Il matrimonio secondo Pinocchio. La tentazione di Lucignolo /35

Cap. XXX Pinocchio, invece di diventare un ragazzo, parte di nascosto col suo amico Lucignolo per il Paese dei Balocchi.

In questo capitolo si affronta il tema della tentazione. Pinocchio vuole invitare i suoi amici per la colazione dell’indomani, momento in cui diventerà finalmente un ragazzo secondo la promessa della Fata. Ma quando invita il suo amico più caro, Romeo soprannominato Lucignolo, si sentirà rispondere con un invito a sua volta, quello cioè di partire insieme per il Paese dei Balocchi, paese dove non si studia mai e si è sempre in vacanza.

All’inizio Pinocchio sembra deciso al rifiuto, ma poi pian piano si lascia convincere fino al punto che le iniziali contraddittorie presentate da Lucignolo diventeranno le sue scuse per divincolarsi dall’iniziale scelta di seguire il bene, e finirà che partiranno insieme verso il Paese dei Balocchi.

Ci sarebbero tanti discorsi da intraprendere, ma ci limiteremo ad un solo aspetto: quello del tentennamento. Lasciamo dapprima la parola al cardinal Biffi che così si esprime: La seduzione cresce nell’animo quanto più si indugia a contemplare gli aspetti piacevoli della prevaricazione. E quanto più si fanno ripetute e violente le dichiarazioni di resistenza, tanto più si sa che la resa è vicina.

Il discorso è stato ampiamente trattato da diversi Padri e Dottori della Chiesa, perciò cercheremo di dire in poche e povere parole ciò che ci sembra di utilità per la crescita della relazione sponsale.

Il punto messo in luce anche dal cardinal Biffi è quello del tentennamento, perché se il nemico intravede anche solo una fessurina da cui entrare, farà di tutto per infilarvisi; e quella che all’inizio era una fessurina diventerà come la breccia di Porta Pia.

Quando ci si presenta un pensiero e riusciamo a capire che è una tentazione, allora dobbiamo subito respingerla al mittente senza indugio, perché l’indugiare è già l’inizio del cedimento. Sicuramente la tentazione non si stancherà al primo colpo inferto, e continuerà imperterrita come un martello pneumatico a farsi sentire perché ha avvertito una certa titubanza in noi. Per vincere ci sono varie strategie tra cui la fuga, la distrazione e lo smascheramento.

Vogliamo mettere in evidenza lo smascheramento. Sicuramente a tanti genitori sarà successo di giocare coi figli piccoli a qualche gioco in maschera, giochi di ruolo, giochi in cui il bimbo o il genitore si trucca, si nasconde dietro un velo, sotto una coperta o simili: il bello del gioco è che non si scopre chi c’è veramente dietro alla maschera. Il gioco ed il suo fascino finisce appena uno dei giocatori smaschera l’altro, il quale, sentendosi scoperto smette di giocare praticamente.

Immaginate se Biancaneve avesse capito che la vecchietta, in apparenza così gentile, fosse in realtà la strega malvagia e l’avesse perciò smascherata subito. La storia sarebbe andata diversamente. Forse la vecchietta si sarebbe accesa di rabbia e sarebbe passata alle maniere forti.

Similmente succede anche a noi: se riusciamo a smascherare la tentazione fin da subito, essa perde di vigore col risultato che noi non pecchiamo. Può darsi che essa ritorni con più violenza sotto altre mentite spoglie, non importa, ci aggredirà forse, la cosa importante è che noi non cediamo e pecchiamo.

Cari sposi, a volte succede che il nostro consorte sia la via per smascherare una tentazione. Se per esempio siete assaliti dalla tentazione di un “storiella” con una collega bella e attraente, una ricetta vincente è raccontare a vostra moglie che avete una collega avvenente che cerca in tutti i modi di attirare la vostra attenzione e dire alla collega che la saluta vostra moglie: vedrete che tutto si sgonfierà come una bolla di sapone. Abbiamo fatto l’esempio al maschile, ma ovviamente vale anche al femminile.

Gli sposi danno fastidio al mondo e al suo principe perché sono l’immagine più vicina alla Trinità. Coraggio.

Giorgio e Valentina.

Il matrimonio secondo Pinocchio /27

Cap. XIX – Pinocchio è derubato delle sue monete d’oro, e per gastigo, si busca quattro mesi di prigione.

