Una mamma cristiana esempio per tutte le mamme: la venerabile Maria Cristina Cella Mocellin

La settimana scorsa abbiamo partecipato ad una mostra sulla vita e gli scritti della Venerabile Maria Cristina Cella Mocellin tenutasi dal 18 aprile sino al 14 maggio (giorno della festa della mamma) presso il Santuario della Madonna addolorata di Rho. Un bellissimo quadro di Maria Cristina con in braccio il suo bambino donato dalla associazione “Amici di Maria Cristina” al santuario è il volto di questa mostra: una mamma dallo sguardo dolce, gentile e sereno nonostante le grandi croci che Maria Cristina ha portato nel corso della sua vita.

Maria Cristiana nasce il 18 agosto 1969 a Monza; cresce in una famiglia devota che la invita a prendere parte alle attività del oratorio della Sacra Famiglia di Cinisello Balsamo (MI) dove abitava con i suoi genitori. Frequenta il catechismo tenuto dalle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida e si affeziona particolarmente a Suor Annarosa Pozzoli che le fa da guida per incamminarsi verso i primi sacramenti. Cristina mostra fin dalla sua infanzia particolare interesse e zelo nell’apprendimento e da adolescente si mette al servizio del oratorio di appartenenza prendendosi cura dei bambini e impegnandosi nella sua crescita spirituale.

Nelle sue lettere indirizzate ad una amica di nome Elena mostra già di aver compreso che la vita non è solo fatta di divertimento e che l’intelligenza è un dono di Dio da far fruttare. Dalla preadolescenza Cristina inizia a tenere un diario personale in cui annotare i passi del suo cammino di fede e ciò che emerge dal suo intimo e costante dialogo con quel Dio di cui è tanto innamorata. Nei suoi scritti afferma di sentire di essere chiamata da Lui ad un progetto diverso e particolare rispetto agli altri ragazzi; sempre in una lettera alla sua amica Elena sostiene di avere la sensazione di non fare abbastanza per gli altri nonostante sia catechista, animatrice in oratorio, frequenti un corso della Caritas e molto altro.

Nei suoi scritti possiamo ritrovare anche la sua preghiera di lode a Dio per il dono della amicizia; scrive Maria Cristina: È bello essere in due, darsi la mano e camminare insieme. È bello non temere nulla perché si ha un appoggio sicuro. È incoraggiante avere te, che mi aiuti a conoscermi, e a conoscere, ad accettarmi e ad accettare, ad amarmi e ad amare. Queste parole Maria Cristina le ha scritte ad una amica, ma non sarebbe bello se noi sposi le dedicassimo al nostro migliore amico che è il nostro coniuge?

Durante gli anni del liceo Cristina sviluppa il desiderio di unirsi alle suore della carità che la hanno accompagnata si da bambina nel suo incontrare Gesù e il cui motto sarà parola di vita concreta per tutta la vita di Cristina: Dio solo! Cristina riesce già ad abbandonarsi a tal punto alla volontà del Padre da scrivere: Aiutami a soffrire per te: Tu solo hai dato la vita per me! Cristina sapeva che quanto più ci sentiamo amati da Gesù tanto più abbiamo la forza di vivere secondo la Sua volontà le prove della vita aprendoci sempre al amore anche se a volte la tentazione è quella di rinchiudersi in sé stessi.

Nonostante percepisca di essere chiamata a prendere voti per il suo grande affidamento al Padre arriva a stendere queste parole: non importa se mi vuoi madre o suora, ciò che importa realmente è che faccia solo e sempre la Tua volontà. Queste parole si rivelano veritiere perché quando Dio mette sulla sua strada il suo futuro sposo Carlo Mocellin a Valstagna, dove Maria Cristina si trovava in vacanza con i nonni paterni, ella mette da parte il progetto della vocazione religiosa per vivere un amore che lei stessa definisce essere un morire perché amare è sacrificio e rinuncia. I suoi pensieri nel suo diario a questo punto si fanno un vero e proprio cantico di amore sponsale, leggendo le sue parole e pensando al nostro consorte abbiamo sentito la forza e l’intensità della sua capacità di amare il suo Carlo. Fa che il mio amore divenga anche esso preghiera: vorrei poterlo amare come Tu ami me; vorrei potergli dare ciò che Tu dai a me. Ti prego: che il mio cuore sia tanto limpido da non nascondergli niente; che il mio sguardo e pensiero sia tanto puro da amarlo come Tu mi ami. Maria Cristina già sentiva il forte bisogno di richiedere quella grazia santificante che a noi sposi viene concessa mediante il sacramento del matrimonio per amare pienamente e arriva a definire così il sacramento del matrimonio: lamore tra un uomo e una donna è il segno privilegiato dellamore di Dio per luomo.

Un’ altra importante consapevolezza che ci lascia questa grande moglie e mamma è che tutti siamo chiamati a un matrimonio, che sia esso determinato dalla vocazione sacerdotale e religiosa o con una creatura di Dio. In ogni matrimonio c’è una chiamata unica e importante non solo per la coppia ma per il mondo. Dio ci ama a tal punto da affidare a ciascuna coppia un Suo progetto al quale se non adempiremo noi nessuna altra coppia potrà farlo. Un solo anno dopo il fidanzamento Cristina trova davanti a sé una grande croce: un sarcoma alla coscia sinistra che la costringe a tre cicli di chemioterapia e mesi in ospedale dove scaturisce da lei la lode per questa vita così bella che Dio ci dona e per cui tante persone lottano ogni giorno. Carlo fa la spola tra Veneto e Lombardia per sorreggere la sua amata nella malattia; Cristina termina i suoi studi di liceo, si rimette completamente e i due si consacrano a Cristo Gesù come una sola carne (2 febbraio 1991).

Cristina non pretende di fare grandi cose in quanto ritiene che nessuno di noi ne sarebbe in grado, ma vuole mettere tanta buona volontà nelle piccole. Nelle lettere di Cristina a Carlo possiamo leggere anche di come lei veda la grandezza del sacramento del matrimonio in quanto ci permette di non essere sempre al meglio, forti, coraggiosi, vittoriosi e attraenti, ma ci permette di mostrarci all’altro anche quando, scrive Cristina, sarebbe stata meno dolce e meno affettuosa. A quale mamma, dopo tutte le fatiche della giornata, non è capitato il momento in cui ha perso la pazienza e ha alzato la voce con i figli per riprenderli?

Cristina va a vivere in Veneto, a Carpanè, e a due mesi dalle nozze ringrazia Dio e il Suo amato sposo per essersi donato così tanto a lei da donarle un figlio. Dieci mesi dopo le nozze nasce il primogenito di Maria Cristina e Carlo: Francesco e solo dopo un anno e mezzo dalla sua nascita la famiglia si allargherà con la secondogenita: Lucia. Maria Cristina, incinta di Lucia, teme di perdere la sua bambina, per questo scrive alla suora che tanto l’ha fatta crescere nel suo cammino spirituale, suor Annarosa Pozzoli, che durante la notte piange a singhiozzi, ma che ringrazia Dio che le ha donato un marito così premuroso che con le sue parole riesce sempre a calmarla.

Io Alessandra, al leggere queste parole, sentivo le lacrime agli occhi ripensando a quei mesi allettata incinta di Pietro e a quando sono stata operata al terzo mese di gravidanza con Pietro in grembo. Nei giorni trascorsi in ospedale, temendo di perdere il nostro bambino, la mia unica forza è stata il mio sposo che mi teneva la mano e Cristo Eucarestia che ogni giorno mi veniva a visitare. Credo che come mamme dovremmo comprendere non razionalmente, ma con il cuore che più ci abbeveriamo alla sorgente dell’amore vivo più saremo in grado di crescere quelle piccole pietre del tempio di Dio secondo i Suoi insegnamenti che da Lui ci sono state affidate. Una mamma più vive difficoltà e sofferenze con i figli, più i figli sono piccoli e bisognosi di tante cure, più dovrebbe pregare la Madonna di farle da guida, anche insieme al proprio sposo, perché la preghiera in coppia è come entrare in una galleria con l’eco, risuona più forte nei Cieli. Ma non solo, penso che per le mamme sia di vitale importanza, quando possibile, accostarsi quotidianamente alla Santa Eucarestia. Il nostro sacerdote Don Matteo, durante un’omelia, ha affermato che Gesù Eucarestia non rinfranca solo lo spirito, ma anche il corpo in quanto molte mamme e nonne che lui vede arrivare la sera alla Santa Messa feriale gli hanno poi confidato che quello era il loro momento che avevano scelto di passare con Gesù che gli dava la forza per poi il giorno dopo riprendere quella quotidianità fatta di pianti, corse, capricci e molto altro.

Mia moglie partecipa alla Santa Eucarestia feriale più spesso di me, io stesso la incoraggio a parteciparvi offrendomi di occuparmi di nostro figlio Pietro mentre lei “abbraccia” il Padre; sento in lei la necessità di sostare quotidianamente con Gesù per rigenerarsi e trovare in Lui conforto, silenzio e pace. Alessandra, in quanto mamma casalinga, trascorre più tempo con nostro figlio e credo che quanto più lei si sentirà amata da Dio tanto più potrà donarsi a Pietro ogni giorno con spirito di sacrificio.

Poco dopo la nascita di Lucia, Cristina resta nuovamente incinta di Riccardo e la notizia della gravidanza è accompagnata dalla comparsa nuovamente del sarcoma alla gamba. Cristina, di comune accordo con Carlo, si sottopone ad un intervento per asportare il sarcoma alla gamba, ma rifiuta di iniziate la chemioterapia per paura di nuocere al bambino. Nato Riccardo, Cristina inizia la chemio che, però non dà lo stesso esito positivo di cinque anni prima e si formano delle metastasi ai polmoni. Ha paura, ma sa che su di lei c’è un disegno di Dio troppo grande per essere facilmente compreso; si abbandona fiduciosamente al Padre e offre le Sue sofferenze per la salvezza di tutte le anime. Cristina sale al cielo il 22 ottobre 1995 e con lei il Padre ha regalato a tutte le mamme, come fatto con Santa Gianna Beretta Molla, un’amica, una confidente che prega per la loro santità matrimoniale e per la loro missione di educare nuovi figli di Dio, questo il progetto bellissimo che il Padre aveva su di lei.

Cristina stessa da ragazza ha molto apprezzato il dono dell’amicizia come abbiamo scritto, tanto da lodare Dio nel suo diario e Dio ha fatto di lei una amica fidata per tutte le mamme del mondo, che progetto e che mamma meravigliosi!

Alessandra e Riccardo

Anche le mamme possono provare piacere.

In questi giorni sta facendo il giro dei social una pubblicità, che ha provocato, come spesso accade in questi casi, moltissime polemiche e la consueta battaglia tra i ghibellini della liberazione della donna e i guelfi della morale. Ecco io non voglio entrare in questa logica. Io ho le mie idee, che sono molto chiare credo, ma voglio affrontare questo argomento come una provocazione. Non serve a nulla gridare allo scandalo molto meglio cercare di capire il fenomeno sociale che c’è dietro. Cosa ci dice questa pubblicità?

Anche le mamme possono provare piacere. L’azienda committente ha accompagnato la presentazione di questa campagna con un messaggio molto chiaro su Instagram. Ecco cosa scrive: Questa affissione non è mai uscita e il motivo non vi piacerà. Per la Festa della mamma volevamo rompere un tabù che da troppo tempo esiste e dire a chiare lettere che, sì, anche le mamme possono provare piacere. Naturalmente anche io sono d’accordo. Anzi credo che le mamme possano provare un gran piacere, ma forse non è lo stesso che intendono loro. Alla fine della mia riflessione giudicate pure voi qual è il vero piacere. Se lo è quello proposto dall’azienda o quello che propongo io.

Perchè una mamma? Non credo che la scelta della mamma sia casuale. Questa pubblicità, uscita proprio in occasione della festa della mamma, vuole lanciare un messaggio evidente. La mamma non smette di essere una donna. La donna, come peraltro l’uomo, ha bisogno di pensare al proprio benessere e l’appagamento sessuale ne è parte integrante. Non la relazione. Non è importante che ci sia una relazione, basta un sex toys. Conta solo l’appagamento sessuale. Quindi tiriamo le conseguenze. La mamma non è parte di una comunione, ma è una individualità che può, per il proprio benessere e per il proprio piacere, avere un marito e uno o più figli. Il marito e i figli sono parte dei suoi bisogni, come lo è quel dildo o un altro sex toys. Capite il messaggio che c’è dietro? Pensa a te stessa. L’egoismo che è proprio il contrario del dono di sè che dovrebbe caratterizzare la mamma. E’ qui che i pubblicitari hanno intercettato la nostra società. Perchè non facciamo più figli? Solo per una questione economica e lavorativa? Credete davvero che sia solo quello? C’è anche quello ma non solo. I figli chiedono rinunce e fatica. Quindi è importante per la donna ritagliarsi un momento in quella vita fatta di doveri dove può pensare a sè stessa nella beata solitudine con il suo dildo. E’ questo il matrimonio? E’ questo il piacere?

Io non basto? Un marito normale piuttosto che regalare questo aggeggio alla moglie credo si faccia una domanda: io non ti basto? Una donna che ha bisogno di quella roba lì evidentemente non è soddisfatta della propria vita sessuale. Torniamo sempre allo stesso discorso. Tanti sposi non sono capaci di fare l’amore. Ne approfitto per consigliare il nostro libro di prossima uscita Sposi, re nell’amore dove affrontiamo in modo molto approfondito questa tematica. Tanti vivono la sessualità in modo completamente fuori da quelle che sono le esigenze e la sensibilità della donna. Poi certo che una sessualità vissuta in questo modo non appagante, sommata ai tanti impegni e allo stress della vita di tutti i giorni, allontana i due sposi. Guardate che questa pubblicità racconta qualcosa di reale, per questo non va sottovalutata. Secondo i sondaggi dell’azienda WOW Tech, produttrice di sextoys, il 40-60% delle donne si masturba, percentuale che sale al 90-95% sul fronte maschile. Ci sono per forza molti uomini o donne sposate in questa percentuale. Questa percentuale va letta insieme ad un’altra. Secondo infatti Easytoys, uno dei principali produttori di giocattoli erotici in Europa, i sex toys stanno diventando sempre più popolari nel nostro paese, tanto che il 77,82% degli italiani intervistati ha dichiarato di aver usato un sex toy nel 2022. Molti in coppia ma tanti anche da soli.

Il sesso ricreativo. Ed ora arriviamo alla domanda centrale che dobbiamo porci. Cosa è il sesso per noi? Il sesso deve essere ricreativo. Ma cosa intende la Chiesa per ricreativo? Non qualcosa di leggero e ludico come può essere l’uso di un sex toys. Leggerezza in realtà solo apparente perchè ci “educa” a ripiegarci su di noi e a mettere il piacere fisico al centro. Capite che il marito o la moglie diventano strumenti per ottenerlo, esattamente come il sex toys. Per noi ricreazione significa esattamente ricreare. Creare attraverso il corpo qualcosa di molto più profondo e completo. In Familiaris Consortio possiamo leggere al paragrafo 11: Di conseguenza la sessualità, mediante la quale l’uomo e la donna si donano l’uno all’altra con gli atti propri ed esclusivi degli sposi, non è affatto qualcosa di puramente biologico, ma riguarda l’intimo nucleo della persona umana come tale. Essa si realizza in modo veramente umano, solo se è parte integrale dell’amore con cui l’uomo e la donna si impegnano totalmente l’uno verso l’altra fino alla morte. Comprendete la grandezza dell’intimità nel matrimonio? Stiamo ricreando la comunione d’amore tra le nostre due persone, che è immagine della comunione trinitaria. E il piacere viene da quella profondità e non solo da una stimolazione fisica. Nella nostra intimità possiamo davvero fare un’esperienza meravigliosa, sentendoci uno parte dell’altra. Dove la pentrazione dell’uomo che viene accolto dalla donna esprime una ricchezza che viviamo nel nostro cuore. Dio ci ha fatto sessuati per questo. Il sesso non è solo un’esigenza o un meccanismo biologico. Per noi uomini esprime molto di più. Esprime il desiderio del creatore di farci fare esperienza sensibile di ciò che siamo. Di ricreare nel corpo ciò che siamo. Dipende da noi. 

Per questo, senza voler giudicare nessuno, le uniche sensazioni che mi provoca questa pubblicità sono di tristezza e di solitudine. Quell’immagine rappresenta la povertà di chi non fa esperienza dell’amore che si fa comunione e si accontenta di un surrogato che dà l’illusione di appagamento ma che crea sempre più ferite nel cuore della donna o dell’uomo.

Antonio e Luisa

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Dall’Eucarestia la luce e la forza per capire e vivere da separato fedele

Oggi voglio fare un po’ di pubblicità al decimo Convegno Nazionale della Fraternità Sposi per Sempre, che si terrà a Loreto presso l’Istituto Salesiano, dal 10 al 13 agosto: l’obbiettivo non è quello di essere in tanti, ma di far arrivare la notizia e l’opportunità anche a quelle persone che, dopo la separazione vivono la solitudine, non solo di esser rimaste fisicamente sole, ma anche quella (e a volte fa più male) di non essere compresi.

Si, perché quando parli con qualcuno e confidi di aver scelto la fedeltà al coniuge e a Gesù, è probabile che ti prendano in giro o ti vogliano presentare qualche amica/o: cercare di spiegare è spesso inutile e una perdita di tempo. Tante persone che conosco hanno trovato molto giovamento nel conoscere la Fraternità e vi sono arrivate per varie strade, addirittura alcuni l’hanno trovata di notte su Internet, mentre cercavano qualcosa che potesse aiutarli, presi dalla disperazione e dall’insonnia. Quindi è possibile che quest’articolo venga proprio letto da qualcuno che è in cerca di “matti” come noi per condividere lo stesso cammino e la stesse fede (passare i tre giorni del Convegno con gente proveniente da tutta Italia (qualcuno anche dall’estero), alternando catechesi di don Renzo Bonetti, lavori in gruppo, momenti di preghiera e condivisione, è davvero molto bello e arricchente sotto tanti punti di vista).

Il titolo del Convegno sarà “Dall’Eucarestia la luce e la forza per capire e vivere da separato fedele”: abbiamo scelto questo tema, perché l’Eucarestia è un altro assurdo, come la nostra decisione di fedeltà. Come si può credere che un piccolo pezzo di pane possa contenere Dio? Come si può pensare che se prendo un’ostia e la divido in due parti, ognuno riceve tutto Dio?

Questo in matematica non torna, è contrario a quello che ci hanno sempre insegnato e che possiamo sperimentare nella pratica, ma effettivamente con Dio l’Amore non si divide, ma si moltiplica. Il nostro cervello si ribella a questo, il nostro cuore invece può intuirlo bene: io ho due figlie e l’amore che provo per loro non è quello totale diviso due, ma tutto per una e tutto per l’altra. Questo porta anche a comprendere che Dio ama tutti singolarmente, uno per uno, al massimo possibile. A riprova di questo, come dice don Renzo, basta notare che nessuno è mai riuscito a misurare l’amore, in una società odierna dove possiamo misurare qualsiasi altra cosa, anche complessa, come ad esempio il quoziente intellettivo.

Come l’Eucarestia è corpo dato per amore, pane spezzato, anche noi separati fedeli vogliamo in quest’ottica offrire il nostro corpo e il nostro servizio per il coniuge, per gli altri e per tutta la Chiesa (seppur con tutti i nostri grandi limiti e scarse capacità). Quindi se la comprensione della santa comunione aumenta, aumenta anche la comprensione della scelta che abbiamo fatto e del perché lo Spirito Santo ce l’ha messa nel cuore.

Inoltre, senza la santa comunione credo che un separato fedele riuscirebbe a fare poca strada, perché dà una forza straordinaria e una capacità di leggere quello che accade con una vista particolare, divina: al momento sembra di mangiare solo un piccolissimo pezzo di pane, ma poi ti rendi conto a volte che quello che riesci a fare o a dire non è proprio merito tuo, perché magari quella mattina ti sei alzato male e avresti mandato tutti “a quel paese” (è per questo che io consiglio sempre, se possibile, di andare alla messa la mattina, prima di andare al lavoro, in modo da poter affrontare tutte le sfide della giornata con una marcia in più). Sono convinto che don Renzo ci farà approfondire questo tema così importante e ci fornirà anche degli spunti pratici per permetterci di crescere anche in questo sacramento.

