Cari genitori, volete che i vostri figli completino l’iniziazione?

L’articolo di oggi (che segue i precedenti) è una “cerniera” con l’intento di chiudere le riflessioni mistagogiche battesimali ma anche di aprirne altre sull’accompagnamento dei cresimandi. Mi scuso se queste considerazioni potrebbero sembrarci molto teoriche e poco interessanti per il vivere concreto. Sono convinto che riflettere sulle nostre azioni sia un investire a vantaggio di future riformulazioni delle prassi quotidiani ed ecclesiali che avverranno però ancor prima nella nostra mente. Tra teoria e prassi c’è un circolo virtuoso. A maggior ragione se si tratta di quelle parole e quei gesti che riguardano i “punti (Luce) di incontro con Dio”.

La separazione tra battesimo e cresima nella prassi pastorale

La prassi pastorale attorno ai sacramenti del battesimo e della confermazione (da qui IC) ci ha abituato involontariamente a considerarli due realtà diverse, distinte e separate, senza continuità. Il popolo di Dio si è formato una serie di idee “separazioniste”.

Le idee sul battesimo

Tra quelle riferite al battesimo sicuramente ci sono: la necessità di battezzare i bambini nei primi mesi di vita, la sua importanza per “cancellare il peccato originale”, la preparazione catechetica alla famiglia del battezzando, la pastorale battesimale da 0 a 6 anni.

Le idee sulla cresima

Tra quelle della confermazione ci sono: il significato di confermare la fede personale, la necessità per sposarsi in chiesa, il padrino scelto dal cresimando tra i suoi amici e meglio ancora se un familiare, il catechismo esperienziale. Ci sono tante altre convinzioni che variano da comunità a comunità, da persona a persona, e si trasmettono di situazioni in situazioni.

L’importanza dell’unitarietà dell’Iniziazione cristiana

Volendo individuarne una, che è necessaria e allo stesso tempo poco presente nel patrimonio popolare della fede sacramentale, mi riferisco alla cosiddetta unitarietà dell’Iniziazione cristiana in vista dell’Eucaristia. Non spaventiamoci della parolona! Si tratta cioè di considerare innanzitutto i due sacramenti nel loro quadro generale, nell’insieme, prima ancora del loro specifico spirituale e pastorale, e poi si tratta di tenere a cuore il loro scopo ultimo dell’Eucaristia importante per la costruzione familiare della Chiesa ma ancor prima del primato della singola persona.

Riflessioni sul concetto di persona

Per le considerazioni che seguono mi rifaccio in linea generale a G. Busca, attuale vescovo di Mantova, che qualche anno fa ha scritto un bel libro La riconciliazione «sorella del battesimo». Come vivi tornati dai morti, Lipa, Roma 2011.

La persona e la relazione

Chi è la persona? La persona è “ciò che ha il volto rivolto a qualcuno”. Per diventare persona è necessaria la relazione con l’alterità, non si può vivere come un’isola. Per cui è l’intera vita il luogo nel quale si diventa persona, servono tutte le fasi dell’esistenza, le infinite circostanze, servono incontri personali e personalizzati, la prossimità con tutte le continue sfide e fragilità.

La formazione della persona nel cristianesimo

Se la modernità suggerisce di formare la persona secondo il metodo dell’io – scienze umane e antropologiche concentrate sull’analisi dell’io – il cristianesimo sin dall’inizio del suo accadimento ha pensato di formarla con l’Alterità di Dio: Cristo svela l’uomo all’uomo. Il Volto di Cristo è il volto dell’uomo nuovo. La Sua Chiesa diventa perciò lo “spazio” educativo divino-umano animato dallo Spirito che mediante l’Iniziazione Cristiana plasma la persona secondo la forma di Cristo. A maggior ragione questo compito educativo spetta alla chiesa domestica. Solo lei potrà mettere insieme la singola persona in tutte le sue peculiarità e le esigenze evangeliche del Regno, solo lei potrà guardare la prole con gli occhi di Cristo e Cristo presente negli occhi della prole, solo lei potrà decidere quale intervento più educativo nel cantiere artigianale della formazione.

Il ministero coniugale e i sacramenti dell’iniziazione

Il ministero coniugale dovrà mettere a fuoco l’unitarietà e la distinzione dei rispettivi sacramenti dell’iniziazione: il battesimo dona l’immagine di Cristo a cui la cresima offre la grazia per la somiglianza in vista del bacio nuziale – e i due saranno una carne sola – dell’Eucaristia.

Il battesimo

Il battesimo dona l’essere creatura nuova in Cristo. Con il battesimo siamo con-morti, con-sepolti, con-risorti insieme a Cristo. Il battesimo è una piccola risurrezione dell’uomo vecchio, di quello che è chiuso a Dio, le cui componenti sono frammentate e disordinate. Con il battesimo la persona riceve una struttura d’essere nuova. È innestata in Cristo per ricevere un’identità relazionale come dice san Paolo: «non sono più io che vivo ma Cristo vive in me» (Gal 2,20).

