Domenica e famiglia: un connubio possibile /50

( Il sacerdote, con le mani giunte, dice sottovoce: ) Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che per volontà del Padre e con l’opera dello Spirito Santo morendo hai dato la vita al mondo, per il santo mistero del tuo Corpo e del tuo Sangue liberami da ogni colpa e da ogni male, fa’ che sia sempre fedele alla tua legge e non sia mai separato da te. ( Oppure: ) La comunione al tuo Corpo e al tuo Sangue, Signore Gesù Cristo, non diventi per me giudizio di condanna, ma per tua misericordia sia rimedio e difesa dell’anima e del corpo. ( Il sacerdote genuflette, prende l’ostia e tenendola un po’ sollevata sulla patena o sul calice, rivolto al popolo, dice ad alta voce: ) Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo. Beati gli invitati alla cena dell’Agnello. ( E continua, dicendo insieme con il popolo: ) O Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa, ma di’ soltanto una parola e io sarò salvato.

Siamo giunti ad un momento delicato per tutti, nel quale è bene conservare il massimo silenzio e compostezza nel rispetto della preghiera silenziosa di ciascuno. Abbiamo volutamente aggiunto nella citazione le parole riservate al sacerdote perché ci sono di grande aiuto nella comprensione della solennità del momento nonché per pregare anche noi con lui nel nostro cuore, se non con le stesse parole almeno con lo stesso moto dell’anima che queste parole dovrebbero suscitare.

Nella prima preghiera il sacerdote ricorda a se stesso, per l’ennesima volta, che ciò che sta per mangiare è frutto di un sacrificio di morte, dice infatti: “[…]morendo hai dato la vita al mondo“; qualcuno potrebbe pensare che la Chiesa ritenga che i suoi figli siano dei deficienti ed invece no, siccome conosce la natura fragile dell’uomo, semplicemente vuole rafforzare la nostra fede giorno dopo giorno, e come fa un buona madre ripete le stesse cose 20 volte al giorno ai suoi figli casomai sorgessero dubbi di fede in quel momento solenne, ecco perché il sacerdote (per primo) ripete a se stesso e si trova sulle labbra quelle stesse parole ogni volta affinché la sua fede non vacilli proprio in quegli istanti, ma al contrario ne tragga profitto e confermi nella fede i suoi parrocchiani.

Finite le preci, il sacerdote si rivolge al popolo con le stesse parole appena recitate poco prima nell’Agnus Dei: “[…] Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo[…]” quasi a mo’ di presentazione; come se il popolo prima avesse recitato o cantato l’Agnus Dei senza un riferimento oggettivo e fisico, ma ora, finalmente, eccolo lì Colui che abbiamo invocato poco prima col titolo di Agnello di Dio, il sacerdote ce lo presenta così ad imitazione del Battista quando anch’egli (si racconta nel Vangelo) lo presentò alla sua gente con le stesse parole… per fare un paragone umano un po’ azzardato ma che rende l’idea : una sorte di presentazione ufficiale in pompa magna come quando la celebrità si presenta sul palco dopo l’insistente acclamazione della folla esultante.

A questo punto è bene inginocchiarsi perché si è di fronte all’Agnello di Dio, come quando ci si inginocchia di fronte al Re, anche la forma esteriore ci induce a farlo poiché non c’è molta differenza tra l’esposizione del Santissimo Sacramento e questo momento: nella prima il Santissimo è presentato con l’ostensorio (una teca di vetro decorata) mentre in questo momento è tra le mani del sacerdote ma è sempre Lui, non è meno Santissimo di quando è nell’ostensorio.

La risposta del popolo ricopia quasi alla lettera la frase del centurione nel Vangelo di Matteo (8, 5-11), una frase che denota una grande fede ma anche un’umiltà profonda. Nell’originale latino (che si recita nel rito “vetus ordo“) la frase è molto più eloquente perché se per il centurione il tetto sotto il quale Gesù non sarebbe stato degno di entrare era il semplice tetto fisico della propria abitazione, per noi il tetto è il nostro cuore, la nostra anima, il nostro corpo.

E se per il centurione il tetto fisico non era degno di ospitare Gesù, cosa dovremmo dire noi che lo ospitiamo in maniera molto più intima del tetto fisico? Noi lo ospitiamo col nostro corpo, nel nostro cuore, nella nostra anima, come rendere degna dimora all’Agnello di Dio, al Re dei Re, al Figlio di Dio, a Dio in persona?

Le famiglie sanno bene cosa significhi dare un ripulita alla casa quando arriva un ospite importante, ecco perché il nostro lavoro di sposi in Cristo è quello di rendere il nostro corpo ed il nostro cuore sempre più una degna dimora per Gesù.

Nel prossimo articolo ci addentreremo un poco di più in questo grande mistero della comunione.

Giorgio e Valentina.

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