Ettore Leandri (Presidente Fraternità Sposi per Sempre)

Evangelizzare? È come il rugby.

Dagli Atti degli Apostoli (At 14,19-28) In quei giorni, giunsero [a Listra] da Antiòchia e da Icònio alcuni Giudei, i quali persuasero la folla. Essi lapidarono Paolo e lo trascinarono fuori della città, credendolo morto. Allora gli si fecero attorno i discepoli ed egli si alzò ed entrò in città. Il giorno dopo partì con Bàrnaba alla volta di Derbe. Dopo aver annunciato il Vangelo a quella città e aver fatto un numero considerevole di discepoli, ritornarono a Listra, Icònio e Antiòchia, confermando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede «perché – dicevano – dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni». Designarono quindi per loro in ogni Chiesa alcuni anziani e, dopo avere pregato e digiunato, li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto. Attraversata poi la Pisìdia, raggiunsero la Panfìlia e, dopo avere proclamato la Parola a Perge, scesero ad Attàlia; di qui fecero vela per Antiòchia, là dove erano stati affidati alla grazia di Dio per l’opera che avevano compiuto. Appena arrivati, riunirono la Chiesa e riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta della fede. E si fermarono per non poco tempo insieme ai discepoli.

Anche questa settimana ci troviamo di fronte ad una narrazione di fatti impressionante, forse siamo abituati a leggerla come fosse una bella favoletta a lieto fine, ma in realtà se provassimo per un attimo ad immergerci in queste descrizioni, seppur scarne, avvertiremmo tutta la portata di questi eventi.

Vogliamo solo rilevare alcuni particolari: innanzitutto si narra della lapidazione di S. Paolo come fosse la narrazione di uno che si allaccia le scarpe, ma la lapidazione non è mica un banale episodio di sfottò da parte di alcuni monelli di strada, inoltre Paolo viene trascinato fuori dalla città perché creduto morto. Trascinato non significa che abbiano usato la barella che usano in serie A per portar fuori dal campo gli infortunati, trascinato significa che è stato preso con tutta probabilità per le braccia e semi-rotolato su quel terreno sabbioso e ciottoloso – senza cura e senza alcun riguardo in quanto creduto morto – per decine di metri, vi lasciamo immaginare quanto dolore possa provocare quella simpatica ghiaietta sulle ferite – a viva pelle – ancora brucianti provocate dalla lapidazione, senza contare che il tragitto fino fuori le mura sarà stato accompagnato dagli sguardi indignati della gente appostata lungo i margini della strada, se non addirittura accompagnato dagli insulti e dagli improperi quando non da altri sassi.

Eppure viene liquidata l’intera faccenda con poche parole, perché? Perché il focus non è il dolore che Paolo sopporta per la sua fede in Cristo, il vero protagonista non è Paolo che come un antenato di Rambo si cuce da solo le ferite e riparte più forte di prima – ciò che non mi uccide mi rende più forte -, il vero protagonista è il Vangelo, la Buona notizia/novella – che viene predicato comunque e nonostante le molte tribolazioni. L’autore – S. Luca, l’evangelista – non si sofferma a descrivere i particolari delle ferite o delle altre tribolazioni sopportate da S. Paolo, eppure avrebbe potuto farlo essendo con tutta probabilità un medico; la parte dominante è l’incalzare dell’evangelizzazione, anche se per farlo, bisogna passare molti guai, la cosa importante è che La Parola corra veloce e che arrivi a tutti il più in fretta possibile.

L’urgenza è la salvezza delle anime, ma per ottenerla bisogna predicare la conversione e la fede in Gesù Cristo Figlio di Dio, risorto dai morti; e se la strada per evangelizzare è piena di sassi e di inciampi, irta e colma di pericoli nonché di fatiche di vario tipo, non ha importanza, la si percorre lo stesso, si rischia il tutto per tutto per la salvezza della anime; quando si intuisce la grandezza di essere discepoli del Signore, si è disposti a sopportare tutto pur di salvarsi e pur di salvare qualche altra anima.

Cari sposi, quante volte anche noi abbiamo avvertito questa urgenza all’interno delle nostre relazioni sponsali? O lasciamo andare le cose come vadano? Quante volte abbiamo sentito l’urgenza di salvare le anime dei nostri figli che magari stanno vivendo lontano da Dio? Certamente non possiamo oltrepassare la porta della coscienza altrui né con la prepotenza né con la superbia, ma almeno possiamo cominciare col rinnovare l’invito alla conversione, forse denunciare una situazione di peccato, soprattutto quando questo è mortale; ancor prima di fare questo sarebbe meglio mettere in preghiera – rafforzata dal digiuno – questa urgenza per chiedere al Signore di parlare con la Sua ferma dolcezza, di agire con la sua risoluta tenerezza, di essere Suoi strumenti per aprire una breccia nel cuore dei nostri cari.

Gli sposi inoltre sono come degli ambasciatori di Dio posti nel mondo in Sua vece, perciò ovunque essi si trovano a vivere, il mondo dovrebbe ricevere un annuncio simile a quello per cui S. Paolo è stato lapidato. Non a tutti è chiesto un annuncio a parole, ai più è chiesto un annuncio di vita vissuta nel matrimonio, conformi alla Grazia di questo sacramento. Se gli altri che vivono intorno a noi non si accorgono che siamo sposati in Cristo o nemmeno si accorgono che siamo cristiani, c’è qualcosa che non va nella nostra vita.

Coraggio sposi, quando si avverte che la cosa più preziosa di questa vita è viverla in funzione della salvezza e della costruzione del Regno di Dio, allora diveniamo simili a S. Paolo che non viene fermato da lapidazione, oltraggi, offese, naufragi, prigionie e molte altre tribolazioni. Impariamo dai giocatori di rugby che hanno lo sguardo puntato sulla meta, corrono il più veloce possibile con la palla in mano non curandosi di eventuali ostacoli che incontrano sul tragitto, l’importante è arrivare alla meta costi quel che costi.

Giorgio e Valentina.

Apertura all’amore

La Chiesa ci chiede di vivere il nostro incontro intimo in modo che sia “aperto alla vita”. Abbiamo già trattato in altri articoli questa tematica. Oggi vorremmo riprenderla per presentare una prospettiva diversa. Apertura alla vita intesa non solo come una semplice apertura alla procreazione, ma come apertura all’amore stesso. La nostra riflessione trae spunto dal Vangelo di ieri (domenica) nel quale Gesù, che è l’Amore, dice di sè stesso: io sono la via, la verità e la vita (Giovanni 14, 6).

IO SONO LA VIA

Tutto inizia con un cammino. Quando inizia una relazione affettiva ognuno arriva con le proprie convinzioni, idee, con la propria storia costellata di momenti gioiosi ma anche di sofferenza e di ferite più o meno aperte. Gesù ci chiede di essere radicali, ci chiede di deciderci e di metterci alla Sua sequela, di non tenere il piede in due scarpe ma di abbracciare il Suo insegnamento perchè è la strada per vivere in pienezza la nostra vocazione all’amore. Amore che si concretizza nel corpo. Alcuni di voi potrebbero pensare che Gesù non ha mai parlato di metodi naturali e anticoncezionali. E’ vero ma sappiamo bene come la Chiesa sia sposa di Cristo e come lo Spirito Santo parli attraverso di essa. Ricordiamo sempre che la legge morale non è una serie di regoline, limitazioni o divieti posti per chissà quale perverso desiderio di frustrare la gioia e la libertà delle persone. La legge morale non è altro che la descrizione di come siamo fatti, di cosa significa essere davvero uomo e davvero donna e di come possiamo essere realizzati e felici nelle nostre relazioni. L’apertura alla vita indica proprio questa pienezza. Perchè permette di vivere la sessualità per quello che è: la concretizzazione attraverso il corpo del dono totale del cuore dei due sposi. Il corpo diventa specchio del cuore, nella verità.

IO SONO LA VERITA’

Abbiamo terminato il paragrafo sulla via con la parola verità. Gesù è verità. Gesù è verità su tutto anche e soprattutto su come si ama fino in fondo, su come si è uomini fino in fondo. Anche l’intimità ha bisogno di verità. In una relazione matrimoniale è fondamentale. Da come si vive la sessualità nella coppia si può capire molto anche di tutto il resto. Perchè gli anticoncezionali non permettono di amare nella verità? L’abbiamo scritto diverse volte: non permettono il dono totale. I metodi naturali permettono di accogliere la propria sposa o il proprio sposo interamente nella sua fertilità femminile o maschile. Gli anticoncezionali escludono una parte della donna o dell’uomo lasciando spesso una sensazione negativa di incompiutezza e frustrazione.  C’è magari il piacere fisico ma viene a mancare una gran parte dell’unione profonda dei cuori. Manca l’ingrediente più importante. Quello che fa differenza. La differenza tra chi fa del sesso e chi concretizza, attraverso il corpo, l’unione intima che lega due sposi che vivono il loro matrimonio nel dono e nell’accoglienza autentica, piena e vicendevole. Manca il piacere che viene dalla comunione profonda dei due. Non c’è più verità tra cuore e corpo. Due sposi che si sono uniti per donarsi vicendevolmente tutto di sè come Gesù nell’Eucarestia poi, per essere realizzati e vivere in pienezza il matrimonio, hanno bisogno di concretizzare questo dono totale, senza riserve, attraverso il corpo. Solo così quel gesto porterà sempre vita.

IO SONO LA VITA

Vita in questo caso è sinonimo di amore perchè l’amore è sempre generativo. E’ un grande errore ridurre l’apertura alla vita alla sola procreazione. Certamente c’è anche quella, ma la fecondità dell’amore è molto di più della procreazione. E’ così che, quando il gesto è vissuto nella giusta via e nella piena verità, accade il miracolo. I due non sono più due ma sono uno. Sono una carne sola. Un sol corpo e sol cuore. Fanno esperienza nell’amplesso fisico di una comunione profonda che permette loro di rendere visibile e tangibile ciò che il matrimonio ha operato nel loro cuore. Vivere l’incontro intimo così genera sempre nuova vita-amore. Gli sposi si nutrono direttamente al loro sacramento per portare frutto nel mondo. L’amplesso fisico vissuto castamente (nel dono totale e nella verità) è non solo gesto sacramentale e liturgico ma redentivo. I due sposi si fanno santi anche attraverso l’amplesso fisico. Portano l’amore di Dio nella loro famiglia e nel mondo che li circonda. Perchè quell’amore di cui fanno esperienza poi viene donato. Donato al coniuge nei giorni a venire, ai figli e a tutte le persone che i due sposi incontreranno.

Vi rendete conto cosa significa essere aperti alla vita? Non è un obbligo ma è una scelta che riguarda tutta la nostra relazione e non solo il modo con cui abbiamo rapporti.

Antonio e Luisa

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E che ci vuole per sposarsi?

Cari sposi,

            la Parola di oggi esordisce con uno spaccato di vita ordinaria della primissima comunità cristiana. Dinanzi al problema di come aiutare le vedove, gli apostoli si trovano però in difficoltà. Dedicarsi a tempo pieno a preparare le omelie oppure distribuire focacce e vestiti a queste povere signore? Non bastava più il tempo per entrambe le cose, come spesso accade a tanti sacerdoti oggi, divisi tra la pastorale e la burocrazia parrocchiale. La soluzione non è poi così “geniale” agli occhi nostri, ma attenzione: quella che potrebbe sembrare un semplice incarico e una mansione molto terra terra, divenne un vero e proprio ministero istituito – il diaconato -, nientemeno che il primo grado dell’ordine sacerdotale. Pensate a questo: per poter servire la comunità cristiana non basta solo trovare del tempo libero e avere un po’ di buona volontà ma nientemeno che l’essere investiti dalla Potenza dello Spirito Santo! Già qui ci sarebbe tanto da riflettere…

Ecco allora qui uno stupendo assist al matrimonio. In effetti, il diaconato nella Chiesa è stato successivamente compreso come il primo gradino verso il sacerdozio e i diaconi in tal modo rientrano in un vero e proprio “ordine” (cfr. Catechismo, 1537), cioè una categoria specifica nella Chiesa, in forza della consacrazione dello Spirito Santo. Ma anche voi sposi carissimi formate un ordine, una comunità all’interno della Chiesa (cfr. Catechismo, 1631). Siete così a tutti gli effetti quel popolo sacerdotale, quella nazione santa di cui parla S. Pietro nella Seconda lettura e il Signore vi ha costituiti tali con il Suo Spirito. E per cosa? Per proclamare le Sue opere ammirevoli.

A questo punto potreste sentirvi un po’ persi: “che opere annunciamo io e il mio coniuge? Magari qualche disastro” può dire qualcuno… e invece voi sposi avete il dono di essere annunciatori di una grandissima opera di Dio. Voi siete riflesso del volto trinitario di Dio, potete essere per noi Chiesa una carezza di Gesù, uno sguardo Paterno, un soffio di Spirito. Un dono, in definitiva, che attende di essere messo in opera. Voi siete, cari sposi, quel volto paterno di Dio, e lo siete non solo per i figli che Lui vi ha concesso, ma lo siete anche per tutta la Chiesa nella quale vivete. Ecco la “opera ammirevole” per la quale il Signore vi ha costituito un “ordine”, una corpo unito nella Chiesa; Egli vi concede di rendere sensibile e usufruibile la presenza di Dio con il vostro amore fedele e fecondo.

Tornando ai diaconi, si coglie un interessante parallelo con voi sposi. Infatti, ci voleva tanto per organizzare una piccola Caritas per le vedove, al punto da scomodare lo Spirito Santo? Analogamente, che bisogno c’è dello Spirito per volersi bene, avere figli ed educarli, se in fin dei conti è ciò che le coppie fanno fin dalla preistoria e se tutto ciò è qualcosa di spontaneo? Ebbene sì, ci vuole lo Spirito, non solo per essere sposi ma soprattutto perché facendo le stesse cose di tutte le coppie di ieri e oggi, voi “proclamiate le Sue opere ammirevoli”. Solo con lo Spirito tutto lo sforzo e l’amore ci mettete o ci vorreste mettere in quello che fate acquista un valore soprannaturale ed eterno e rende la vostra coppia “«scultura» vivente” proprio perché “capace di manifestare il Dio creatore e salvatore” e così diventare “il simbolo delle realtà intime di Dio” (cfr. Amoris Laetitia, 11).

ANTONIO E LUISA

Padre Luca l’ha toccata piano. Ci ha soltanto detto che da come ci amiamo noi sposi nella vita di tutti i giorni si dovrebbe “vedere” il modo di amare di Dio. Una cosa da niente. Ma se ci pensate bene è proprio così! Ed è così proprio perchè non siamo perfetti. Il matrimonio è immagine dell’amore di Dio che è perfetto. Non perchè siamo perfetti noi sposi, ma perchè la nostra imperfezione, i nostri errori, i nostri limiti e le nostre debolezze, quando vissuti nell’abbandono a Dio e nella Grazia di Dio, sono motivo per perdonare, per amare gratuitamente e senza merito alcuno il nostro coniuge. Questo è l’amore misericordioso di Dio. Questo è quell’amore di cui noi sposi siamo chiamati ad essere immagine.

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Pinocchio /2

Terminato l’iniziale incontro alquanto burrascoso tra “quel pezzo di legno” e Mastro Ciliegia, ecco che il secondo capitolo comincia con un altro falegname, amico del primo, il quale bussa alla porta della bottega, teatro di un improbabile tafferuglio. Entra quindi in scena un secondo lavoratore del legno, il famoso Geppetto, il quale, a differenza di Mastro Ciliegia, ha già un’idea in testa: “Ho pensato di fabbricarmi da me un bel burattino di legno; ma un burattino maraviglioso, che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali.“.

Questa frase sembra solo uno stratagemma letterario per passare la palla a Geppetto, quasi che l’autore non avesse più idea di come far proseguire l’iniziale baruffa tra Mastro Ciliegia e il pezzo di legno; all’inizio infatti ci è sembrato di intuire che a volte anche noi facciamo così: quando non riusciamo a “trattare” con i nostri figli o con il nostro coniuge, cominciamo una battaglia, e nel bel mezzo di questa capita di voler gettare la spugna, un po’ come se aspettassimo un nostro Geppetto che finalmente ci liberi da questa fatica. E’ a questo punto che partono frasi del tipo: “Ma chi me l’ha fatto fare di sposarti?… aveva ragione mia mamma , mi aveva messo in guardia… ecc… “, ci sembra che l’altro sia come un’armadio dell’Ikea che non riusciamo a montare senza istruzioni, ci pare impossibile addirittura averlo scelto al negozio e di averlo già tra i piedi in casa… e invochiamo un fantomatico Geppetto che bussi alla porta e se lo/a prenda.

Cari sposi, a volte nel matrimonio si vivono momenti così, ma per capire come uscirne non dobbiamo invocare il nostro Geppetto, ma chiederci se non siamo noi ad essere come Mastro Ciliegia, se non siamo noi ad aver perso lo sguardo sul nostro coniuge, quello sguardo che intravede già un burattino. Continuando però nella riflessione su questo inizio del capitolo secondo, si può notare come salti all’occhio una differenza sostanziale tra i due falegnami: Mastro Ciliegia non sa che farsene di quel pezzo di legno e se ne vuole disfare, Geppetto, al contrario ha già un’idea in mente, viene alla porta di Mastro Ciliegia spinto proprio da quell’idea.

Il suo approccio è totalmente diverso perché ha un progetto molto ardito, ci vuole infatti molta immaginazione per intravedere dentro un pezzo di legno da stufa un burattino che sappia ballare. Se ci pensiamo bene Geppetto sta addirittura come raffigurazione di Dio Padre. Ed ognuno di noi in fondo è come quel pezzo di legno, del quale il Creatore ha deciso di farne un burattino che sappia ballare, su ognuno di noi c’è un progetto ardito e ben definito, ognuno di noi è stato pensato e fortemente voluto da Qualcuno prima di noi. Praticamente Pinocchio esisteva nella mente di Geppetto ancora prima di esistere, ancor prima di uscire da quel legno; similmente ognuno di noi esisteva nel pensiero di Dio dall’eternità.

Quando ero piccolo sentivo i racconti di fatti della mia famiglia accaduti prima che io nascessi, e la risposta alla mia faccina esterrefatta che sentivo spesso rivolgermi era: “Tu eri ancora in mente Dei“. Col tempo ho capito la profondità di tal modo di dire, perché è vero che prima ancora che ognuno di noi venisse all’esistenza era già in mente Dei, cioè nella mente di Dio, nei Suoi progetti, nelle Sue intenzioni.

E questa consapevolezza è la prima fonte di gioia della vita: la gioia di sapermi visto, voluto ed amato da sempre. Di fronte alle domande sulla nostra origine ci sono solo due strade: o tutto è un caso oppure tutto è stato voluto, tertium non datur, cioè la terza soluzione non esiste. Se volessimo seguire la strada del caso fino alle sue estreme conseguenze, tenendo come bussola il caso, rimanendo coerenti con questa tesi, finiremmo nella più desolata delle disperazioni, non troveremmo senso neanche dentro il più bello degli amori, dentro la più bella esperienza di affetto o di amicizia, e nemmeno si spiegherebbe il desiderio di infinito che alberga dentro il nostro cuore.

Al contrario, la visione di un Dio che, per sua libera ed insindacabile decisione decide di crearmi – senza chiedermene il permesso – è sicuramente eccedente ad ogni umana comprensione, ma è un mistero che illumina l’intera esistenza. Il motivo per cui il Creatore abbia deciso di creare me tra le molteplici ed infinite possibilità che aveva a disposizione resta oscuro alla mia ragione, l’unica risposta ragionevole è l’amore; alla radice della mia esistenza c’è un puro atto di amore incondizionato ed infinito perché la mia venuta all’esistenza non ha nessuna giustificazione convincente.

