Buoni samaritani (ma a vicenda)

Cari sposi,

vorrei rimembrare una statistica letta anni fa su un articolo e purtroppo vado a memoria scusandomi per la mia poca precisione. Quell’analisi metteva in parallelo i tempi di convivenza dei coniugi con quello tra genitori e figli. In sostanza i coniugi passavano assieme il doppio del tempo che essi stessi, da genitori, trascorrevano con i figli in casa. Questo a proposito di “prossimo”, essendo la parola da cui si origina la celeberrima parabola del Vangelo di oggi.

Se la parola “prossimo” significa “il più vicino” si capisce bene che è assai equivoco, motivo per cui quel dottore della Legge chiese legittimamente chi fosse questo prossimo: il passante sull’autobus, il collega di lavoro, il dirimpettaio sul pianerottolo…? Mi pare evidente che per voi il prossimo non può che essere il vostro coniuge, la persona con cui condividete oggi e domani tutta la vita. Da qui si inizia a cogliere la bellezza della vocazione matrimoniale, come un cammino privilegiato di santità e vita cristiana. Perché lo dico? Fino a non tanto tempo fa era opinione comune che per essere buoni cristiani si dovesse fuggire dal “mondo”, ossia dalla vita quotidiana, dal lavoro, dai sordidi affari per rifugiarsi invece nella vita beata della preghiera e della contemplazione.

 Ma in Amoris Laetitia è detto ben altro: “Una comunione familiare vissuta bene è un vero cammino di santificazione nella vita ordinaria e di crescita mistica, un mezzo per l’unione intima con Dio. Infatti, i bisogni fraterni e comunitari della vita familiare sono un’occasione per aprire sempre più il cuore, e questo rende possibile un incontro con il Signore sempre più pieno… Pertanto, coloro che hanno desideri spirituali profondi non devono sentire che la famiglia li allontana dalla crescita nella vita dello Spirito, ma che è un percorso che il Signore utilizza per portarli ai vertici dell’unione mistica” (n° 316).

 Più sto a contatto con le coppie e più mi convinco che la vita matrimoniale sia una vera e propria “autostrada per il Cielo”, parafrasando una nota frase di Beato Carlo Acutis, un’autentica palestra di cristianesimo in cui si possono esercitare le virtù teologali e cardinali, le opere di misericordia, in particolar modo quelle spirituali, in grado eminente per chi lo vuole e si impegna.

Quindi la prima missione di voi sposi è il vostro consorte. Ho detto proprio così e non ho menzionato volutamente i figli. Se un genitore volesse dirigere il proprio zelo e cura, anche cristiana, alla prole bypassando il coniuge, che tipo di insegnamento darebbe? I figli fondamentalmente riceverebbero un’educazione “schizofrenica”: uno dice e insegna una cosa e l’altro, se non a parole, almeno con la vita, la nega o la sminuisce. Ecco perché è importante sforzarsi, e iniziare già fin dai primi anni di vita matrimoniale, a camminare assieme. Il tuo prossimo è il coniuge, e solo “dopo” vengono i figli. Prendersi cura del proprio marito e moglie è il primo grande insegnamento che arricchisce i figli e infonde il loro la consapevolezza di provenire da quella cura e da quell’amore.

So che tutte queste cose per alcuni sono sacrosante ma assai costose, per via delle più svariate circostanze. Il Signore lo sa bene ma non cessa di invitare tutti a continuare lo sforzo perché Lui, la grazia, ce la mette sempre in ognuna delle vostre coppie. Mi piace finire citando il magnifico discorso di Papa Francesco, concludendo la serata di avvio della Giornata Mondiale delle famiglie. Dinanzi a tutte le coppie che si erano presentate, casi di vita tra i più disparati, il Papa ha riassunto il tutto con: “un passo in più…”. Ecco, care coppie, vi invito a non smettere ogni giorno di fare quel passo in più verso il vostro prossimo, verso vostro marito o moglie, per essere quel buon samaritano che il Signore si aspetta da voi.

ANTONIO E LUISA

Quello che scrive padre Luca è verissimo, lo condividiamo completamente. L’abbiamo capito sempre meglio, con il passare degli anni di matrimonio. Volevamo rafforzare con una riflessione che abbiamo scritto anche in uno dei nostri libri. Il nostro amore con il matrimonio non ci appartiene più, diviene di Dio, per Dio, strumento di Dio, via di salvezza di Dio per noi e per il mondo intero. Ogni qualvolta riconosciamo questa realtà e rendiamo sacro il nostro amore attraverso gesti d’amore, di servizio, di accoglienza e di tenerezza l’uno verso l’altra, stiamo facendo un sacrificio. Non servono spesso grandi gesti. A volte vengono richiesti, ma non a tutti. Dio chiede però a tutti di amarlo nell’altro. Gesti semplici, concreti, ordinari di una vita insieme. Io stesso, spesso, sono “stressato” dagli impegni che la famiglia mi richiede. Mi innervosisco e mi agito. A volte ho voglia di mandare tutti a quel paese. Ma poi, basta poco: un pensiero. Penso a quello che sto scrivendo in queste righe. Penso alla mia sposa, alla mia famiglia e a Dio. Penso che mi viene chiesto di amarli nel servizio. Di amarli concretamente in servizi, che mi pesa fare, ma che sono importanti per prendermi cura e servire l’amore e la mia famiglia. Così diventa tutto più leggero. C’è un’altra consapevolezza. C’è gioia, senso e pace. E’ così, che pulire casa, fare una carezza o un sorriso all’altro/a, cambiare un pannolino, fare la spesa, fare il tassista, e tantissimi altri gesti che compiamo ogni giorno, diventano gesti sacri, gesti per Dio e di Dio.

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