In questo capitolo emerge il tema della giustizia, o meglio, del giudizio. Ancora una volta, forse in modo inconsapevole, il Collodi fa vivere al suo protagonista un’esperienza molto simile a quella di Gesù durante la Sua ora, quella della Passione. Infatti il burattino passa da innocente a colpevole, da truffato a truffatore e si ritrova in prigione, si affida ad una giustizia terrena che è descritta in modo caricaturale “Il giudice era uno scimmione della razza dei Gorilla[…]” forse per soppesare che non è la vera e assoluta giustizia divina. Non sappiamo se il Collodi avesse in mente questo paragone, forse voleva solo lanciare una critica dallo stile ironico al proprio mondo, ma di fatto ci dà lo spunto per riflettere sul tema del giudizio.

E non ci stiamo riferendo al giudizio particolare, quello cioè che aspetta ogni anima all’arrivo nell’aldilà, ma del giudizio in senso più largo, quello che alberga dentro le nostre coscienze, quello che smuove le nostre azioni.

Senza il giudizio tutta la vita si appiattisce, cosa è grande e cosa piccolo? Cosa è vero e cosa è falso? Cosa è bello e cosa brutto? Cosa è giusto e cosa ingiusto? Si capisce subito che senza un giudizio vivremmo come in uno stagno ove l’acqua non ricircola e non si rigenera, tutto è torbidamente uguale.

Verso la fine del capitolo Pinocchio esce di prigione con uno stratagemma: accetta i valori culturali prevalenti e fa autocritica: “Sono un malandrino anch’io“, cede agli schemi convenzionali che lo circondano, alle aspettative sociali, però, così facendo, rinuncia alla verità su se stesso. Il pentimento è molto diverso, poiché in esso l’uomo è conquistato dalla forza della verità, si arrende a Dio e ridiventa uomo, mentre con questa sorta di autocritica mondana l’uomo si arrende all’uomo e si disumana perché perde la propria identità, la verità su se stesso.

Cari sposi, abbiamo tanto da imparare da questo capitolo di Pinocchio, non lasciamoci ingannare dal mondo con i suoi schemi pur di scampare alla prigione.

Facciamo solo un esempio concreto per esplicitare meglio il concetto: una coppia vive una crisi profonda a causa di un adulterio, ecco che la giustizia di questo mondo (lo scimmione della razza dei Gorilla) suggerisce di trovarsi un altro e loda la coppia che riesce a farlo con la scusa infondata e balorda che ogni coniuge “ha il diritto di rifarsi una vita“; se invece questa coppia decide di prendere il toro per le corna e affrontare tale crisi con tante fatiche e dolori, quali il perdono, la riconciliazione, la fatica di ripartire, di ricominciare una relazione, di riconquistare il proprio coniuge, di aspettare che ritorni, di affidarsi alla Providenza con la preghiera, il sacrificio… ecco che la coppia viene “messa in prigione” alla stregua di Pinocchio, da degna di benevolenza passa a degna di biasimo da parte di amici, parenti e familiari.

Per uscire da questa prigione basta conformarsi al mondo e dichiararsi “malandrino” come fa Pinocchio pur di uscire da dietro le sbarre.

Voi che fareste? Buona meditazione.

Giorgio e Valentina.

Il matrimonio secondo Pinocchio /25

Pinocchio mangia lo zucchero, ma non vuol purgarsi: però quando vede i becchini che vengono a portarlo via, allora si purga. Poi dice una bugia e per castigo gli cresce il naso.

Affrontiamo ora il capitolo XVII di questo racconto che si sta svelando come un grande aiuto per la nostra vita poiché le vicende che il burattino affronta sono comuni all’umano vivere di ogni epoca.

Da questo capitolo traiamo tre spunti di riflessione: il primo sull’intervento della Fata, il secondo sulla paura delle medicine e il terzo sulle bugie.

1. L’intervento della Fata. Dopo il consulto pittoresco e inconcludente dei tre medici, la Fata prende in mano la situazione e prepara da sé il farmaco per la guarigione, si può notare come il Grillo non basti più: per poter cambiare vita non è sufficiente l’intervento, che pure è necessario, della coscienza e del suo giudizio sui nostri atti, abbisogniamo dell’intervento della realtà, l’unica che ci può somministrare la medicina, ovvero della Chiesa, qui raffigurata dalla Fata.