Facciamo un’ultima riflessione: se la radice del nostro essere è eterna, l’unico destino della nostra vita non può che essere eterno; in Dio infatti tutto esiste da sempre senza evoluzioni o successioni, ne sovviene che chi in qualche modo affonda le proprie radici nell’eternità, è fatto per vivere eternamente. La ragionevolezza della vita eterna quindi trova la sua spiegazione nell’atto creativo di Dio, in Lui l’inizio e la fine sono correlati, poiché in realtà inizio e fine sono categorie dell’umano pensiero, ma in Dio coincidono essendo in Se stesso infinito ed eterno.

Cari sposi, ogni tanto fermiamoci a ringraziare il Signore che – nonostante le nostre reticenze – ci ha donato il coniuge che da sempre ha pensato per noi, non ce n’era un altro migliore, ci ha donato quello perfetto, non perfetto in sé stesso, ma perfetto per amare solo noi e per lasciarsi amare solo da noi di un amore sponsale che deve avere il sapore dell’amore di Dio. Ma questo vale anche in relazione ai nostri figli: di genitori migliori di noi ce ne sono a bizzeffe, ma Lui ha scelto di fidarsi di noi perché solo noi abbiamo le caratteristiche perfette per amare quei figli, quelli e non altri, per realizzare il Suo progetto su quei figli ha bisogno di noi come genitori, nonostante – ma anche attraverso – le nostre povertà, le nostre fragilità, i nostri sbagli.

Coraggio sposi, non stiamo semplicemente insieme per il capriccio casuale di forze anonime alle quali siamo indifferenti, ma siamo uniti in virtù di una trascendente volontà di comunione che sta all’origine della nostra esistenza. Parafrasando le parole di Geppetto, il Creatore direbbe: “Ho pensato di fabbricarmi da me una coppia di sposi che…“.

Giorgio e Valentina.

Mio marito è attratto da altre donne. Lo vivo come un tradimento

Oggi rispondo ad un messaggio arrivato sotto un altro articolo. In questo articolo ho scritto di essere attratto da tante donne anche adesso che sono sposato. La lettrice mi ha quindi scritto: riguardo la tua frase “(…) seppur io mi senta attratto da tantissime donne(…)”:vorrei essere aiutata a comprendere e accogliere questa realtà. Io lo vivo come un tradimento.

Mi sono preso del tempo per rispondere a questa richiesta. Non è facile perchè mi obbliga a mettere a nudo alcune mie debolezze che dipendono da ferite del passato. Ma non solo questo! C’è qualcosa che caratterizza noi maschi e ci differenzia dalle donne. E questo spesso voi donne non lo prendete in considerazione o proprio non lo sapete. Viviamo in una società che cerca di appianare ogni differenza, che ci dice che uomo e donna sono esattamente uguali ed intercambiabili. Non è così! Abbiamo un cervello completamente differente e reagiamo in modo differente alle stimolazioni esterne. Siamo biologicamente differenti e questo non lo si prende mai in considerazione. Vi darò ora alcune informazioni che possono essere utili ad una riflessione personale e di coppia.

Il testosterone fa la differenza. Non si tratta di accampare scuse o di giustificare dei comportamenti sbagliati. È semplice e pura biologia. È oggettivo. L’uomo è biologicamente più portato a pensare al sesso. Raggiunta la pubertà, noi uomini abbiamo dieci volte il testosterone delle donne. Il testosterone è l’ormone sessuale più importante che resta, in noi maschi, in quantità elevate fino ai 30 anni e poi tende a diminuire molto lentamente (circa 1% all’anno). Questo significa che influenza le pulsioni maschili ben oltre i 30 anni. Questo care donne significa che essere attratti da altre creature di sesso femminile è normale, risponde ad una pulsione biologica. Ciò che fa la differenza è come reagiamo a quella pulsione. Ma la pulsione non dipende da noi, fa parte di noi.

La vista fa la differenza. Anche in questo, care rappresentanti dell’altro sesso, siamo completamente differenti. L’uomo ha negli occhi un vero e proprio stimolante sessuale. L’uomo si eccita con la vista. Per la donna la vista ha un impatto meno importante. Anche questo è un fattore non indifferente. La donna si sente stimolata dal corteggiamento, dal sentirsi al centro delle attenzioni dell’uomo. Per lei è importante sentirsi preziosa. Certo l’uomo deve piacere fisicamente ma quello è solo l’inizio. Per l’uomo invece spesso basta la vista di una donna con determinate caratteristiche fisiche per sentirsi attratto. Certo sta anche a noi uomini non esprimere in modo troppo evidente questa attrazione. Il modo può certamente ferire nostra moglie.

La pornografia ha una forza dirompente. La pornografia va ad accentuare le caratteristiche sopra descritte. Vi do solo due dati che sono rilevanti rispetto alla tesi che voglio presentare. L’uso di pornografia è prevalentemente maschile. Solo ultimamente sta crescendo la quota femminile che si attesta, secondo le ultime ricerche, ad un terzo del totale. La quota sta crescendo non solo per un minor stigma sociale (non ci si vergogna più) o per una facilità maggiore nell’accesso, ma anche per una maggior attenzione dei produttori a dare ciò che le donne cercano. I video pornografici per un pubblico femminile sono costruiti in modo diverso. I video per le donne mostrano un rapporto sessuale con la donna al centro dei preliminari, e colmo di di attenzioni tenere e romantiche del partner. Comunque l’uso della pornografia da parte dell’uomo crea una incapacità a vedere la donna nella sua interezza di persona, ma “educa” a guardare la donna come oggetto. Purtroppo la pornografia lascia delle conseguenze anche quando si smette di guardarla. L’uomo che ha visto pornografia farà più fatica a guardare la donna nella sua interezza.

Tutte queste premesse per arrivare alle conclusioni. L’uomo che si sente attratto sessualmente da donne diverse dalla moglie non è un porco o una persona poco seria. È semplicemente un uomo con tutte le sue caratteristiche che sono differenti da quelle femminili. Un uomo che, nella maggior parte dei casi, ha fatto o fa ancora uso di pornografia ed è ferito e quindi fa ancor più fatica ad avere uno sguardo limpido. Ciò che la donna dovrebbe comprendere è proprio questa differenza. Perche se comprende ed accoglie questa differenza poi non ci rimane male. Quello che non deve fare la donna, è mettere se stessa in discussione, come se lui guardasse un’altra perchè lei non è abbastanza per lui. Non è così (almeno di solito). Io ho la fortuna di poterne parlare liberamente con Luisa. Mi capita qualche volta anche di scherzare con lei. Di dirle cose del tipo: visto quella che carina. Mi serve per creare vicinanza e complicità. Per rimettere mia moglie al centro dei miei pensieri. Lei ormai ha capito e non se la prende. Il peccato non sta nella tentazione ma nel dare corda a quella tentazione. Io vedo tantissime donne da cui mi sento attratto ma tutto resta lì. Basta non dare peso, non alimentare quell’attrazione e pensare a mia moglie. Luisa ormai è per me la più bella. Non perchè lo sia oggettivamente. Ci sono tantissime donne fisicamente più giovani e belle di mia moglie. È la più bella soggettivamente, per me. Per come la conosco, per come tutto il suo corpo è trasfigurato ai miei occhi da tutto l’amore che ci siamo dati. Lei per me non è solo un corpo ma è Luisa nella sua interezza di corpo, anima, sensibilità, cuore. Il suo corpo esprime la bellezza di tutta la sua persona. Per questo lei per me è l’unica e non sento il desiderio di fare l’amore con un’altra che non sia lei.

Antonio e Luisa

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L’uomo che lava i piatti è meno uomo?

Oggi scateniamo un po’ di polemiche. Naturalmente spero di non farlo, ma quando si prova a riflettere su questi temi spesso le discussioni si accendono. Forse perchè abbiamo delle idee radicate che poi influenzano tutta la nostra quotidianità e le nostre relazioni ed è quindi difficile metterle in discussione. Riporto una frase pronunciata durante un’intervista a Domenica In da Laura Chiatti, un’attrice abbastanza conosciuta ed apprezzata in Italia. Laura ha detto esattamente queste parole: “L’uomo che fa il letto o lava i piatti mi uccide l’eros”.

Premesso che si tratta di una frase estrapolata e, come dalla stessa attrice poi specificato, detta in modo scherzoso e goliardico, esprime comunque un concetto caro ad una fetta di italiani. Un concetto che piace a quella parte di popolazione più conservatrice e cristiana, di cui non mi vergogno di fare parte. Ciò è confermato dal fatto che Pillon e Adinolfi hanno ripreso queste parole esprimendo sui social la propria soddisfazione per questa presa di posizione da parte di una donna che apprezza la virilità di un uomo che fa l’uomo in casa.

In questo caso però, caro Pillon e caro Marione Adinolfi (ti voglio comunque bene), non sono d’accordo con voi. L’uomo virile non è quello che in casa ha il ruolo di essere servito. Quello di solito è un mammone che cerca di trovare nella moglie un surrogato della mamma. La differenza tra uomo e donna esiste ma non si concretizza nel confinare in ruoli prestabiliti i due sessi. Mi spiego meglio. Io posso tranquillamente pulire casa, ciò che mi differenzia da mia moglie è il modo e l’atteggiamento con cui lo faccio. Esistono delle predisposizioni più maschili o più femminili per determinate attività, ma ciò non significa che l’uomo non possa fare determinati lavori. Fino ad alcuni anni fa la donna si occupava prevalentemente della casa perchè non lavorava fuori. I ruoli erano ben definiti. Oggi non è più così. Non sta a me dire se sia meglio o peggio. Anche perchè se prima la donna era “obbligata” a stare a casa, ora è “obbligata” a lavorare perchè uno stipendio in casa non basta. Mia moglie mi ha più volte confidato che le sarebbe piaciuto fare la casalinga e occuparsi dei figli. Invece ha dovuto lasciare i figli ad altri per occuparsi dei figli degli altri (è un’insegnante). Anche questa non è libertà. Come non lo era prima. L’unica eccezione dove esistono ruoli che è meglio non modificare è nell’ambito genitoriale. Mamma e papà sono differenti e questa differenza è fondamentale per la crescita sana dei figli. Ma non mi soffermo su questo aspetto. Ci sarebbero troppe cose da dire.

Ma quindi come è un uomo virile? Ce lo dice il Vangelo in Efesini 5:  E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei. Già perchè di solito noi uomini facciamo fatica a donarci completamente. Abbiamo questo egoismo marcato che ci spinge ad usare nostra moglie Non voglio affermare che noi uomini siamo tutti egoisti mentre le donne tutte perfette. Come in tutta la complessità umana esistono varie sfumature, ma è altrettanto vero che noi uomini siamo mediamente più egoisti. Quindi l’uomo virile è quello che è capace di morire per la moglie. E’ capace di voler bene alla moglie, di volere il suo bene. Di farsi servo per amore. Infatti in Efesini troviamo scritto anche:  il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa. Una frase che sembra il massimo del maschilismo e del patriarcato ma che esprime invece la bellezza dell’amore. Già perchè ci viene chiesto di essere capo ma al modo di Gesù. Gesù si è inginocchiato e ha lavato i piedi ai discepoli. Questo è il modo che un vero uomo deve adottare per manifestare la sua virilità.

Quindi l’uomo virile è quello capace di sacrificio, di servizio, di cura, di tenerezza verso la propria sposa. Quello che desidera nel profondo del cuore la felicità della persona che ha accanto. Io sono grato a Luisa per tutto quello che fa ma vedo anche la fatica che le costa. Collaborare non è solo un dovere verso di lei e verso la famiglia ma è il modo più concreto per amarla. Quindi lavare i piatti, fare i letti, pulire casa non solo mi rende più uomo ma mi rende più cristiano. Perchè ogni gesto d’amore compiuto nel matrimonio è un gesto sacro, è un sacrificio offerto a Dio.

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Serve un comandamento per amare?

Sono di ritorno dall’incontro nazionale dell’associazione di cui Luisa ed io facciamo parte da ormai 15 anni, l’Intercomunione delle famiglie. Come sempre accade, sono stati tre giorni di grazia e di amicizia. Quest’anno abbiamo avuto il piacere di ospitare Giuseppe Spimpolo. Non lo conoscevo ed è stato amore a prima vista. Amore per la passione con la quale ci ha portato le sue conoscenze e la sua testimonianza di sposo, genitore (di 5 figli) ed educatore. Amore per la verità e per la bellezza che è riuscito a raccontare. Amore per l’amore che Giuseppe ha per sua moglie, che traspariva limpido e che ne ha fatto un testimone credibile. Giuseppe è insegnante di religione, ricercatore universitario (filosofia) e educatore dell’Istituto per l’Educazione alla sessualità e alla Fertilità (INER) di Verona. Ho deciso quindi di riprendere la sua catechesi e farne diversi articoli. Non solo riportando fedelmente le sue parole ma cercando di elaborarle e facendone una riflessione anche mia.

In questo primo articolo mi soffermo su Genesi 2, in particolare su un versetto: Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra. Giuseppe qui ha lanciato una provocazione importante. Era necessario che Dio desse questo primo comandamento? Che Dio dovesse dire, anche con imperativo che non lascia molte repliche, cosa dovessero fare uomo e donna? Giuseppe ci ha fornito anche un piccolo suggerimento. Ci ha invitato a cercare la risposta nella bellissima enciclica di papa Benedetto Deus Caritas est. Questa enciclica è il primo documento di un pontefice in cui potete trovare la parola eros come manifestazione dell’amore. Qualcosa quindi di molto concreto. Io sono andato a riprendere il documento in questione. Mi sono lasciato provocare da un paragrafo in particolare che vi riporto:

Due sono qui gli aspetti importanti: l’eros è come radicato nella natura stessa dell’uomo; Adamo è in ricerca e « abbandona suo padre e sua madre » per trovare la donna; solo nel loro insieme rappresentano l’interezza dell’umanità, diventano « una sola carne ». Non meno importante è il secondo aspetto: in un orientamento fondato nella creazione, l’eros rimanda l’uomo al matrimonio, a un legame caratterizzato da unicità e definitività; così, e solo così, si realizza la sua intima destinazione. All’immagine del Dio monoteistico corrisponde il matrimonio monogamico. Il matrimonio basato su un amore esclusivo e definitivo diventa l’icona del rapporto di Dio con il suo popolo e viceversa: il modo di amare di Dio diventa la misura dell’amore umano. Questo stretto nesso tra eros e matrimonio nella Bibbia quasi non trova paralleli nella letteratura al di fuori di essa.

Cosa ci vuole dire il Papa? Io vi fornisco la mia interpretazione.

Dio vuole un amore che sia anche nella carne. L’eros non è una tentazione. L’eros non è qualcosa da rifuggire, l’eros non ci allontana da Dio, ma è stato Dio stesso a donarci questo modo di amare: l’eros è come radicato nella natura stessa dell’uomo. Noi cristiani siamo gli unici a credere in un Dio fatto carne. Un Dio che ha preso un corpo e che ha manifestato l’amore attraverso il Suo corpo. Gesù amava con lo sguardo, con le parole, con le mani, con tutto il suo corpo. L’eros è ciò che ci spinge ad aprirci ad una relazione. L’eros è il motore che ci dà la spinta ad uscire dalla nostra solitudine per fare esperienza della relazione con un’alterità e che permette poi l’amore. Non ci può essere amore senza relazione. Per questo Dio non è da solo ma sono Tre Persone. Perchè Dio è amore e l’amore è possibile solo nella relazione. Quindi non guardiamo l’eros come un pericolo. L’eros è parte dell’amore ed è quindi parte del dono più grande che Dio ci ha fatto. Ma l’eros è solo una parte dell’amore. E’ un anticipo di bellezza. Ci fa pregustare ciò a cui siamo chiamati. Ce lo fa desiderare. Il peccato sta nel ridurre l’amore alla sola parte sensibile. Lì poi si annida l’incompiutezza e la povertà. Quindi il comandamento di Dio in Genesi ci dice proprio di andare fino in fondo alla nostra chiamata all’amore. Ci dice di non accontentarci!

La pienezza dell’amore è nel matrimonio. L’eros permette di aprirci, ci spingi fuori dalla nostra solitudine ma è solo un assaggio della bellezza. Poi l’amore si completa nel matrimonio. Non meno importante è il secondo aspetto: in un orientamento fondato nella creazione, l’eros rimanda l’uomo al matrimonio, a un legame caratterizzato da unicità e definitività; così, e solo così, si realizza la sua intima destinazione. Noi abbiamo la nostaglia di una destinazione. Abbiamo la nostalgia di un amore che sia unico e definitivo. Un amore che troveremo pienamente solo in Dio ma che possiamo assaporare già su questa terra attraverso il matrimonio. Il matrimonio è l’opportunità che Dio ci offre di fare esperienza del Suo amore già su questa terra. Certo in modo limitato ed imperfetto ma comunque meraviglioso. Il matrimonio è caraterizzato da una relazione davvero totale (anima, corpo e psiche) e da un amore completo (eros, agape e filia). Un amore dove l’eros diventa espressione del dono (dell’agape) e dove il corpo sessuato (maschio e femmina) diventa luogo della comunione e per questo capace di essere fecondo.

Mi spiace quando vedo il matrimonio ridicolizzato e banalizzato. Mi spiace quando constato che tanti giovani hanno paura di sposarsi o non vedono la bellezza del matrimonio. Mi spiace perchè tanti rinunciano alla più grande occasione che Dio può dare loro di fare un’esperienza di Lui nella vita. Qualcuno diceva che nell’amore si può perdere ma chi non ci prova ha perso in partenza. Non vale la pena provarci?

Antonio e Luisa

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La persecuzione feconda.

Dagli Atti degli Apostoli (At 11,19-26) In quei giorni, quelli che si erano dispersi a causa della persecuzione scoppiata a motivo di Stefano erano arrivati fino alla Fenicia, a Cipro e ad Antiòchia e non proclamavano la Parola a nessuno fuorché ai Giudei. Ma alcuni di loro, gente di Cipro e di Cirène, giunti ad Antiòchia, cominciarono a parlare anche ai Greci, annunciando che Gesù è il Signore. E la mano del Signore era con loro e così un grande numero credette e si convertì al Signore. Questa notizia giunse agli orecchi della Chiesa di Gerusalemme, e mandarono Bàrnaba ad Antiòchia. Quando questi giunse e vide la grazia di Dio, si rallegrò ed esortava tutti a restare, con cuore risoluto, fedeli al Signore, da uomo virtuoso quale era e pieno di Spirito Santo e di fede. E una folla considerevole fu aggiunta al Signore. Bàrnaba poi partì alla volta di Tarso per cercare Sàulo: lo trovò e lo condusse ad Antiòchia. Rimasero insieme un anno intero in quella Chiesa e istruirono molta gente. Ad Antiòchia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani.

Anche in questo brano degli Atti troviamo un elenco di fatti che apparentemente potrà sembrare scarno, ma è alquanto essenziale per capire alcune dinamiche dell’evangelizzazione. Antiochia è diventata famosa perché è la città nella quale per la prima volta i discepoli di Gesù Cristo furono chiamati cristiani, ma come ha fatto il Vangelo ad arrivare in questa città benedetta sì da meritarsi un anno di predicazione del grande Apostolo delle genti, San Paolo, insieme al suo inseparabile Barnaba, ci viene raccontato in questo brano.

Tutto parte da alcune persone di Cipro e di Cirene, i quali, trasgredendo la consuetudine di allora, cominciano ad evangelizzare ai gentili, cioè ai non-Giudei. E il Signore benedisse questa apparente noncuranza delle “regole degli evangelizzatori”, questa sfrontatezza di permettersi di parlare ai non-Giudei. Ma possiamo premiarli semplicemente come dei pionieri dell’evangelizzazione oppure liquidarli alla stregua di sprovveduti a cui è semplicemente andata bene?

