A volte, osservare con attenzione come ci comportiamo nelle relazioni più intime – in particolare con il coniuge e con i figli – può rivelarsi molto utile. Questi comportamenti quotidiani possono diventare uno specchio attraverso cui riconoscere alcune nostre ferite emotive, sofferenze passate e difficoltà interiori irrisolte. In altre parole, il modo in cui reagiamo ai nostri cari spesso riflette antiche dinamiche interiori.
Spesso finiamo per comportarci con gli altri esattamente nel modo che meno vorremmo fosse usato con noi stessi. Questo paradosso può suonare strano, ma è comune: senza accorgercene, tendiamo a riprodurre verso chi amiamo gli schemi di comportamento che abbiamo subito in passato. Prenderne coscienza richiede introspezione, ma è il primo passo verso un cambiamento positivo.
Quando ripetiamo ciò che ci ha ferito
Per chiarire questo punto, immaginiamo una situazione tipica: un genitore che da bambino ha ricevuto molte critiche e poche lodi potrebbe, da adulto, ritrovarsi a sua volta ipercritico verso i propri figli. È come se dentro di lui vivesse ancora la voce severa di suo padre o madre. Psicologicamente, secondo l’Analisi Transazionale, quella voce interiore corrisponde al “Genitore Critico”, ovvero la parte di noi che giudica, corregge e impone regole in modo rigido. Senza rendercene conto, possiamo attivare questo stato dell’Io e rivolgerlo a chi ci sta accanto, persino se odiavamo quel tipo di trattamento su di noi.
Ciò accade perché da piccoli interiorizziamo modelli di comportamento: ogni bambino ha bisogno di essere accettato e amato, e farà di tutto per ricevere carezze positive (attenzioni, complimenti, approvazione). Se cresce con un genitore critico e poco affettuoso, il bambino può adattarsi cercando costantemente di compiacere l’adulto, sperando di ottenere riconoscimento. In Analisi Transazionale questo viene chiamato “Bambino Adattato”: il bambino interiore che ha sacrificato un po’ della sua spontaneità pur di piacere e non essere rimproverato. Il lato positivo di questo adattamento è che diventa obbediente e rispettoso; quello negativo è che rischia di diventare insicuro, sottomesso e dipendente dal giudizio altrui.
Allo stesso tempo, dentro quel bambino cova anche una frustrazione. Se nessuno lo valorizza, una parte di lui grida protesta: è il “Bambino Ribelle”, che rifiuta di sottomettersi e si arrabbia di fronte alle critiche percepite come ingiuste. Da adulto, anche se esteriormente cerchiamo di compiacere gli altri, quella parte ribelle può emergere improvvisamente quando qualcuno ci tratta in modo critico. Quante volte è capitato di reagire in modo eccessivo o irritato a una piccola critica del partner o di un collega? Potrebbe essere il nostro bambino interiore ferito che, sentendosi di nuovo giudicato come un tempo, esce fuori pronto a combattere.
Un esempio personale: dal bambino ferito al genitore critico
Anch’io ho vissuto questo processo sulla mia pelle. Sono cresciuto con un padre presente ma emotivamente molto critico: non era un genitore affettuoso, né prodigo di lodi o incoraggiamenti. Più che sottolineare aspetti positivi, era focalizzato sulle regole, sugli errori da correggere e su ciò che “non andava bene”. Da bambino, per sopravvivere emotivamente a questo ambiente, ho imparato ad adattarmi. Ero il bravo bambino: ubbidiente, sempre alla ricerca di approvazione, attento a non deludere. Facevo di tutto per compiacerlo, sperando in quelle parole dolci o gesti di affetto che purtroppo arrivavano raramente.
Crescere così mi ha reso molto insicuro. Dentro di me sentivo di non essere mai abbastanza, perché ogni traguardo poteva sempre essere criticato. Inoltre, da adulto mi scoprivo particolarmente sensibile verso chiunque si comportasse in modo simile a mio padre. Ad esempio, avere a che fare con capi, colleghi o amici critici e freddi mi provocava reazioni esagerate: lì non emergeva più il “bambino adattato” accomodante, bensì il “bambino ribelle” pieno di rabbia. Bastava una frase giudicante per sentirmi di nuovo quel bambino ferito di un tempo, e reagivo con stizza o chiusura, cercando lo scontro o allontanandomi deluso. Era più forte di me, come un pulsante interiore che scattava automaticamente.
