Ci sposiamo per gli altri

Uno degli ostacoli più grandi per la crescita spirituale è quello di credere di sapere tutto, aver capito tutto e di non aver bisogno così di ascoltare e approfondire: è un errore grave che spesso impedisce la conversione, di cui abbiamo bisogno ogni secondo, per correggere la nostra strada e tenerla orientata a Gesù Cristo, risorto. Mi sono trovato in questa condizione e quando l’ho capito, è stato come aver ricevuto un forte pugno nello stomaco, sono rimasto davvero senza fiato. Ricordo bene una delle volte in cui successo: ero con don Renzo Bonetti e lui ci fece riflettere su questo articolo del catechismo della chiesa cattolica, il numero 1534 (anno 1980): Due altri sacramenti, l’Ordine e il Matrimonio, sono ordinati alla salvezza altrui. Se contribuiscono anche alla salvezza personale, questo avviene attraverso il servizio degli altri. Essi conferiscono una missione particolare nella Chiesa e servono all’edificazione del popolo di Dio.

E’ un articolo che mi ha sconvolto, perché mi ha fatto capire subito quanto avevo sbagliato e quanti giovani che si preparano al matrimonio stanno sbagliando, come me a suo tempo. Tralasciando chi si sposa in chiesa per motivi futili (vestito bianco, foto più belle, bellezza della chiesa), qual è il motivo vero per cui viene fatta questa scelta? Ripensando a me, ero innamorato di una bella ragazza, volevo che Dio benedisse la nostra unione, affinché diventasse la mia sposa, per creare così la mia famiglia, nella mia casa. Non ho scritto a caso per tre volte la parola ”mia” e credo che nessuno avrebbe da ridire o troverebbe del male nelle mie buone intenzioni. Invece è completamente sbagliato, perché è il modo più veloce per mancare il bersaglio e finire male, come ho potuto sperimentare io personalmente e anche in tante altre persone. Sembra quasi un controsenso, ma ci si deve sposare per gli altri e se questo Sacramento ci permetterà un giorno di accedere al Paradiso, è SOLO in funzione di questo, di quanto avremo portato avanti la missione che ci è stata affidata con e per gli altri.

Quando vado a fare una testimonianza, di solito l’articolo 1534 è la prima citazione che faccio, perché i giovani devo almeno sapere le basi, anche se poi faranno fatica o non cominceranno subito a metterlo in pratica: non devono pensare che ricevono un Sacramento che “sistema” solo l’aspetto sessuale, così possono finalmente avere rapporti sessuali senza commettere peccato (è evidente che sarebbe una motivazione con poco senso). L’unità che si sperimenta durante l’unione fisica non deve restare all’interno della camera da letto, ma deve essere portata fuori con tutti: il piacere sessuale deve fornire le energie, la gioia e l’amore con cui svolgere la missione. Questo non vuol dire che gli sposi devono partire per un Paese straniero ad aiutare le persone povere: no, la missione deve essere svolta qui, con i vicini di casa che mi ritrovo, con i colleghi di lavoro, con gli amici e con tutte le persone che incontro (e quanto mai ce n’è bisogno in questo momento storico!).

Eppure non siamo capaci di metterla in pratica neanche la domenica, in chiesa, nella nostra parrocchia, durante la messa: basta guardare come scegliamo i posti a sedere ben distanti (il covid ha peggiorato le cose, ma stavano già andando male da prima), come guardiamo gli altri, quali parole usiamo (spesso per spettegolare) o quanto stiamo in silenzio (anche quando magari sappiamo che la persona vicina di panca sta vivendo un momento difficile e avrebbe bisogno di una parola di conforto o di amicizia: il detto “chi si fa i cavoli suoi, arriva a cento anni” è l’opposto del cristianesimo). Appena finita la messa, ognuno per i fatti suoi, neanche ci si saluta a volte, altro che fratelli e sorelle! (anche se pochi minuti prima abbiamo detto “Padre nostro”).

