Cari sposi, domenica scorsa vedevamo Gesù nel deserto, sospinto lì per fare l’esperienza della prova e tentazione. Si diceva appunto che il deserto è un luogo di passaggio nella Bibbia e non costituisce mai la dimora definitiva che invece è la Pasqua.

Ecco allora che anche oggi tutta la Parola ci presenta un passaggio, un viaggio. Non è in orizzontale ma in verticale, è una salita e poi una discesa da due monti. Nella prima lettura Abramo è chiamato a sacrificare il suo unico figlio Isacco sul monte Moria mentre nel Vangelo Gesù conduce Pietro, Giacomo e Giovanni sul Tabor. Queste due cime, per le vicende che vi accadono, costituiscono due modi ben precisi di vivere la fede.

Vediamo prima di tutto Abramo. Lui è da poco arrivato nella terra promessa, Canaan, un luogo in cui le popolazioni praticavano abitualmente il sacrificio dei propri figli alle loro divinità. Il gesto di Abramo è allora sconvolgente! Dopo tanto penare per avere un figlio, ecco che ora accetta che perisca in modo così cruento! Forse Abramo credeva che il suo Dio fosse come quelli cananei, un Dio assetato di sangue, un Dio che va placato a suon di sacrifici, un Dio spietato ed esigente, che fondamentalmente chiede e non dà, un Dio che non cerca il nostro bene.

Per cui, è affascinante la scena in cui invece Abramo scopre che il suo Dio ha solo voluto purificare ed aumentare la sua già grande fede e abbandono! Abramo sul monte Moria conosce chi è davvero Dio. Un po’ come accadde pure a Giobbe, Geremia, Giona…

Da contraltare a tutto ciò è appunto un’altra salita, quella di Gesù sul Tabor. In questo caso Dio non chiede ma dona tutto di sé. Infatti, Dio Padre non fa altro che donarci Gesù e l’unica cosa che ci chiede è di ascoltarlo. E questo perché il Dono possa essere davvero accolto da noi. In fin dei conti, cosa ci chiede il Padre se non abbandono e fiducia nella sua Parola?

Come cambia la prospettiva di vita tra il Moria e il Tabor! Dovremmo sostare a lungo in contemplazione su tale Parola! Tabor e Moria rappresentano due vissuti di fede che forse abbiamo un po’ sperimentato tutti noi. In questa domenica il Signore ci invita a passare da un Dio che chiede a un Dio che dona sé stesso. E tale passaggio avviene tramite una prova che però diviene così il momento per approdare a un rapporto con il Signore più vero e autentico.

Cari sposi, anche voi, assieme ad Abramo e ai tre apostoli, siete oggi chiamati ad un passaggio importante nella vostra vocazione nuziale. Siete già stati chiamati al matrimonio ma con questa Parola si coglie l’invito ad una “seconda chiamata”. Essa costituisce la maturità nella fede, quella fase adulta da sposi che implica essere disposti a perdere tutto, a mettere in secondo piano le nostre aspettative su o da Dio per accogliere invece Dio come dono.

Così, guardando Abramo si capisce quanto è costato al Padre donarci Gesù, lo stesso Gesù che abita con voi come Dono permanente e vivente di amore.

ANTONIO E LUISA

Noi abbiamo un sacco di aspettative quando ci sposiamo. Le coltiviamo nei confronti del nostro partner e della vita che sogniamo di costruire insieme. Con il tempo ho capito che c’è un passaggio fondamentale nel nostro matrimonio. È importante abbandonare tutte le nostre aspettative per incontrare veramente Gesù. Passare da una fede che cerca di soddisfare le nostre richieste a una fede che ascolta Gesù. In questo modo, il matrimonio diventa incredibilmente sorprendente. Ogni giorno diventa un’opportunità per donarsi reciprocamente, proprio come siamo e nelle circostanze in cui ci troviamo. Ed è meraviglioso, perché quando la vita ci porta lontano dalle nostre aspettative, sperimentiamo un amore che riempie, rigenera e diventa fecondo per noi e per gli altri. Questo vale per ogni coppia che si affida a Cristo! Ne conosciamo davvero tante.

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Donna, conosci te stessa!

Torniamo a parlare di challenge, sfide lanciate sul web e raccolte nella realtà dai giovanissimi: avevamo affrontato nei precedenti articoli la NNN e la DDD per i mesi di novembre e dicembre. Purtroppo, quasi ogni mese ne propone una ed è il caso della FFF: Free Finger Friday. Rivolta solo alle ragazze, chiede di astenersi da qualsiasi tipo di rapporto o piacere per tutto il mese.

Come già ricordato in precedenza, speriamo vivamente che queste sfide virtuali non siano raccolte da nessuno e restino solo argomenti da clickbait per i siti di gossip. Tuttavia, c’è chi le ha pensate e lanciate e, probabilmente, anche chi le ha seguite e diffuse. Scelgo di parlarne per due motivi: il primo è che esistono e non possiamo ignorare il mondo in cui i nostri adolescenti vivono. Ciò che leggono o trovano sul web è un minestrone in cui siamo chiamati a mettere le mani, per non farci trovare impreparati di fronte alle sfide dell’adolescenza. Il secondo motivo è usarle (e non subirle) per parlare di tematiche calde, che possano interessare noi sposi, educatori, genitori. Sfruttarle è ciò che mi propongo, dal momento che non è possibile eliminarle.

In questo caso, soffermiamoci a guardare le ragazze, future donne del domani, noi spose cristiane: quante conoscono veramente il proprio corpo? Quante sanno cosa avviene e come, al suo interno, ogni mese? Quante sanno parlare di fertilità? Quante, più profondamente, conoscono il valore di sé stesse e della verginità (sempre più qualcosa da perdere in fretta)?