Nessuna delle due ipotesi sarebbe rispettosa di questi discepoli, essi infatti non sono degli improvvisatori ma hanno seguito l’intuito che lo Spirito Santo ha messo nei loro cuori, ma questo intuito non è venuto dal nulla come per incanto. Essi erano sfuggiti alla persecuzione causata da Stefano – ve lo ricordate quello che onoriamo il 26 Dicembre ed è definito il protomartire? – tra molte tribolazioni e pericoli, hanno viaggiato con prudenza e coraggio fino a giungere ad Antiochia. Quando si sopravvive ad una persecuzione – soprattutto una di quelle cruenti – non si può restare a braccia conserte aspettando il tempo che passa; è probabile che questa gente abbia conosciuto direttamente Stefano, in ogni caso, il fatto di essere sopravvissuti ad una persecuzione nonché ad un viaggio rischioso ed insidioso, avrà interrogato i loro cuori, e loro hanno risposto generosamente a questo appello della coscienza, hanno ricevuto nuova forza e coraggio dallo Spirito Santo per evangelizzare in questa nuova città anche i non-Giudei.

Cari sposi, di sicuro molti di noi sono “sopravvissuti” a tante tribolazioni, forse non a persecuzioni cruente, ci sono molte coppie che sono “risorte” dopo anni di relazione morta, ci sono sposi che hanno perdonato tradimenti nel silenzio del proprio cuore, nella totale indifferenza del mondo, forse, ma non sono indifferenti al Signore. Oggi ci rivolgiamo particolarmente a questi sposi: vi siete mai chiesti perché siete “sopravvissuti”?

Forse il Signore vi sta chiedendo di andare ad evangelizzare la vostra “Antiochia”, non lasciate cadere invano la richiesta dello Spirito Santo ad essere Suoi testimoni veraci, basta rispondere con generosità all’appello del Signore, almeno come atto di giustizia a Colui che un tempo si è mostrato tanto generoso con voi da donarvi un “nuova vita”.

Alla fine di questo brano si capisce cosa intende la Chiesa quando ci insegna che le persecuzioni sono feconde, quando ci insegna che il sangue dei martiri diventa come il fertilizzante che nutre e fa germogliare la terra: tutto nasce dal martirio di Santo Stefano e dalla persecuzione scoppiata a causa sua, questa gente scappa fino ad Antiochia, lì giunge Barnaba, il quale chiama pure San Paolo, si fermano almeno un anno ed il Vangelo comincia ad essere predicato ai non-Giudei. Tutto è partito dal martirio di Santo Stefano, se ci pensiamo bene noi che non siamo dei Giudei siamo stati evangelizzati grazie a questa vicenda narrata in questo brano, poteva Stefano immaginarsi che il suo sacrificio sarebbe stato così fecondo? No di sicuro!

Coraggio sposi, quando siamo perseguitati, quando stiamo vivendo un sacrificio per Cristo, non temiamo di vivere senza un senso, perché il Signore sa rendere fecondo ogni nostro piccolo gesto di amore per Lui, anche se noi non vedremo i frutti con i nostri occhi.

Giorgio e Valentina.

Il cristiano medio e il matrimonio

Oggi permettetemi un articolo un po’ diverso dal solito. Mi sono immaginato il cristiano medio italico davanti al matrimonio. Ho provato a ragionare con la mentalità del nostro tempo. Non che io mi creda migliore. Semplicemente ho avuto la grazia di incontrare persone che mi hanno fatto capire e una moglie eccezionale. Altrimenti sarei anche io dentro questo modo di pensare. Ne è uscito un quadro direi desolante dove il sacramento non è che un rito senza sostanza. Dove love is love. Finché c’è il love naturalmente. Dove la promessa non sono che parole vuote, dette senza consapevolezza. Quanti si sposano davvero convinti di voler restare sempre e comunque, anche se l’altro li abbandonasse? Credo molto pochi.

Ho appena finito il corso prematrimoniale. Una rottura di scatole. Non vedevo l’ora finisse. Non ci ho capito nulla. Certo che ne hanno dette di cose. Ho solo una domanda: perché mi devo sposare in chiesa? No perché non so se ne vale davvero la pena. L’amore cristiano è davvero qualcosa di strano. Questo Gesù che per amore di gentaglia che non merita nulla, che lo tradisce, si lascia umiliare, picchiare e addirittura uccidere sulla croce. Lo fa per amore e, secondo la nostra fede, attraverso questo amore che viene offerto a chi ne è indegno, redime e salva il mondo. E’ ben strana questa cosa. Non è finita qui. Fosse solo questo. Gesù pretende che anche noi facciamo altrettanto. Chiede ad ognuno di noi di amare in quel modo. Ma siamo matti! Un Dio che si rispetti non mi può volere infelice. Figurati se il matrimonio può essere una croce. No! Non se ne parla. Se non sono felice mollo tutto e cerco altrove. D’altronde Dio a cosa serve? A rendermi felice. E allora come la mettiamo?

Il bello è che chiede proprio a noi sposi di amare così. Lo chieda ai suoi preti! E invece no. Lo chiede in particolare a noi sposi. Bella fregatura insomma averci appioppato il compito di essere icona di Dio, immagine del Suo amore. E si! Come se io fossi un povero cretino che accetta di salire in croce per amore. Scusa Gesù nessuna allusione a te, sia chiaro. Tu puoi, sei Dio, ma io sono un povero uomo. Io voglio essere felice, mi accontento di poco. Vorrei trovare una donna che mi faccia stare bene, che sia disponibile, che quando ho voglia faccia l’amore con me, che mi cucini bene, che mi lasci guardare le partite di Champions senza chiedermi di aiutarla a piegare le lenzuola (sembra lo faccia di proposito, arriva sempre in quel momento). Insomma voglio una donna che mi dia tutto quello che mi manca senza rompere troppo. Non voglio stravolgere la mia vita.

L’amore non è forse questo? Stare bene insieme. Naturalmente stare bene insieme significa che sto bene io. D’altronde l’amore è quella cosa che non puoi governare. Ti viene e così come è venuto se ne va. Non ti amo più, non sento più nulla. Non è colpa mia. Forse è colpa tua che non sei più quella di prima. Non sei quella che credevo tu fossi. Sei sempre insoddisfatta, dici che non ti faccio sentire amata, che non mi prendo cura di te. Cosa pretendi? Devo lavorare e poi lasciami respirare un po’. E poi la dico tutta, è passato qualche anno e non sei più così bella. Non hai più quel seno sodo, è diventato un po’ cadente. E in viso si vede qualche ruga e in testa i capelli bianchi. No non va bene così! Merito di meglio. Ho provato a volerti bene ma proprio non riesco più. Meglio lasciarci.

Non so a voi ma questa breve descrizione a me è sembrata un incubo. Eppure la mentalità di oggi è questa. Ho esagerato, ne ho fatto una descrizione caricaturale, ma è così che il mondo ci porta a pensare. Io, io e poi ancora io. Il MIO matrimonio è buono fino a quando l’altro MI fa stare bene. Il matrimonio è uno strumento come altri per il MIO benessere psicofisico. Come spesso è la fede. La fede va bene finché mi dà qualcosa. Così il matrimonio. Se le difficoltà sono maggiori rispetto alle gioie e allora non ne vale la pena. Ci devo guadagnare. Se trovo di meglio perché no?

Perché invece il matrimonio cristiano è diverso, e diventa davvero un mezzo di salvezza? Badate bene non ho detto di gioia. Non ho detto gioia perché il matrimonio può anche essere causa di sofferenza e di dolore. La croce è li a ricordarcelo. Ho detto DI SALVEZZA! Il matrimonio cristiano ci permette di imparare a donarci. Ci permette di non avere una vista miope. Il miope vede benissimo gli oggetti vicini, sé stesso, ma fa fatica a mettere a fuoco l’altro, la persona amata. Ecco il matrimonio è come se fosse un paio di occhiali che ci permette di focalizzarci sulla persona che abbiamo accanto e sul suo bene. Prima del nostro. E questo cambia la vita, la vita dell’altro che si sente amato in modo gratuito ed incondizionato e anche la mia che in quel dono imparo ad essere chi sono davvero e in quel dono incontro Gesù. Capite che cosa grande è il matrimonio? Uscendo da me stesso trovo chi sono davvero.

Ecco se per voi il matrimonio non può mai essere croce, non sposatevi in chiesa. Convivete, sposatevi civilmente ma non in chiesa. Stareste facendo solo una sceneggiata. Il sacramento ti chiede di amare tutta la vita. Come fate a prometterlo se non pensate che l’amore che date all’altro e a Dio sia un atto di volontà prima che un sentimento, e che a volte significa abbracciare la croce. Sposarsi in Cristo è rischioso ma nulla riempie la vita come dare tutto per amore.

Antonio e Luisa

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Attiraci, correremo

Cari sposi,

            il tempo corre e siamo già arrivati alla quarta domenica di Pasqua, un momento particolare nel tempo di giubilo per la Risurrezione di Gesù in cui la Chiesa si focalizza sul fatto che Egli è il Buon Pastore. Leggendo e meditando le Scritture di oggi si evince una preziosa e confortante verità che ha una ricaduta essenziale nella nostra vita di credenti: Gesù mi segue e mi accompagna costantemente, appunto come il pastore con le sue pecore. Da persone fondamentalmente urbane ci è difficile visualizzare questo ma chi ne ha avuto l’esperienza sa bene quanto azzeccata e calzante sia tale immagine.

Può succedere che, nella vita di coppia, giungano momenti di smarrimento, fasi di dubbio, un senso di solitudine, un ché di lontananza da Dio o addirittura la “inappetenza” a vivere assieme. In quelle circostanze la fede può risultare poco attraente o anche provocare repulsione. Sono periodi di aridità che hanno un senso ben preciso agli occhi di Dio e dobbiamo imparare ad abitarli con uno sguardo di fede. È proprio qui che il Vangelo di oggi acquista ancora più valore perché ci fa capire che non siamo noi a tenere il timone della nostra vita né personale né di coppia ma è Cristo il Buon Pastore a guidarci.

Sono due i verbi usati da Gesù per definire come agisce il pastore con le pecore. Anzitutto Gesù le attrae con la sua voce e poi in certi momenti le spinge per la direzione giusta. Noi vorremmo essere sempre spinti, se non trainati a peso morto, ma a ben vedere il Signore vuole piuttosto che il nostro cuore senta il fascino per Lui, desidera che ci innamoriamo e ci fidiamo ciecamente perché Lui ci ha amati per primo. L’hanno capito bene i mistici in cui l’amore e il desiderio sono sempre la scintilla che fa partire la sequela. Santa Teresa di Lisieux lo dice con parole semplici come avviene questa attrazione:

Alle anime semplici non occorrono mezzi complicati. Poiché io sono tra quelle, un mattino, durante il ringraziamento, Gesù mi ha dato un mezzo semplice per compiere la mia missione. Mi ha fatto capire questa parola dei Cantici: «Attirami e correremo all’odore dei tuoi profumi» Gesù, dunque non è nemmeno necessario dire: «Attirando me, attira le anime che amo!». Questa semplice parola: «Attirami!», basta” (Diario di un’anima, 334).

Nonostante ci siano quattordici secoli di distanza, S. Ambrogio lo esprime in modo molto simile: “Abbiamo infatti il desiderio di seguire, ce lo ispira la grazia dei tuoi profumi: ma poiché non possiamo eguagliare la tua corsa, attiraci, affinché, sorrette dal tuo aiuto, possiamo calcare le tue orme. Se infatti tu ci attirerai, correremo anche noi e afferreremo i soffi spirituali della velocità” (S. Ambrogio, De Isaac vel anima 3, 10).

Cari sposi, vi invito a puntare molto su questa verità meravigliosa: Cristo ha il potere di attrarci a sé, di attirarci, di sedurci. Se desiderate che il vostro amore coniugale sia grande, bello, fedele avete anzitutto bisogno di essere alla sequela del Buon Pastore. È Lui, infatti, che vi chiama a questa mèta alta, il “bell’amore” (Giovanni Paolo II, 15 dicembre 1994), che ve lo ha donato nel sacramento del matrimonio e che vuole accompagnarvi ogni giorno perché lo viviate fedelmente.

ANTONIO E LUISA

Chi sono i falsi pastori, i briganti, i lestofanti? Non sono solo, come verrebbe naturale pensare, persone al di fuori della coppia. Non è detto. Il ladro potrebbe essere anche parte della coppia. Cosa ruba il ladro? Cosa può rubarci il nostro coniuge quando si comporta da ladro e non entra dalla porta di Gesù, ma si arrampica ed entra così nel recinto della nostra vita? Ci ruba il coraggio di essere noi stessi. Magari sono io che rubo alla mia sposa il coraggio di diventare pienamente la donna che può diventare, di credere nella meraviglia che è e magari ne faccio cosa mia. Io sono convinto di questo. Se non avessi incontrato Gesù, quindi se non fossi entrato nella vita di mia moglie attraverso la porta che Lui mi ha mostrato, non sarei stato capace di amarla. Avrei cercato di farla mia, avrei cercato di farla diventare ad immagine e somiglianza di come io volevo che fosse. Perché quando non riconosciamo che abbiamo in noi l’immagine del Creatore, non la riconosciamo neanche nella persona che abbiamo sposato e cerchiamo di trasformarla come noi vogliamo. Invece passare per la porta del Buon Pastore significa riconoscerci figli. Significa che riconosco nella mia sposa una figlia di Dio e il mio compito non è di farla diventare come io voglio, ma come Lui desidera che Sua figlia diventi.

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“Amén. Francisco responde”

Cari sposi,

            lo scorso 5 aprile è uscito un documentario con questo titolo in cui Papa Francesco conversa con 10 giovani di diversa provenienza ed età, ma tutti appartenenti alla cosiddetta “generazione Z”. I temi sono esattamente quelli che, senza eccezione, portano ad allontanare proprio loro, i giovani, dalla Chiesa: povertà, abusi sessuali, violenza sulle donne, aborto, pornografia, gender…83 minuti che sono lo specchio del pensare dei vostri figli e proprio per questo vorrei fare una breve riflessione su quanto emerso. Perché quei dubbi e quelle perplessità sono più diffusi di quanto pensiamo, non solo tra i giovani ma anche più in su.

La prima riflessione che vi offro è che la quasi totalità dei temi trattati ha un’unica radice ed area di provenienza. Gli invitati difatti hanno condiviso la loro esperienza su: aborto, abusi sessuali, bullismo, pornografia, masturbazione e orientamento sessuale. È chiaro che tutto ciò è collegato al corpo, alla sessualità intesa come espressione di tutta la persona. Al di là del “che ne pensi Francesco?” loro stanno domandandosi quale sia il valore del sesso, che finalità e che senso possiede il mio corpo, perché sono maschio/femmina o perché non mi ci trovo in nessuna categoria… è molto forte constatare che, oggi più che ieri, il corpo sessuato sia divenuto così enigmatico e come sia urgente che sappiamo cogliere fino in fondo questi interrogativi per giungere a un equilibrio, ad una nuova sapienza che, pare, le risposte confezionate non sono più in grado di offrire.

Il corpo sessuato è oggi il nuovo spazio di incontro/scontro tra scienza (biologia, psicologia, fisiologia), filosofia e teologia, un nuovo Areopago da cui attendiamo ascoltare parole di verità e non di ideologia. È proprio qui la frontiera della fede cristiana, il corpo sessuato, e noi cristiani abbiamo un patrimonio di valore incalcolabile da cui attingere per trovare il bandolo della matassa.

Nel documentario fa sorridere Papa Francesco di fronte a situazioni di cui non è del tutto a conoscenza (vedi la domanda su Tinder…). Ma a parte questo, lui non può rispondere a tutto perché non è vicino a questi ragazzi, non abita con loro, non li ha educati per anni e anni, come invece è successo a voi genitori. Credo proprio che il vero interlocutore, i veri destinatari di quelle domande siate proprio voi sposi. Voi siete così dentro e immersi in questa drammatica ricerca di senso che potete dare un contributo essenziale, non a parole, ma con la vita vissuta.

Dinanzi a quelle domande mi sono chiesto sovente: “Cosa avrebbe risposto Tizio o Caio?” Ho così rivolto la mia mente a molte coppie che su quei temi hanno versato lacrime e li hanno “attraversati” in modo drammatico ma al contempo oggi sono icone di una Bellezza e Verità che li precede.

Tutti quei giovani hanno sì cercato una risposta del tutto particolare, nientemeno che dal Papa, ma sono sicuro che in fondo al loro cuore stanno cercando, oltre che ragionamenti coerenti, un volto, una condotta, un modo di vivere che davvero li coinvolga e li attragga. Quella Verità e quella Bellezza che ci ha plasmati ha un nome: Gesù. Voi sposi avete la Sua Presenza in voi, che vi permette di essere testimoni credibili che l’amore passa da un corpo sessuato maschile e femminile e grazie al vostro dono reciproco potete essere procreatori dello stesso Amore, della stessa Verità e Bellezza che vi ha modellato.

padre Luca Frontali

Il matrimonio simbolico? Povertà senza impegno

Sembra che anche in Italia sia arrivato il matrimonio simbolico. Devo ammettere che non ero a conoscenza di questa nuova tendenza nata, come spesso accade per le nuove tendenze sociali, negli States. Un fenomeno ancora poco conosciuto, ma comunque in forte crescita nel nostro Paese visto che, secondo Liana Moca presidente di Federcelebranti, le richieste per questo tipo di “unione” sono cresciute nel 2022 di ben il 330%. Pensate che all’estero, almeno in alcuni Paesi, queste celebrazioni sembrano essere addirittura i due terzi del totale. Tra i personaggi illustri che in Italia hanno celebrato questa “unione” ci sono Silvio Berlusconi e Marta Fascina. Non un fenomeno trascurabile ma che probabilmente diventerà sempre più frequente anche da noi.

Di cosa si tratta? Un po’ si può comprendere dal nome. Non si tratta né di un matrimonio civile né di un’unione civile. Una celebrazione completamente privata ed informale e senza nessuna implicazione sociale o giuridica. Insomma per lo Stato nessun dovere e nessun diritto. Questo “matrimonio” è completamente simbolico. Non ha formule o riti particolari, ognuno può scegliere quella che preferisce per promettersi amore, non ha la necessità né di un sacerdote né di un rappresentante del comune, chiunque può celebrare questo rito. A cosa serve quindi? Semplicemente a dare voce alla nostra parte più emotiva ma senza impegno e responsabilità. Un rito che è perfetto per la nostra società caratterizzata da un forte narcisismo, da egocentrismo ed egoismo. Una società sempre più allergica all’impegno e al per sempre. Questa tendenza mi permette alcune riflessioni.

La socialità fa parte delle esigenze dell’amore. Perché non accontentarsi di convivere e decidere di celebrare il proprio amore con amici e parenti? Perché la socialità è parte integrante dell’amore. Noi abbiamo bisogno di condividere il nostro amore con le persone a cui vogliamo bene. Ne sentiamo proprio il desiderio. Due cuori ed una capanna va bene per i film romantici. Poi esiste la vita reale. Faccio un esempio stupido. Mi ero appena fidanzato con Luisa e passeggiando con lei per il centro cittadino ho incrociato degli amici. Istintivamente ho smesso di tenerla per mano. Lei se l’è presa tantissimo. Ho capito poi che il mio gesto l’aveva ferita. Era come se non volessi comunicare agli altri la nostra relazione e questo la faceva sentire meno amata. Ed è così. Quindi una cerimonia di questo tipo risponde alla fame di rendere pubblico l’amore dei due celebranti. Un altro esempio. Un’amica di Luisa ha intrattenuto una relazione con un uomo sposato. Fortunatamente ora si sono separati. La sofferenza che lamentava con Luisa non era solo dovuta al fatto di non averlo sempre con sé e di doverlo dividere con un’altra ma provava un malessere anche nel dover tenere nascosta la relazione. Le sembrava una relazione a metà. Ed era così infatti.