L’identità relazionale

Papa Benedetto XVI commentando questo versetto ci aiuta a scoprire il significato di “identità relazionale” quando disse: «Il mio io mi viene tolto e viene inserito in un nuovo soggetto più grande nel quale il mio io c’è di nuovo, e il nostro io viene liberato dal suo isolamento. ‘Io, ma non più io’: è questa la formula dell’esistenza cristiana fondata nel battesimo». Nel battesimo è data l’immagine come forza iniziale infusa da Dio di cui l’uomo potrà disporre per la sua vita e la sua attività creatrice, eppure invoca un perfezionamento per concretizzarsi quotidianamente.

La cresima

La cresima fa crescere nella somiglianza a Cristo. «La cresima pone il suo sigillo al battesimo con quell’unzione invisibile in cui lo Spirito Santo è presente in persona e si unisce a ciascun battezzato in maniera del tutto personale e unica diventando il co-soggetto della vita in Cristo».

La somiglianza come cammino

La somiglianza è il dato-da-compiere. Al dono del battesimo si “aggiunge” quello crismale affinché l’esistenza cristiana sia un cammino di somiglianza all’immagine restaurata in Cristo. Un secondo dono da parte di Dio, quello dello Spirito, e il medesimo compito da parte del battezzato, quello di vivere come creatura in Cristo. Dio nel cammino della persona per diventare cristiana dona l’unzione crismale quale pegno dello Spirito, quale garanzia per realizzare pienamente il suo essere nuova creatura in Cristo.

L’Eucaristia

Unione e trasformazione in Cristo

L’Eucaristia: uniti e trasformati in Cristo. S. Ambrogio commentando il libro biblico del Cantico dei Cantici paragona i due sacramenti dell’iniziazione all’innamoramento dell’anima, o del fidanzamento tra Cristo e l’anima dell’uomo. Nel bagno battesimale l’anima è ripulita, nell’unzione crismale l’anima è adornata con il profumo dello Spirito. Questa preparazione tende alle nozze eucaristiche quando la Sposa sarà introdotta nella stanza nuziale per ricevere il bacio dello Sposo. Quando Cristo introduce alla sua mensa eucaristica e dona da mangiare il proprio corpo trasforma interamente il battezzato in un’anima ecclesiale.

Trasformazione continua

L’Eucaristia celebrata ogni domenica come Pasqua del Signore ci fa diventare come Lui, vuole farci diventare alter Christus per fare della nostra esistenza una caro con Lui.

Un invito alla chiesa domestica

Carissima chiesa domestica, perché vuoi che i tuoi figli completino l’iniziazione? Per togliersi un pensiero, per sposarsi, per farli crescere, perché professino la loro fede, per avvicinarsi alla comunità cristiana, per rispondere alla vocazione, per essere testimoni di Cristo, per diventare soldati di Cristo …? Queste e tutte le altre possibili risposte potranno mai trasmettere il Grande Mistero simbolico nuziale dell’Iniziazione Cristiana? Potrà sopperirvi la testimonianza nuziale della chiesa domestica!

Don Antonio Marotta

«Cari genitori, a voi è affidato … abbiatene cura»

Proseguiamo a raccontare il sacramento del Battesimo in riferimento alla Chiesa tutta e alla Chiesa domestica in particolare. Clicca qui per leggere gli articoli già pubblicati

Rinascere dallo Spirito: Il rito della vestizione

Il battezzato, dopo essere stato “denudato” e immerso nelle acque per rinascere dallo Spirito, viene ricoperto dalle nuove vesti di salvezza. Il sacerdote proclama:

«Sei diventato nuova creatura, e ti sei rivestito di Cristo. Questa veste bianca sia segno della tua nuova dignità: aiutato dalle parole e dall’esempio dei tuoi cari, portala senza macchia per la vita eterna».

La chiesa domestica può vedere in questa monizione la riformulazione della promessa iniziale assunta nei riti di accoglienza.

“Nuova creatura e ti sei rivestita di Cristo”

Anticamente questo momento liturgico era molto visibile. Oggi dobbiamo immaginarlo: il bambino, dopo aver ricevuto un poco d’acqua sul capo, viene rivestito di una piccola vestina bianca che di solito è a modo di cappa.

«Che diremo dunque? … anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Romani 6, 1-4).

Se il battezzato è un bambino, la chiesa domestica accoglierà la nuova creatura rivestita di Cristo impegnandosi ad educarla nei sentimenti di Cristo Gesù del servizio e dell’obbedienza: «spogliò se stesso assumendo la condizione di servo», «umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte di croce» (cfr Filippesi 2,5-11).

“Questa veste bianca è segno della tua nuova dignità”

Questa veste è particolare poiché «né tarma né ruggine consumano» (Mt 6, 20).