Alla donna, interlocutrice del serpente nell’Eden, è affidato molto: l’accoglienza dell’uomo ed eventualmente di un altro essere umano. Accettare l’unione con un uomo significa accettare l’eventualità di una gravidanza (anche quando nel matrimonio si usano i metodi naturali ndr): scindere questi due aspetti, per la Chiesa, è negare la Verità e implica l’uso dell’altro per mero piacere.

Ripensiamo a quanto sappiamo, noi donne, del nostro corpo e di come funziona: chi ci ha veicolato queste informazioni? Dove le abbiamo cercate? Torno spesso al tema del “campo di ricerca” perché se avere domande è sintomo di vitalità, cercarle nei luoghi sbagliati può essere dannoso. Oggi le risposte vengono, oltretutto, offerte da ogni lato. Basta accedere la televisione e si hanno risposte preconfezionate per molti dubbi – prodotti per la casa, shampoo indispensabili, aggeggi tecnologici imperdibili. E ci ritroviamo a desiderare questo o quell’oggetto, quella vacanza, quel vestito. Eppure, nessuno ha fatto domande!

Le risposte offerte prevengono le domande. Marketing spicciolo ma anche dinamica che va a stuzzicare ciò che nell’uomo è molto profondo: il desiderio. Orientarlo è compito suo ma ci sono mille distrazioni che tentano di ricalcolare il percorso.

Tornando al corpo della donna, va da sé che dalla televisione arrivano risposte fuorvianti, schizofreniche, pericolose: devi essere sempre giovane e bella ma anche accettarti per quello che sei; la bellezza non è tutto ma ci sono mille prodotti e creme per migliorare (perché dovresti); non bisogna oggettivizzare il corpo femminile ma poi in ogni talk ci sono vallette seminude. Da questo bipolarismo se ne esce silenziando gli stimoli che non ci aiutano a volerci bene: perché, in fondo, il messaggio è sempre uno. Tu non vai bene così come sei. Non sei abbastanza (e metteteci l’aggettivo che preferite).

Pensate, giovani spose, a quanto questo meccanismo possa essere intrusivo nella vita matrimoniale: non andiamo bene così come siamo, quindi nemmeno per il nostro sposo. Dovremmo cambiare, migliorarci, modificarci. Non potremo mai rilassarci perché a distrarci chissà che succede. Il risultato di tutto questo è un rapporto nevrotico che sfinisce.

Se tu, sposa, impari ad avvicinarti sempre più a Cristo, vedrai che attorno a te questi inciampi si faranno sempre più radi: silenziare il mondo non significa starne fuori. Significa mettere Gesù davanti ai nostri occhi, per evitare di cadere in trappole che ci faranno sempre più fragili e timorose. Ho parlato di televisione ma sono soprattutto i social il principale interlocutore di adulti e ragazzi: cara sposa, hai mai pensato ad un sano detox digitale?

Anche se i contenuti che visualizzi sono cristiani e portano valore alla tua vita, a volte c’è bisogno di far tacere tutto e far parlare Dio. Nessuna pagina ti farà pregare: per quello serve che stacchi internet, prendi in mano il Vangelo, fai un bel segno di croce e lasci che la Parola ti attraversi.

La Quaresima sia un’occasione per fare spazio, silenzio, preghiera. Capire dove cerchiamo le nostre risposte e ricalibrare il tiro quando le accettiamo da luoghi malsani, che non vogliono il nostro bene. Il nostro Matrimonio ne gioverà: perché una buona autostima è lavoro di tutta una vita e ne abbiamo un fondamentale bisogno per non creare rapporti nevrotici. Coraggio, dunque!

Buttiamoci in questo deserto quaresimale con letizia! Buon cammino di Quaresima!

Giada di @nesentilavoce

“Se Dio è con noi siamo la maggioranza”

Questa frase, pronunciata da San Giovanni Bosco, ben riassume le catechesi con cui Don Renzo Bonetti e Padre Luca Frontali hanno incoraggiato il gruppo di blogger ed evangelizzatori social che si sono dati appuntamento domenica 18 febbraio 2024 presso l’auditorium del Santuario di Caravaggio (BG). A tratti non mi sembra ancora possibile di far parte di questa rete, meravigliosa e variegata, piena di carismi diversi ma tutti importanti e preziosi. Il Buon Dio ha voluto farmi davvero un dono grande nel permettermi di conoscere persone, coppie, famiglie e associazioni che spendono vita, energie, immaginazione e buona volontà per la fede, nella logica squisitamente evangelica del “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10, 8); sapere che non si è un piccolo Davide davanti al Golia del mondo è davvero rassicurante e ci permette di proseguire sulle strade di Cristo con la certezza di non essere soli ma di avere vicino tanti fratelli e sorelle che camminano nella stessa direzione.

Questa rete di testimonianze cristiane, diffuse attraverso vari social network, è qualcosa di assolutamente inedito nel panorama nazionale; ci è stato ribadito, domenica, con forza e chiarezza, per renderci consapevoli – e nello stesso tempo responsabili – di ciò a cui ci sta chiamando Gesù: un progetto grande ben più di ognuno di noi e ai quali dobbiamo guardare non come un punto di arrivo ma di partenza.