Il per sempre fa paura. Perché non sposarsi allora? Almeno civilmente tutti lo possono fare. Perché molti sono guidati dalla pancia e non dal cuore. Sono capaci di grandi promesse, di pronunciare parole strappalacrime dove descrivono un amore immenso, un amore capace di spostare le montagne ma poi non hanno nessuna intenzione di impegnarsi per la vita. Perché fa loro paura e perché non lo vogliono davvero. Quindi questa cerimonia è perfetta. Non porta nessun impegno concreto ma permette dei grandi discorsi e dei grandi pianti. Insomma tutta fuffa? No per nulla. I due che celebrano probabilmente ci credono pure a quello che stanno dicendo, perché provano davvero quella passione fortissima l’uno per l’altra. Il problema è che il centro sono loro. Quello che chiamano amore non è altro che un’emozione che li fa stare bene. Vogliono stare con l’altro per quello che provano e che hanno, non per donarsi davvero. Se i presupposti sono questi è normale che non si voglia prendere impegni ma solo prendere l’uno dall’altra. Poi è normale che le relazioni finiscano perché l’altro non dà più abbastanza o perché si trova chi dà di più.

Questo matrimonio simbolico poi ci fa davvero sentire amati?

Un matrimonio che lascia vie di fuga quando l’altro non è più come lo vorremmo magari è più facile e meno impegnativo, ma non permette di amare davvero e soprattutto di sentirsi davvero amati. L’indissolubilità l’abbiamo scritta dentro. Desideriamo con tutto il cuore una persona che ci voglia bene perché siamo noi. Non perché facciamo qualcosa o ci comportiamo in un determinato modo. Sentire di doversi meritare l’amore dell’altro è terribile. Non lo percepiamo come amore. Dentro abbiamo questo desiderio grande di essere amati perché siamo noi e per sempre.

Antonio e Luisa

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Le coppie caste durano di più e sono più felici

La castità rende le relazioni più stabili e la soddisfazione sessuale nel matrimonio più alta. Una ricerca della Brigham Young University, riportata da diverse testate, conferma quanto la morale cristiana cerca di promuovere in un mondo, il nostro, che va invece da tutt’altra parte. La nostra società permette una “libertà” affettiva e sessuale pressoché totale senza per questo garantire una soddisfazione relazionale alta. Al contrario spesso le nostre relazioni sono caratterizzate da sofferenza, tradimenti e precarietà.

Vi riassumo i risultati di questo studio molto interessante commissionato dalla Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (i Mormoni). Non lasciatevi trarre in inganno. Seppur l’input è arrivato da una delle tante chiese protestanti americane, l’analisi e lo studio sono avvenuti seguendo il metodo scientifico dei ricercatori universitari. Il tutto è avvenuto studiando il comportamento di 3750 persone, un campione abbastanza significativo per trarre delle conclusioni attendibili.

Quali risultati hanno osservato i ricercatori dell’università? I risultati sono molto interessanti.

  1. Chi arriva casto al matrimonio ha una probabilità maggiore del 200% (3 volte di più) di avere stabilità e durata nella relazione
  2. Tra i soggetti osservati che hanno avuto un solo partner sessuale risulta che il 45% di essi abbia una vita matrimoniale molto soddisfacente. Questa percentuale cala di un 6,5% per ogni partener sessuale aggiuntivo rispetto al marito o alla moglie. Negli Stati Uniti la media dei partner avuti risulta essere di 6,7 a soggetto (non c’è differenza tra uomo o donna)
  3. Anche dal punto di vista della gratificazione sessuale risulta che i soggetti senza esperienza con altri partner abbiano il doppio della soddisfazione rispetto a chi ha avuto diversi partner

Questi risultati confutano completamente una delle obiezioni più frequenti alla castità. Prima di sposarsi bisogna avere rapporti per capire se ci sia quell’intesa sessuale necessaria poi nel matrimonio. Non è così e questa ricerca lo conferma. Perché non è così?

L’intesa sessuale si costruisce. Non esiste una chimica prestabilita tra i due sposi. E’ necessario che ci sia attrazione fisica poi il resto si costruisce nel tempo, nella relazione, nell’abbandono. La relazione sessuale è una relazione. La relazione cresce nella conoscenza reciproca. Più ci si conosce, più si impara a fidarsi l’uno dell’altra e più il rapporto sessuale sarà appagante. Sbaglia chi crede che il sesso dipenda da un fatto solo ormonale. L’intimità è un vestito costruito su misura dai due sposi. L’appagamento sessuale, soprattutto per la donna, dipende da come si sente amata e desiderata nella relazione tutta, nel matrimonio. Quindi più si sentirà amata in modo esclusivo, fedele e incondizionato e più saprà abbandonarsi al sesso. Più saprà abbandonarsi all’intimità e più per lei quel gesto sarà bello ed appagante. Più sarà per lei bello e appagante e più lo sarà anche per lui. Capite come tutto sia legato. Un intreccio di anima, cuore e corpo che se non è curato in ogni sua componente poi non funziona.

Il sesso è totalizzante. E’ inutile far finta che non sia così. L’amplesso fisico è un gesto che totalizza la relazione. Le sensazioni e le pulsioni che vengono provocate dall’intimità sessuale sprigionano una carica emotiva che copre ogni altro aspetto della relazione. Chi ha rapporti prima del matrimonio tende a sottovalutare e non approfondire alcuni aspetti dello stare insieme, del progetto matrimoniale e dei difetti dell’altro. Poi nel matrimonio inevitabilmente i nodi vengono al pettine.

Il sesso ha un volto. Capisco che la castità prematrimoniale ormai riguardi davvero una piccola percentuale anche tra i cattolici. Andrebbe però rivalutata. I papi, compreso Francesco, hanno più volte invitato a riscoprirla. Per me e Luisa è stata ed è tutt’ora una grazia. Io quando faccio l’amore ho in mente solo un volto, quello di mia moglie. Questo crea una idea dentro di me. Quel gesto lo concepisco solo con Luisa. Credo che, seppur io mi senta attratto da tantissime donne, non sarei capace di vivere quel gesto con una donna che non sia mia moglie. Per questo anche quando ci sono dei momenti di difficoltà e anche di aridità non ho mai pensato di cercare un’altra donna ma piuttosto di far di tutto per recuperare l’intesa perduta con la sola donna che voglio amare anche nel corpo.

La castità non è solo una richiesta assurda di una morale bigotta e fuori dal tempo. In questo articolo non ho mai volutamente parlato di Gesù. La castità è vincente soprattutto sul piano umano. Permette di costruire una relazione più piena e più vera. Naturalmente anche la castità non è sempre vissuta bene e può nascondere insidie e blocchi relazionali, ma ne ho già parlato in quest’altro articolo.

Antonio e Luisa

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La pace di Dio è un anticipo di paradiso

Mi sono fermato tante volte a riflettere su come sarà o come potrebbe essere il Paradiso, quello che faremo tutto il giorno (ci sarà un giorno?) e quello che saremo in grado di comprendere, di conoscere e anche la nostra fisionomia: nonostante i miei sforzi, quello che posso immaginare è solo fantasia, legata alla mia condizione di creatura e per questo non sono abilitato ad accedere al “livello superiore”.  Però di una cosa sono sicuro: si potrà accedere al Paradiso solo se avremo amato, perché Dio è Amore e quindi non potrà esserGli vicino nessuno che in qualche modo non si sia esercitato all’Amore, verso Dio e verso gli altri.

Amare è una scelta che cambia la vita e genera tanta pace in chi s’impegna per raggiungere l’obbiettivo; per questo rimango abbastanza perplesso da chi pensa in questo modo: ”Soffro qui sulla terra e così avrò la mia ricompensa in cielo; tengo duro ora, per avere poi un giorno il meritato premio”. Onestamente io vivo qui, su questa terra e una ricompensa futura mi attrae, ma non mi basta, voglio essere felice ora, oggi. Certo la sofferenza e il male esistono, in cielo non ci saranno più, ma io voglio credere che, per chi ama, il Paradiso sia già iniziato e che la morte sarà solo un cambio di “stato”, un passaggio che non ci toglierà niente, se abbiamo speso tutto quello che avevamo/potevamo (”Dov’è o morte il tuo pungiglione?)”.

Noi separati fedeli viviamo in quest’ottica, cioè abbiamo scelto e scegliamo di amare ogni giorno: questo non vuol dire che siamo migliori degli altri, non è vero, anzi, siamo peccatori come tutti gli altri, ma ci impegniamo a portare avanti una decisione presa, per sempre. La gente ha spesso una scarsa considerazione di noi, ci ritiene fissati, estremisti, esagerati, menomati e poco credibili, fino ad arrivare a “poveretti”, sfortunati, bloccati nelle relazioni e incapaci di trovare un’altra persona (tanto che spesso parte la gara a farti conoscere amiche/amici che potrebbero fidanzarsi con te).

D’altra parte è normale, ci sono cose che si comprendono solo nella fede, però una caratteristica comune a tutti posso testimoniarla: chi sceglie di amare nonostante le offese, i tradimenti e le difficoltà, riceve in cambio la pace e la conferma che il Paradiso è già cominciato qui, fin da ora. Infatti mi colpiscono sempre, in questo tempo pasquale, le parole di Gesù che, quando appare ai suoi amici, per prima cosa dice: ”Pace a voi”, quando magari noi avremmo detto cose completamente diverse, del tipo: “Che bello rivedervi”, oppure “Avete visto, come vi avevo detto sono risorto”, oppure  “Non sono arrabbiato con voi, anche se mi avete tradito tutti”. No, Lui augura la pace come prima cosa, una pace che l’uomo non può costruire, perché anche dove non c’è guerra in questo momento, non c’è pace, ma paura, ansia e incertezza, con il rischio che qualcuno si svegli male e lanci qualche missile.

La pace vera la dà solo Dio e Lui vuole che noi possiamo vivere in pace: si può essere in pace su un letto di ospedale e si può invece non essere in pace facendo l’amore tuto il giorno (ammesso che sia possibile). Vivere in pace non ha prezzo, perché ti colloca già in cielo, tra le braccia di Gesù e quindi auguro a tutti di trovare la vera Pace!

Ettore Leandri (Presidente Fraternità Sposi per Sempre)

Egli ha cura di voi

Dalla prima lettera di san Pietro apostolo (1 Pt  5,5b-14) Carissimi, rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili. Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, affinché vi esalti al tempo opportuno, riversando su di lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi. Siate sobri, vegliate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede, sapendo che le medesime sofferenze sono imposte ai vostri fratelli sparsi per il mondo. […]

Oggi ci viene proposto quello spezzone della prima lettera di Pietro nella quale viene citato l’evangelista Marco, perché oggi cade proprio la sua festa, è come se la Chiesa volesse ricordarci che l’evangelista Marco non è uno che si è alzato una mattina con la strampalata idea di scrivere un Vangelo, ma è uno che ha vissuto fianco a fianco con S. Pietro, praticamente è stato il suo segretario per tanto tempo… come a dire che il Vangelo di S. Marco non è nient’altro che una raccolta ordinata delle prediche di S. Pietro.

Se in apparenza questo ci sembra un dato di poco conto, in realtà, ci aiuta a comprendere come davvero la nostra fede sia fondata sulla predicazione apostolica sia orale che scritta; ed è proprio così che “funziona” la trasmissione della fede, non è un fulmine a ciel sereno, essa ha bisogno di umanità, necessità di incontri, di volti, di testimonianze, di rapporti veri dentro un’ amicizia bella.

E qual è il rapporto più prossimo a noi per trasmettere e vivere una vita impastata di fede concreta? Naturalmente il matrimonio, anzi, il sacramento del matrimonio. Va specificato, perché il matrimonio da solo non ce la fa, presto o tardi si scontra con le bassezze umane, per vivere questa trasmissione della fede è necessaria la Grazia, e il luogo dove si incontra la Grazia nell’esperienza cristiana si chiama sacramento.

Le poche parole su cui ci soffermiamo oggi sono le seguenti: “[…] riversando su di lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi. Siate sobri, vegliate.” Sono parole accorate di Pietro, il quale vuole incoraggiare e irrobustire la fede delle varie comunità a cui sta scrivendo. Probabilmente sta parlando delle preoccupazioni che questi fratelli nutrivano per le persecuzioni nei loro confronti, o comunque cercava di dare risposte alle varie circostanze che giungevano ai suoi orecchi da vari messaggeri.

Se non viviamo la nostra figliolanza divina, finisce che restiamo intorcigliati nella faccende di questo mondo, come succede ad una mosca che non riesce più a liberarsi dalla ragnatela nella quale si è impigliata… pensiamo, sbrighiamo faccende, ci diamo da fare, ci affaccendiamo per cose di poco conto, ci arrabbiamo se non tutto procede secondo i nostri piani… praticamente viviamo come se tutto dipendesse da noi. E qui sta il problema: siccome noi avvertiamo la nostra limitatezza, ne avvertiamo la fragilità, ci scontriamo giorno dopo giorno con la nostra incapacità a stare dietro a tutto, sbattiamo continuamente contro il muro dei nostri limiti, della nostra incapacità di avere tutto sotto controllo – perché qualcosa inevitabilmente sfugge al nostro controllo – … avvertiamo di non avere il pieno controllo, e questo ci disorienta, ci lascia un senso di incompiutezza, e così nascono le ansie, le paure, gli attacchi di panico.

Quando siamo pre-occupati significa che ci occupiamo prima di una realtà senza viverla ancora, significa che il cuore sta già lavorando dentro quella realtà prima che essa diventi reale avvenimento che ci interpella, ma questo è angosciante proprio perché mette in moto tutti quei meccanismi di cui sopra… col cuore viviamo già quella – probabile – realtà ma avvertiamo di non poter controllare nemmeno il futuro. Che fare dunque?

Bisogna tornare come bambini, e i bambini che realtà vivono? Quella di essere figli, di appartenere ad un papà e ad una mamma, e non conoscono l’ansia del non controllo, perché lasciano il controllo a papà e mamma. Anche noi sposi dobbiamo imitare questo modo di vivere dei bambini, dobbiamo riscoprire la nostra figliolanza divina: se abbiamo un Creatore che è un padre, o meglio, che è Il Padre – non un padre qualunque – e ci conosce nelle nostre fibre più intime perché le ha pensate Lui, quale padre lascerebbe un bimbo in balìa dei pericoli del mondo che lo circonda?

Cari sposi, nella vita matrimoniale non mancano tempi difficili e duri, tempi in cui la nostra figliolanza divina – dono del Battesimo – è messa a dura prova, ma Pietro ci assicura di riversare in Dio ogni nostra preoccupazione affinché essa non ci soffochi il cuore, se infatti abbiamo fiducia nel Padre abbiamo la certezza che Lui avrà cura di noi. Ce lo assicura questa Parola: Egli avrà cura di noi.

Lo sposo e la sposa sono l’uno per l’altra questa manifestazione nella carne della cura di Dio, coraggio allora, cari sposi, il Signore ha talmente fiducia di noi che ci fa Suoi vicari della Sua cura presso il nostro coniuge. Chi si affida a Lui non rimane mai deluso, coraggio!

Giorgio e Valentina.

Non amatevi come il primo giorno ma come se fosse l’ultimo

Ci sono tante persone che, per enfatizzare quanto si vogliano ancora bene dopo tanti anni passati insieme, affermano: ci amiamo come il primo giorno! Io ho sempre trovato questo modo di descrivere la pienezza di una relazione come stonato. Il primo giorno io amavo Luisa molto meno di come la amo oggi. E’ normale che sia così. Il nostro padre spirituale ci diceva sempre che l’amore non è qualcosa di statico. Non è qualcosa che dobbiamo cercare di cristallizzare e custodire così com’è, come in una teca. Papa Francesco ha espresso lo stesso concetto in un modo ancora più chiaro: Il Matrimonio è come una pianta…non è come un armadio, che si mette lì, nella stanza, e basta spolverarlo ogni tanto…Una pianta è viva, va curata ogni giorno: vedere come sta, mettere l’acqua, e così via… Il Matrimonio è una realtà viva

Il nostro amore è quanto di più vivo (o morto, se non curato) ci possa essere. Muta continuamente. Esattamente come una pianta. Da un giorno all’altro sembra lo stesso, ma se lo si osserva per periodi lunghi si notano delle differenze enormi. E’ normale che sia così perché l’amore non ha vita propriala relazione non ha vita propria, ma si nutre attraverso i due sposi. Attraverso i gesti, la vita, le attenzioni, il tempo, la cura, il perdono, gli scontri, i litigi, dei due sposi.

L’amore si nutre della vita dei due sposi. Esattamente come i bambini che crescono nel grembo di una mamma. D’altronde l’amore non è forse una forza generativa? Non è forse vita? Così accade che in una vita insieme, due persone che, nonostante i loro limiti, si impegnano giorno dopo giorno a farsi prossimi all’altro e dono l’una per l’altro, diventano sempre più capaci di amarsi. Diventano sempre più comunione, sempre più un cuore solo. Il loro cuore diventa sempre più grande e capace.

Non solo accade questo. Accade anche che i loro cuori si riempiono di tutto l’amore che sono stati capaci di donarsi nella loro relazione. Come un forziere che si riempie del bene donato. Non so voi, io ricordo tantissimi episodi e gesti in cui Luisa mi ha fatto sentire profondamente amato, e queste sono perle che restano per la vita e che arricchiscono il nostro matrimonio e mi permettono di guardarla con uno sguardo pieno di questo bene ricevuto. Come uno di quei filtri della fotocamera del mio smartphone che mi permettono di rendere più bella la persona che riprendo.

In sintesi giorno dopo giorno diventiamo sempre più capaci di amarci. Per questo il massimo della mia capacità di amare Luisa nel 2002, quando ci siamo sposati, era molto meno di ciò che posso fare oggi. Oggi sono molto più capace di entrare in comunione con la mia sposa e per questo anche il rapporto fisico è molto più bello ora. Altro che stancarsi con il tempo. Diventa sempre più bello.

Per questo mi sentirei di fare un augurio diverso alle persone che si vogliono bene. Non direi loro amatevi come il primo giorno ma direi amatevi come se fosse il vostro ultimo giorno insieme, dando tutto, non risparmiando nulla. Sono sicuro che chi ama in questo modo è capace di un amore molto più profondo e grande.

Un’ultima considerazione. Anche il rapporto intimo diventa sempre più bello e sempre più profondo con il tempo. Già, perchè ciò che rinnova davvero quel gesto non è cambiare il modo o il partner, ma è l’amore degli sposi che giorno dopo giorno è sempre più profondo, più grande e più maturo. Oggi sono molto più capace di entrare in comunione con la mia sposa e per questo anche il rapporto fisico è molto più bello ora. Altro che stancarsi con il tempo. Diventa sempre più bello. Come il vino delle nozze di Cana. Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po’ brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono (Gv 2, 10)

Antonio e Luisa

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La lunga via che dalla mente porta al cuore

Cari sposi,

            se in una visita cardiologica vi venisse diagnosticata la “bradicardia”, ossia la discesa della frequenza cardiaca al di sotto dell’intervallo di normalità, di per sé non sarebbe un buon segno ed occorrerebbe una cura immediata. Nella scena evangelica odierna, l’incontro di Gesù con i due discepoli di Emmaus, c’è una frase che mi ha sempre tanto colpito e vorrei condividere con voi: “«Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!” (Lc 24, 25). Cosa vuol dire essere “lenti di cuore”? E che valore ha per una coppia di sposi? Dal momento che, come sapete, è molto probabile che quei due, di cui solo sappiamo il nome di uno, Clèopa, fossero davvero marito e moglie.

Mi spiace che questo brano lo debba commentare solo in una pagina scarsa. È uno dei più bei passaggi evangelici che parla di Risurrezione ed è quanto mai attuale e vicino alle nostre circostanze. Quante volte viviamo come se Cristo non fosse risorto? Quanto è normale che il Signore ci manda segni evidenti (le donne che hanno trovato il sepolcro vuoto, l’apparizione degli angeli…) ma continuiamo nella nostra grigia routine. Questi due discepoli, fratelli nostri, pensavano di essere credenti per il fatto di aver “capito” Gesù, di sapere tante cose di lui. Di certo sanno cose molto vere e giuste, che era un profeta, che voleva liberare Israele… Quanto sappiamo di Gesù! Quanti brani evangelici li potremmo ripetere a memoria! Quante informazioni possediamo su Cristo e la Chiesa… ma conosciamo veramente Cristo? E soprattutto, quanto lo riconosciamo presente nelle nostre circostanze quotidiane?

