Il Signore non ci chiede di cambiare l’acqua in vino, ma di riempire le giare.

Ho iniziato a leggere un libro, semplice e di facile lettura, ma ricco di citazioni e di spunti di riflessione. Si tratta di “L’amore non è un sentimento”, scritto da Agostino Tommaselli (Nevio Manente) e edito da Sugarco. Condivido molto di quello che Nevio pensa e scrive sull’amore coniugale. Mi rinfranca scoprire che Nevio è della classe 1974. come lo sono io. Una generazione di ragazzi, oggi uomini nella piena maturità della vita, che sono cresciuti durante il pontificato di San Giovanni Paolo II. Karol il grande, come mi piace chiamarlo, ha speso tante energie, tempo, preghiera, studio per poter restituire agli uomini, e in particolare ai giovani del suo tempo, una ricchezza e pienezza della sessualità e del matrimonio che la rivoluzione sessuale degli anni sessanta e settanta aveva cancellato.

Appena iniziato il libro trovo subito un passaggio molto interessante, che merita un approfondimento:

L’innamoramento e l’amore, pur avendo dei tratti in comune, non sono la stessa cosa, così come non lo sono i due vini dei quali si racconta nelle nozze di Cana: il secondo di questi, l’amore, è certamente migliore.

Quali sono gli insegnamenti che traggo da quanto scritto da Nevio, che poi non è altro che una semplice e centrata spiegazione del miracolo di Cana? Cosa dice alla mia storia, al mio matrimonio e alla mia relazione d’amore?

All’inizio tutto sembra funzionare bene, anzi benissimo, questo è il primo vino L’innamoramento è qualcosa di naturale, di completamente umano. L’innamoramento è semplicemente un qualcosa che accade e non richiede nulla se non di essere assecondato. L’innamoramento non ha bisogno di essere condotto ma al contrario ha una forza insita fortissima nei sentimenti e nelle passioni che trascina e attrae come calamita l’uno verso l’altra.

Ma poi succede qualcosa. Il vino finisce. Tutta quella forza che trascinava e che sembrava incontenibile si svuota. La festa è rovinata, non c’è più gioia. L’ebrezza del primo vino va pian piano scomparendo. Questo momento è decisivo, forse uno dei più importanti della vita. Capita a tutte le coppie, in modo diverso, con intensità e momenti diversi ma capita.. L’ordinarietà della vita insieme, lo stress, i figli, i problemi, la stanchezza, le incomprensioni, le fragilità e le debolezze esauriscono quel vino fatto solo di passione e sentimenti. Serve altro per poter andare avanti. Serve uno scatto, un cambio di passo, una maturazione. A noi è capitato verso il terzo anno di matrimonio e sono entrato in crisi. Ero davanti a un bivio. Arrendermi alla sconfitta  o ascoltare quel Gesù che è parte e soggetto attivo del mio matrimonio. Gesù che come nelle nozze di Cana era tra gli invitati. Gesù che dice ai servi di riempire le giare. I servi non fanno domande, non fa nulla se non hanno più vino ma hanno soltanto acqua. Allo stesso modo, ci è chiesto di dare ciò che abbiamo, di impegnarci credendo fino in fondo nella nostra promessa matrimoniale, di andare avanti anche se, a volte, ci sembra di non essere sostenuti dai sentimenti. Riempiamo quelle giare con tutta la nostra volontà e fiducia in Gesù. Il resto è un miracolo. L’epilogo lo conoscete. Quella nostra miseria, che disseta è vero ma non delizia, che serve a sopravvivere ma senza gioia, si trasforma nel vino buono. Un vino molto più robusto e delizioso del primo. Questo è il vino che non finisce. Non è come il primo frutto di qualcosa che subiamo, dei sentimenti e passioni che non controlliamo, ma è frutto di ciò che costruiamo, con la nostra fatica di ogni giorno e determinazione di mantenere fede alla nostra promessa. Frutto di tutto questo aggiunto della Grazia di Dio che fa nuova ogni cosa, anche il nostro matrimonio. E allora riscopriremo anche la passione e i sentimenti ma non come forza misteriosa ma come frutto della nostra fede, del nostro offrirci e della nostra dedizione l’uno verso l’altra.

Diceva Chiara Corbella:

Il Signore non ci chiede di cambiare l’acqua in vino, ma di riempire le giare. La Chiesa propone a ciascuno la santità: vivere come figli di Dio. Ciascuno, a modo suo, risponde, passo dopo passo.

Antonio e Luisa

L’amore è un sentimento?