La dignità di figlio di Dio è indelebile, nessuno potrà annullarla perciò si viene battezzati una sola volta. A questo punto l’assemblea potrebbe esclamare il suo stupore: «ossa delle mie ossa, carne della mia carne»! Sta partecipando ad un nuovo innesto in Cristo, sta dando alla luce un nuovo figlio di Dio. È uno stupore nuziale! Sì, perché il mistero della vestizione manifesta la grazia nuziale.

«Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata» (Ef 5,25-27).

“Con le parole e con l’esempio dei tuoi cari portala senza macchia per la vita eterna”

Quando Dio ad Adamo chiese dopo il peccato «dove sei?» la reazione fu il nascondimento. Adamo ebbe paura di Dio e della sua domanda, invece Dio avrebbe voluto mostrargli le conseguenze della sua scelta, il fatto che stava percorrendo la strada angusta e mortifera. Il battezzato, invece, è reso nuovamente la persona capace di rivolgersi a Dio e «affronta la voce, riconosce di essere in trappola e confessa: “Mi sono nascosto”. Qui inizia il cammino dell’uomo. Il ritorno decisivo a se stessi è nella vita dell’uomo l’inizio del cammino, il sempre nuovo inizio del cammino umano» (M. Buber, il cammino dell’uomo).

La monizione liturgica della vestizione è l’invito a riprendere il cammino interrotto a causa del peccato originale. Ora il vecchio Adamo non c’è più, il nuovo Adamo-Cristo, il Primogenito, l’ha giustificato per farlo nuovamente dialogare con Dio, con l’altro e con il creato, e uscito dal nascondimento immetterlo sulla via del ritorno alla casa del Padre. La veste candida ci ricorda il cammino della vita che attende il battezzato: «Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche guidati dallo Spirito» (Galati 5,25).

Fin quando, arrivati dalla grande tribolazione, rivestiti di queste vesti candide lavate nel sangue dell’Agnello, saremo accolti insieme alla moltitudine proveniente da ogni parte della terra, «non avremo più fame né avremo più sete, non ci colpirà il sole né arsura alcuna perché l’Agnello che sarà il nostro pastore ci guiderà alle fonti delle acque della vita e Dio asciugherà ogni lacrima dai nostri occhi» (Ap 7,16-17).

La luce di Cristo: il cero pasquale

Dopo la vestizione il sacerdote consegna il cero che uno della famiglia accenderà al cero pasquale.

«A voi è affidato questo segno pasquale, fiamma che sempre dovete alimentare. Abbiate cura che il vostro bambino, illuminato da Cristo, viva sempre come figlio della luce; e perseverando nella fede, vada incontro al Signore che viene, con tutti i santi, nel regno dei cieli».

La realtà battesimale non è una benedizione che agisce esteriormente alla persona come la promessa di Dio ad accompagnare, ma è il rinnovamento interiore, sempre presente e certo di Dio, disponibile ad illuminare il cammino «dentro e fuori» per la visione della Realtà.

La chiesa domestica: cura e perseveranza nella fede

La chiesa domestica si prenderà cura della perseveranza del battezzato nel servizio e nell’obbedienza alla fede affinché, rivestito di Cristo e illuminato da Cristo, insieme ai santi, vada incontro al Signore che viene.

Don Antonio Marotta

Mistagogia del lavacro battesimale: significato e simbolismo

In questo articolo condivido una mistagogia del lavacro battesimale. Nelle precedenti riflessioni ci siamo soffermati, come un preludio, sui momenti dell’accoglienza, dell’ascolto della Parola di Dio e dell’unzione pre-battesimale, della rinuncia e della confessione di fede.

Al momento del lavacro il celebrante invita la famiglia e i padrini ad avvicinare il battezzando al fonte. In realtà è Gesù che invita: «Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva» (Giovanni 7, 38). In quel tempo Gesù disse queste parole per indicare il dono «dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui» (Giovanni 7,39).

L’acqua contenuta dal fonte battesimale è stata santificata durante i riti della veglia pasquale o, se questo non fosse possibile, all’inizio della liturgia del sacramento del battesimo. Il sacerdote in quel momento ha invocato lo Spirito Santo affinché avvenga una meraviglia di salvezza come avvenuto nel passato. La preghiera di benedizione fa memoria dei momenti in cui l’acqua è stata preparata per il battesimo: l’acqua della creazione, l’acqua del diluvio, l’acqua del mare dell’esodo, l’acqua del Giordano nel battesimo di Gesù, l’acqua dal fianco trafitto di Gesù.

Durante il momento del lavacro, quando il capo è bagnato con quest’acqua, il battezzando partecipa alla vita trinitaria perciò il sacerdote dice: «Io ti battezzo nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo». Ogni battezzato dovrà narrare la meraviglia ricevuta in dono dal lavacro: «il Padre ci ha riplasmati, per mezzo del Figlio siamo stati riplasmati, e lo Spirito è vivificante. Anche nella prima creazione la Trinità era come adombrata in figure: il Padre plasmava, il Figlio era la mano del plasmatore, il Paraclito il soffio di chi inspirava la vita» (N. CABASILLAS, La vita in Cristo, Roma 2002, 117).  