Ecco la lentezza del cuore: il non saper accogliere Cristo nel più profondo di noi, il non saperlo rendere parte della mia vita di ogni giorno ma trasformarlo in un’idea, in un rito, in un comportamento morale. Gesù non è “sceso” dalla mia testolina al più profondo di me stesso, al mio cuore. Parafrasando San Paolo: “se Cristo non è risorto e non è al mio fianco, piatto e grigio è il vostro matrimonio”. Il prima e il dopo dei due di Emmaus è esattamente lo spartiacque di tutte le coppie sposate nella Chiesa cattolica. Molte, moltissime vivono con Gesù ma non se ne accorgono, non sanno di camminare con Lui, non Lo vedono presente ad ogni passo, Gesù rimane uno sconosciuto. Invece, e spero che voi siate così, quando mi sono lasciato amare da Lui nell’Eucarestia, quando Lo ascolto nella Parola, quando Lo lodo ogni giorno per quello che Lui fa… allora arde il cuore, non si cammina più perché si corre, la fatica non si sente, la gioia è più grande del dolore.

Lui c’è nel vostro matrimonio, esattamente come è stato con Clèopa e consorte su quella strada e mi piace ridirvelo con l’estratto di un’omelia di San Paolo VI, in una domenica come oggi di tanti anni fa:

A voi, a tutte le giovani coppie, a tutte le famiglie cristiane: a tutti coloro che col loro amore, elevato e trasfigurato dalla virtù del sacramento, sono nel mondo la presenza e il simbolo dell’amore reciproco di Cristo e della Chiesa (Cfr. Ef 5, 22-33) noi ripetiamo oggi: non temete, Cristo è con voi! Vicino a voi per trasfigurare il vostro amore, per arricchirne i valori già così grandi e nobili con quelli tanto più mirabili della sua grazia; vicino a voi per rendere fermo, stabile, indissolubile, il vincolo che vi unisce nel reciproco abbandono di uno all’altro per tutta la vita; vicino a voi per sostenervi in mezzo alle contraddizioni, alle prove, alle crisi, immancabili certo nelle realtà umane, ma non certo – come vorrebbero talune funeste mentalità teoriche e pratiche – non certo insuperabili, non fatali, non distruttive dell’amore ch’è forte come la morte (Cant. 8, 6), che dura e sopravvive nella sua stupenda possibilità di ricrearsi ogni giorno, intatto e immacolato” (Omelia, 13 aprile 1975).

ANTONIO E LUISA

Quante volte ci siamo sentiti anche noi come i due di Emmaus. Ci sono tratti della nostra vita che ci sentiamo scoraggiati e dove non percepiamo la presenza di Gesù accanto a noi. Sappiamo di essere immagine dell’amore di Dio ma poi ci sembra di essere così poveri nella difficoltà e nella sofferenza. Quello è il momento di spezzare il pane, di tornare ai sacramenti. Non importa a quanti corsi e a quanti seminari abbiamo partecipato. Non importano tutti i libri che abbiamo letto. Solo nell’Eucarestia possiamo ritrovare Gesù e possiamo comprendere come ci sia stato sempre accanto, anche quando non riuscivamo a vederlo.

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Pinocchio /1

Inizia con oggi un serie di articoli sul famosissimo libro di Carlo Collodi, pseudonimo di Carlo Lorenzini, il quale scrisse su un giornale per bambini una serie di avventure di un simpatico burattino di legno, la raccolta di queste storie divenne poi il celebre libro che tutti conosciamo. Raccontiamo brevemente la trama per chi avesse bisogno di rispolverare la memoria: da un pezzo di legno – che magicamente ha vita propria – un falegname di nome Geppetto tira fuori un burattino che si muove senza fili avendo vita propria, e dopo una serie di avventure più o meno disastrose, finalmente il burattino diventa un bambino vero in carne ed ossa. Ci sono diversi autori che hanno tratto spunto dai racconti del burattino, noi cercheremo di fare un miscuglio tra le riflessioni che il libro ha suscitato a noi come sposi/genitori e quelle che il compianto cardinale Giacomo Biffi racconta nel suo libro “Contro Mastro Ciliegia“, definito da lui stesso un commento teologico alle avventure di Pinocchio.

Le nostre riflessioni non seguiranno il susseguirsi dei capitoli pagina dopo pagina, ma potrà succedere di saltare qualche capitolo a piè pari, a volte ci soffermeremo su qualche particolare, capiterà che citeremo alcune frasi chiave del Collodi, altre volte analizzeremo un personaggio piuttosto che un altro, di modo che gli sposi che avranno la pazienza di seguirci in questo percorso potranno avere la possibilità chi di fare un cammino di crescita personale, chi di crescere come coppia, chi di crescere come genitore, chi di crescere nella fede, chi di guarire dalle ferite del passato.

Fatte le dovute premesse cominciamo ad aprire il primo capitolo che ci fa entrare “nella bottega di un vecchio falegname, il quale aveva nome mastr’Antonio, se non che tutti lo chiamavano maestro Ciliegia, per via della punta del suo naso, che era sempre lustra e paonazza, come una ciliegia matura“. Ma a ben vedere non siamo noi ad entrare in questa bottega, semmai ci limiteremo ad osservare dal di fuori gli avvenimenti che fra poco accadranno in tale luogo, ciò che invece entrò davvero in questa bottega artigiana fu “Non un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d’inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze“. Mastro Ciliegia è un uomo senza fronzoli, che incarna il materialista tipo, uno per il quale è vero solo ciò che si vede e si tocca, che non lascia spazio alle novità, insomma… per lui un pezzo di legno è solo un pezzo di legno. Tant’è vero che gli pare inconcepibile il sentire una vocina uscire da quel legno, si convince che possa essere un’autosuggestione, siccome non rientra nei suoi schemi è impossibile e non ci crede neanche quando la sente ripetutamente. Lui aveva già segnato il destino di quel pezzo di legno, e gli pareva di avergli già concesso troppo considerarlo “una gamba di tavolino“, una gran fortuna per un pezzo di legno da catasta.

Quante volte anche noi consideriamo il nostro coniuge come un pezzo di legno da catasta? Quante volte anche noi ci pare che averlo/la già considerato come una gamba da tavolino sia pure troppo per un pezzo da catasta?

Cari sposi, troppe volte anche noi bolliamo con un marchio il nostro amato, la nostra amata, e non glielo leviamo più, perché per noi è impossibile che esca una vocina da quel pezzo di legno che è il nostro coniuge, ci pare impossibile che dentro quel legno ci sia un’anima, siccome non rientra nei nostri schemi imprigioniamo lei/lui nel pre-giudizio che abbiamo nei suoi confronti. Lo incateniamo dentro le nostre definizioni “sei sempre lo stesso/la stessa“… “è impossibile, non cambierai mai” … “lascia stare che tu non sei capace” … “. Questo è il metodo migliore per bloccare lui/lei che magari sente una spinta a cambiare se stesso/a ma ne è impedito/a dalle prigioni in cui noi lo/la abbiamo rinchiuso/a. E così succede anche con i bambini: se l’educatore continua ad apostrofarlo “stupido“, il bambino crescerà convinto di esserlo e lo diventerà davvero; così com’è altrettanto pericoloso definirlo sempre “sei un genio“, questo crescerà convinto di esserlo ma presto o tardi si scontrerà con la dura realtà e saranno dolori.

L’amore degli sposi deve sempre più assomigliare all’amore di Dio Padre: un amore che incoraggia a migliorarsi sempre, un amore che ci fa sentire unici ed irripetibili, un amore che non nega i nostri difetti ma li abbraccia, un amore che vede più in là del nostro naso, che non vede solo quel pezzo di legno da catasta che siamo, ma intravede già ciò che potremmo diventare con la Sua Grazia. Coraggio sposi, la strada del matrimonio non è fatta per gente statica, facciamo sentire la nostra vocina a lui/lei, ma soprattutto apriamo le nostre orecchie per sentire la vocina del nostro coniuge che si sforza di uscire da quel pezzo di legno da catasta che per noi è già tanto se diventerà una gamba di tavolino.

Giorgio e Valentina.

Non sottovalutiamo i sacramenti!

I sacramenti sono uno strumento dirompente che abbiamo a disposizione e, in molti casi, ne facciamo scarso uso. Perché questo? Perché in fondo non ci crediamo tanto. Mi ci metto anche io che faccio una gran fatica ad entrare nella realtà trascendente dei sacramenti. Eppure, se ci pensiamo un attimo, essi sono davvero un dono immenso che Gesù ci ha dato. Traggono forza da Lui direttamente, dal Suo sacrificio sulla croce, dove ha pagato per tutti. Ha pagato per salvarci. Cosa significa salvarci nel nostro matrimonio? Significa che non soffriremo mai? No. Significa che faremo sempre la cosa giusta? No. Significa ridonarci lo sguardo delle origini. Lo sguardo di chi era in armonia con Dio Padre e di conseguenza capace di amare e di donarsi ai fratelli. Ecco, Gesù è morto in croce per restituirci quello sguardo.

Questo è vero in ogni ambito della nostra vita. Lo è ancor di più nel matrimonio, perché la relazione sponsale stessa è sacramento perenne dove Gesù è presente in modo reale e misterioso, in modo simile all’Eucarestia. Due sposi hanno questa grande possibilità di tornare ad avere l’uno per l’altra lo sguardo di Dio. Ecco che, quando ci sono problemi in famiglia o nella coppia, spesso non torniamo alla fonte del nostro amore redento, che sono appunto i sacramenti. Spesso ci sentiamo soli nella nostra sofferenza. Quando c’è qualche problema più grave ricorriamo a psicologi o psicoterapeuti. Che va benissimo. E’ importante capire la causa psicologica delle nostre fragilità per poterle conoscere, limitare e curare. Ma non basta.

Come prima cosa dovremmo tornare alle origini della nostra relazione, che sono proprio i sacramenti. Diceva un sacerdote che i sacramenti sono il modo di Dio per rendere visibile il Suo Amore e farsi presente nella nostra vita. Accostarci all’Eucarestia per essere uno con Gesù, riconciliarci con Lui attraverso la confessione e quando possibile fare l’amore tra noi sposi, perché quello è il nostro rito sacramentale specifico del matrimonio. Sono tutti modi per ritrovare quello sguardo delle origini indispensabile per vedere l’altro con lo stesso sguardo di Gesù, che nonostante il male subito ha continuato ad amare i suoi carnefici chiedendo a Dio di perdonarli. Fino all’ultimo.

Certo a volte sembra non servire. Ho in mente tanti amici che nonostante questo si sono separati. Un caro saluto a Giuseppe, Francesco, Ettore, Anna. Eppure ha funzionato anche per loro. Sì, perché, attraverso i sacramenti, hanno riacquistato quello sguardo che ha permesso loro di trovare la pace nella sofferenza dell’abbandono (che c’è e resta) e sono riusciti ad amare nonostante tutto il loro coniuge che li ha abbandonati, offrendo la loro sofferenza per lui o per lei. Non è un miracolo questo?

Antonio e Luisa

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Atti degli Apostoli 20, 1-12

Il tempo di Pasqua continua a donarci, strada facendo, delle occasioni di ristoro per l’anima. Giovedì sera ci siamo recati ad ascoltare una meditazione di Don Luigi Maria Epicoco tenuta nella parrocchia di San Tarcisio, qui a Roma. Una comunità parrocchiale che, abbiamo scoperto con sorpresa, ci seguiva già attraverso i nostri articoli qui nel blog. Un’ulteriore conferma che ci fa rendere sempre più conto dell’importanza di evangelizzare attrsverso il web ed i social. Ancora adesso ci sorpendiamo quando le persone sia dal vivo che online ci ringraziano. Un grazie che va rigirato a Dio, perché indubbiamente è tutta opera Sua.

Come sapete ho un debole per don Epicoco, perché mi affascina il suo legame profondo con Dio e la chiarezza con la quale lo esprime. Se vi state chiedendo se a fine incontro ho avuto modo di incontrarlo da vicino in sacrestia vi svelo subito la risposta: no. L’ho incontrato nel mio modo più congeniale ossia facendo una delle mie solite figure imbarazzanti. Me lo sono ritrovata davanti uscendo dal bagno. Quindi care donne che soffrite di patologie all’utero come me sappiate che Dio ogni tanto ci premia anche con questi doni. La catechesi stessa è stata un dono dall’inizio alla fine. Accanto a me avevo Andrea e onestamente abbiamo rivisto come in un film tutta la nostra storia personale e matrimoniale.

Il primo sussulto al cuore, uno di quelli che ti fa venire il groppo in gola, l’ho avuto ascoltando la frase: Paolo non ha mai conosciuto Gesù come tutti gli altri….. Non faceva parte del gruppo dei ristretti. Beh signori, quelli siamo proprio noi due. Ormai ci leggete da più di un anno e sapete bene che il nostro vissuto parrocchiale è nato soprattutto con il matrimonio, e che abbiamo sofferto nel trovare poi negli anni quel terreno adatto per farci germogliare come famiglia. Abramo e Sara, il nostro progetto, è nato proprio da questo difficile percorso, percorso che ci ha condotto ha cercare di dare calore, amore e accoglienza a chi non fa parte del gruppo dei ristretti. Conosciamo bene il dolore di chi non ha figli e sta cercando di passare dal chiedersi perché proprio a me? al chiedersi come si vive senza figli? È qualcosa che coinvolge soprattutto proprio i gruppi dei ristretti che, per abitudine e routine, non vedono non solo i posti vuoti ma neanche gli occhi di chi hanno davanti. Dal post pandemia fateci caso più o meno tutti i sacerdoti più attivi anche nei social esortano a ritornare al cuore, a passare dalle parole ai fatti. Come ieri sera in un passaggio della catechesi don Luigi esortava a praticare i fatti.

Quante volte anche io, nelle dirette online, ho fatto notare questa tendenza a lasciare le coppie che vivono un dolore da sole nei loro sepolcri casalinghi, quando basterebbe mettere in circolo quell’Eucarestia ricevuta in presenza da chi non salta neanche una messa. Se lasciamo due sposi, che vivono il lutto di non poter essere genitori biologici, nascondendoci dietro il libero arbitrio, poi non scandalizziamoci se possono pensare di ricorrere a pratiche estreme come l’ utero in affitto. Vi ricordo che la sottoscritta prima di ricevere il sacramento della cresima giusto, un paio di mesi prima del matrimonio, la pensava proprio così. È stato un cambiamento umano e spirituale lungo. Un cammino lungo fatto indubbiamente di cadute, ma anche di rinnegamenti in puro stile Pietro.

Ecco perché ci tengo a non lasciare le coppie sole, che non vuol dire rispondere a tutte le loro domande. In ognuno di noi c’è una vocazione all’interno del matrimonio da scoprire. Le coppie hanno bisogno di presenza, di qualcuno che stia con loro. Tutti noi abbiano bisogno di una vicinanza che ci sostiene mentre cerchiamo di sciogliere i nostri nodi umani e spirituali. È vero si passa e si diventa scomodi nel fare notare queste cose, ma in fondo Paolo stesso alla fine era mal sopportato, forse per questo c’è affinità tra me e la sua figura. Compreso il viaggiare. Vi potrei scrivere all’infinito sull’incontro di ieri sera ma preferisco lasciarvi il link della diretta perché ci sono le domande su cui lavorare a livello personale.

Simona e Andrea

Vi aspettiamo se volete nel nostro Instagram nella nostra pagina Facebook Abramo e Sara, nel nostro canale Telegram e WhatsApp. Se passate da Roma ci trovate presso la parrocchia di San Giuseppe al Trionfale. E se volete continuare a sostenere il nostro progetto è disponibile online il nostro libro su Amazon.

Quanti errori in camera da letto

Oggi entriamo in camera da letto. Già perché c’è un problema. Un grande problema. Ne discutevo anche con un mio caro amico sacerdote. Lui sostiene che queste sono questioni sulle quali approcciarsi con pudore. In camera da letto lui non si sente di entrare. Eppure nella mia piccola esperienza di ascolto di coppie che fanno fatica ho capito che tanti problemi si annidano proprio lì. Nella camera da letto. Per questo dobbiamo superare questo pudore ed entrarci, non per voyaerismo, ma per farci aiuto concreto ai fratelli. Noi maschi spesso crediamo di sapere tutto sul sesso e su come appagare la nostra sposa. E’ davvero così? Non credo, tranne qualche eccezione. E’ vero che sappiamo tanto. Per anni ci siamo educati alla scuola pornografica. Ci siamo scambiati consigli ed esperienze con amici ignoranti come noi, se non peggio. Abbiamo avuto donne ignoranti quanto noi sull’argomento. Il risultato qual è? Spesso la donna non è gratificata dal rapporto sessuale nel matrimonio. Non prova piacere, si sente usata, a volte avverte dolore. A lungo andare tutto ciò porta la donna a rifuggire i momenti di intimità e porta frustrazione e lontananza tra gli sposi. Cercherò ora di sintetizzare gli errori più frequenti che noi uomini commettiamo, spesso inconsapevolmente (pensiamo di agire nel modo migliore), e che non permettono alla donna di vivere nella gioia e nella pienezza l’incontro intimo. Nel matrimonio, l’amplesso, è riattualizzazione del sacramento. Qualcosa di molto importante anche per noi cristiani, soprattutto, azzarderei dire, per noi cristiani.