Oggi condivido una riflessione non mia ma di Agostino Tommaselli. Una persona con cui credo di avere molto in comune per quanto concerne l’idea di vocazione matrimoniale e di cammino e amore sponsale.  Cliccate qui per visitare il suo sito

Ecco cosa scive Agostino:

Molti anni fa, quando ero ancora un adolescente, pensavo – in maniera forse un po’ ingenua – che parlare  dell’amore uomo-donna significasse parlare esclusivamente dei sentimenti. Che in un rapporto d’amore ci fosse altro – oltre ai sentimenti – lo capivo da me, ma non credevo che potesse avere una qualche rilevanza, non tanto quanto i sentimenti, per lo meno… Ero anche convinto, come molti, che una relazione d’amore potesse dirsi conclusa allorquando veniva a mancare il sentimento. Il ragionamento che facevo era più o meno questo: niente sentimento, niente amore. Semplice e inoppugnabile.

Amare, nella mia visione giovanile, voleva dire provare un sentimento. E quando la Chiesa invitava i futuri coniugi a promettersi eterno amore, li stava invitando a promettersi “sentimenti d’amore” per tutti i giorni della loro vita. La questione, messa in questi termini, mi sembrava perfino logica. Del resto, cos’altro – più del sentimento – poteva contraddistinguere l’amore?

Col passare del tempo, tuttavia, cominciai a guardare all’amore con occhi diversi. Osservando i miei genitori, ad esempio, mi sembrava di capire che anche per loro il concetto di amore – da quel lontano “sì” – doveva aver subito una qualche evoluzione, facendosi via via più autentico e profondo sotto i colpi di una vita che, pur di educare (all’amore), insieme alle gioie non aveva risparmiato loro sofferenze e sacrifici…

Nel corso degli anni, poi, anche attraverso l’esempio di tante altre famiglie e coppie di sposi che ebbi modo di incontrare, rimodulai sempre di più l’idea che mi ero fatto dell’amore. Lentamente cominciai a intuire che l’amore non era soltanto un sentimento, no. E che anzi, il sentimento era forse la parte meno importante. In me iniziò a maturare l’idea che l’amore si fondasse su qualcosa di molto più concreto e profondo di quanto non fosse un sentimento, qualcosa di molto più stabile e tangibile. E la cosa mi fu evidente quando conobbi persone letteralmente capaci di spendersi – consumarsi, oserei dire – per il bene dell’amato, capaci di superare tutte le logiche del mondo pur di tenere fede a una promessa fatta molto tempo prima; persone tradite e offese, umiliate – a volte -, che continuavano ad amare nonostante tutto, in una maniera terribilmente concreta; persone capaci di un amore così grande che non mi sembrava possibile.

Ma c’è di più. Tutte queste persone mi davano l’impressione di amare anche con i sentimenti. Ma era evidente che se questi – i sentimenti – fossero venuti meno o avessero subito una qualche flessione, la cosa non avrebbe, di per sé, né diminuito né sminuito la realtà del loro amore. L’amore che queste persone vivevano si percepiva dai loro gesti, dalle azioni, dalla fedeltà alla quotidianità del loro vivere, lì dove la vita li aveva “inchiodati”. E il loro modo di amare – l’unico possibile, forse – era del tutto gratuito. Perché l’amore (quello “vero”) è questo che è – lo capii più tardi: un dono totale e gratuito di sé, che seppure venisse rifiutato, seppure fosse calpestato e offeso, continuerebbe a essere quello che è: un dono totale e gratuito di sé, offerto per il bene e la felicità della persona amata.

Un giorno, trascorsa l’adolescenza, quasi per caso mi imbattei in un libro straordinario: si trattava del Diario di santa Faustina Kowalska, la santa che aveva fatto conoscere al mondo la divina misericordia. Lessi quel libro tutto d’un fiato, e dentro vi scovai una frase illuminante:

L’amore non è fatto di parole, né di sentimenti, ma di azioni. È un atto della volontà, è un dono, cioè una donazione.

Con quella frase – in un colpo solo – santa Faustina rivoluzionò per sempre l’idea che mi ero fatto dei sentimenti e dell’amore. Ma non solo. In un’epoca come la nostra, dominata da ipocrisie e falsi miti, leggendo quella frase compresi pure che l’amore doveva essere difeso dagli attacchi violenti di una società sempre più ideologizzata; una difesa – sia chiaro – della quale siamo tutti responsabili, poiché la verità è un obbligo morale dinanzi al quale nessuno dovrebbe sottrarsi…

Ecco spiegato, quindi, il perché di questo libro (L’amore non è un sentimento): per indagare l’amore nella speranza di poterlo mostrare nella sua dimensione più autentica, in tutta la sua accecante bellezza. Un progetto ambizioso – è vero -, ma chi di noi non “ambisce” a realizzarsi nell’amore?


Agostino Tommaselli