Da oltre un millennio, la rinascita dall’acqua e dallo Spirito (cfr Gv 3,6) ha sostituito, nella quasi totalità, l’antica tradizione d’immersione totale della persona mantenendo la medesima significazione: «quest’acqua distrugge una vita e ne suscita un’altra, annega l’uomo vecchio e fa risorgere il nuovo … il gesto di immergersi nell’acqua e scomparire sembra un fuggire la vita nell’aria, ma fuggire la vita vuol dire morire. Riemergere invece e trovarsi di nuovo all’aria e alla luce è come un andare in cerca della vita e conseguirla» (N. CABASILLAS, 116).

Sull’architrave del battistero della Basilica del Laterano c’è un’iscrizione di papa Sisto III (432-440) che attribuisce al fonte battesimale la simbologia dell’utero materno: «Qui nasce al cielo un popolo di stirpe divina, cui genera lo Spirito fecondatore di queste acque. La Madre Chiesa, la virginea prole concepita per virtù dello Spirito Santo, partorisce in queste onde … Né v’ha alcuna differenza tra coloro che qui rinascono: li pareggia la medesima sorgente vitale, un identico Spirito, un’unica fede». Per la rigenerazione battesimale avvenuta nel fonte, come seno materno della Chiesa, ogni battezzato avrà la Chiesa per Madre per avere Dio come padre.

Può sorgere a questo punto la domanda: quali sono i bisogni di un nascituro nell’attimo in cui viene alla luce? Piange, ha fame, vuole essere coperto, invoca protezione, è in cerca di affetto; ancor prima ha bisogno della recisione del cordone ombelicale che come un ‘canale’ fino a quel momento ha trasmesso le sostanze necessarie per il suo sviluppo. Questo taglio pur se avviene materialmente non farà mai venire meno il legame esistenziale tra la mamma e suo figlio, ugualmente accadrà tra la Chiesa e ogni singolo battezzato.  

Fino a quando il cristiano vive sulla terra ha bisogno delle cure materne ecclesiali con i canali sacramentali per ricevere i tesori della vita spirituale, quando poi egli nascerà alla vita in Cielo non ne avrà più bisogno. Ecco perché la Chiesa deve essere amata e chiamata lietamente con il nome di ‘madre’: «non ci ha generati per poi abbandonarci e lasciarci correre da soli la nostra avventura: ci custodisce e ci tiene tutti uniti nel suo seno materno; viviamo sempre del suo spirito, ‘come i bambini nel seno della madre vivono della vita di lei’. Ogni cattolico nutre per essa un sentimento di tenera pietà filiale» (H. DE LUBAC, Meditazioni sulla Chiesa, Milano 2011, 182).

La Chiesa domestica, che poco prima del lavacro si è impegnata ad insegnare l’arte dell’amare Dio e il prossimo, dovrà chiedersi: è proprio difficile amare questa Chiesa-madre?

Forse se ciascuno avrà imparato ad amarla sulle ginocchia della propria madre non le sarà difficile neppure insegnare a fare altrettanto. «Sia sempre benedetta questa grande Madre augusta, sulle cui ginocchia ho tutto appreso» (P. Claudel). Ho imparato da lei a parlare e anche a pregare con la parola umana e quella del Vangelo, a guardare e forse anche a interpretare la realtà degli uomini e quella del divino, a ringraziare e a chiedere perdono … Così la Chiesa mi ha insegnato ad amare: quando ero sulle ginocchia della mia giovane madre ma anche quando, divenuta anziana, le rughe per le tante esperienze amare come un velo sul suo volto si sono posate. «Quante tentazioni proviamo verso questa Madre che dovremmo soltanto amare!» (H. De Lubac).

Don Antonio Marotta

Cari genitori, voi rinunciando … noi crederemo

Nel precedente articolo («Cari genitori, ascoltando … lotterete») abbiamo considerato “la preghiera di esorcismo e l’unzione sul petto” come un dono per il battezzato che, dalla prospettiva della chiesa domestica, diventa un compito nella virtù della giustizia. «Siate dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia» (Efesini 6,14).

Da ora in avanti rifletteremo sulla liturgia del sacramento che si compone dei seguenti momenti: preghiera e invocazione sull’acqua, rinuncia a satana, professione di fede, battesimo, unzione con il sacro crisma, consegna della veste bianca e del cero acceso, rito dell’effatà. In questo articolo ci soffermiamo sulla rinuncia e sulla professione di fede.

La chiesa domestica si impegna davanti la comunità parrocchiale a discernere le due vie come ci suggerisce il Salmo 1: «Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi, non resta nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli arroganti, ma nella legge del Signore trova la sua gioia, la sua legge medita giorno e notte. È come albero piantato lungo corsi d’acqua, che dà frutto a suo tempo: le sue foglie non appassiscono e tutto quello che fa, riesce bene. Non così, non così i malvagi, ma come pula che il vento disperde; perciò non si alzeranno i malvagi nel giudizio né i peccatori nell’assemblea dei giusti, poiché il Signore veglia sul cammino dei giusti, mentre la via dei malvagi va in rovina».