Una volta mi raccontavano che in qualche parte del mondo, come ad esempio in Africa, dopo la messa c’è un momento di condivisione con mangiare e bere per tutti, grandi e piccoli, è una bella iniziativa: altrimenti è inutile fare la comunione con Gesù che non vediamo, se poi non facciamo la comunione con gli altri che vediamo e tocchiamo. Inoltre, noi che andiamo alla messa domenicale, almeno con il pensiero, ci dovremmo preoccupare della stragrande maggioranza che non è venuta e che non conosce la bellezza di questo appuntamento con Gesù, perché Lui vuole salvare anche loro.

Così agli sposi è consegnato questo compito di usare il corpo per creare il Corpo di Cristo, cioè la famiglia grande: ci sono persone che solo noi possiamo abbracciare, essere loro vicine e prendercene cura. Siamo strumenti di Dio: chi può mostrare come Gesù ama, se non chi ha ricevuto il Sacramento del matrimonio e lo sperimenta quotidianamente nella relazione con l’altro/a? Ecco, cerchiamo di portare avanti la nostra missione sacramentale e ricordiamoci sempre che esistiamo come Sacramento prima di tutto per costruire ed edificare il popolo di Dio.

Ettore Leandri (Presidente Fraternità Sposi per Sempre)

Un pensiero su &Idquo;Ci sposiamo per gli altri

  1. E’ tutto vero. Da fidanzati siamo partiti insieme, ricolmi di entusiasmo e volontà. Ci sentivamo volonterosi e desiderosi di trasmettere la nostra gioia e di viverla assieme gli altri, soprattutto con i più vicini a noi e poi con gli altri. Ci sentivamo sicuri del nostro amore e forti nella fede. Purtroppo però non sempre le buone intenzioni coincidono con la realtà. Fragilità singole e poi di coppia, sogni comuni bloccati da eventi luttuosi imprevedibili, sensibilità individuali soffocate e mai espresse, hanno generato attese e risentimenti, hanno bloccato il dialogo.
    Nonostante questa pesante realtà siamo andati avanti, colmi di fiducia nel nostro amore che non doveva morire. Abbiamo cresciuto tre figli donando tutto il meglio di noi. Anche la perdita del figlio non nato, è stato un momento molto forte, sotto tutti gli aspetti.

    GLI ALTRI….
    O sì, come sono stati e sono nel mio cuore… Gli Altri!
    Ma ho trascurato la mia metà.
    L’ho involontariamente ferita, mettendola dopo…degli ALTRI!
    Io mi sentivo un tutt’uno con Lui.
    Ma un giorno, la mia metà mi disse: “Mi tratti come tratti te stessa.” Era vero! E me ne sono resa conto troppo tardi.
    Noi venivamo sempre dopo gli ALTRI.

    Troppo tardi ho imparato che sì, è importante aiutare il prossimo, ma occorre farlo insieme. Occorre attendere i tempi dell’altra metà di noi che forse ti lascia fare, ti dice di andare ma poi, quando torni non ti chiede niente, non si informa di cosa è successo, cosa è stato fatto, come stanno gli ALTRI. E…solamente più tardi, molto più tardi, può farti capire (magari indirettamente), che non si è mai sentito amato da te.

    Amare se stessi e il proprio coniuge, fermandosi e rinunciare quando non si è UNO…INSIEME, che guarda dalla stessa parte.
    GLI ALTRI…esterni da noi…
    Forse è stata la presenza degli ALTRI, la causa di una grande ferita della coppia.

    ALTRI come i figli, i genitori, i gravi lutti famigliari, le crisi esistenziali personali…
    Lui c’è sempre stato, ma per forza.

    ALTRI come gli anziani della parrocchia, gli amici in difficoltà… il volontariato…
    Questi no, per questi no!

    Dal fallimento di questa coppia immatura, mi sento di testimoniare che avrei dovuto essere più attenta, nel considerare ALTRO… prima di tutto la mia metà, e di conseguenza la coppia.

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