Rendersi conto dello schema interiore
La svolta è arrivata quando, durante il mio percorso di studi in counseling e crescita personale, ho iniziato a riconoscere questo schema interiore. Ho compreso che stavo portando avanti un copione: quello del figlio ferito che senza volerlo era diventato un genitore critico a sua volta. Infatti, osservandomi con onestà, mi sono accorto che nel rapporto con i miei figli spesso indossavo proprio la maschera di mio padre. Ero molto esigente con loro, rapido nel correggerli e sgridarli, ma lento nel abbracciarli, elogiarli o dimostrare affetto. Intervenivo quasi solo quando c’era qualcosa che non andava, raramente per dire “bravo” o “ti voglio bene”. In pratica, ero diventato quel genitore anaffettivo e critico che avevo tanto sofferto da piccolo.
Realizzare questo mi ha colpito profondamente. In un primo momento, ho provato dolore e senso di colpa: mi rendevo conto che, pur amando immensamente i miei figli, li stavo ferendo con lo stesso stile educativo che aveva fatto male a me. Ma anziché crogiolarmi nella colpa, ho scelto di vedere questa consapevolezza come un dono e un punto di svolta. Finalmente identificavo chiaramente il ciclo che si stava ripetendo attraverso le generazioni. Ed esserne consapevole mi dava la possibilità di spezzare quel ciclo.
Durante la formazione in Analisi Transazionale, ho imparato a dare un nome a queste parti di me. Era come se dentro di me dialogassero due “genitori interiori”: uno era il Genitore Critico Negativo, ereditato da mio padre, che sussurrava giudizi severi all’orecchio. L’altro, che finora avevo usato poco, poteva essere il Genitore Affettivo Positivo, capace di dare cure, protezione e amore. Allo stesso modo convivevano due “bambini interiori”: il Bambino Adattato, timoroso di deludere, e il Bambino Ribelle, arrabbiato e ferito. Riconoscere queste parti mi ha permesso di prendere le redini con la mia parte Adulta, quella più consapevole e presente nel qui e ora. In termini semplici, ho capito che potevo scegliere di non lasciare il pilota automatico inserito sui modelli appresi nell’infanzia.
Trasformare il genitore critico in genitore affettivo
Una volta acquisita questa consapevolezza, è iniziato un lavoro quotidiano (ancora in corso) per trasformare il mio modo di relazionarmi con i figli – e in generale con gli altri. Ho deliberatamente iniziato a coltivare il mio Genitore Affettivo: quella parte di me capace di incoraggiare, sostenere e mostrare affetto. All’inizio non è stato facile, perché significava andare contro abitudini emotive radicate. Tuttavia, con pazienza e tanta empatia, ho iniziato a fare cose nuove: ascoltare di più senza giudizio, esprimere apprezzamento per i loro sforzi, dire esplicitamente “ti voglio bene” e “sono fiero di te”, e abbracciarli spesso, senza un motivo speciale. Mi sono accorto che questi gesti, semplici ma costanti, stavano cambiando non solo il clima familiare, ma anche qualcosa dentro di me.
Ogni volta che sceglievo la gentilezza al posto della critica, sentivo come se guarissi una piccola parte del mio bambino interiore. Era come dare a me stesso quelle carezze positive che avevo sempre cercato. Vedere nei loro occhi la felicità e la sicurezza quando li incoraggiavo, mi restituiva un senso di pace: stavo offrendo ai miei figli l’affetto che a me era mancato, e così facendo lenivo anche le mie antiche ferite. Invece di perpetuare il ciclo del dolore, avevo avviato un ciclo di guarigione.