Lo Spirito Santo dev’essere il collante, il “septiformis munere” che guida e illumina contenuti, post e quanto pubblichiamo online, affinché sia sempre veicolo autentico e veritiero della Buona Novella. Le nostre parole, insomma, non devono mai tradire né adombrare la Parola, l’unica vera, certa ed eterna e l’affetto sincero deve accompagnare i nostri rapporti, fondati sulla roccia che è Cristo, il quale ci ha detto che“Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 35), in quanto “Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo” (1 Gv 4, 19”).

La ricchezza dello scambio, infatti, non è solamente tra noi – blogger, scrittori, evangelizzatori, animatori liturgici, volontari di associazioni, conduttori radiofonici ecc … – ma soprattutto con il nostro pubblico o con i fruitori dei servizi che offriamo; la collaborazione, insomma, non è ristretta o riservata, anzi, si rivolge a tutti, nella diversità degli aspetti trattati e nella comunione con Cristo, per Cristo e in Cristo. Che potenza straordinaria in tutto questo! L’unione non fa solo la forza ma piuttosto la differenza; come dico spesso, da sola posso fare poco ma insieme possiamo fare qualcosa di davvero nuovo: comunicare la bellezza e la gioia della fede. La cosa ancora più eccezionale è che lo scambio non è mai a senso unico ma si muove in entrambe le direzioni: dono quanto ricevo e viceversa, in una scambievole e rinnovatrice fonte di informazioni, stimoli e preghiere.

Il testimone insomma, e ciascuno di noi è chiamato ad esserlo, riceve qualcosa senza trattenerlo per sé ma donandolo a sua volta, allineandosia ciò che proclama il Salmo: “la testimonianza del Signore è stabile, rende saggio il semplice” (Sal 19, 8). Nessuno è un super-eroe ma con la forza di Gesù si diventa capaci di proclamare ed annunciare le meraviglie del Suo amore nel contesto in cui siamo chiamati non solo a testimoniare ma a vivere.

Seppur la nostra rete graviti intorno alla sacralità del sacramento del matrimonio, gli argomenti toccati sono molteplici: Padre Luca ne ha evidenziati ben tredici e chissà Dio, nei suoi piani, che altro vorrà donarci per condurci alla pienezza. Il Cielo è generoso oltre ogni umana immaginazione e risponde a una logica che è vantaggiosa innanzitutto per noi, laddove si concretizza nel “Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante” (Lc 6, 38); questa misura, che quasi non si può contenere, è tutto ciò che manca al mondo e ai suoi meccanismi, sempre improntati al guadagno, al risparmio di tempo e di denaro, all’utilitarismo cieco che finiscono con lo svuotare di senso le relazioni, i sentimenti e le amicizie, travolgendo tutto e tutti con un vuoto cosmico che sembra fagocitare qualsiasi sprazzo di bello sia rimasto in questa vita. Ma noi siamo stati creati per cose ben più belle e durature!

È importante capire che, se sono in grado di veicolare contenuti spirituali, sui social è possibile spendere anche del tempo di qualità, per arricchire le giornate – o i ritagli di tempo – con qualcosa di veramente prezioso, ben al di là di reel o post che, pur magari attraendo con immagini e musiche di tendenza, si scoprono poi essere decisamente carenti, se non totalmente vuoti, di concetti meritevoli non solo dal punto di vista religioso ma anche da quello umano o educativo. Se è vero, infatti, che dovremo rendere conto a Dio di ogni istante della nostra vita, capiamo che l’urgenza della presenza cattolica sui social è quanto mai indispensabile e necessaria. Che gioia sapere che Maria ci chiama ad essere le sue “mani tese”, come più volte ha detto a Medjugorje! Rimanendo uniti a Gesù e tra di noi siamo davvero la maggioranza più forte ed importante che si sia, capace di attirare moltissime persone perché, lungi dal criterio del numero chiuso,  “il Signore è vicino a chiunque lo invoca” (Sal 145, 18).

Tutti siamo chiamati a collaborare, a testimoniare, ad annunciare perché basta un’immagine, una massima, una condivisione a far circolare la fede. Certo, l’impegno costante porterà frutti maggiori senza e solo se si mette al centro Dio. Concludo lasciandovi una frase che ci ha detto Don Renzo domenica: “I blogger sono i missionari moderni: seminano comunicazione per raccogliere comunione“.

Fabrizia Perrachon 

Che ora è oggi?

Dall’acclamazione al Vangelo di questo Lunedì:

Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza! (2Cor 6,2b)

Il mondo odierno sembra essere riuscito nel suo intento di convincere molti cristiani che la fede cristiana serva solo per guadagnarsi un posto in un fantomatico aldilà, ma che concretamente non c’entri nulla con questa vita. Ma siccome il Signore ha altri canali di trasmissione che non sono quelli che usa il mondo, ecco che la Sua Parola ci ricorda che la nostra vita futura (eterna… ricordiamocelo) si gioca tutta in questa corta vita : ” 70, 80 per i più robusti” recita il Salmo 89.

Se ci pensiamo bene la misura è esageratamente sproporzionata, è come paragonare una goccia ad un oceano… sarebbe qualcosa come un investimento finanziario di 1 centesimo per guadagnare 10 miliardi. Capite la proporzione? E’ incalcolabile, ma del resto il nostro Signore agisce così, quando si tratta di amore è uno “sprecone”, non bada a spese, diremmo.

Se la guardiamo così, la vita terrena appare proprio un investimento: cosa sono 80 anni in confronto all’eternità? Niente. Eppure il Signore ha deciso di giocare il tutto per tutto negli anni che concede ad ognuno di noi in questa vita. Lui non si lascia scappare nemmeno un secondo per donarci la Sua salvezza, e noi?