Nella chiesa antica questo momento di rinuncia e di professione concludeva il cammino del catecumenato, il soggetto che rinunciava e professava era lo stesso battezzando. Qualche padre della chiesa (G. Crisostomo, C. Di Gerusalemme) descrive questo momento così: nella rinuncia rivolti ad occidente simbolo del luogo del diavolo, in ginocchio, senza calzari né vestiti ma con la tunica come gli schiavi, con le mani alzate in atteggiamento di preghiera e di arresa a Cristo; nella professione di fede invece rivolti ad oriente dove sorge il sole per esprimere l’attesa della venuta di Cristo. Oggi, per lo più bambini che ricevono il battesimo, è la chiesa domestica che rinuncia e professa. Non è la fede personale del battezzato ma quella della chiesa domestica ad impegnarsi.

Le tre rinunce nel loro complesso sono la dichiarazione di disponibilità a morire in un determinato modo di vivere per dare spazio alla modalità di risorgere. 

La prima rinuncia riguarda il peccato, per vivere nella libertà dei figli di Dio. È ancora frequente imbatterci nella convinzione che la legge di Dio sia una realtà limitante la libertà umana. Con la risposta affermativa a questa domanda, invece la chiesa domestica riconosce e lotta contro il peccato considerato la vera realtà schiavizzante la vita umana. Per cui rinunciare al peccato è rinunciare di camminare sulla via che ci porta in antagonismo a Dio. Questa rinuncia consente d’altro canto di vivere la professione della fede in Gesù Cristo, Giudice misericordioso, mediante il quale l’uom è trasformato nella condizione filiale. 

La seconda rinuncia riguarda le seduzioni del male, per non lasciarsi dominare dal peccato. In questa domanda si colloca ciò che anticamente erano chiamate le “pompe del diavolo”.  Con questo termine si indicava la fastosità che accompagnava le cerimonie sacre. Perciò, nella rinuncia si allude al culto degli idoli in tutte le diverse forme in uso nelle tradizioni pagane (atti di culto, spettacoli, processioni, onori pubblici, lusso). Tale culto distorce il rapporto con la gratuità, l’amore provvidenziale di Dio, preferendo l’illusione di poter controllare perfino il Mistero divino. Per cui, rinunciare alle seduzioni maligne è adoperarsi per vivere la professione della fede nella paternità di Dio.

La terza rinuncia riguarda satana, origine e causa di ogni peccato. Non si tratta di rinunciare alle espressioni specifiche dei possibili peccati, ma proprio all’origine e alla causa di ogni peccato. Rinunciare a questa origine diabolica significa accogliere la Rivelazione in Cristo e professare la fede nello Spirito Santo. D’altronde Gesù nel Vangelo ci ha messo in guarda dal bestemmiare contro lo Spirito Santo, unico peccato che non sarà rimesso e conducente alla dannazione eterna.

Dopo la rinuncia c’è la professione di fede in tre domande: credente in Dio Padre onnipotente, creatore, in Cristo e, infine nello Spirito Santo e la Chiesa?  Le risposte proclamano la signoria di Cristo, l’evento del Mistero Pasquale e Trinitario nonché il mistero della Chiesa. Le parole della formula trinitaria con cui si dona il battesimo riprenderanno sinteticamente questa triplice professione per annunciare la Realtà a cui si è resi “degni” di partecipare mediante il battesimo. «Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8).

Cara chiesa domestica,

tutti noi figli tuoi non potremo mai vivere da figli nel Figlio il nostro rapporto con il Padre, nella grande famiglia della Chiesa, se non ci sosterrai ogni giorno nel discernimento delle due vie, la via dei malvagi e il cammino dei giusti (Salmo 1). Il gesto più profondo e necessario è il tuo sostegno nell’imparare a fiutare e fuggire dalla seducente mentalità mondana che allontana dalla signoria di Cristo. La tua rinuncia e professione di fede nel giorno del nostro battesimo portala nei tuoi impegni educativi soprattutto quando il dolce-amaro dell’ingannatore ci confonde e non sappiamo come fare. Quando eravamo bambini sapevamo abbandonarci nelle tue mani, ora che siamo divenuti grandi d’età non ci è facile diventare come bambini per entrare nel regno dei cieli. Interrompi perciò i sentieri che vogliono renderci “autonomi” anche da te, perché la tua strada sarà anche la stessa che ci farà abbandonare l’autonomia da Dio e riprendere a vivere nella vita battesimale. Riporta i sentieri scoscesi di questo mondo sulla via dell’uomo, non mancheranno locande in cui troverai la caparra del Buon Samaritano.

Con immensa gratitudine, uno dei tanti tuoi guaritori feriti!