Naturalmente ci sono ancora momenti in cui il “genitore critico” dentro di me tenta di riprendere il sopravvento – magari in situazioni di stress o stanchezza. Ma ora lo riconosco quasi subito: mi accorgo quando quella voce severa sale alla gola, pronta a rimproverare. Allora faccio un respiro profondo, mi ricordo di quel bambino insicuro che ero, e scelgo consapevolmente di cambiare tono. Magari trasformo la critica in una richiesta gentile, o mi sforzo di vedere il lato positivo e dirlo ad alta voce. Ogni volta che riesco in questo, sento di crescere come padre e come essere umano.
Un percorso anche spirituale di guarigione interiore
Questo processo di trasformazione non è solo psicologico: ha anche una dimensione spirituale profonda. Imparare ad amare in modo più incondizionato i miei figli e me stesso è, in fondo, un cammino spirituale. Significa praticare la compassione, il perdono e la presenza nel momento presente. Ho dovuto in parte perdonare mio padre per la sua severità – comprendendo che probabilmente anche lui era figlio di un’educazione rigida e non conosceva altro modo per educare. Ho dovuto perdonare anche me stesso per gli errori commessi come genitore. Questo atto di perdono e comprensione ha alleggerito il mio cuore, permettendomi di andare oltre il ruolo di “vittima” delle mie circostanze infantili.
Inoltre, vedere le relazioni familiari come specchio per l’anima mi ha insegnato che ogni conflitto o difficoltà relazionale è in realtà un’opportunità. Un’opportunità per guarire qualcosa dentro di noi e per evolverci. Dal punto di vista spirituale, credo che ognuno di noi abbia “lezioni” da imparare dalle proprie relazioni: imparare l’amore, la pazienza, l’empatia, l’autoaffermazione equilibrata. Quando ci rendiamo conto che reagiamo in modo eccessivo a una critica, possiamo domandarci: quale ferita dentro di me sta sanguinando? cosa mi sta insegnando questa situazione? Queste domande sono tipiche di un approccio sia psicologico che spirituale alla crescita personale.
Conclusione: dalle ferite alla crescita
Osservare il modo in cui ci comportiamo con le persone a noi care richiede coraggio, perché significa guardarsi allo specchio con sincerità. Possiamo scoprire aspetti di noi poco lusinghieri – magari che siamo diventati controllanti, o troppo accondiscendenti, o che abbiamo paura del confronto. Ma proprio in quella scoperta risiede il seme del cambiamento. La consapevolezza è la chiave: una volta che vediamo il nostro schema (per esempio, “mi arrabbio perché mi sento giudicato come quando ero piccolo”), possiamo iniziare a scegliere consapevolmente risposte diverse.
Questo percorso di comprensione delle proprie dinamiche interne e di trasformazione dei propri comportamenti è al centro del mio cammino di formazione come counselor. Attraverso lo studio dell’Analisi Transazionale e la pratica quotidiana della auto-osservazione, sto imparando a integrare psicologia e spiritualità nella vita di tutti i giorni. Ogni giorno è un allenamento alla presenza mentale (lo stato dell’Io Adulto consapevole) e al cuore aperto (il Genitore Affettivo che dona amore). I benefici si riflettono nelle mie relazioni: i conflitti si riducono, la fiducia reciproca aumenta e in casa si respira più serenità.
Infine, il messaggio che desidero condividere è questo: non siamo condannati a ripetere ciò che abbiamo subito. Possiamo rompere i vecchi schemi che ci causano sofferenza. Le nostre ferite dell’infanzia, per quanto dolorose, non devono determinare per sempre il nostro modo di amare o educare. Al contrario, una volta riconosciute, possono diventare la porta d’accesso a una profonda guarigione. Le relazioni intime – con i partner, i figli, gli amici – ci forniscono il campo di prova perfetto per crescere. Osservandoci con onestà e tenerezza, possiamo trasformare il piombo delle nostre ferite nel oro della consapevolezza e dell’amore. Questo, a mio avviso, è un percorso sia psicologico sia spirituale: un viaggio verso la versione più autentica e amorevole di noi stessi.
Antonio e Luisa
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