Cari sposi,
non voglio raccontare nessuna vicenda triste di qualche coppia, presa dalla cronaca nera, ma solo far presente che la povertà è al centro della prima lettura, del salmo, della seconda ed è l’incipit del Vangelo. Mi sa che il Signore voglia dirci qualcosa in questo modo…
Come vorrei una chiesa povera! esclamò una volta Papa Francesco (Discorso ai rappresentanti dei media, 13 marzo 2013). Cioè dovremmo tutti vivere in baraccopoli, vestire abiti usurati e vecchi, con lavori precari e miseri…? Evidentemente no. La povertà evangelica è forse una delle virtù più difficili da incarnare, non per nulla è la prima della beatitudini del Vangelo odierno e per lo stesso motivo il portale di ogni forma di vita religiosa. Come definire la povertà di cui ci parla Gesù oggi? Non trovo migliore spiegazione che l’esclamazione di San Tommaso quando vide finalmente il Signore Risorto: Mio Signore e mio Dio (Gv 20, 28), parole poi riecheggiate sulla bocca di San Francesco di Assisi come mio Dio e mio tutto! (Bartolomeo da Pisa, De conformitate vitae B. Francisci ad vitam Domini Iesu, 1399). San Francesco, modello supremo della virtù e beatitudine della povertà, ce ne svela così il vero senso con la sua vita stessa.
Per lui, come per tutti i santi, Cristo è diventato la pienezza di vita e infatti il nostro cuore non troverà altrove una Persona che possa donarci di più di Lui. Alla luce di questo si comprende come anche la vita matrimoniale ha radicalmente bisogno di sperimentare questa verità. Sì certo, ma in che modo? Non è forse povertà quella che voi sposi avvertite quando, a un certo punto del cammino sponsale, la “benzina” della spinta iniziale va in riserva e appare sempre più chiaramente – se si è onesti con sé stessi – che la ragion d’essere dello stare insieme non è più solo la bellezza fisica, l’attrazione sessuale, certe qualità del carattere o addirittura i figli. Sono tutte cose belle e sante, ma in fondo al cuore c’è uno spazio che nulla di tutto quanto ho menzionato può completare.
Una coppia di cari amici mi condividevano un vissuto personale: a un certo punto della vita ci siamo resi conto che non riusciamo ad amarci come vorremmo ed arriviamo a toccare questo limite. Sono veramente grato a loro di una così schietta sincerità che, lungi dal prostrarli, li spinge a cercare in Dio quella pienezza di amore in cui vogliono vivere. Ecco allora che le nostre povertà e incapacità, possono, anzi, devono diventare l’umile confessione che Solo Dio basta (Santa Teresa D’Avila, Poesia, 30) e che Cristo è il Vostro Tutto.
Non temete, cari sposi, la vostra povertà, il Signore sa di quale pasta ci ha fatti e non teme il limite e nemmeno il peccato. Siamo noi che dobbiamo fare “tesoro” di quello che siamo, della nostra storia con le sue ferite o cadute, per riconoscerci debitori e assetati di mettere al centro della nostra esistenza la Persona di Cristo, lo Sposo della vostra coppia.
ANTONIO E LUISA
Padre Luca mi offre un assist che non posso non cogliere. Ne ho parlato tante volte. Mia moglie non può essere il mio tutto. Ho rischiato di cadere in questa logica. Ho rischiato di riporre in lei ogni mia aspettativa di pienezza. Ho rischiato di mettere sulle sue spalle il peso di dover soddisfare quella fame d’amore, di essere amato, che io avevo e anche adesso ho. Ho passato tutto il matrimonio, che dura da vent’anni, a cercare di staccarmi da lei. Staccarmi da lei non significa non amarla, ma significa amarla nel modo giusto. Perchè solo se sarò capace di nutrire la mia relazione con Gesù, sarò capace di amarla senza condizioni. Sarò capace di amarla per primo e sempre. Quindi cari sposi vi faccio lo stesso augurio che faccio a me stesso: sentitevi poveri per poter attingere all’unica fonte che non si esaurisce mai, l’amore di Dio. Se cercate quella fonte l’uno nell’altra non farete altro che rubarvi quel poco amore che custodite nel cuore, per riempire voi svuoterete l’altro. Solo Dio è una fonte che non si esaurisce mai. Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. (Gv 4, 13-14)
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Non “poveri sposi” ma…”beati sposi”… se tra di loro, e in ciascuno di loro, sarà PERMESSA …”la nostalgia profonda dell’Infinito”.
Quanto rispetto reciproco, quanto silenzio, quanta comprensione e compassione, quanta delicata attesa di quell’incontro con la tenerezza di Dio!
Purtroppo, quando non si “ascolta”…il proprio intimo bisogno d’Infinito, diventa tanto difficile comprendere i silenzi, le scuse, le fughe, i compromessi e anche l’ira dell’altro, che possono essere collegati allo stesso bisogno.
Quando non esistono apparenti motivazioni, quando tutto sembra assurdo e non torna, quanto è difficile “bussare” alla coscienza dell’altro, senza far troppo rumore!
Quanto è difficile “sentire” il reale “grido di aiuto” dell’altro…soprattutto se viene da lui negato!
Comprendere umilmente che forse è questa crisi il tempo di Dio e…semplicemente, per amore e tenerezza farsi da parte, accettare, affidare e aspettare, oh sì, per me non è stato così immediato. Forse per questo c’è stata la separazione e poi il divorzio.
Non so se ho fatto bene a concederlo, per questo mi sento di dire:
Quante “crisi esistenziali”, quante individuali e di coppia, “chiamate”!
Allora…non “poveri sposi”, ma “beati” sono quegli sposi che sanno vivere, rispettosamente e delicatamente, nell’infinita tenerezza di Dio.
Felice domenica.
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“cari sposi vi faccio lo stesso augurio che faccio a me stesso: sentitevi poveri per poter attingere all’unica fonte che non si esaurisce mai, l’amore di Dio. Se cercate quella fonte l’uno nell’altra non farete altro che rubarvi quel poco amore che custodite nel cuore, per riempire voi svuoterete l’altro. Solo Dio è una fonte che non si esaurisce mai. Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. (Gv 4, 13-14)
Solo così si riesce ad amare per primi e senza aspettarsi nulla. E l’altro/a sentendosi amato/a così si sente libero/a di amare.
Grazie. Margherita
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