Chi vorrebbe un Gesù senza la Sua Chiesa, è come se pretendesse di conoscere/incontrare uno sposo senza mai conoscerne/incontrarne la sposa, essa però è la dispensatrice della Grazie del Suo sposo divino. Certamente qualcuno potrebbe obiettare che Dio è infinito e che, di per sé, non abbia alcun bisogno della Chiesa, in quanto Dio fa quello che vuole, quando vuole e come vuole; questo è vero, ed è talmente vero che ha deciso di volersi servire ordinariamente della Chiesa per far passare la Sua Grazia, poi che in modo straordinario Lui operi comunque non è un nostro problema anche se non v’è sicurezza che avvenga, lasciamo a Dio fare il Suo mestiere, ma noi siamo corpo di questa sposa che si sottomette al Suo sposo.

Ma qual è la medicina che ci dà la Chiesa ? I sacramenti.

2. La paura delle medicine. In un passaggio significativo Pinocchio così si esprime:

-Egli è che noi ragazzi siamo tutti così! Abbiamo più paura delle medicine che del male.

Quanta verità in queste poche parole, se applicate alla nostra vita spirituale si apre la nostra seconda riflessione. Perché i sacramenti sono così snobbati dalla maggior parte dei cristiani cattolici? Sicuramente per una serie di motivi che non vogliamo tirare in ballo, ci basti però ricordare la verità espressa da quel pezzo di legno parlante, e cioè che molti battezzati preferiscono restare a lamentarsi (come Pinocchio che cerca ogni scusa pur di non prendere la medicina) nel proprio stato di peccato piuttosto che di affidarsi alle cure esperte della Chiesa, quella Fata che, senza usare “effetti speciali e colori ultravivaci”, si serve di umili elementi (acqua, olio, pane, vino) per operare i più grandi miracoli. Lasciamo alla sapienza del compianto cardinal Biffi spiegarci in poche righe questo passaggio:

Ma il “principio sacramentale”, che piace poco a noi, piace molto a Colui che unico ci può salvare, forse perché è conforme al suo vivo senso dell’umorismo. Egli probabilmente si diverte a vedere che per avere il cuore trasformato uno non debba soltanto dibattere i suoi problemi entro il tribunale dell’anima, ma anche farsi lavare la testa nel Battesimo e farsi ungere nella Confermazione, così come si compiace di assegnare un uomo (Gesù) come capo e salvatore degli angeli. […] …tra la magia ed il sacramento la differenza è assoluta : nella magia l’uomo cerca di piegare la divinità al proprio volere con mezzi assurdamente sproporzionati; nel sacramento l’uomo cerca di piegare la sua volontà individualista e orgogliosa fino a farla entrare nell’allegro gioco di Dio, che ha deciso di elevare le creature più umili (acqua, pane…) alla dignità di strumenti salvifici per la creatura più alta (l’uomo).

3. Le bugie. Sicuramente uno degli elementi che fa decidere a Pinocchio di dire alcune bugie alla Fata è la paura, ma non è curioso che il Gatto e la Volpe siano ritenuti degni della sua verità mentre la Fata no? Eppure anche questo atteggiamento è rivelatore, non è forse vero che quando la tentazione ci assale conosca la verità di noi stessi nel profondo delle nostre fragilità personali? Perché allora di fronte alla medicina che la Chiesa ci vuole somministrare nascondiamo le nostre malefatte, scusandole ed arrogandoci il diritto di decidere cosa è bene e cosa è male?

Cari sposi, anche il sacramento del matrimonio è una medicina per la nostra anima e per la nostra umanità malata e ferita dal peccato originale, impegniamoci quindi a non rifiutare tale medicina: dobbiamo riscoprire che il nostro consorte è quello giusto per noi, per combattere le nostre cattive inclinazioni, per distruggere il nostro orgoglio e la nostra presunzione, per dilatare il nostro cuore ad amare sempre meglio e sempre di più, per imparare la via del sacrificarsi per l’altro, per non mettere al centro solo noi stessi. Coraggio!

Giorgio e Valentina.