Non saremo mica di quelli che: intanto vivo come mi pare… domani mi convertirò… vero? nella vita spirituale non si può fare come con la famosa “dieta del Lunedi” della settimana mai dell’anno mai.

Se qualche coppia di sposi avesse ancora dubbi su quale sia il momento giusto per mettere mano alla manutenzione del proprio matrimonio e quindi della propria relazione, del proprio modo di amarsi… il versetto di acclamazione al Vangelo (tratto dalla Parola di Dio) non lascia spazio ad equivoci: Ecco ora il momento favorevole … non domani, ma ora, non dopo che avrete finito di leggere questo povero articolo, ma mentre state leggendo.

Perché se qualcosa si smuove nel cuore anche mentre stai leggendo, potrebbe essere un’intuizione che il Cielo, nella Sua infinita misericordia, ti manda, e allora non indugiare neanche cinque minuti imitando così i pastori del Natale.

Spesso gli sposi si lasciano imbrigliare come dentro una ragnatela dalle cose da fare, dalla gestione della casa a quella dei figli, dalla gestione del lavoro alla programmazione degli impegni in parrocchia, e chi più ne ha più ne metta… perdendosi il qui ed ora della propria salvezza. Se è vero che Gesù è la nostra salvezza, se è vero che Gesù significa proprio “Dio salva”, e se è vero che Gesù è realmente presente, inabita nella relazione sponsale sacramentale… allora il versetto dell’acclamazione è proprio vero.

Cari sposi, domani non sappiamo se ci saremo ancora su questa terra, ma oggi sì, ci siamo.. e quindi se oggi siamo sposi, è oggi che Gesù, salvezza nostra, abita nel nostro sacramento, quindi : ecco ora il giorno della salvezza!

Non aspettiamo domani per far abitare il Signore Gesù nel nostro matrimonio, Lui ha fretta di salvarci.

Coraggio, siamo ancora in tempo.

Giorgio e Valentina.

Quante volte si è sentita forestiera.

Dal Vangelo di oggi: Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me.

Forse lei si sentiva affamata, affamata di amore, di intimità, di essere compresa e ascoltata. Ogni volta che ho notato questa sua fame e l’ho placata, nutrivo lo spirito di Gesù in lei e in noi.

Forse lei si sentiva assetata, come molti di noi si sentono a volte. Assetata di significato e di una vita piena. Una vita che non sembrasse sprecata. Insieme abbiamo cercato di costruire una famiglia unita, dove si potesse trovare un amore che desse significato e che ci avvicinasse alla sua fonte. Un amore che ci aprisse a Dio. Solo così si può placare la sete.

Quante volte si è sentita forestiera. Incompresa. Quasi parlasse una lingua straniera. Quante volte l’ho vista tornare a casa abbattuta e scoraggiata. Quante volte ho sentito le stesse storie, le stesse lamentele. La tentazione da parte mia è sempre quella di interromperla o di far solo finta di ascoltarla. Tanto dice sempre le stesse cose. Ma lei ha bisogno di dire quelle cose e di essere ascoltata e compresa. Ha bisogno di condividere e di trovare empatia e sostegno. Ha bisogno di sapere che almeno io desidero ascoltarla.

Quando l’ho rivestita? È difficile rispondere a questa domanda. L’ho rivestita di meraviglia. A volte, forse più volte di quanto sperassi, sono riuscito a restituire la sua bellezza, la sua unicità, la sua femminilità attraverso il mio sguardo. Uno sguardo che non si affievolisce con gli anni, ma al contrario diventa più intenso. Uno sguardo pieno di desiderio, gratitudine e appunto meraviglia. L’ho rivestita con il mio sguardo.

Malata e carcerata? Chi non porta con sé ferite e fragilità che rendono difficile instaurare una relazione autentica con gli altri. Ognuno di noi ha i propri pesi e i lacci che imprigionano e impediscono di aprirsi agli altri. Le sofferenze, le esperienze, i pregiudizi e persino il peccato, che fa parte della nostra esistenza, rischiano di ostacolare la possibilità di aprirsi a un amore autentico. Solo in una relazione libera, in cui ci si sente sostenuti dalla persona amata anziché giudicati e puntati sulle proprie debolezze, possiamo sperare di guarire le nostre ferite e spezzare le sbarre della prigione in cui ci siamo rinchiusi.

Solo vivendo la mia relazione in questo modo starò onorando la mia sposa e, attraverso di lei, anche Dio.

Antonio e Luisa

Egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì

In quel tempo, Gesù vide un pubblicano di nome Levi seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi!». Egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì.

Queste profonde righe tratte dal Vangelo della liturgia odierna catturano davvero l’animo. È affascinante notare come Gesù veda oltre le apparenze. Egli non giudica Levi soltanto per il suo ruolo e le sue azioni. Gesù guarda il cuore. Matteo (Levi) era un esattore delle tasse, un individuo disprezzato dalla comunità, considerato un mafioso e un avido sfruttatore, un collaborazionista degli oppressori. Tuttavia, c’è un lato di lui che non possiamo trascurare. Il suo cuore non era ancora interamente corrotto. Forse era tormentato, infelice, eppure non privo di bontà. Pur nascondendo il suo tormento interiore, il suo cuore sanguinava per il male che commetteva. Se non fosse stato così, neppure lo sguardo di Gesù avrebbe potuto toccarlo.

