Da sposo dico ai preti di non sposarsi.

Quando mi ritiro nella mia caverna (luogo riservato dove amano ritirarsi gli homo sapiens di sesso maschile per riposarsi dal continuo desiderio di dialogo e di supporto delle homo sapiens di sesso femminile) solitamente lo faccio per leggere. Leggere libri e articoli credo sia fondamentale per il mio impegno di social influencer (oggi si dice così un tempo si diceva testimone). Mi è stata suggerita la lettura di un articolo di un sacerdote gesuita. Il tema della riflessione verte sul celibato sacerdotale. Inutile negare che all’interno della Chiesa ci sia da tempo un dibattito, a tratti anche acceso, su questo tema. Ci sono conferenze episcopali, come quella tedesca, che spingono per modifiche, aperture se non addirittura rivoluzioni. Ecco un passaggio dell’articolo (vi lascio il link):

Personalmente, sarei felice se un giorno dovesse capitare di avere un confratello sposato, insieme con me impegnato nel ministero parrocchiale. Mi  farebbe bene. Ci farebbe bene. Penso ad alcune rigidità di noi preti… Quanto mi farebbe bene lavorare fianco a fianco con un prete con un figlio adolescente? Eh sì, perchè è facile fare gli esperti pedagogisti quando i figli sono quelli altrui, quando non si vive la fatica dell’attesa di un figlio che ritarda dalla discoteca o la preoccupazione per una compagnia di amici problematica…

Su questa riflessione tornerò più avanti. Cominciamo con il premettere che il celibato non è un dogma e quindi non è una “regola” immodificabile. Il celibato non era presente nella Chiesa delle origini e non lo è tuttora tra protestanti e ortodossi, e addirittura non lo è in alcune Chiese cattoliche di rito orientale.

Qual è la motivazione di questa scelta? La regola è stata sancita con il Concilio Lateranense IV del 1215, ma era già una consuetudine molto presente e vissuta tra i presbiteri del tempo. Certo non da tutti, nelle cronache medievali non è raro trovare preti che intrattenevano relazioni sentimentali e avevano addirittura figli, ma questo è un altro discorso. La motivazione che portò alla scelta del celibato sacerdotale risiedeva nell’Eucarestia. Scrive lo storico Agostino Paravicini Bagliani: Una delle ragioni per cui il celibato ecclesiastico si diffonde e si “impone” nella Chiesa latina è proprio grazie alla dottrina della “transustanziazione” dove viene ribadita l’identificazione del sacerdote con Cristo in modo molto più profonda rispetto al passato.

Con il tempo si sono aggiunte nuove motivazioni che hanno confermato la scelta iniziale del tredicesimo secolo. Fino ad arrivare al Concilio Vaticano II. E’ utile per questo citare il Decreto Conciliare di Paolo VI PRESBYTERORUM ORDINIS che al punto 16 afferma:

Il celibato, comunque, ha per molte ragioni un rapporto di convenienza con il sacerdozio. Infatti la missione sacerdotale è tutta dedicata al servizio della nuova umanità che Cristo, vincitore della morte suscita nel mondo con il suo Spirito, e che deriva la propria origine « non dal sangue, né da volontà di carne, né da volontà d’uomo, ma da Dio» (Gv 1,13). Ora, con la verginità o il celibato osservato per il regno dei cieli (128), i presbiteri si consacrano a Dio con un nuovo ed eccelso titolo, aderiscono più facilmente a lui con un cuore non diviso (129) si dedicano più liberamente in lui e per lui al servizio di Dio e degli uomini, servono con maggiore efficacia il suo regno e la sua opera di rigenerazione soprannaturale, e in tal modo si dispongono meglio a ricevere una più ampia paternità in Cristo.

Insomma il celibato, da quando è stato istituito, non è mai stato messo in discussione, almeno dai pontefici, neanche dagli ultimi, compreso Papa Francesco, che lo hanno sempre ritenuto fondamentale per la vita della Chiesa.

Era importante fare una breve introduzione al tema. Ora però vorrei dare il mio punto di vista di semplice fedele sposato. Entriamo nel cuore della mia riflessione. Perchè è importante mantenere il celibato?

Certo per tutti i punti esposti in precedenza. Ce n’è un altro che forse è più comprensibile da chi è sposato come lo sono io. Permettere a un sacerdote di sposarsi equivale a svalutare il matrimonio. Se il matrimonio è qualcosa da mettere o togliere dalla consacrazione sacerdotale significa che non riveste una valenza ministeriale e profetica come invece è la consacrazione sacerdotale. E’ un’aggiunta. Nulla di più.

E’ importante separare i due sacramenti perchè hanno entrambi una stessa dignità e una missione specifica per il mondo. Lo spiega bene don Manuel Belli, teologo del seminario di Bergamo e docente di teologia sacramentale, che, durante una diretta sui mie canali, disse delle parole molto chiare e condivisibili al riguardo:

Matrimonio ed ordine sono inseriti tra i cosiddetti sacramenti della maturità cristiana. Invece per tanto tempo c’è sempre stata l’idea che fosse il prete a portare avanti la Chiesa. C’è il prete che cura le anime e poi i curati cioè i destinatari della cura che sono i fedeli laici. In una mentalità di questo tipo dove è la maturità riconosciuta a due sposi che hanno vissuto un sacramento della maturità cristiana? Fortunatamente le cose stanno un po’ cambiando. Non esiste più il prete e i suoi collaboratori ma prete e sposi sono collaboratori della grazia. Giovanni Paolo II ci ricorda in Familiaris Consortio che il matrimonio non è solo uno stato di vita e un dato di fatto, ma conferisce una missione. Per questo il matrimonio viene celebrato all’interno di una Messa. Non è una questione privata tra due persone ma c’è una comunità che riconosce che quelle due persone hanno ricevuto un mandato. Mandato di essere immagine dell’amore di Cristo nella Chiesa. Credo che su questo come Chiesa dobbiamo ancora fare un po’ di strada.

Quindi capite l’importanza di mantenere separate queste due consacrazioni? Unirle significherebbe perdere di vista la specificità di entrambe, soprattutto di quella matrimoniale che diventerebbe poco più di una scelta di vita personale e non una vera chiamata ad una missione.

Le due missioni si possono sintetizzare in uno slogan: il sacerdote porta Gesù al mondo mentre gli sposi portano il modo con cui Gesù ama. Noi sposi possiamo comprendere che le nostre nozze definitive saranno celebrate nell’eternità di Dio grazie proprio alla presenza e alla testimonianza dei consacrati e i consacrati potranno comprendere come Dio li ama guardando come noi sposi ci amiamo nella fedeltà e nella gratuità.

Quindi, tornando alla riflessione iniziale del gesuita, non serve che i preti possano comprendere direttamente le difficoltà e le dinamiche di una coppia di sposi, ma serve riconoscere i due sposi non come dei semplici laici, ma come dei consacrati e dare loro il giusto spazio nella Chiesa, nei movimenti e nelle parrocchie. La strada è ormai tracciata, lasciamoci guidare dallo Spirito Santo.

Antonio e Luisa

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