Don Antonio

Cari genitori, ascoltando … lotterete

Nel precedente articolo sul sacramento del battesimo («Cari genitori, chiedendo … vi impegnate») abbiamo considerato la realtà dell’aggregazione alla Chiesa nel suo primo momento liturgico dell’accoglienza. Il battesimo è la porta d’ingresso nella comunità cristiana. Perciò, i genitori all’ingresso dell’edificio della chiesa simbolicamente sono accolti e si impegnano nel loro ministero coniugale per l’educazione all’amore.

In questo articolo ci soffermiamo sul secondo momento: la liturgia della Parola. Tale sequenza è formata dall’ascolto della Parola di Dio; dall’illustrazione del mistero sacramentale e dall’esortazione mediante l’omelia; dalla supplica a Dio mediante le preghiere dei fedeli presenti e dall’intercessione dei santi invocati per aiutare la futura rinascita spirituale; dall’orazione di esorcismo che è intimamente connessa all’unzione sul petto del candidato con l’olio dei catecumeni. Il celebrante nell’orazione umilmente chiede al Padre per il candidato la protezione nel cammino della vita e la forza proveniente dalla grazia di Cristo poiché «fra le seduzioni del mondo dovrà lottare contro lo spirito del male» (dal rito liturgico del battesimo).

Nel presente della liturgia accade la realtà compiuta da Gesù nel passato e comunicataci dal Vangelo. «Se io caccio i demoni con il dito di Dio, è segno che il Regno di Dio è giunto in mezzo a voi» (Luca 11,20). È ancora Gesù il dito di Dio che caccia dal catecumeno “i demoni” e apre così a lui la porta ad una vita nuova! L’epoca antica dei padri della chiesa considerava il mondo non cristiano posseduto dalle forze demoniache perciò il catecumeno doveva essere esorcizzato con la preghiera. Gesù avendo subìto e superato le tentazioni del demonio ha dimostrato di essere l’Unico vincitore sulle tentazioni.

Con la preghiera di esorcismo e l’unzione pre-battesimale inizia la comunione sacramentale con Colui che può sottrarci al dominio dell’avversario.

Nell’orazione di esorcismo si fa riferimento alla cancellazione del peccato originale. Questa è la prima purificazione compiuta nel battesimo. L’uomo nasce, ovviamente senza responsabilità personale, ma per la caducità della condizione naturale si trova comunque in uno stato di ingiustizia verso Dio. Il modo giusto di essere davanti a Dio è stato rifiutato dal vecchio Adamo, ma nel nuovo Adamo tutto è stato restituito alla giustizia. Nella lettera agli Efesini 4,24 san Paolo si riferisce alla giustizia che deve essere propria di ogni cristiano: «Dobbiamo rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera». È tipico dell’uomo nuovo vivere nella giustizia.

Ispirandoci al linguaggio biblico secondo giustizia significa essere nel giusto rapporto con Dio e con gli altri. Prendiamo esempio da alcuni presentatici come i giusti d’Israele: Elisabetta, Zaccaria, Giuseppe. Sono stati giusti perché hanno osservato le leggi di Dio, hanno tenuto conto dello spirito della Legge, hanno operato nella verità di Dio e del prossimo. Dio stesso però è giusto perché ristabilisce le cose sbagliate mettendole al loro posto. Perciò, la giustizia di Dio è la sua misericordia. Ristabilisce il rapporto giusto tra Dio e gli uomini, rimette a posto ciò che è stato rotto con il perdono.

La sequenza dell’unzione sul petto può esprimere quanto ci riporta san Paolo: «Siate dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia» (Efesini 6,14). L’unzione del petto con l’olio, per le sue proprietà, è gesto che penetra e introduce benefici; rimanda storicamente alla preparazione dei lottatori che si cospargevano di olio per tonificare i muscoli e sfuggire alla presa dell’avversario. Ispirandosi a questa prassi, i primi cristiani hanno adottato l’uso di ungere i candidati per ricevere la corazza dell’Unto a propria difesa nella lotta contro l’antico avversario, e restituire la verità dell’uomo e di Dio.

La chiesa domestica, da questo secondo momento, dovrà affiancarsi al battezzato nell’educazione alla giustizia. «Il nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare. Resistetegli nella fede» (1Pietro 5,8). Questa lotta riguarda innanzitutto il battezzato come persona la cui libertà è stata redenta, ma non siamo soli, siamo tutti aggregati al corpo ecclesiale e alla nostra piccola chiesa domestica (famiglia). Anche i genitori sono chiamati a essere responsabili e ad aiutare il battezzato nella sua lotta contro il male. Il corpo ecclesiale – e quello presente nel focolaio familiare – potrà e dovrà allenare e affiancare il battezzato nella sua personale lotta spirituale. «La Sua unzione vi insegna ogni cosa ed è veritiera e non mentisce, così voi rimanete in lui come essa vi ha istruito» (1Giovanni 2,27).

I genitori insegneranno testimoniando. Meglio ancora se alla testimonianza sapranno aggiungere la giusta parola di insegnamento. I genitori nel loro compito educativo cercheranno di aiutare il battezzato a comprendere il suo posto nel mondo e nei piani di Dio.