Era una persona triste. Faceva ciò che tutti si aspettavano da lui. Tutti lo consideravano un poco di buono e lui stesso era convinto di esserlo. Il giudizio delle persone può causare tanto male. Gesù si ferma e lo osserva. Lo osserva mentre è immerso nei suoi traffici. Lo osserva in tutta la sua miseria e desolazione in quel momento. Lo osserva mentre sottrae alla gente bisognosa. Lo osserva e vede un miserabile? No, vede una meraviglia. Scruta dentro di lui, come solo lui sa fare, e percepisce quell’inquietudine di un cuore che non si è arreso al male. Lo osserva e vede un uomo alla ricerca, un uomo privo di pace, un uomo infelice, perché nel suo intimo sa che la bellezza della vita è qualcosa di diverso. Sente che la bellezza proviene da un’altra parte, non certo da denaro o beni materiali. Lo osserva e lo chiama.

Matteo aveva davvero bisogno di quello sguardo. Si è visto riflesso negli occhi di Gesù e ha visto ciò che avrebbe potuto diventare. Ha visto il suo potenziale. Non era la persona che stava vivendo. Era una meravigliosa creatura amata dal suo Dio. Forse in Gesù ha riscoperto ciò che sapeva già nel profondo. Seguirlo è stata semplicemente l’ovvia conseguenza. Finalmente si è sentito bello e desiderato. Ha trovato qualcuno che lo guardava con meraviglia. Chiami me? Sei sicuro? Capisci chi sono? Capisci cosa faccio?

Gesù è straordinario per questo. Nel nostro matrimonio può e deve essere così. C’è una forza salvifica che viene dallo sguardo dell’altra persona. Dalla sua fiducia che non cessa mai. Per chi ne ha fatto esperienza sa cosa significa. Ricordo che nel matrimonio l’altro è mediatore tra noi è Dio. Lo sguardo del nostro coniuge  può davvero essere lo sguardo di Dio su di noi. Tutte quelle volte che ho sbagliato, che mi sono comportato male, che non sono stato  capace di mostrare amore, che sono stato egoista. Tutte quelle volte ho trovato lo sguardo della mia sposa che non ha mai smesso di amarmi. Ha sempre continuato a credere in me anche quando mi sentivo povero in canna. Questo suo amore mi ha dato una forza incredibile. Lei aveva due possibilità. Poteva considerarmi come il mondo. Poteva distruggermi con le sue parole e il suo giudizio. Oppure poteva scegliere di prestare i suoi occhi a Gesù. Mi ha guardato con un amore che andava oltre il mio comportamento.

Quello sguardo ha continuato a dirmi So che sei bellissimo. Hai sbagliato, ma so che tu non sei quell’errore. E’ uno sguardo che fa davvero miracoli e che ti provoca il desiderio fortissimo  di essere ciò che l’altro vede in te. Di essere completamente uomo per lei. Di essere completamente donna per lui. Allora fare esperienza di questo amore può davvero cambiare la vita. Può davvero dare una svolta, una conversione. Come disse Papa Benedetto:

Nella figura di Matteo i Vangeli ci propongono un vero e proprio paradosso: chi è apparentemente più lontano dalla santità può diventare persino un modello di accoglienza della misericordia di Dio e lasciarne intravedere i meravigliosi effetti nella propria esistenza.

L’amore della persona che hai accanto può darti la motivazione che ti mancava per diventare finalmente ciò per cui sei stato creato. Una persona capace di dare e accogliere amore. Don Giussani spiegava bene questo concetto con una frase molto semplice, ma illuminante: Sposarsi significa assumere la vocazione dell’altro come propria.

Lo sguardo di Luisa mi ha aiutato a incamminarmi verso la mia vocazione personale all’amore.

Antonio e Luisa

Vivere il lutto insieme a Dio: la storia di una vedova

La morte genera un dolore assordante, soprattutto se a lasciarci è una persona che abbiamo tanto amato. E quando a lasciarci è la persona con cui si è diventati realmente una sola carne?

Anche se crediamo nella Resurrezione, il vuoto resta: è proprio la mancanza che sentiamo a ricordarci quanto bene abbiamo ricevuto. Eppure, da quel pianto, possono nascere fiori bellissimi.

Mi ha raccontato qualcosa di simile una vedova, Elisabetta, che ho avuto il dono di conoscere – seppure solo virtualmente, ancora – perché aveva letto un mio romanzo. Mi ha scritto, mi ha raccontato un po’ di sé, mi ha toccato il cuore.

Aveva perso il marito a causa di un tumore al cervello e in quella prova si è sentita stretta così forte da Dio che un peso opprimente, insopportabile, è diventato sostenibile. Non solo, ha dato frutti di vita. Elisabetta attualmente gestisce una pagina sui social dal titolo Con cuore di vedova, per condividere la sua esperienza e aiutare altri vedovi e vedove a vivere quella particolare condizione.

Ciò che scrive è di ispirazione per tanti e a colpire è la sua fede incrollabile in un Dio che l’ha sostenuta sia nel tempo della malattia del coniuge, sia dopo averlo dovuto salutare.

Non nasconde le lacrime versate e la fatica che ha vissuto: “La morte di Francesco è stata una prova difficilissima da affrontare perché il nostro matrimonio cristiano era davvero come una centrale atomica d’amore. La morte, purtroppo, ne ha intaccato il reattore”.

Sa bene che “perdere il proprio coniuge fa cessare il vincolo coniugale (almeno “sulla carta”, poi quel che accade nei cuori è tutto un altro paio di maniche) e chi resta da solo deve affrontare una grande crisi d’identità perché si ritrova da solo, senza l’altro della relazione, che fino a un attimo prima era il pilastro sul quale aveva costruito la famiglia”.

