Quando facciamo qualcosa, vorremmo subito vederne il risultato o i frutti e questo vale in tutti gli ambiti, dal lavoro alle relazioni, fino alla preghiera (siamo spesso noi a suggerire a Dio la soluzione e quello che deve fare: Vedi Dio che mia moglie mi tratta male, che c’è la guerra, che quella persona ha bisogno d’aiuto, cosa aspetti a intervenire?). Rimaniamo male e siamo impazienti se non arriva tutto subito. A volte siamo un po’ come i bambini: ricordo diversi anni fa quando dovevamo partire per la vacanza estiva al mare, un viaggio di circa 150km e mia figlia piccola, dopo nemmeno 200 metri di strada ci disse: Arrivati?, tanta era la voglia di giocare sulla spiaggia. Umanamente è normale desiderare di poter avere un ritorno in quello che facciamo e costruiamo, ma non è detto che avvenga sempre e ciò non deve scoraggiarci.
E’ difficile andare in una grande città e non trovare una cattedrale, cioè una costruzione costruita in decine di anni e che sicuramente è stata ultimata dopo la morte di chi l’ha voluta, di cui nemmeno conosciamo il nome, perché spesso sconosciuto (al contrario ad esempio degli affreschi o sculture presenti all’interno). Eppure cosa l’ha spinto a finanziare, lavorare, curare e seguire un’opera così imponente che non avrebbe visto ultimata? Forse perché Dio vede sempre ogni singola cosa che facciamo per Lui e con amore. Perché oggi non si costruiscono più cattedrali, nonostante la tecnologia e le macchine renderebbero il lavoro più semplice? Forse perché non siamo più disposti a fare sacrifici e perché guardiamo tutto con la prospettiva di questa vita e non con uno sguardo verso l’eternità.
Eppure, come papà non esiterei a rischiare la mia vita, se servisse a salvare quella di mia figlia: non so se avete presente, in qualche film, la scena in cui un genitore si precipita a salvare il figlio che sta per essere investito da un’auto, rischiando seriamente di morire. Quindi c’è Qualcosa, Qualcuno che va oltre la nostra stessa vita e che continua dopo la morte. Ecco, fra le varie missioni degli sposi, c’è anche l’annuncio di eternità, cioè delle nozze definitive: quelle attuali, infatti, un giorno passeranno in secondo piano, perché saremo una carne sola con Gesù e non più con il nostro coniuge. Il nostro matrimonio non è scritto negli archivi della chiesa in cui ci siamo sposati, ma in Cielo e quindi il nostro sguardo deve essere rivolto a quella bellissima dimensione che neanche immaginiamo, di sicuro migliore di questa che conosciamo.
Pertanto non è importante che quello che facciamo, giorno per giorno, quello che costruiamo, mattone su mattone (la nostra cattedrale), sia ricordato o porti il nostro nome: la cosa importante è costruire, anche se non siamo visti e anche se per tante persone, a cominciare da quelli più vicini a noi, siamo invisibili. Anzi, da una parte è meglio così, perché questo ci libera dall’egoismo, dall’orgoglio e dal fare le cose per acquistare fama e potere. Mi riferisco anche alle persone che, come me, in seguito alla separazione, scelgono la fedeltà: non siamo capiti o considerati, siamo spesso invisibili e a volte anche derisi oppure contrastati (per fortuna, anche nella Chiesa, le cose stanno cambiando); tuttavia nel nascondimento, seppure con tanti limiti, gettiamo quel seme che un giorno fiorirà. Infatti il separato fedele, non esercitando più l’ una caro (una carne) con il coniuge su questa terra, è ancora più rivolto al “dopo”, alle nozze eterne, a quell’unione che aspetta ognuno di noi.
Va bene quindi che gli altri non capiscano, non vedano: noi sappiamo per Chi costruiamo…il meglio deve ancora venire!
Ettore Leandri (Presidente Fraternità Sposi per Sempre)
Grazie.
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