Umiltà dal sapore nuziale

Cari confratelli, è impossibile che voi, alla vostra età siate umili, dovete ancora conoscervi a fondo. Ma l’umiltà è una delle cose più importanti per la vostra vita”.

Me le ricordo come fosse ieri queste parole che il padre predicatore dei miei primi esercizi spirituali ci disse a un certo momento. Io ero un giovanotto di neanche 19 anni ma intuivo che stava dicendo qualcosa di speciale. Beh… oggi che ne ho più del doppio di quegli anni, posso dirgli solo… “grazie, aveva proprio ragione lei”.

Penso che abbiamo tutti un certo problema con l’umiltà: da un lato è il portale delle virtù umane, “è il fondamento dell‘edificio spirituale” (San Tommaso D’Aquino, Somma Teologica, q. 161, a. 6), la conditio sine qua non per crescere spiritualmente come cristiani. Dall’altro, nel contesto attuale, l’umiltà è affratellata alla disistima di sé, all’insicurezza, alla timidezza e ritrosia, motivo per cui è bannata sistematicamente come inutile. Ma vediamo allora cosa vuole insegnarci Gesù nel Vangelo di oggi quando coglie l’occasione dal vedere come si scelgono i posti ad una festa, e poi cerchiamo un aggancio per voi sposi.

Per prima cosa, come direbbe S. Agostino: “L‘umiltà deve rientrare nella verità e non nella falsità” (De natura et gratia 34). Cioè dobbiamo partire da chi siamo veramente, dalla nostra vera identità. Il Vangelo è ambientato in un banchetto nuziale, sappiamo bene che questo fatto ha un valore simbolico immenso. Le nozze umane sono il simbolo dell’Allenza di amore tra noi e Dio. La cosa più importante per quegli invitati non era tanto in quale posto sedersi ma sapere che lo Sposo li ama infinitamente e personalmente. Questa è la prima grande verità da tenere in conto!

Santa Teresina l’aveva capito bene. Lei che era Sposa di Cristo, cercava proprio questo in Gesù: un amore che non si fermasse davanti ai suoi peccati ma che sapesse varcare proprio i suoi limiti. Lei lo esprime egregiamente in un passaggio di una sua lettera, diventato oggi anche un bel canto:

Oh, se potessi avere un cuore ardente d’amore che resti il mio sostegno, non m’abbandoni mai, che ami tutto in me, persino la mia debolezza, e non mi lasci mai, né il giorno né la notte. Non ho trovato mai creatura capace d’amarmi a tal punto e senza mai morire, di un Dio ho bisogno, che assunta la mia natura si faccia mio fratello, capace di soffrire” (Santa Teresa di Lisieux).

L’umiltà ha un’etimologia interessante, viene dal latino “humus”, cioè “ciò che sta sotto, la terra”, ma guarda a caso è anche la stessa origine di “homo” cioè “uomo”. La nostra vera identità è la piccolezza, la fragilità, di cui è misteriosamente innamorato Dio, lo Sposo.

Quindi, come scrive il biblista Paul Beachamps: “L’umiltà cristiana è quella di Maria nel Magnificat. Essa non si riduce al sentimento della debolezza di creatura o di peccatore, ma è nello stesso tempo presa di coscienza di una forza che procede interamente da Dio”, un Dio che ci ama così, nella nostra piccolezza. Da qui si evince come l’umiltà sia davvero la base, “l’humus”, di ogni virtù e di ogni vita autenticamente cristiana, perché ci fa partire dalla realtà e ci mostra quanto siamo amati da Dio.

Ma per voi sposi? E qui è San Paolo a darci la chiave interpretativa, quando dice nella Lettera agli Efesini, “Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo” (Ef 5, 21). L’umiltà di voi sposi parte da qui, da una sottomissione reciproca. E se ci fate caso, la sottomissione è appunto stare sotto, diventare l’humus, il terreno dell’altro. Ma vedi tu che allora la Chiesa ci insegna a svenderci! A non avere rispetto per sé stessi! Direi proprio di no, se leggiamo come interpreta San Giovanni Paolo II la suddetta frase di san Paolo:

“L’autore della lettera agli Efesini scrive in proposito: «…i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo…» (Ef 5,28) («come sé stesso» Ef 5,33), «e la donna sia rispettosa verso il marito» (Ef 5,33). Ambedue, del resto, siano sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo» (Ef 5,21). […] Così dunque “quel timore di Cristo» e «rispetto», di cui parla l’autore della lettera agli Efesini, è nient’altro che una forma spiritualmente matura di quel fascino reciproco: vale a dire dell’uomo per la femminilità e della donna per la mascolinità, che si rivela per la prima volta nel libro della Genesi (Gen 2,23-25)” (Giovanni Paolo II, Il “grande mistero” dell’amore sponsale, Udienza, 4 luglio 1984).

L’umiltà degli sposi sta nel vivere in un profondo fascino per il mistero dell’altro, nel cogliere la bellezza della peculiarità di ognuno, nel riconoscere i doni che il Signore ha messo in ciascuno di voi, a partire dal dono della mascolinità e femminilità e poi tutti gli altri talenti ricevuti. Ci vuole sì uno sguardo contemplativo, sono proprio necessari occhi saggi e sapienti, che sappiano andare oltre le apparenze, perché è così che vi guarda lo Sposo.

Concludo citando ancora Sant’Agostino che dice: “Dove è l’umiltà, ivi è la carità” (Prologo al Commento alla Lettera di San Giovanni). L’umiltà, pertanto, è la base non solo della vita spirituale ma anche del matrimonio stesso, dell’amore di carità. Solo se avrete questo sguardo affascinato verso l’altro, cogliendo la sua vera identità e la sua verità profonda, potrete innamorarvi veramente del vostro coniuge e mettervi al suo servizio, essergli sottomesso, come chiede Gesù nel Vangelo.

ANTONIO E LUISA

L’umiltà non è facile, spesso è un boccone indigesto e pesante. Come impararlo? Come educarci a questo? S’impara in famiglia. Essere umili non è andare davanti al Signore e ammettere di essere peccatori. Questa non è vera umiltà se non è accompagnata da un agire umile. L’umiltà è essere consapevoli dei propri difetti, ma anche dei propri pregi e delle proprie qualità e non nasconderle, ma usarle per il bene del prossimo, in particolare di nostro marito, di nostra moglie e dei nostri figli.

L’umiltà è abbassarsi e mettersi completamente al servizio dell’altro, anche se l’altro oggettivamente non lo merita per come si comporta. Umiltà è mettersi al servizio dell’altro senza pretendere che ci venga riconosciuto e senza rinfacciarlo nei momenti di tensione e litigio. Umiltà è considerarci servi inutili ed essere felici di aver fatto il bene per la persona a noi cara anche se questa non capisce che ci è costato fatica e dedizione. L’umiltà è abbassarsi e non aspettarsi niente, perchè amare significa anche questo.

L’umiltà è difficile, perchè il nostro egoismo e il nostro egocentrismo sono ostacoli durissimi da superare, ostacoli sui quali inciampiamo ogni giorno. L’amore, però, se non è umile, non è amore ma è autocompiacimento, cioè quello che dovrebbe essere dono gratuito diventa celebrazione di sé.

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