Dio, però, non l’ha abbandonata, anzi, riconosce che le ha dato “la grazia di accogliere la malattia di Francesco”. Non l’avrebbe mai voluta né immaginata, ma “una volta diagnosticata ho ricevuto dall’alto la forza di andare avanti. L’ho semplicemente accettata come avrebbe fatto Maria”. E aggiunge: “Dio mi ha dato tanto negli anni e ora sto imparando a restituire”.

Se le si chiede: “Dio è buono?”, lei risponde prontamente di sì. “Non ho mai dubitato della bontà di Dio e so che è una grazia. Nel mio animo Dio risuona come il Dio della vita, della speranza. Dio non è Dio dei morti, ma dei viventi: perché tutti vivono per lui.” (Lc 20, 40).

Riconosce che questa fede non è “merito” suo, non è il frutto di uno sforzo, ma un “dono”.

Se le si chiede come sopravvivere alla morte del coniuge, lei spiega che quel passaggio è senza dubbio uno “spartiacque”: sia che arrivi presto, a metà della vita coniugale (come nel suo caso) o avanti negli anni, segna sempre una frattura. C’è un prima e un dopo. E qualcosa si rompe dentro.

Fa notare: “Gli studi psicologici sulla vedovanza affermano che questa è la prima causa di stress in assoluto. Restare vedove è un trauma enorme che può durare anche a lungo nel tempo, dipende da diversi fattori: se la morte è stata improvvisa o no, da come ognuna elabora il lutto e dalle risorse che si hanno a disposizione”.

Proprio sapendo quale immensa prova possa essere la vedovanza per tante altre persone, ha deciso di creare la sua pagina “Con cuore di vedova” e ciò che ha capito, dialogando con altri coniugi rimasti soli, è che c’è Qualcuno che di gran lunga può fare la differenza in questa condizione ed è, per l’appunto, Gesù.

È Lui che dà la forza per andare avanti, – testimonia – che dà la consolazione e la speranza di ritrovare i nostri cari in Paradiso. L’attesa è faticosa, ma in certi momenti ha un che di gioioso come quando si aspetta qualcosa di importante e ci si prepara nell’attesa”.

Al tempo stesso, mentre attende di abbracciare di nuovo colui che ha amato in vita, lei già ha una forte esperienza di comunione con il coniuge che è in Cielo: “La comunione con il proprio sposo prosegue oltre la morte, su questo non ho dubbi.” Anche se, a livello “canonico” si interrompe il vincolo nuziale e ci si può risposare lei continua a sentirsi legata al marito: “Continuo ad amarlo e sono certa che anche lui, da lassù, fa altrettanto”. È convinta inoltre che le anime “si parlino anche a distanze enormi”.

Elisabetta è consapevole che alle vedove è affidato un compito, che hanno una vocazione chiara e spiega: “Noi vedove diventiamo esperte di relazioni a distanza, veramente si apre un mondo nuovo sconosciuto alla maggior parte delle persone e persino alla predicazione della Chiesa, oserei dire. Mi sono resa conto, infatti, che le vedove cristiane serbano nel loro cuore un’enorme ricchezza in termini di fede nella risurrezione, di carità, di spirito di preghiera”.

Tuttavia, ciò di cui oggi davvero non può fare a meno è la preghiera assidua, la lettura della Parola, di ricevere la comunione: “il momento più intimo e fondante di questa comunione con il proprio sposo resta l’Eucarestia. Lì si tocca con mano il cielo sulla terra e sempre lì, quando il sacerdote eleva l’Ostia Santa, gli angeli fanno festa e le anime sante dei nostri cari vedono il volto splendente di Gesù. È il mistero della comunione dei santi che ognuno di noi può sperimentare quotidianamente nella preghiera”.

Per leggere la storia di Elisabetta nella versione integrale, accanto ad altre testimonianze di lutto vissuto nel Signore, ecco il libro: Vivere il lutto insieme a Dio per ritrovare la pace. Dieci storie vere (Cecilia Galatolo, Mimep Docete).

Cecilia Galatolo

 

Come le onde o no?

Dalla lettera di san Giacomo apostolo (Gc 1, 1-11) Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo, alle dodici tribù che sono nella diaspora, salute. Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la vostra fede, messa alla prova, produce pazienza. E la pazienza completi l’opera sua in voi, perché siate perfetti e integri, senza mancare di nulla. Se qualcuno di voi è privo di sapienza, la domandi a Dio, che dona a tutti con semplicità e senza condizioni, e gli sarà data. La domandi però con fede, senza esitare, perché chi esita somiglia all’onda del mare, mossa e agitata dal vento. Un uomo così non pensi di ricevere qualcosa dal Signore: è un indeciso, instabile in tutte le sue azioni. Il fratello di umile condizione sia fiero di essere innalzato, il ricco, invece, di essere abbassato, perché come fiore d’erba passerà. Si leva il sole col suo ardore e fa seccare l’erba e il suo fiore cade, e la bellezza del suo aspetto svanisce. Così anche il ricco nelle sue imprese appassirà.

Questa lettura che ieri la divina liturgia ci ha proposto è un grande aiuto per preparare il cuore alla ormai imminente Quaresima. E’ un brano che richiederebbe assai più che le nostre povere parole in un articolo, ma cercheremo comunque di aiutare la meditazione sostando per qualche momento su uno tra i tanti passaggi : “La domandi però con fede, senza esitare, perché chi esita somiglia all’onda del mare, mossa e agitata dal vento. Un uomo così non pensi di ricevere qualcosa dal Signore: è un indeciso, instabile in tutte le sue azioni.

