Pochi giorni fa abbiamo festeggiato la festività di San Giuseppe. Noi in parrocchia abbiamo vissuto un triduo di celebrazioni iniziate con il rito penitenziale di venerdì presieduto addirittura dal Santo Padre Francesco. Abitare a Roma vuole dire avere anche queste occasioni di incontro. Io e Andrea, come due normali pellegrini muniti di biglietto, ci siamo recati ad assistere all’ incontro proprio nel luogo che ci ha visto muovere i primi passi come neo sposi. Dove abbiamo iniziato la nostra attività cercando di far parte del progetto tanto amato dal Papa: la Chiesa in uscita. Abbiamo cercato, di farci missionari tra le persone in strada.
Personalmente non ho provato molta emozione nel vedere il Papa e nello stargli così vicino, fin da piccola ho avuto la fortuna di poter interagire con tutti i Papi grazie al lavoro di mio padre. Ciò non vuol dire provare freddezza ma bensì saper gestire le emozioni. Ascoltando l’ omelia ho ripensato indubbiamente a tutto il nostro percorso di vita e matrimoniale, ma più che altro è stato nell’attesa del suo arrivo che ho rivisto tutta la mia vita umana e anche spirituale. Umana perché proprio fin da piccola e grazie al lavoro di mio padre ho potuto imparare l’importanza e la cura verso la persona. Occuparsi della sicurezza del Santo Padre ti aiuta a uscire da te stesso per prenderti cura di un altro, differente da te, anche se così importante. Il lavoro di mio padre è stato mezzo per lui dove esercitare la sua paternità a tutto tondo. Anche quando ha dovuto dire dei no ai collaboratori per evitare problemi al Santo Padre. Quei No che diventano essenziali quando educhi un figlio. Mio padre si chiama Giuseppe e, complice anche l’omonimia, ho sempre visto in lui la figura di San Giuseppe.
Uno dei miei santi preferiti. San Giuseppe è il mio preferito perché mi sento pienamente compresa da lui. Mi fa sentire un’appartenenza a quella figliolanza che ci rende fratelli tutti. Nonostante la bellezza delle nostre fragilità e debolezze. San Giuseppe è una figura che abbiamo rivisto ieri anche nel Pontefice mentre salutava festoso tutti i suoi figli, ma anche nella sua fermezza durante un rimprovero. Un padre che ricorda che dopo l’ inverno arriva la primavera con i suoi timidi germogli. In fondo cosa è la Pasqua? L’unica via da percorrere. La stessa via che si percorre nel matrimonio. La croce è la via per l’ eternità. Così come il confessionale diventa la fiaccola che ci aiuta a vedere in un cammino al buio. Quante volte magari ci portiamo dentro dei pesi che ci affaticano il cammino. Ci sono le incomprensioni e i nostri schemi mentali, da cui spesso non riusciamo ad uscirne da soli e fatichiamo ad ammettere che abbiamo bisogno di aiuto per farlo. Nessuno si salva da solo.
Il Papa ce lo ricorda spesso. Il confessionale è un potente mezzo per amare ed essere amati. Il confessionale è stato proprio uno dei mezzi per entrare in relazione con Dio, e nel nostro caso è servita per impostare il Tomtom della nostra via matrimoniale. Avere la grazia di incontrare un padre spirituale è indubbiamente il più bel dono di matrimonio che Dio ci abbia fatto. Andrea ha sperimentato e ha scoperto di poter essere anche lui, non solo un cuore e un volto di padre, ma anche di poter esserlo nella maniera più bella. Lo ha scoperto proprio relazionandosi con il nostro padre spirituale. Ha imparato l’ arte di amare. L’arte di rimanere accanto ad una persona e custodirla dall’inizio alla fine. Questi stessi insegnamenti che sono divenuti una candela da tenere sempre accesa come durante il battesimo da passare alla nostra Alice e ai nostri bambini e giovani dell’oratorio che fanno parte della nostra famiglia, il nostro Noi, il nostro essere sposi è anche merito loro.
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Simona e Andrea