Oggi voglio brevemente parlare di un argomento che purtroppo ho scoperto tardi, alla soglia dei quarant’anni, dopo la separazione, cioè l’ordine degli sposi (ordo coniugatorum): il catechismo della Chiesa cattolica, al n. 1631, spiega che “….il Matrimonio introduce in un ordo – ordine – ecclesiale, crea diritti e doveri nella Chiesa, fra gli sposi e verso i figli”, in altre parole, il matrimonio introduce i coniugi in un’unità sacramentale tra tutti gli sposi cristiani nella Chiesa.
Nessuno me ne aveva parlato, nonostante avessi incontrato nella mia vita tanti santi sacerdoti. Non è colpa di nessuno, ognuno di noi vive in contesti storici, socio culturali diversi, dove anche chi insegna e predica, sceglie gli argomenti di conseguenza.
Eppure lo Spirito Santo ha sempre parlato negli ultimi duemila anni e nelle prime comunità cristiane era forte la sinergia tra i sacerdoti e gli sposi, basti pensare a Aquila e Priscilla con Paolo; successivamente nella Chiesa, dal medioevo fino al Vaticano II, si è formata una struttura piramidale, di cui risentiamo ancora oggi, in cui al vertice c’erano i sacerdoti, poi scendendo i religiosi e infine gli sposi e i laici, poiché la loro sequela era considerata di un valore inferiore a causa dell’aspetto sessuale, quindi una forma meno perfetta di seguire Cristo.
In realtà sacerdoti e sposi hanno missioni diverse e complementari, non c’è una via migliore, se ognuno segue la propria vocazione e la porta fino in fondo.
Come esiste un ordine dei sacerdoti, cioè ogni sacerdote, dovunque si trovi è in comunione con tutti gli altri, perché c’è un solo Gesù, un solo pastore, una sola guida, così anche per gli sposi c’è un Sacramento che li unisce per formare il corpo della Chiesa (quindi il sacerdote è come se fosse la testa del corpo e gli sposi le braccia che abbracciano l’umanità intera).
Il problema è che spesso noi sappiamo più dei preti che di noi sposi: provate ad andare fuori della chiesa dopo la messa di ordinazione di un sacerdote e intervistate le persone all’uscita, chiedendo cosa è successo poco prima. La maggioranza probabilmente direbbe che “è diventato sacerdote”, oppure “si è fatto prete”, quindi vuol dire che prima non lo era, poi lo è diventato, cioè è avvenuto un cambiamento profondo.
Provate a fare la stessa cosa dopo la celebrazione di un matrimonio, probabilmente la gente direbbe “si volevano bene e si sono sposati”, oppure “sono diventati marito e moglie” (cosa che avviene anche nel matrimonio civile), cioè manca la consapevolezza di essere diventati qualcosa di profondamente diverso: addirittura, anche se fisicamente continuiamo a vederli distinti, per fede sappiamo che la coppia si trasforma in una carne sola (l’ho detto altre volte, questo legame non può essere mai spezzato e anche una causa di nullità non divide proprio niente, va soltanto a dichiarare che questa fusione, come quando si fondono insieme due pezzi d’oro, non c’è mai stata, per vari motivi).
Quindi gli sposi entrano a fare parte di un ordine che li porta a essere in profonda comunione con tutte le altre coppie, anche se non lo sanno o ci credono poco, in forza della grazia sacramentale.
Si può infatti essere un’aquila e passare tutta la vita con le zampe per terra e lo sguardo rivolto verso il basso, come fa una gallina che becca tutto il giorno.
È il rischio di tante coppie che si sposano perché si vogliono bene e neanche intuiscono che quello è solo l’inizio, il primo gradino di un lungo cammino.
L’identità tra coppie di sposi non serve per vantarsi, ma al contrario per capire che siamo aquile e che siamo chiamati a volare, impegnandoci e rimboccandoci le mani. Nessuna coppia da sola può esprimere tutto l’amore di Dio, ma solamente tutte insieme possono farlo.
Faccio solo un esempio: quante volte andiamo alla messa parrocchiale e ci sediamo vicino a una coppia di cui sappiamo le difficoltà tra di loro, sul lavoro, con i figli, facciamo finta di non sapere niente e ci facciamo i cavoli nostri?
Le chiacchiere e le notizie della comunità in cui viviamo prima o poi le sanno tutti, quindi perché non tendere una mano, regalare un sorriso, un atto di gentilezza, fare un invito a prendere un caffè, una passeggiata insieme o un proposito di andare a trovarli? Perché io sposo (anche se separato, sono sposo al 100%, anche se non vivo più con mia moglie), sono Sacramento come la coppia accanto a me, anche se quest’ultima non ne ha la consapevolezza!
Per questo non esisterà mai un’associazione di sposi che unisca più del Sacramento del matrimonio, solo che in noi coppie non c’è questo senso si appartenenza, magari lo troviamo di più nelle squadre di calcio!
Ettore Leandri (Presidente Fraternità Sposi per Sempre)