In questo brano si nota come diverse virtù e doni divini siano interconnessi tra loro, si parla di perfetta letizia, di sapienza, di fede, di umiltà, di semplicità e di altre ancora. E’ normale che si affronti il discorso su di una virtù cercando di isolarla dalle altre, perché la conoscenza umana ha bisogno di catalogare e dividere per meglio conoscere, ma non dobbiamo mai dimenticare che così come la persona umana è un mix inscindibile tra cuore, corpo, anima/spirito e io personale così anche in Dio queste virtù e questi doni sono un tutt’uno, in Lui non c’è divisione.

E più una persona progredisce nella santità e più le virtù e i doni si mescolano tra loro in un perfetto connubio incarnandosi però ora in una personalità ora in un’altra. Non troveremo mai un santo che non sia stato umile oppure un altro che non abbia esercitato la pazienza, non è possibile che un santo sia stato temperante e non abbia esercitato la giustizia. Certamente ogni santità si incarna in una personalità con la propria sessualità per cui un santo mette in luce una virtù più delle altre, un aspetto della vita di Grazia più di un altro… solo per fare un esempio: la santità di San Tommaso d’Acquino splende per la purezza/castità ma non possiamo pensare che San Giovanni Bosco non sia stato casto seppur la sua santità splenda per le virtù della giustizia e della carità.

A questo punto del nostro semplice approfondimento si capisce perché San Giacomo ci esorti a chiedere la sapienza con la fede ferma, decisa e risoluta.

Cari sposi, se vogliamo che il Signore elargisca le sue Grazie nel nostro matrimonio è necessario che chiediamo con fede ferma, senza esitare; dobbiamo vivere la nostra fede senza esitazioni, con delle decisioni risolute e stabili. Non possiamo alzarci un giorno col fervore di chissaché ed il giorno dopo non fare nemmeno il segno di croce appena svegli. Non possiamo percorrere in ginocchio tutte le scale sante di tutti i santuari per poi tornare a casa e cadere come sacchi di patate in un vizio capitale (scegliete voi quale). Questi atteggiamenti rivelano solo una fede basata sul sentimentalismo.

Non possiamo partecipare a ritiri per coppie consumando litri e litri in lacrime di commozione per poi, solo due giorni dopo il ritiro, incappare ancora nei meccanismi malati della nostra relazione malsana auto-assolvendoci con la solita frase “E’ più forte di me” oppure “Lui/lei non fa mai nulla per cambiare… tocca sempre a me“.

La vita di fede progredisce solo con l’obbedienza, la Parola di Dio (attraverso San Giacomo) ci ha detto cosa e come fare, basta obbedire e vedremo la Grazia in opera nel nostro matrimonio... Certo non è automatico. Siamo complessi ma prendiamo consapevolezza che noi siamo responsabili della nostra vita e delle nostre scelte. Non restiamo passivi.

Buona Quaresima.

Giorgio e Valentina.

Il tuo matrimonio è malato? Lasciatevi toccare da Cristo.

Oggi desidero riprendere il Vangelo di ieri perchè offre diverse chiavi di lettura anche un po’ diverse da quelle che ha già dato padre Luca.

In quel tempo, venne a Gesù un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi guarirmi!». 

Quante volte ci siamo sentiti dei lebbrosi. Lebbrosi nello spirito, nei sentimenti e nell’egoismo che più o meno si manifesta in tutti. Quante volte io mi sono sentito uno sposo incapace di amare davvero la mia sposa altre volte mi sono sentito impreparato non sapendo come farle starle vicino. Siamo piccoli e miseri. Quante miserie nella nostra famiglia che cerchiamo di nascondere come polvere sotto il tappeto. Litigi, incomprensioni, egoismo, nervosismo e anche inettitudine. Le altre famiglie ci sembrano più belle della nostra. Come vorremmo avere la serenità di quegli amici o l’unità di quella coppia tanto bella che incontriamo a Messa. Invece ci sentiamo lebbrosi e impuri. Eppure questa è la nostra salvezza. Solo riconoscendo la lebbra nella nostra relazione possiamo trovare l’umiltà di abbassarci e inginocchiarci davanti al Cristo ed invocare la Sua Presenza e la Sua guarigione. La nostra piccolezza può darci la spinta a tendere la mano verso Dio.

 Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.

Gesù ci guarda con compassione. Non prova disgusto per le miserie della nostra famiglia, ma il Suo sguardo va oltre e vede la nostra sofferenza e il nostro dolore. Soffre con noi come un innamorato per la sua amata. Il suo sguardo è già balsamo. La nostra famiglia è bella ai suoi occhi nonostante la povertà che la abita. Soffre  con noi e ci guarisce. Ci può guarire perchè abbiamo avuto la forza di domandare la sua Grazia. Abbiamo avuto il desiderio di alzare lo sguardo e specchiandoci in Lui – in una fede non fatta solo di riti e precetti ma fatta di relazione – ci vedremo belli e troveremo forza e sicurezza. Nel sacramento del matrimonio spesso non abbiamo l’umiltà di ammettere di non farcela e di aver bisogno di Gesù. Il nostro orgoglio ci fa credere che tutto dipende da noi, nel bene e nel male. Siamo sposati in Cristo, ma lui è, di fatto, sfrattato dalla nostra relazione.

