Dal primo libro di Samuèle (1Sam 1,9-20) In quei giorni Anna si alzò, dopo aver mangiato e bevuto a Silo; in quel momento il sacerdote Eli stava seduto sul suo seggio davanti a uno stipite del tempio del Signore. Ella aveva l’animo amareggiato e si mise a pregare il Signore, piangendo dirottamente. Poi fece questo voto: «Signore degli eserciti, se vorrai considerare la miseria della tua schiava e ricordarti di me, se non dimenticherai la tua schiava e darai alla tua schiava un figlio maschio, io lo offrirò al Signore per tutti i giorni della sua vita e il rasoio non passerà sul suo capo». […] Allora Eli le rispose: «Va’ in pace e il Dio d’Israele ti conceda quello che gli hai chiesto». Ella replicò: «Possa la tua serva trovare grazia ai tuoi occhi». Poi la donna se ne andò per la sua via, mangiò e il suo volto non fu più come prima. Il mattino dopo si alzarono e dopo essersi prostrati davanti al Signore, tornarono a casa a Rama. Elkanà si unì a sua moglie e il Signore si ricordò di lei. Così al finir dell’anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuèle, «perché – diceva – al Signore l’ho richiesto».
In questo brano notiamo come viene raccontato il concepimento del profeta Samuèle, e come altri personaggi determinanti per il popolo di Israele e precursori in qualche modo del vero Messia, anche Samuèle ha una storia che ha del miracoloso: anche sua madre era sterile. Come tutti i precursori, anche Samuèle incarna almeno una delle caratteristiche del vero Messia, ma oggi vogliamo soffermare la nostra attenzione non su tale caratteristica, quanto sulla fede della madre.
Anche questa donna, che porta il bel nome di Anna, la nonna di Gesù, ha il grembo sterile e per lei è motivo sia di sofferenza personale che di emarginazione sociale, vive questa situazione con animo amareggiato come fosse un castigo divino.
Sarebbe troppo sbrigativo risolvere con una frase del tipo: il Signore soccorre Anna e la esaudisce perché vede la fede con cui si rivolge a Lui. Non possiamo negarlo sicuramente, però forse c’è dell’altro un poco più nascosto. Evidenziamo due passaggi: il primo è la motivazione del nome dato al bambino mentre il secondo è la preghiera di Anna.
lo chiamò Samuèle, «perché – diceva – al Signore l’ho richiesto Anche questa è una caratteristica che accomuna questo bambino al Bambino di Betlemme, e cioé che il loro nome è associato sia al loro concepimento sia alla loro missione, infatti Samuéle significa “Dio ha ascoltato” oppure “il suo nome è Dio”. Purtroppo stiamo assistendo al fenomeno di tante coppie cristiane che impongono ai propri figli dei nomi un po’ originali, per usare un eufemismo, spesso sono nomi che nulla hanno a che fare con i tanti bei nomi di santi cristiani. Quando un bambino riceve il nome di un santo, quel santo prega per il bambino, lo protegge, lo custodisce, lo ispira ed intercede per lui. Imporre il nome ai propri figli non è solo una questione di riconoscimento per la società o di lettere per un codice fiscale, ma è anche dare una missione contenuta nel nome, una missione spirituale, una missione che pian piano dovrà prendere corpo e forma parallelamente alla crescita umana del figliolo… crescere quindi in età, sapienza e grazia.
io lo offrirò al Signore per tutti i giorni della sua vita Questa è la richiesta di Anna, è qui il cuore pulsante della sua fede, non è tanto rivolgersi a Dio invece che agli altri idoli, non è nemmeno la sua fiducia illimitata nella potenza del Signore, ma è richiedere un figlio non per soddisfare un desiderio legittimo di maternità e basta, ma un figlio per consacrarlo e offrirlo interamente al Signore. Non è solo una richiesta contingente, già di per sé legittima, ma è dare al Signore il primo posto, è mettere i diritti di Dio per primi, è anteporre la gloria di Dio alla propria realizzazione, anche se legittima.
Cari sposi, quanto abbiamo da imparare da questa mamma Anna. Spesso le nostre richieste non sono mosse dal desiderio di dare gloria a Dio, ma dalla voglia di soddisfare nostri desideri più o meno legittimi e più o meno buoni.
Ci dobbiamo chiedere più spesso se preghiamo per i nostri figli, e cosa chiediamo per loro? Solo la salute fisica, l’incolumità dai viaggi in auto, il lavoro appagante, un casa confortevole? Tutte cose buone in sé, ma tutte di minor importanza rispetto alla vita dello spirito. Quante volte preghiamo affinché i nostri figli rispondano con coraggio alla vocazione che Dio ha preparato per essi? Quante volte chiediamo che adempiano alla propria missione? Quante volte chiediamo la santità dei nostri figli?
Coraggio sposi, non è mai troppo tardi per imparare dai santi ed imitarne le virtù.
Giorgio e Valentina.