Il matrimonio secondo Pinocchio /24

La bella Bambina dai capelli turchini fa raccogliere il burattino: lo mette a letto, e chiama tre medici per sapere se sia vivo o morto.

Il Collodi si inventa la morte apparente per poter continuare il racconto, richiesto a gran voce dai piccoli lettori e dall’editore, dobbiamo ringraziare questa insistenza che ci ha permesso di leggere un’opera indimenticabile per l’infanzia e dal grande valore educativo. Si inserisce quindi una nuova figura, la bella Bambina, che potrebbe sembrare distrarre Pinocchio dal suo rapporto con Geppetto.

In realtà scopriremo, nei prossimi capitoli, che questa figura femminile non entrerà mai in conflitto con la figura paterna del falegname, al contrario, la sua funzione sarà quella di aiutare Pinocchio nella relazione col proprio padre.

Come non vedere in questa graziosa Bambina l’immagine della Vergine Maria?

Senza fare nessuna forzatura, la quale andrebbe a snaturare il racconto, possiamo rilevarne alcune caratteristiche che richiamano la Madonna: i capelli turchini, la (sempre) giovane età, la capacità di comandare con garbo e serietà nello stesso tempo, il rispetto con cui tratta Pinocchio da “morto apparente” salvaguardandone la dignità nonostante sia solo un burattino, e lo si denota da come si rivolge al Falco prima e al Can-barbone poi:

– Orbene: vola subito laggiù: rompi col tuo fortissimo becco il nodo che lo tiene sospeso in aria e posalo delicatamente sdraiato sull’erba a piè della Quercia. […] – Su da bravo, Medoro! – disse la Fata al Can-barbone; – Fai subito attaccare la più bella carrozza della mia scuderia e prendi la via del bosco. Arrivato che sarai sotto la Quercia grande, troverai disteso sull’erba un povero burattino mezzo morto. Raccoglilo con garbo, posalo pari pari su i cuscini della carrozza e portamelo qui.

Tra le caratteristiche mariane della Fata, ne scegliamo solo una per la nostra riflessione: il rispetto e la delicatezza, il garbo con cui tratta i burattini, ovvero come la Madonna ci tratta nonostante le asinate che combiniamo, per usare un eufemismo.

Ella non ci ripaga secondo le nostre opere, da chi avrà mai imparato?, ma usa sempre parole gentili e rispettose, nonostante i rimproveri ed i consigli accorati siano sempre quelli, quanta pazienza… proprio come fa una mamma comune. Cari genitori, dobbiamo chiederci se anche noi usiamo questo garbo e rispetto nei confronti dei nostri figli, malgrado siamo costretti tutti i giorni a ripetere sempre le solite, identiche cose alle solite, identiche persone… le mamme infatti spesso vengono etichettate dai figli come un disco rotto. Ma non per questo dobbiamo scoraggiarci e smettere con la solita cantilena, fa parte del nostro dovere.

Se pensiamo a quanta fatica si faccia per far entrare un concetto in quelle “zucche vuote”, non è niente rispetto alla fatica che si fa per farlo entrare nel cuore affinché lo facciano proprio e si decidano a viverlo da soli: è un’impresa molto più ardua.

Cari sposi genitori, dobbiamo imitare la delicatezza di questa bella Bambina dai capelli turchini, la quale usa tanto garbo e delicatezza soprattutto quando Pinocchio si dimostra un burattino e non vive da figlio, ella non gli toglie la dignità.

Quando dobbiamo riprendere i nostri figli, se li trattiamo calpestando la loro dignità e non li rispettiamo, non crescerà la loro autostima né la loro consapevolezza di creature ad immagine di Dio; se, al contrario, li trattiamo con garbo (anche deciso e risoluto) e rispettoso della loro dignità di figli, già questo atteggiamento dirà loro: “Tu vali di più dell’asinata che hai combinato, tu sei fatto per grandi imprese, tu sei capace di fare meglio”. Coraggio sposi, impariamo dalla Madonna chiedendone l’intercessione.

Giorgio e Valentina.

Il matrimonio secondo Pinocchio /23

Gli assassini inseguono Pinocchio; e dopo averlo raggiunto, lo impiccano a un ramo della Quercia grande.