E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

Come intendere questa parte. Mi era difficile. Mi è venuto in aiuto il mio sacerdote che ha commentato come sia inutile parlare della nostra conversione a chi non ha sperimentato l’incontro con Gesù. L’incontro è personale e la nostra storia, l’incontro che ci ha salvato non può convertire nessuno se non noi. Noi siamo stati sanati da Gesù e possiamo testimoniare la  sua potenza e la sua bellezza non tanto raccontando la nostra conversione, che resta fatto privato e non comprensibile agli altri. E’ molto più efficace mostrare i frutti. Mostrare quelle piaghe che caratterizzavano la nostra famiglia e mostrare la loro guarigione. Mostrare senza vergogna le nostre miserie e mostrare come Dio le ha trasformate in feritoie da cui fuoriesce la sua luce che illumina il mondo. La famiglia perfetta non è quella del mulino bianco. La famiglia perfetta è piena di imperfezioni. Imperfezioni che diventano luogo dell’amore, della pazienza, dell’accettazione, della prossimità e della gratuità.

Antonio e Luisa

Possedere vs amare: per un San Valentino consapevole

Il 14 febbraio, che automaticamente risuona dentro di noi come il giorno di San Valentino, si sta avvicinando con il suo carrozzone commerciale, le frasi romantiche, le dediche sdolcinate e la necessità di qualche riflessione in più. Ci siamo mai chiesti quale sia il vero significato non solo di questa festa ma il messaggio che porta con sé? Nell’ottica autenticamente cristiana a farla da padrone dovrebbe essere l’amore e non il possesso, al contrario di quanto ci propina il mondo, intendendo con esso non solo l’avere, il disporre di qualcosa di materiale ma anche la relazione che ci lega al nostro/a partner.

San Valentino è realmente esistito ed è stato un martire cristiano del V secolo; l’istituzione della sua memoria risale niente meno che a Papa Gelasio I il quale, nel 496 d.C., andò a sostituire una precedente festa pagana, quella detta dei Lupercalia, celebrata nel mezzo del mese di febbraio (tra il giorno 13 ed il 15), in onore del dio Fauno (detto anche Luperco), protettore del bestiame dalla furia dei lupi. Non solo: essa serviva come propiziazione della fertilità e della rinascita della natura, sancendo anche il passaggio all’età adulta. Ad un’idea arcaica, audace e sensuale della sessualità, la cultura cristiana impiantò una festa molto più pudica e rispettosa dell’amore; essa trae origine non solo dalla volontà di eliminare un rituale poco conforme alla moralità – quale poteva essere quello romano – ma dalla leggenda secondo cui Valentino aiutò una giovane fanciulla donandole una somma di denaro necessaria al suo matrimonio.

L’idea cristiana, dunque, si configura come un intramezzo sia dalle antiche festività pagane, troppo esplicite nell’esprimere un’idea di amore esclusivamente carnale, che alla morale contemporanea, in cui domina il concetto di possesso – fisico e materiale – piuttosto che quello di amore autentico, scambievole, maturo e duraturo nel tempo. Il cuore, insomma, più che la forma dei biglietti o dei più disparati gadget venduti ad hoc in questi giorni, dev’essere ciò che utilizziamo nella relazione amorosa, non tanto e non solo come muscolo cardiaco ma come centro spirituale del nostro coinvolgimento affettivo.

Il possedere è egoismo, l’amore è altruismo; il possedere inizialmente ti prende ma poi ti stufa, l’amore arriva per restare; il possesso chiude la porta dell’anima, l’amore la spalanca. Tutto questo come può conciliarsi con i modelli che ci vengono proposti continuamente, in un vortice di immagini e notizie in cui scartato un partner si approda subito al successivo, neanche fosse uno dei cioccolatini mangiati il 14 febbraio? La fede è sempre la risposta! Se nell’altro vediamo esclusivamente un oggetto di desiderio, da usare e consumare a nostro piacimento per poi abbandonarlo alla prima difficoltà o quando non ci soddisfa più, allora siamo distanti anni luce dall’atteggiamento di cui il nostro cuore, la nostra mente e la nostra anima sono capaci. L’amore esiste ed è possibile amare per sempre la stessa persona se ci mettiamo alla sequela di Gesù e vediamo nel marito o nella moglie non una cosa ma una persona, non un distributore di piacere ma una creatura con cui possiamo camminare insieme verso una meta comune.

Al di là delle pubblicità e delle trovate commerciali, dunque, il giorno di San Valentino può essere un’occasione propizia per fare ordine nella nostra relazione oppure per essere grati di quella che abbiamo, valorizzandola magari con un gesto inaspettato, non perché è la televisione a dircelo ma perché ci rendiamo conto che quella persona è un dono di Dio tanto quanto noi possiamo e dobbiamo esserlo a nostra volta.

Il bello dell’amore è proprio la sua reciprocità, di cui troppo spesso ci dimentichiamo. Gesù ci ha detto: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato” (Gv 15, 12). Pur esistendo diverse tipologie di amore, come per esempio tra fidanzati, tra coniugi o tra genitori e figli, è proprio lo scambio che caratterizza la relazione, basata su quella che non è la fantasia irrealizzabile delle fiabe da bambini ma l’anelito che ha del divino e a Lui, quindi, sempre deve guardare.

Siamo capaci di amare, insomma, perché il Signore ci ha amati per primi; sforziamoci, perciò, di apprezzare chi abbiamo al nostro fianco anche e nonostante i suoi difetti perché anche noi siamo così, non dimenticando che è la sua presenza a regalarci momenti di gioia che ci fanno pregustare quella vera ed infinita che un giorno speriamo di godere in Cielo.

Proviamo a esprimere i nostri sentimenti con maturità, senza scivolare nel banale di una macchina commerciale così come in un’idea triste e svuotata di amore, relegata unicamente all’aspetto fisico e sensuale; così facendo, saremo in grado di essere testimoni che l’amore vero, consapevole e cristiano è possibile anche se tutto e tutti sembrano strimpellare il contrario.

Fabrizia Perrachon