  1. I preliminari non finiscono mai. Noi uomini siamo fatti così. Non tutti, ma molti. Abbiamo l’abitudine a separare nettamente il momento dell’amplesso dalla nostra vita di tutti i giorni. Siamo capaci di non guardare la nostra sposa per tutto il giorno, presi da tante preoccupazioni ed attività, salvo poi ricordarci di lei ed essere subito pronti per entrare in intimità con lei. Viviamo l’intimità quasi come affetti da bipolarismo. L’uomo amante non c’entra con l’uomo marito. Per la donna non funziona così. Trattarla così, soprattutto quando si è sposati, equivale a farla sentire usata e oggetto da cui trarre piacere. Qualcosa da tenere nello sgabuzzino e da tirar fuori quando ne sentiamo il desiderio. Invece i preliminari devono durare tutto il giorno e tutti i giorni. Uno sguardo, una carezza, un abbraccio, una telefonata, un gesto di servizio, ascoltarla, cercarla, dirle che è bella ecc. Insomma i preliminari possono e devono diventare corte continua. Solo così la sposa si sentirà desiderata e amata. Solo così l’amplesso fisico diventerà culmine e naturale conseguenza di quanto si è preparato durante tutto il giorno e non un qualcosa di avulso da tutto il resto.
  2. I preliminari sono per la donna. Uomo e donna sono diversi. Hanno tempi molto diversi per prepararsi all’amplesso. All’uomo spesso basta l’idea dell’incontro per essere pronto fisicamente. L’uomo si eccita con tatto e vista. Per la donna la natura ha previsto tempi e modi diversi. Per permettere al corpo della donna di modificarsi ed essere nella condizione ideale per la penetrazione servono dai venti ai trenta minuti. Cosa succede ai genitali della donna? In questo tempo la vagina si allunga internamente (non lo sapevate vero?) da circa 6/7 cm a circa 9/10 cm e l’utero si posiziona in maniera diversa per agevolare l’entrata del pene. Oltre ciò, durante i preliminari la vagina si lubrifica sia internamente che nella parte esterna (vulva). È diverso anche il modo di eccitarsi. L’uomo deve vedere e toccare, basta poco; la donna cerca altro, è più complessa. L’uomo così facendo, seguendo il suo desiderio, la sua modalità di cercare piacere, sta in realtà urtando la sensibilità della sua sposa. L’intimità fisica è trasformata in qualcosa di frettoloso e grossolano. In questo modo è impossibile vivere in pienezza e con gioia il rapporto. La donna vuole tenerezza, dolcezza, carezze, abbracci. Vuole percepire di essere preziosa e importante. Vuole sentirsi desiderata e amata. La pornografia mette al centro dei preliminari sempre l’uomo e i suoi genitali. Dimentichiamolo! Al centro deve esserci la sposa, con tutto il suo corpo e nel modo che piace a lei. I preliminari non sono tecniche eccitatorie per l’uomo (non sono sbagliate, ma non devono occupare tutto il tempo o quasi), ma gesti che sfamano il bisogno di tenerezza della donna; proprio perché l’uomo è già pronto fisicamente, rischia di fare una corsa perdendo di vista il bello del viaggio. I preliminari sono il tempo necessario a entrambi uomo e donna per entrare in comunione, l’uomo è già pronto fisicamente all’atto sessuale, ma ha bisogno di entrare in relazione con la donna per vivere in pienezza l’intimità, quindi non è solo attendere i tempi fisici della donna, sarebbe un’attesa sterile per il cuore. Perciò i preliminari sono indispensabili nell’intimità sessuale e sono gesti di tenerezza e dolcezza che rendono felice la persona amata.
  3. La penetrazione deve essere dolce e controllata. Se i preliminari sono stati vissuti come dialogo d’amore, l’amplesso diventerà il culmine di questo dialogo. Siamo dunque giunti alla compenetrazione dei corpi, che deve essere dolce e rispettosa. L’uomo entra dolcemente nel corpo della donna e lei lo accoglie in sé per formare insieme un solo corpo: espressione tangibile e concreta della fusione dei cuori, di quell’amore esclusivo, totale e per sempre che rende uno. San Giovanni Paolo II durante un incontro con le famiglie disse: L’unione dei corpi, voluta da Dio stesso come espressione della comunione più profonda ancora del loro spirito e del loro cuore, compiuta con tanto rispetto e tanta tenerezza, rinnova il dinamismo e la giovinezza del loro impegno solenne, del loro primo “sì”.
    La pornografia, al contrario, distrugge questa immagine. Non mostra delicatezza, ma ci insegna che più la penetrazione è violenta e profonda e più sarà piacevole per entrambi. Falsità! Riflettiamoci. Stiamo parlano del gesto più alto per esprimere
    amore al nostro amato, alla nostra amata. Stiamo entrando in un luogo sacro, il luogo dove nasce la vita e dove la coppia salda e accresce la propria unità! Luogo sacro della donna e luogo che è solo per lo sposo, che può e deve entrare con tutto il rispetto che quel dono richiede. E’ importante sottolineare, inoltre, che si devono rispettare le dimensioni anatomiche. Stando alla scuola pornografica, al contrario, sembrerebbe che non ci sono limiti… anzi, più il pene è lungo e grosso, più la donna sarà soddisfatta. FALSITA’. RIPETO: TUTTE FALSITA’. Cosa ho scritto nell’approfondimento dei preliminari? La vagina normalmente ha una profondità di 7 cm e quando è eccitata arriva a circa 10 cm. Cosa significa? Una cosa molto semplice da capire: il pene può entrare per quella profondità e tutta la parte in eccesso deve restare fuori. Diversamente se l’uomo segue i dettami della pornografia, cioè entra nella vagina con tutto il pene e con violenza, soprattutto quando lo ha di dimensioni superiori agli 11-12 cm, certamente impedisce ogni piacere per la donna, se non superficiale e limitato (spesso generando in lei anche sensi di colpa e sospetti di frigidità) e non di rado le provoca dolore, nei casi peggiori, escoriazioni ed emorragie. Capite la pornografia quanti danni provoca? In pronto soccorso, a volte i ginecologi devono curare lesioni postcoitali; le stesse che si verificano in caso di stupro… Può essere un simil-stupro un gesto d’amore?
  4. Restare uniti anche dopo. L’uomo, abbiamo detto prima, tende ad essere bipolare. Alcuni istanti dopo aver raggiunto il piacere può tranquillamente voltarsi dall’altra parte o messaggiare con l’amico sulla partita di calcetto del giorno dopo. Per la donna questa cosa è inconcepibile. Questa insensibilità dell’uomo può rovinare tutto e trasmettere alla donna la sensazione di essere stata usata. Lei ha bisogno di condividere la gioia di quel momento in un abbraccio profondo. E’ il momento dell’assimilazione della gioia. Una volta raggiunto il culmine del piacere e dell’unione, gli sposi (soprattutto lei) avvertono la necessità di un abbraccio finale. È un momento in cui si assapora e si gusta l’esperienza appena vissuta. Abbracciati e senza parlare, gli sposi assimilano la gioia della comunione profonda. Il piacere e la gioia sperimentati nella carne vengono assimilati dal cuore. Questa assimilazione porta un frutto di pace molto profondo. Una pace, una gioia, un amore e, vedremo con il sacramento, un’effusione di Spirito Santo, che ci daranno forza e sostegno nelle ore e nei giorni a venire.

Sono sicuro di una cosa. L’uomo che decide di mettersi in ascolto della sua sposa, e di vivere il rapporto fisico davvero come dono di sé verso la sua sposa, otterrà in cambio tantissimo. L’uomo che cercherà davvero di assecondare i desideri e la sensibilità della sua sposa anche nel talamo nuziale riuscirà a guarire miracolosamente i mal di testa della sposa e a donarle un’intimità che sarà gioia, pace e comunione vera. Spesso non è la sposa che non ha desiderio verso lo sposo. Cambiamo prospettiva. E’ lo sposo che non è capace di generare desiderio nella sua sposa. I concetti che ho espresso non sono solo frutto della mia esperienza personale e di ascolto verso gli altri, ma sono arricchiti della competenza e della preparazione della dott.ssa Luisa Scalvi, che ringrazio. Luisa è medico ginecologo. Ho cercato di sintetizzare quello che potete trovare scritto in modo più approfondito nel nostro libro L’ecologia dell’amore. 

Antonio e Luisa

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I nostalgici

Dagli Atti degli Apostoli (At 4,32-37) La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno. Così Giuseppe, soprannominato dagli apostoli Bàrnaba, che significa “figlio dell’esortazione”, un levìta originario di Cipro, padrone di un campo, lo vendette e ne consegnò il ricavato deponendolo ai piedi degli apostoli.

Proseguendo nella lettura degli Atti degli Apostoli ci si imbatte in questo brano che viene proposto nella Messa odierna. Ci sono vari studi che hanno approfondito la vita delle prime comunità cristiane, ora per capirne la struttura ora per studiarne l’impatto sociale o per altri motivi, ma quello che più ci interessa non è tanto come fosse strutturata la prima Chiesa oppure quali stili di vita avesse perché questo potrebbe da un lato stimolarci ma dall’altro restare pura curiosità ma non toccare la nostra vita.

Tra questi modi di leggere la prima forma di vita comunitaria post-resurrezione quella che spicca di più è quella dei nostalgici che vorrebbero plasmare la Chiesa (non in senso mistico, ma nel senso della Chiesa organizzata) sul modello di questa prima comunità descritta negli Atti, e più volte nel corso della storia ci sono stati tentativi di riprodurre questa comunità ma sono tutti falliti. Certamente questi tentativi sono lodevoli nell’intenzione ma poi si sono scontrati con la dura realtà; infatti la società, il popolo, l’epoca, i costumi, gli stili di vita, le usanze, la struttura politica e la cultura in cui è nata quella comunità primitiva sono completamente diversi dai nostri perciò questo rende praticamente impossibile riprodurre esattamente quella Chiesa originaria. Ma perché quella comunità primitiva continua ad affascinarci nonostante siano passati molti secoli? I cosiddetti nostalgici della comunità primitiva sono spinti da un’illusione oppure c’è qualcosa che comunque ci attrae? Dov’è il segreto di questa comunità?

Certamente dobbiamo tener presente che i fatti di Gesù erano appena accaduti, soprattutto la Pentecoste ha sigillato nei cuori dei Dodici le apparizioni del Risorto ed impresso nuova forza e coraggio in loro, sicuramente poi dobbiamo tener presente che la Madonna era ancora tra loro all’inizio, e queste situazioni sono certamente favorevoli e non possono essere riprodotte tali e quali, quella resta una condizione privilegiata ed irripetibile, ecco perché ci viene presentata anche in qualche dettaglio; quei fatti straordinari, le persone coinvolte e le condizioni uniche ed irripetibili sono per il lettore una conferma che si sta narrando di fatti realmente accaduti, è come se fosse un sigillo di garanzia che il prodotto è DOC e DOP – e tutte le altre sigle che volete -.

Il fascino che tale situazione esercita su di noi – e la sua irripetibilità – non può diventare invidia della grazia altrui altrimenti cadremmo in un peccato grave e nemmeno ci deve illudere di riprodurlo tale e quale come se fossimo a teatro e sconnessi dalla vita reale. Possiamo però tendere a riprodurre non tanto le situazioni e gli stili di vita di tale comunità prototipo, quanto la vera realtà che ci affascina ma di cui spesso non teniamo conto in maniera adeguata: “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola […] “.

Questo è il nocciolo, questo è il vero motore di quella comunità, questo ha suscitato quel modus vivendi che tanto ci affascina e suscita nostalgia nel nostro cuore. E’ la nostalgia di unità, la nostalgia della pace vera, la nostalgia di una perfetta armonia, in altre parole la nostalgia di Dio che è in se stesso tale armonia tra le tre Persone Divine, tale unità di cuori che battono all’unisono. Non è sbagliato dunque il moto iniziale dei nostalgici, ma deve essere incanalato nella realtà concreta che ci sta davanti.

All’interno della comunità dell’Intercomunione delle famiglie sperimentiamo questa realtà, seppur con tutti i limiti dell’umana natura e della società odierna, poiché il motore di tutto è avere un cuore solo che batte all’unisono per aiutarci reciprocamente a vivere più santamente il sacramento del matrimonio – a partire dal vivere bene la sessualità e la castità coniugali – abbiamo come un’anima sola che respira lo stesso respiro di Dio ma che si traduce in diversità di stili, assomiglia un po’ a quando diverse case automobilistiche mettono in comune un’ unico progetto di automobile ma lo rivestono ognuna a proprio modo, sotto però c’è la stessa scocca, lo stesso motore, le stesse caratteristiche principali… se le guardi da fuori ne cogli le diversità estetiche, ma gli esperti nel settore sanno e vedono che sotto c’è la stesso progetto.

Questa vita comunitaria come incide sul matrimonio? Aiuta ed incoraggia gli sposi a riprodurre all’interno della loro relazione sponsale quelle stesse caratteristiche di unità di intenti, di unità di cuori, di unità di obiettivi. Ogni incontro diventa un’occasione di bene reciproco, perché non c’è nessuna primadonna che si impone, ma ogni coppia mette in comune ciò che ha – non importa che sia tanto o poco – ogni coppia mette a disposizione le proprie capacità e carismi: c’è chi prepara la logistica, chi pensa alle vettovaglie, chi pensa ai bambini, chi cucina bene e chi mangia con gusto, chi aiuta a pregare, chi a cantare, chi ha capacità oratorie, chi ha capacità informatiche, chi tiene la cassa, chi sa ascoltare i cuori, chi sa dare il consiglio giusto, chi sa accompagnare le ferite, chi capisce cosa è meglio per tutti, chi si fida di queste scelte… ogni coppia ritorna alla propria quotidianità con un pizzico in più di coraggio per affrontare le proprie sfide e con un po’ più di fiducia in se stessa perché vede altre coppie vivere il sacramento del matrimonio dando il massimo di se stessi, affidandosi con la fede nel Signore Gesù, ne vedono i frutti di Grazia ed insieme si riprende forza e coraggio.

Il marito impara dalle virtù degli altri mariti ad amare meglio e più in profondità la propria sposa; la moglie si confronta con le altre mogli e si incoraggiano a vicenda per amare meglio e di più i propri sposi. La comunità primitiva aveva dei doni particolari ed unici, ma se ci pensiamo bene anche le nostre comunità parrocchiali, i nostri gruppi di preghiera o le altre realtà comunitarie – come quella sopra descritta – hanno la possibilità di avere la presenza reale, viva, sostanziale ed efficace della presenza di Gesù – nella Santissima Eucarestia -, possono anche beneficiare della materna presenza della Madonna – per esempio recitando il Rosario – e possono invocare l’aiuto dei Santi Apostoli con la preghiera.

Cari sposi, tutte queste bellezze possono diventare realtà sia per le nostre parrocchie che, soprattutto, per le nostre case, le nostre chiese domestiche, dove la presenza di Cristo è reale tra i due sposi consacrati dal Sacramento del Matrimonio. Coraggio dunque, care famiglie, lasciamoci invadere dal fascino della primitiva comunità cristiana e chiediamo l’aiuto dal Cielo perché essa possa essere riprodotta nella sua essenzialità a partire dalla nostra relazione sponsale.

Ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio.

Giorgio e Valentina.

Mostrò loro le mani e il costato

Vorrei oggi tornare sul Vangelo di ieri, domenica in Albis e domenica della Divina Misericordia. Sapete perch[ la prima domenica dopo Pasqua è chiamata in albis? Deriva dalla tradizione. Durante i primi secoli i cristiani avevano la consuetudine di battezzare i catecumeni durante la veglia di Pasqua. I nuovi battezzati ricevevano una veste bianca che indossavano poi per l’intera settimana successiva, per poi deporla proprio la domenica seguente. Da qui il nome Domenica in albis (il nome completo sarebbe Domenica in albis vestibus depositis).

Torniamo ora al Vangelo di ieri. Come avete ascoltato durante la Messa, è stato proclamato il Vangelo dove Gesù appare due volte agli apostoli nel cenacolo. La prima volta senza la presenza di Tommaso e la successiva dove c’è anche l’incredulo apostolo. Quello che mi preme è riprendere un breve passaggio del Vangelo per evidenziare un atteggiamento del Risorto che potrebbe passare inosservato. Venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il costato.

Collocate questa immagine nel vostro matrimonio. Quegli apostoli nel cenacolo erano gli stessi che avevano abbandonato il Cristo, erano scappati nascondendosi. Pietro lo aveva addirittura rinnegato dopo che poche ore prima aveva promesso di rimanergli accanto in ogni situazione. Gesù entra e rompe il ghiaccio con pace a voi, un modo per riaffermare quel rapporto d’amore e d’amicizia che almeno dalla parte del Cristo non era mai venuto meno. Ricostruite nella vostra mente la scena. Gesù dice queste parole non nascondendo le ferite della passione e della crocifissione, ma al contrario le mostra. Ferite trasfigurate dalla Resurrezione ma che hanno lasciato, sul corpo glorioso di Gesù, segni evidenti.

Questo atteggiamento del Cristo può insegnare davvero tanto a noi sposi. Anche noi siamo pieni di ferite. Alcune aperte e sanguinanti, altre chiuse ma non ancora guarite del tutto, altre che hanno lasciato cicatrici. Le relazioni con le persone sono per noi vitali, nel senso che ci rendono vivi e non possiamo farne a meno, ma sono anche pericolose. Quante ferite abbiamo ricevuto proprio dalle persone che più abbiamo amato. I nostri genitori, i nostri fratelli e le nostre sorelle, i nostri amici, ed ora anche nostro marito o nostra moglie. Spesso non veniamo feriti per deliberata cattiveria. Semplicemente la relazione implica l’aprirsi a persone che come noi sono abitate dalla contraddizione della caduta, persone abitate dal peccato ed incapaci di amare in modo perfetto e infallibile. Succede che i nostri genitori possano farci del male con il loro comportamento. Non lo fanno perché non amano i figli. Non sanno amarli come Dio li ama, e mettono ciò che sono e ciò che possono dare in quella relazione d’amore. Anche io chissà quanti errori ho fatto e ancora farò con i miei figli. Chissà quante ferite dovranno guarire nelle loro relazioni future.

Tutta questa premessa per dire solo una cosa. Quando vi accostate a vostro marito o vostra moglie fatelo come ha fatto Gesù. Portate la vostra parola di pace e il vostro sguardo d’amore, ma fatelo non nascondendo le ferite. Mostratevi completamente perché quella pace che voi offrite non cancella tutte le sofferenze che avete passato, non sana le vostre ferite che continuano a sanguinare. Nascondere le ferite significa solo rimandare il problema e poi con il tempo esplodere con l’altro o implodere in sé stessi. Invece mostrandoci nudi nelle nostre fragilità potremo essere accolti ed amati. E’ lì che comincia per noi la vera resurrezione, la guarigione del male passato della famiglia di origine e del male presente della nostra relazione sponsale.

Antonio e Luisa

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Trovare pace

Cari sposi,

        questo breve articolo l’ho scritto mentre ero in pellegrinaggio di recente a Fatima. Un luogo di grande pace, non tanto per trovarsi in mezzo a una ridente e tranquilla campagna quanto per l’intervento divino che, tramite Maria, ha lasciato un segno ormai entrato nella storia, un segno per l’appunto di pace.

Nei messaggi della Vergine, durati dal maggio all’ottobre 1917, ricorre più volte il tema della pace, a cominciare dall’apparizione preparatoria dell’Angelo: “Non abbiate paura. Sono l’Angelo della Pace. Pregate con me”; fino a quella di Maria: “Recitate il rosario tutti i giorni per ottenere la pace per il mondo e la fine della guerra”. La Madonna dice in sostanza che la pace del mondo dipende dalla preghiera di ciascuno di noi. Un’affermazione nuova perché mai come a Fatima Maria ha messo in evidenza il legame tra la pace mondiale e l’atteggiamento personale. In altre apparizioni precedenti Lei ha avuto, per così dire, una ricaduta e un’eco più ridotto e riguardante un minor numero di persone.

E qui viene un collegamento forte con il Vangelo e la festa di oggi, la Divina Misericordia. Difatti, Gesù, non appena si presenta nel Cenacolo, dona subito la sua misericordia a quelle persone che, chi più (Pietro) e chi meno (Giovanni), l’avevano rinnegato in qualche modo ed avevano pertanto la coscienza sporca. Gesù per primo fa la pace con loro e non li aspetta in processione con il capo chino, anche se ne avrebbe avuto tutto il diritto. Così facendo Gesù ci insegna che la pace nel mondo non sarà mai solo è una questione di accordi tra politici, ma piuttosto il frutto di una accoglienza personale e per voi sposi anche di coppia, del dono della pace di Gesù. Sì perché la pace è un dono, è un dono pasquale che tutti noi possediamo ma che non è ancora del tutto realizzato in ciascuna persona e coppia. Ed è lì che entra il nostro sforzo e la collaborazione personale alla grazia.

Troviamo così un meraviglioso intreccio tra il Vangelo e la festa della Misericordia e un’eccellente ricaduta nuziale. Gesù dona il perdono, dona la Misericordia ed è essa che ci permette di vivere nella pace. Solo nella piena riconciliazione con Dio possiamo poi riconciliarci con noi stessi e con chi amiamo. Come un sasso gettato in uno stagno, questa pace e riconciliazione possono espandersi attorno a noi. Che impressionanti le parole di San Giovanni Paolo II quando canonizzò suor Faustina Kowalska, colei che ricevette la rivelazione della Divina Misericordia: “L’umanità non troverà pace, finché non si rivolgerà con fiducia alla divina misericordia” (Diario, p. 132).

Ci sono effettivamente nodi che paiono insolubili tra i coniugi, cuori induriti da offese e mancanze di rispetto e fiducia. Ma appunto è il volgersi, il contemplare Gesù che ci fa dono del suo Perdono che può convertire i nostri cuori e così trovare davvero la pace.