«Dio ci ha creati per opere buone e le ha predisposte in noi perché le pratichiamo come dono suo. Ecco, un atteggiamento importante che ci permette di difenderci da molti pensieri, sia di diffidenza, sia di paura, sia di vanità, sia di ambizione, sia di presunzione di sé. A tutti questi pensieri dobbiamo opporre continuamente la verità del piano di Dio e il nostro riconoscimento del giusto posto che in esso abbiamo: posto di colui che riceve, di colui che è creato, ma di colui che è anche graziato, riempito della multiforme grazia di Dio» (card C. M. Martini).

«Fortificati dal Signore Risorto, che ha sconfitto il principe di questo mondo, anche noi possiamo ripetere con la fede di san Paolo: “Tutto posso in colui che mi dà la forza” (Fil 4,13). Noi tutti possiamo vincere, vincere tutto, ma con la forza che mi viene da Gesù» (Francesco, catechesi 25/4/2018).

Don Antonio

«Cari genitori, chiedendo … vi impegnate»

Nell’ottava di Pasqua – l’articolo è stato scritto alcuni giorni fa – lo Spirito di Gesù vuole risvegliare la comunità ecclesiale. Tutti i battezzati sono come “presi per la mano” dalla liturgia e dalla letteratura patristica dell’Ufficio delle Letture, per “vedere” l’Invisibile mistero mediato dalla liturgia, per ravvivare la consapevolezza della vita nuova in Cristo ricevuta in dono. Ispirandomi in parte a questo metodo di annuncio mistagogia, vorrei proporre alcune meditazioni teologico-pastorali sul settenario sacramentale rivisitato in chiave familiare (dimensione ecclesiale dei sacramenti). Per ogni azione liturgica del singolo sacramento, sceglierò alcune “fermo immagini” che sprigionano indicazioni per il ministero coniugale (e familiare).

Essendo temporalmente vicini all’ottava della Pasqua consideriamo innanzitutto il battesimo e considerarlo una porta per entrare nella Chiesa. Il Battesimo è il sacramento che incorpora gli uomini alla Chiesa. Questo aspetto è la dimensione ecclesiale che liturgicamente viene inizialmente mediato dai riti di accoglienza. I genitori chiedendo il battesimo si impegnano nella cura genitoriale anche nell’aspetto religioso della persona. E la comunità cristiana collaborerà con la rete familiare. Stando alla seconda domanda del ministro ai genitori, questo impegno verterà sulla virtù dell’amore verso Dio e verso il prossimo.

In questa sequenza, per certi versi, risuona biblicamente la presentazione di Gesù al tempio. Gesù è donato dal Padre alla famiglia di Nazareth, e la famiglia di Nazareth restituisce al Padre colui che è il Dono per sé e per l’umanità. La famiglia di Nazaret allo stesso tempo si impegna nell’educazione umano-religiosa del Figlio di Dio.

Nell’oggi liturgico con il simbolo reale dello spazio architettonico dell’ingresso, e il linguaggio verbale del dialogo tra famiglia e presbitero, la famiglia in modo particolare e aiutata dai padrini, si impegna nell’opera educativa della cura. Fino a quel momento già ci sono stati atti educativi all’amare. Tutto è iniziato dall’apertura alla vita e poi è proseguito nella nutrizione e nei primi passi, nei vagiti e all’incoraggiamento delle prime parole… Tutto ciò si esprimerà nell’atto del pronunciare il nome in mezzo all’assemblea, espressione che manifesta la cura della vita ricevuta. Nel segno della croce sulla fronte avverrà l’accettazione della richiesta di accoglienza nella comunità cristiana. E perciò, la disponibilità a continuare in modo rinnovato gli atti educativi all’amare.

Fino a quel momento la Chiesa domestica ha preparato il momento di accoglienza tra una levata notturna annunciata dal pianto come un suono di campana per il raduno dell’ufficio notturno, e una ninna nanna tra le braccia della mamma come il canto delle litanie per chiedere intercessione alla Madonna, e il primato dell’ascolto ai bisogni del bambino rispetto a quelli degli adulti come l’annuncio kerigmatico oggi necessario alla nostra società adolescente.  Questi, ed altri ancora, sono i rituali della Chiesa domestica che costituiscono le fasi di preparazione al momento dell’accoglienza. Rituali però che troveranno la loro trasfigurazione e il compimento nella liturgia battesimale.

