La morte genera un dolore assordante, soprattutto se a lasciarci è una persona che abbiamo tanto amato. E quando a lasciarci è la persona con cui si è diventati realmente una sola carne?
Anche se crediamo nella Resurrezione, il vuoto resta: è proprio la mancanza che sentiamo a ricordarci quanto bene abbiamo ricevuto. Eppure, da quel pianto, possono nascere fiori bellissimi.
Mi ha raccontato qualcosa di simile una vedova, Elisabetta, che ho avuto il dono di conoscere – seppure solo virtualmente, ancora – perché aveva letto un mio romanzo. Mi ha scritto, mi ha raccontato un po’ di sé, mi ha toccato il cuore.
Aveva perso il marito a causa di un tumore al cervello e in quella prova si è sentita stretta così forte da Dio che un peso opprimente, insopportabile, è diventato sostenibile. Non solo, ha dato frutti di vita. Elisabetta attualmente gestisce una pagina sui social dal titolo Con cuore di vedova, per condividere la sua esperienza e aiutare altri vedovi e vedove a vivere quella particolare condizione.
Ciò che scrive è di ispirazione per tanti e a colpire è la sua fede incrollabile in un Dio che l’ha sostenuta sia nel tempo della malattia del coniuge, sia dopo averlo dovuto salutare.
Non nasconde le lacrime versate e la fatica che ha vissuto: “La morte di Francesco è stata una prova difficilissima da affrontare perché il nostro matrimonio cristiano era davvero come una centrale atomica d’amore. La morte, purtroppo, ne ha intaccato il reattore”.
Sa bene che “perdere il proprio coniuge fa cessare il vincolo coniugale (almeno “sulla carta”, poi quel che accade nei cuori è tutto un altro paio di maniche) e chi resta da solo deve affrontare una grande crisi d’identità perché si ritrova da solo, senza l’altro della relazione, che fino a un attimo prima era il pilastro sul quale aveva costruito la famiglia”.
Dio, però, non l’ha abbandonata, anzi, riconosce che le ha dato “la grazia di accogliere la malattia di Francesco”. Non l’avrebbe mai voluta né immaginata, ma “una volta diagnosticata ho ricevuto dall’alto la forza di andare avanti. L’ho semplicemente accettata come avrebbe fatto Maria”. E aggiunge: “Dio mi ha dato tanto negli anni e ora sto imparando a restituire”.
Se le si chiede: “Dio è buono?”, lei risponde prontamente di sì. “Non ho mai dubitato della bontà di Dio e so che è una grazia. Nel mio animo Dio risuona come il Dio della vita, della speranza. Dio non è Dio dei morti, ma dei viventi: perché tutti vivono per lui.” (Lc 20, 40).
Riconosce che questa fede non è “merito” suo, non è il frutto di uno sforzo, ma un “dono”.
Se le si chiede come sopravvivere alla morte del coniuge, lei spiega che quel passaggio è senza dubbio uno “spartiacque”: sia che arrivi presto, a metà della vita coniugale (come nel suo caso) o avanti negli anni, segna sempre una frattura. C’è un prima e un dopo. E qualcosa si rompe dentro.
Fa notare: “Gli studi psicologici sulla vedovanza affermano che questa è la prima causa di stress in assoluto. Restare vedove è un trauma enorme che può durare anche a lungo nel tempo, dipende da diversi fattori: se la morte è stata improvvisa o no, da come ognuna elabora il lutto e dalle risorse che si hanno a disposizione”.
Proprio sapendo quale immensa prova possa essere la vedovanza per tante altre persone, ha deciso di creare la sua pagina “Con cuore di vedova” e ciò che ha capito, dialogando con altri coniugi rimasti soli, è che c’è Qualcuno che di gran lunga può fare la differenza in questa condizione ed è, per l’appunto, Gesù.
“È Lui che dà la forza per andare avanti, – testimonia – che dà la consolazione e la speranza di ritrovare i nostri cari in Paradiso. L’attesa è faticosa, ma in certi momenti ha un che di gioioso come quando si aspetta qualcosa di importante e ci si prepara nell’attesa”.
Al tempo stesso, mentre attende di abbracciare di nuovo colui che ha amato in vita, lei già ha una forte esperienza di comunione con il coniuge che è in Cielo: “La comunione con il proprio sposo prosegue oltre la morte, su questo non ho dubbi.” Anche se, a livello “canonico” si interrompe il vincolo nuziale e ci si può risposare lei continua a sentirsi legata al marito: “Continuo ad amarlo e sono certa che anche lui, da lassù, fa altrettanto”. È convinta inoltre che le anime “si parlino anche a distanze enormi”.
Elisabetta è consapevole che alle vedove è affidato un compito, che hanno una vocazione chiara e spiega: “Noi vedove diventiamo esperte di relazioni a distanza, veramente si apre un mondo nuovo sconosciuto alla maggior parte delle persone e persino alla predicazione della Chiesa, oserei dire. Mi sono resa conto, infatti, che le vedove cristiane serbano nel loro cuore un’enorme ricchezza in termini di fede nella risurrezione, di carità, di spirito di preghiera”.
Tuttavia, ciò di cui oggi davvero non può fare a meno è la preghiera assidua, la lettura della Parola, di ricevere la comunione: “il momento più intimo e fondante di questa comunione con il proprio sposo resta l’Eucarestia. Lì si tocca con mano il cielo sulla terra e sempre lì, quando il sacerdote eleva l’Ostia Santa, gli angeli fanno festa e le anime sante dei nostri cari vedono il volto splendente di Gesù. È il mistero della comunione dei santi che ognuno di noi può sperimentare quotidianamente nella preghiera”.
Per leggere la storia di Elisabetta nella versione integrale, accanto ad altre testimonianze di lutto vissuto nel Signore, ecco il libro: Vivere il lutto insieme a Dio per ritrovare la pace. Dieci storie vere (Cecilia Galatolo, Mimep Docete).
Cecilia Galatolo
Soffro da morire la morte di mia moglie Roberta, lo scorso 26 aprile, a 50 anni, dopo soli due anni, 6 mesi e 9 giorni di matrimonio.
Un matrimonio santo, voluto dal Cielo e ora interrotto dall’assenza.
Dio mio, aiutami 🙏🏻
Roberta, aiutami ❤️
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Caro Sergio nei grandi momenti di sofferenza impariamo ad affidarci a Gesù. Io cerco di fare così e trovo consolazione.
Poi penso a ciò che ha sofferto Gesù nella crocifissione anche per me e tutto il mio peso mi sembra più leggero.
Ti auguro la Pace del Signore.
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E’ proprio vero: noi vedove diventiamo esperte di relazione a distanza. Anche per me il matrimonio è stato una “centrale atomica d’amore” e lo è ancora, anche se il dolore per l’assenza e il trauma per la morte improvvisa e prematura di mio marito a volte rischiano di soffocarmi. Ogni giorno ringrazio Dio per avermi dato Saverio e ogni giorno chiedo a Dio la forza di andare avanti. In qualche modo, Lui mi ascolta e soprattutto fa sì che io senta sempre Saverio con me. L’amore non finisce con la morte fisica perché non è un fatto solo fisico.
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