ANTONIO E LUISA

Tommaso è esattamente come siamo noi. Noi che non riusciamo a credere in Dio perché nel mondo c’è il male, ci sono le guerre, i terremoti. Ci sono i bambini che si ammalano e muoiono. Noi vediamo tutto questo e non crediamo, perché non è possibile che Dio sia presente dentro la nostra vita. Invece Gesù dice: “beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”. Spesso anche nel nostro matrimonio non riusciamo a vedere la presenza di Cristo. Eppure lui c’è. C’è da quel momento che abbiamo pronunciato il nostro sì con la bocca e lo abbiamo confermato con il corpo nel primo rapporto fisico. Poi il tempo passa, iniziano i problemi, i litigi, le incomprensioni. La relazione sembra tutto fuorché santa. Eppure Gesù è sempre lì, fedele. La nostra infedeltà non corrompe la sua. Il suo amore e la sua grazia sono sempre a nostra disposizione. Tanti non ci credono più e mollano. Cercano nuove strade. Invece, senza giudicare chi non riesce, beate quelle donne e beati quegli uomini che credono anche se non vedono Dio nella loro storia, nel loro matrimonio. Beate quelle donne e quegli uomini che, anche se sono stati abbandonati e vedono la persona che ha promesso loro di amarli per sempre insieme ad un’altra persona, continuano ad abbandonarsi a Dio, perché sanno che Lui c’è anche se non lo vedono. Beate quelle donne e quegli uomini perché non hanno bisogno di vedere per credere, hanno dentro una promessa di Dio che custodiscono e che li conduce verso la verità e l’incontro con Gesù che salva e dà senso ad ogni cosa, anche quello che adesso non si può comprendere.

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Lasciati amare

Cari sposi,

in questa settimana di Pasqua tutte le letture e in particolare il Vangelo ci ha riproposto evidentemente scene legate alla Risurrezione. Il senso è chiaro: la Chiesa vuole farci guardare al trionfo di Cristo da diversi punti di vista e angolature perché ne possiamo trarre il massimo frutto spirituale. C’è una sorta di filo rosso che lega queste vicende ed è che praticamente Cristo fa tutto Lui, Gesù prende sempre l’iniziativa. Ma questo perché? Nonostante sia risorto, nessuno Gli crede e deve apparire più volte e in diverse circostanze perché finalmente venga accolto.

Eppure, la cosa più bella e commovente, in queste apparizioni, sono i piccoli e grandi gesti di amore di Gesù verso i suoi discepoli. Di certo il più meraviglioso, non presente nei Vangeli ma affermato dalla Tradizione della Chiesa, è l’apparizione a sua Mamma (S. Ambrogio, Sulle vergini: “Maria vide la risurrezione di Cristo, e la vide per prima”). Non poteva che essere Lei la prima ad essere toccata dalla grazia ella Risurrezione per i meriti che ha accumulato durante la sua vita; poi è la volta di Pietro, poi i due di Emmaus, poi la colazione preparata per gli apostoli dopo la pesca e il “regalo” di una retata abbondantissima.

Se ci fate caso, nessuno in queste circostanze chiede niente a Gesù. Non vi è nessun malato, storpio, zoppo, cieco… da sanare. Gesù non deve accondiscendere ad alcuna richiesta di aiuto. Al contrario, Gesù è tutto proteso a dare doni inaspettati, illuminare e aprire gli occhi, consolare e confermare la fede ancora vacillante nei suoi. Ecco allora che si vede qui una nota dominante di come Gesù tratta gli apostoli: si dona per primo e gioisce nel rendere felici chi Lui ama. Di conseguenza è fondamentale lasciarsi amare, lasciare che sia Lui a fare tutto, permetterGli di agire come meglio crede, dico di più: consentire a Gesù di coccolarci.

Tanto è vero quanto dico che difatti quei gesti semplici e cordiali di Cristo, gli apostoli non se li scordarono mai più, al punto che Giovanni all’inizio della sua Prima lettera abbondò nel voler far capire quanto lui avesse toccato, sentito, visto Gesù (cfr. 1 Gv 1, 1-4). Perciò la Pasqua ci deve lasciare impresso nel cuore che Cristo mi ha trattato e mi tratta davvero così, mi ama per primo e vuole che io mi lasci amare da Lui.

Per voi sposi, di conseguenza, vale lo stesso. Quanto è importante saper riconoscere i gesti di amore del coniuge, saperli valorizzare e apprezzare. Non si può amare senza prima essere amati e difatti la vita sponsale, per grazia di Dio, ha il dono di essere un continuo darsi e riceversi (cfr. Gaudium et spes, 48), cioè ricevere amore e ridonarlo. Vivere, come sposi, da risorti, significa accogliere e lasciarsi amare da Cristo Vivo, da Cristo presente adesso al mio fianco, saper riconoscere come mi ama per poi farne dono e condividerlo con il coniuge in un cammino di crescita verso la vostra pienezza.

Padre Luca Frontali

L’amore non si può comprare

Torno a scrivere di Onlyfans (vi lascio il link all’articolo precedente) perché una notizia divenuta virale nei giorni scorsi mi ha sconvolto. Capisco che si tratta di un caso limite, che non è la “normalità” di chi usufruisce di questi “servizi”, ma è stato comunque scioccante. Paga 10.000 dollari per un abbraccio con ragazza di OnlyFans, lei con i soldi va in vacanza con il fidanzato. Questo è il titolo di una notizia che abbiamo potuto leggere in tantissimi siti di informazione. Un fatto quasi surreale che evidenzia chiaramente la povertà relazionale e la solitudine di tanti uomini e di tante donne del nostro tempo. Quanta solitudine da una parte e quanta superficialità dall’altra. Ma veniamo ai fatti.

Un ragazzo contatta una ragazza su Onlyfans e le offre 10’000 dollari solo per incontrarla ed abbracciarla. Sapete come funziona Onlyfans? Un breve recap per fare chiarezza per chi è un boomer come me e magari non è a conoscenza dell’esistenza e del funzionamento di questa piattaforma virtuale. Onlyfans è un social come lo sono Facebook e Instagram, ma con una differenza sostanziale: ogni creator (chi carica contenuti sulla piattaforma si chiama così) chiede un abbonamento mensile per accedere alle proprie gallerie video e fotografiche. Un abbonamento solitamente di pochi euro, ma che permette a chi riesce ad ottenere un alto numero di abbonamenti di racimolare somme ingenti di denaro. E non sono poche quelle donne che si arricchiscono così. Manco a dirlo spesso i contenuti sono più o meno espliciti e non di rado pornografici. Questo è quindi il contesto. La differenza con i video pornografici “tradizionali” è che in Onlyfans si crea una sorta di “relazione” virtuale tra la creator e gli abbonati, che possono interagire con lei in chat o in altro modo. Nella notizia che ho riportato c’è quindi uno di questi abbonati che finalmente è riuscito a coronare il suo sogno: incontrare dal vivo la sua creator preferita, che tanto lo ha fatto “innamorare”. E’ riuscito addirittura ad avere un contatto fisico con lei, per un momento è riuscito ad eliminare ogni barriera e a a ricevere addirittura un abbraccio da parte della ragazza. Il tutto per la modica cifra di 10’000 dollari.

Cosa spinge un ragazzo a spendere una tale somma per un abbraccio? Sembra davvero incomprensibile. Anche se quell’uomo fosse spudoratamente ricco e avesse soldi da buttare perché fissarsi con lei quando avrebbe potuto avere molto di più con una escort, magari anche più bella di quella ragazza che non sembra avere nulla di speciale, spendendo sicuramente molto di meno? Semplicemente lui voleva quella ragazza e non un altra. Tutti abbiamo nel cuore il desiderio di essere accolti ed amati per quelli che siamo e l’innamoramento (sicuramente quell’uomo a suo modo si è innamorato della proiezione ideale che si è fatto della ragazza) ci fa desiderare di essere accolti da quella donna e non da un’altra. Capite la povertà e la menzogna che c’è dietro tutto questo?

A fine anni novanta ed inizio duemila era molto conosciuta la pubblicità di Mastercard. Una pubblicità che proponeva diversi filmati dove veniva raccontato sempre un avvenimento speciale, un amore o un legame affettivo, un sentimento e poi tutte le storie si concludevano sempre con lo stesso slogan: ci sono cose che non si possono comprare per tutto il resto c’è Mastercard. Ve la ricordate? Come ad evidenziare l’ovvio. I soldi possono comprare ciò che è materiale e non le emozioni o i sentimenti. Oggi non è più così. Non è più ovvio. Quel ragazzo un po’ sovrappeso, che ha probabilmente grossi problemi di autostima e di accettazione di sé, pensa di poter comprare la considerazione di quella ragazza che lui vede come speciale. Lui vuole quella ragazza e non un’altra. Risponde ad una sana spinta ad uscire da sé per incontrare un tu in un modo completamente malato. Oggettivando la persona. Dandole dei soldi perché incapace di offrire sé stesso perché pensa di non valere nulla. Lo dicono tutti gli esperti: per amare gli altri devi prima di tutto amare te stesso. Lo dice anche Gesù nei Vangeli: Ama il prossimo tuo come te stesso. Non dice solo ama il prossimo tuo ma aggiunge come te stesso. Solo così potrai amare. Capite la povertà?

Parliamo invece di lei. In questo caso le è bastato abbracciare un ragazzo sudaticcio e grassottello per avere in cambio una consistente sommetta. Ma ne è valsa davvero la pena? Anche perché su quel social di solito non ci si limita ad un abbraccio ma si offrono contenuti dove quantomeno la creator si spoglia. Molti penseranno che non ci sia nessun male. Solo i soliti bigotti ci possono vedere qualcosa di sporco e di moralmente sbagliato. In realtà non è così. Abituarsi a vendersi, a vendere il proprio corpo, anche se solo virtualmente e senza un reale contatto carnale, crea una mentalità in chi lo fa. Abitua il creator a darsi un prezzo. A considerarsi quindi una cosa disponibile, naturalmente al “giusto prezzo”. Quindi anche in questo caso c’è di fondo una considerazione non adeguata di sé stessi. Non ci si ama davvero. Anche creator bellissime che hanno migliaia di abbonati in realtà non si amano perché si vendono come una merce in esposizione. E questo non può che portare scompensi a livello emotivo e psicologico. Lo dicono già i primi studi.

Alla fine la conclusione è sempre la stessa. Vogliamo evitare tutta questa povertà? Viviamo in una società che nella logica delle libertà sta oggettivando la persona umana. Onlyfans risponde alla stessa logica dell’utero in affitto. La nostra vita ha un prezzo. Il nostro corpo ha un prezzo. Questo distrugge il significato autentico della persona umana e dell’amore. Non lasciamoci corrompere da questa mentalità totalmente deleteria e sprezzante della dignità umana. Lasciamoci amare da Dio, sentiamoci figli amati e doniamoci completamente. Il matrimonio non richiede nessun abbonamento ma costa molto di più. Richiede il nostro per sempre ma in cambio non ci dà un amore farlocco ma uno capace di dare senso alla vita e a tutto ciò che ci accade. Noi siamo ricchissimi, siamo figli di Re! Testimoniamolo ai nostri figli e al mondo intero. Solo così potrà forse cambiare qualcosa. Concludo con un pensiero di papa Francesco che mette in evidenza l’inganno del nostro tempo, quello che non ci permette di sviluppare la nostra capacità di amare e non ci permette di crescere e di diventare ciò che siamo: immagine di Dio:

Amare come Cristo significa dire di no ad altri “amori” che il mondo ci propone: amore per il denaro – chi ama il denaro non ama come ama Gesù –, amore per il successo, la vanità, per il potere…. Queste strade ingannevoli di “amore” ci allontanano dall’amore del Signore e ci portano a diventare sempre più egoisti, narcisisti, prepotenti. E la prepotenza conduce a una degenerazione dell’amore, ad abusare degli altri, a far soffrire la persona amata. Penso all’amore malato che si trasforma in violenza – e quante donne sono vittime oggigiorno di violenze. Questo non è amore. Amare come ci ama il Signore vuol dire apprezzare la persona che ci sta accanto, rispettare la sua libertà, amarla così com’è, non come noi vogliamo che sia; come è, gratuitamente. In definitiva, Gesù ci chiede di rimanere nel suo amore, abitare nel suo amore, non nelle nostre idee, non nel culto di noi stessi. Chi abita nel culto di sé stesso, abita nello specchio: sempre a guardarsi. Ci chiede di uscire dalla pretesa di controllare e gestire gli altri. Non controllare, servirli. Aprire il cuore agli altri, questo è amore, e donarci agli altri. (Regina Caeli 9 maggio 2021)

Antonio e Luisa

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Uomini e donne non si capiscono: mito o realtà?

Perché uomini e donne non si capiscono?

È un fatto, uomini e donne non si capiscono. Sembra quasi che esista una barriera linguistica nella comunicazione fra uomo e donna, anche se sono entrambi italiani madrelingua. La comunicazione fra uomo e donna è da sempre uno scoglio e un motivo di incomprensioni. Ne abbiamo già accennato in un articolo precedente. Oggi vorrei approfondire l’argomento. Per mostrare che uomini e donne non si capiscono quasi mai, riporto un brandello di conversazione di una coppia, captato nella carrozza della metropolitana.

Lei: “Perché sai, non so se mi piacciono le ballerine, anche se vanno tanto

Lui: “Ma vanno dove?”

Lei: “Ma non le ballerine-ballerine! Le ballerine le scarpe! E dai!

Il giovanotto di turno mi fa un po’ tenerezza. Lui non aveva idea che ci fossero le ballerine-ballerine e le ballerine-scarpe. Non possedeva un gergo modaiolo da esperto, che lo rendesse consapevole del fatto che il termine “ballerine” può riferirsi a un modello particolare di scarpe da donna, con punta arrotondata e prive di tacco, simili alle scarpe indossate dalle ballerine di danza classica.

Quando parlano, uomini e donne non si capiscono quasi mai

Questo è solo uno dei milioni di esempi di fraintendimenti nella comunicazione fra uomo e donna. Una specie di barriera linguistica, come se uomini e donne parlassero di fatto una lingua diversa, che è nota solo in modo approssimativo all’altro. In questo modo, anche quando hanno l’impressione di capirsi e di esprimersi in modo chiaro, finiscono col cadere in qualche equivoco. Non è solo una questione di gergo o di parole. L’intero stile di comunicazione differisce molto fra uomo e donna. Immaginiamo che un uomo voglia una bistecca per cena. Molto probabilmente, dirà alla moglie:

Stasera voglio una bistecca per cena

Mi fai una bistecca stasera per cena?

Vorrei mangiare una bistecca per cena.

Adesso, immaginiamo la stessa situazione a ruoli invertiti. Adesso è lei che vuole una bistecca.

Non sarebbe fantastico mangiare bistecche, stasera?

Non avresti voglia di una buona bistecca stasera?

Che ne dici se stasera facciamo bistecche?

Due osservazioni, su questi dialoghi. Sapete perché uomini e donne non si capiscono? L’uomo dice con chiarezza cosa vuole. Usa un imperativo o comunque una espressione estremamente diretta e non sembra preoccupato che il suo desiderio sia un problema per gli altri. La donna non parla dei propri desideri. Suggerisce la propria soluzione preferita, in modo che sembri che la decisione venga presa dall’altro o che l’opinione di quest’ultimo sia determinante per scegliere. La sua comunicazione è indiretta. Il rischio di questa diversa modalità, è che gli uomini non sempre capiscono che quella che sembra una domanda, una opzione, una possibilità, è in realtà un desiderio, una decisione, una esigenza. Potrebbe infatti essere che l’uomo, che si sente interpellato, risponda: “No, stasera voglio stare leggero, mi basta un’insalata”. Cosa succede in questo caso?

Lei vuole una bistecca, ma è abbastanza improbabile che dica al marito: “Va bene amore, non c’è problema ti preparo un’insalata. Io, invece, preferisco una bistecca”. Quasi certamente accetterà controvoglia la decisione di lui, ma potrebbe esserne delusa o risentita. Da parte sua, lui non lo sospetta neanche. Se pure qualcuno gli suggerisse i sentimenti che prova la moglie in quel momento, lui cascherebbe dalle nuvole. In fondo è lei che ha chiesto se lui volesse la bistecca. Perché avrebbe dovuto chiederglielo, se aveva già deciso?

Il silenzio ha un significato diverso

Una delle differenze più significative, nella comunicazione fra uomo e donne, è il significato del silenzio. Gli uomini parlano per trasferire informazioni. A loro non pare strano restare in silenzio, se non hanno nulla di significativo da dire. Anzi, per gli uomini è importante riposare, fra un discorso o un lavoro e l’altro. Le donne, attraverso le parole, esprimono sentimenti, stati d’animo, aspettative. Molte donne parlano dei loro problemi e difficoltà con il partner, perché hanno bisogno che qualcuno le ascolti. Non si aspettano necessariamente che lui intervenga o risolva un qualche problema concreto. Per loro parlare è un modo per organizzare le informazioni, manifestare stati d’animo, sollecitare empatia e solidarietà. Quando una donna rimane a lungo in silenzio, non è generalmente un buon segno. Il problema è che gli uomini ci metteranno del tempo a capire che questo silenzio è indizio di risentimento o delusione, da parte della loro donna. La tendenza maschile sarà infatti pensare: “Lei non parla, perché non ha niente da dire. Quando l’avrà, me la comunicherà”.

Gli uomini non amano i dettagli, le donne li adorano

Usando la comunicazione solo per trasferire informazioni, gli uomini hanno generalmente un modo di comunicare più asciutto e asettico. Se anche hanno fatto molte cose nel corso della giornata, è improbabile che le elenchino, magari specificando ogni dettaglio e aggiungendo un resoconto dei sentimenti provati in vari momenti del giorno. Diranno che hanno avuto molto da fare. Una donna, invece, farà un resoconto estremamente specifico di tutto quello che ha fatto, di come lo ha fatto, si come si è sentita prima, dopo, durante. Per gli uomini, questa modalità è stressante. Hanno la sensazione che quel numero impressionante di informazioni sia dovuto al fatto che la moglie si aspetta che lui faccia qualcosa. Tuttavia, non riescono a capire cosa. Spesso diventano impazienti e chiedono alla moglie di arrivare al dunque. Quello che non sanno, è che parlare, per la donna, non ha lo scopo di trovare soluzioni o di chiederle al consorte. Potersi sfogare per lei è già sufficiente. Meglio, se le sue parole sono accolte con espressioni di incoraggiamento e di sostegno. Anche solo generiche.

Gli uomini e le donne non si capiscono, nemmeno quando stanno in silenzio

Gli uomini, invece, quando gli si parla, credono di essere stati ingaggiati perché ci si aspetta da loro qualcosa di concreto. Siccome molti dei lunghi monologhi femminili non sono domande e non implicano una possibile soluzione, l’uomo all’ascolto rimane confuso. E dopo un po’, si annoia e finisce col pensare ad altro. Magari a problemi che aspettano davvero una soluzione. Da parte delle donne, un uomo che parli poco e in modo molto stringato, produce una percezione negativa. Le donne si sentono escluse dalla vita degli uomini silenziosi. Generalmente, sospettano che vogliano deliberatamente nascondere loro qualcosa. Dal punto di vista femminile, lui le sta volontariamente negando delle informazioni che potrebbero essere importanti. Qualche donna potrebbe arrivare a sospettare che il suo uomo abbia qualcosa di cui vergognarsi. E invece, quando un uomo sta in silenzio, e, interrogato sull’argomento, dice che non sta pensando a niente, bisogna fidarsi. Davvero non sta pensando a niente. E anche se a noi sembra impossibile, gli uomini possono passare intere mezz’ore e loro multipli a non pensare a nulla. Al massino, coltivano pensieri deboli. Cose come:

“chissà se vinciamo domenica fuori casa?”

“devo ricordarmi di far controllare la pressione delle gomme”

“La macchia di salsa yogurt del kebab che ho mangiato in auto, verrà via dalla tappezzeria?

Comunicazione fra i due sessi

Capire cosa si aspetta l’altro, come lo chiede, in che modo esprime le sue idee, i suoi bisogni, i suoi sentimenti, richiede allenamento, pazienza, umiltà. Occorre andare incontro all’altro, sforzarsi di capirlo al di là della sua abilità di esprimersi. Non bisogna mai dare per scontato che la propria interpretazione dei fatti sia quella vera, o l’unica possibile. D’altro canto, per imparare un’altra lingua, non basta una vita. Uomini e donne non si capiscono quasi mai, bisogna farsene una ragione. E adoperarsi per ridurre gli equivoci.

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