Gesù spogliato di tutto ma non dell’amore

Con oggi inizieremo una nuova serie di articoli dove cercheremo di approfondire la nostra regalità di figli di Dio che acquistiamo con il Battesimo e che nel matrimonio assume caratteristiche e finalità specifiche. La Chiesa ci insegna che con il sacramento del Battesimo assumiamo tre caratteristiche di Gesù. Diventiamo sacerdoti, profeti e re con Lui. Luisa ed io abbiamo già analizzato le prime due caratteristiche in altrettanti testi entrambi editi da Tau Editrice: Sposi sacerdoti dell’amore e Sposi profeti dell’amore. Gli articoli che da oggi inizieremo a pubblicare saranno la base per il libro conclusivo della trilogia iniziata nel 2019.

Essere sacerdoti nel matrimonio, abbiamo visto, significa in sintesi che possiamo farci dono l’uno all’altro come Gesù si è donato alla sua Chiesa sulla croce. Dono fino a dare la vita. Non solo; anche dono totale della nostra persona attraverso il corpo nell’amplesso fisico. Essere profeti significa mostrare l’amore di Dio al mondo. Amare come ama Dio. Ed essere Re? Cosa significa? Cercheremo di svelarlo articolo dopo articolo. Chi è il re? Nel nostro comune intendere il re è detto molto semplicemente colui che governa e che detiene il potere di un regno, colui al quale è riconosciuto onore e sottomissione. Prestate ora attenzione! La parola re è la radice di tante altre parole derivate da essa, come reggere, reggente, regista, gerente. Sono tutte parole che indicano qualcuno che ha la responsabilità e la gestione di qualcosa. Al tempo in cui la Bibbia fu scritta c’erano già i re. I re babilonesi e i faraoni erano conosciuti dagli stessi ebrei. Il re di quei regni era il tramite tra gli uomini e Dio. Spesso era considerato lui stesso come dio. Non esisteva, nei grandi regni antichi sorti nella zona limtrofa ad Israele, un solo dio, ma il re era dio insieme agli altri dei adorati. Gli ebrei erano un’eccezione.

Dall’uscita dall’Egitto e per i successivi 400 anni, gli Ebrei non ebbero mai nessun re. Perchè, nel loro credo, solo Dio poteva essere re. Anche quando gli Ebrei decisero di avvalersi finalmente di un re, fu sempre evidente e chiaro a tutto il popolo che quello era semplicemente un uomo, non era certamente come Dio nè paragonabile a Dio. Tutto questo è chiaramente dimostrato dal fatto che spesso in Israele i profeti sono presentati nelle scritture come i messaggeri di Dio, delle persone che spesso mettono in guardia il sovrano, a volte addirittura lo minacciano di castighi. Un atteggiamento inconcepibile in altre culture.

Veniamo ora al Vangelo, veniamo a Gesù. Gesù è il Re. Il re che regnerà per sempre. C’è un particolare non trascurabile che si comprende dal Vangelo: Gesù rifiuta di essere re alla maniera degli uomini. Basti pensare a quando Gesù esterna la sua regalità. Lo fa tre volte nel giro di pochissmi giorni. La prima con un gesto eclatante all’inizio della Sua Passione. Il primo episodio raccontato dai Vangeli in cui Gesù apertamente e pubblicamente mostra di accogliere la Sua regalità è l’ingresso a Gerusalemme il giorno delle palme. Viene acclamato come Re. Un re mite. Non si presenta su uno stallone, bardato a guerra, ma cavalca un asino. E’ un re umile. E’ il re dei piccoli. Dichiara una seconda volta di essere Re davanti a Pilato: Pilato lo interrogò: «Sei tu il re dei Giudei?». Ed egli rispose: «Tu lo dici».  La terza dichiarazione, quella più solenne della sua regalità, avviene sulla croce. Viene scritta nelle tre lingue conosciute. Era rivolta quindi a tutto il mondo. C’era il latino, la lingua dei potenti e di chi governava, c’era il greco, la lingua dei dotti e dei sapienti e c’era l’ebraico, la lingua del popolo.

Lì sulla croce Gesù è assiso sul Suo trono. Un trono difficilmente comprensibile per il nostro modo di pensare, ma che invece viene sorprendentemente riconosciuto come re da due diverse persone. Viene riconosciuto dal ladrone e viene riconosciuto dal centurione. Da cosa viene riconosciuto? Dal Suo atteggiamento. Gesù si comporta da re. Perdona coloro che lo mettono in croce. E’ più forte del loro odio. Non solo perdona, ma chiede perdono al Padre per coloro che lo stanno uccidendo, e lo fa con la forza di chi ha l’autorità per farlo. Di più: paga per loro. Gesù è stato spogliato di tutto. Le sue vesti sono state giocate ai dadi dai soldati romani. Sembra non possedere più nulla. In realtà ha mantenuto tutto ciò che davvero conta. Gesù non si lascia spogliare della sua dignità e non si lascia spogliare del Suo abbandono al Padre. Gesù non si lascia vincere dalla rabbia, dalla disperazione e dallo scoraggiamento, come invece capita spesso a noi. Per questo sulla croce Gesù ha la regalità del re. Non cede a quelle che sono le debolezze e le fragilità umane. Gesù continua ad amare anche sulla croce tanto da pensare ancora agli altri prima che a sè stesso.

Si comincia a delineare l’atteggiamento che noi sposi dovremmo possedere per mostrare la nostra regalità.

Antonio e Luisa

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