E perciò rituali che andranno “riformulati” più compiutamente in chiave evangelica dal giorno del battesimo in avanti. Dovranno essere svolti dai genitori nella consapevolezza della grazia di Cristo; destinati a Cristo ormai presente mistericamente nella vita del neo-battezzato; e chiunque potrà vederli come annuncio dell’amore salvifico di Cristo. Perciò la sfida educativa «nella fede, perché nell’osservanza dei comandamenti, imparino ad amare Dio e il prossimo, come Cristo ci ha insegnato» (dal Rito del battesimo) non sarà il frutto di un generico voler bene ma della carità paziente. Quella stessa pazienza che è prendersi cura, dare tempo per far crescere, educare e formare, accompagnare e lasciar andare, seminare e innaffiare, indicare e attendere … e ogni altro verbo che declina il generare. È la carità di Gesù. Quella esortata ai suoi nel «lasciate che i bambini vengano a me». Quella paragonata da Gesù al contadino che si affida alla Provvidenza capace di dare colori ai gigli dei campi e nutrire gli uccelli del cielo. Quella del contadino che dorma o veglia non sa come fa a crescere il seme. Quella del Samaritano che ebbe compassione e fascia le ferite dell’uomo assalito dai nuovi ladri di dignità umana. Quella della inevitabile salita al calvario la cui logica è il corpo-che-si-dona per dare la vita all’uomo schiavo del peccato.

E ditemi se ancora oggi quest’opera educativa ad amare sia scontata, banale, comune, oppure proprio perché autenticamente umana – e quindi divina – non sia urgente in mezzo all’umanità che come una neo-babele tenta di liquidare culturalmente la mano paterna e materna di Dio riflessa pur se debolissimamente nella misericordia educativa dei propri genitori.

Don Antonio

Don Antonio: ho sempre riconosciuto una sensibilità per la pastorale familiare

Mi presento. Sono don Antonio. Un uomo di 46 anni e da 21 sacerdote. Sono parroco di due parrocchie in provincia di Salerno. Ho studiato prima nel seminario di Potenza, e poi presso S. Anselmo a Roma dove ho compiuto la licenza in Teologia sacramentaria. Sono stato educatore nel seminario di Salerno per 9 anni, e dal 2005 insegno teologia dei sacramenti ai futuri sacerdoti. Sono impegnato nella formazione permanente del clero e nell’accompagnamento di fidanzati e coppie sposate. In passato anche della vita consacrata femminile.

Fin da quando ero in seminario, ho sempre riconosciuto una sensibilità per la pastorale familiare. Devo ringraziare l’impegno pastorale presente in Italia in modo particolare ad opera dei sacerdoti don Renzo Bonetti e don Carlo Rocchetta. Li ho incontrati personalmente una sola volta. Ma grazie ai social sono come dei padri spirituali per la mia formazione pastorale. Sono loro riconoscente per il fatto che “penso la mia vita sacerdotale” sempre in relazione “alla vita familiare” e sono incamminato nel Regno divino “dell’amore sponsale” impegnandomi nella virtù della “tenerezza”.

Qualche tempo fa, un pomeriggio, lessi un commento su questo blog ad un post di Antonio. Era un forte giudizio, ormai diventato comune, su papa Francesco e sul suo collaboratore il card. Fernandez. Si accese un moto interiore e scrissi un messaggio in privato ad Antonio … e conversando anche a viva voce ricevetti la proposta di condividere le mie riflessioni con voi. Io sto con il papa. Questo o quello. Senza magistero papale non c’è Chiesa di Gesù, e allora non c’è neppure Gesù. Quello degli apostoli. Pur sapendo che Gesù agisce anche fuori dai “confini” della sua Chiesa. Ma intanto che io vivo nel suo corpo della Chiesa, non posso stare qui e anche fuori lì. Perciò io sto sempre con la Chiesa.

Forse perché da giovane le sue rughe, scavate sul Volto, a causa della sua umana fragilità, mi hanno spaventato e allontanato da Lei e quindi da Gesù. Poi ho imparato che puntare il dito significa non amare, non perché si giudica, ma perché si vuole prendere le distanze. Io, prete, attendo dalla famiglia che nasce dal sacramento del matrimonio di essere aiutato ad amare di più questa Chiesa, la Chiesa di oggi, che cresce e si sviluppa a partire dalla Chiesa di ieri, e vuole diventare sempre più per domani la Chiesa di Gesù Cristo.

La famiglia, piccola Chiesa domestica, riflette e incarna l’amore di Gesù per la Chiesa, ma anche quello della Chiesa per Gesù. Perciò, io che sono prete, ho bisogno veramente di questo sano amore della famiglia per la Chiesa, affinché io possa amare la mia chiesa parrocchiale così come il sacramento dell’amore ogni giorno edifica la Chiesa e la società.

Ritornando e concludendo la mia presentazione, con Antonio abbiamo pensato che i miei interventi saranno dei “frammenti sui sette segni”. In questo primo contatto ho voluto dare voce soltanto al frammento sulla mia persona affinché dietro a questa firma – don Antonio Marotta – ciascuno d’ora in poi possa essere certo del mio intento: risvegliare la Chiesa nelle anime (R. Guardini) – fu il messaggio di papa Benedetto XVI nel suo ultimo discorso pubblico – che esplicitato su questo blog significa voler ri-leggere i tratti familiari dei sette sacramenti. La dimensione ecclesiale dei sacramenti. I sette sacramenti per la chiesa domestica.

Don Antonio Marotta