Siamo giunti al capitolo XV che fa un po’ da spartiacque, poiché il Collodi pose al termine la parola “Fine” a quello che riteneva essere l’ultimo episodio stampato sul “Giornale per i bambini”. Per lui Pinocchio era davvero morto: una finale amara ma anche molto suggestiva.

Sembra una stranezza per noi così abituati a tutt’altro epilogo, eppure a ben vedere in questo capitolo “conclusivo” il burattino tocca il vertice della sua umanizzazione nella condivisione con noi del mistero della morte. Commentando questo capitolo così si esprime il cardinale Biffi:

[…] l’agonia di Pinocchio, appeso all’albero da tre ore, riproduce l’agonia di colui che è l'<<uomo>> – secondo la parola profetica di Pilato – ed è quindi l’archetipo di noi tutti. Di Cristo in croce riecheggia perfino l’estrema nostalgia del Padre e il desiderio di affidare a lui la vita fuggente: Oh babbo mio!…l se tu fossi qui!…

La profondità di queste riflessioni non va intaccata con le nostre povere parole, ci ricorda che dietro alla storia del burattino c’è molto di più senza veli troppo spessi, senza per questo assurgerlo ad un testo di spiritualità cristiana.

Vogliamo evidenziare un aspetto: prima di essere raggiunto ed impiccato, Pinocchio intravede un barlume di salvezza:

Allora il burattino, perdutosi d’animo, fu proprio sul punto di gettarsi in terra e di darsi per vinto, quando nel girare gli occhi all’intorno vide fra mezzo al verde cupo degli alberi biancheggiare in lontananza una casina candida come la neve.

Ancora una volta, quando sembra tutto perduto ecco un lumicino di speranza… è proprio così anche nella nostra vita. Ci sono troppi sposi che si danno per vinti ancora prima di cominciare la battaglia. Non esistono crisi matrimoniali che non siano portatrici di salvezza, forse non si risolveranno secondo i nostri piani ma secondo la volontà di Dio, in ogni caso non possiamo rinunciare a metterci mano.

Quando ero un giovane ragazzo mi dilettavo nel giuoco del pallone ed ho avuto la grazia di avere sempre allenatori con la “A” maiuscola, lo facevano con serietà ed erano degli educatori oltre ad insegnarci come si gioca bene; lo sport è stata una grande lezione di vita. Uno dei ricordi che tengo più nel cuore è l’insegnamento che spesso ci ripeteva un allenatore quasi come un tormentone: si gioca al massimo fino a quando l’arbitro non fischia il fine partita. Avevamo perso? non importava molto, la cosa più importante era aver lottato fino alla fine con tutte le nostre forze. Stavamo vincendo? non importava molto, dovevamo giocare con serietà fino alla fine senza mai dare per scontata la vittoria sull’avversario.

Cari sposi, trasportate questo stile di vita dentro il vostro matrimonio: se ravvisiamo un problema nella nostra relazione, se avvertiamo di esserci allontanati l’uno dall’altra, se la routine ha appiattito i nostri gesti d’amore, non gettiamo subito la spugna ancor pima di cominciare… non facciamo come Pinocchio quando fu proprio sul punto di gettarsi in terra e di darsi per vinto” ma lottiamo per riconquistare il nostro NOI anche se quello che vediamo è solo un “biancheggiare in lontananza una casina candida come la neve.”

Quel barlume della casina candida è il segnale che Dio è pronto a darci una mano per uscire dal pantano in cui ci siamo messi da soli, non importa cosa sia successo, conta solo che vediamo una casina candida come la neve, seppur in lontananza ma c’è… non dobbiamo permettere al al verde cupo degli alberi di nascondercela.

Coraggio famiglie, non lasciamoci cadere le braccia altrimenti finiremo come Pinocchio appesi ad un albero dagli assassini del matrimonio… l’arbitro non ha ancora fischiato la fine della partita… il nostro allenatore è in panchina pronto per incoraggiarci: ascoltiamo la sua voce.

NB: lottare fino in fondo con tutte le nostre forze significa chiedere anche l’intervento a Dio con la Sua Grazia perché è Lui la nostra forza.

Giorgio e Valentina.

Il matrimonio secondo Pinocchio /15

Il burattino, appena che si fu levata la fame, cominciò subito a bofonchiare e a piangere, perché voleva un paio di piedi nuovi. Ma Geppetto, per punirlo della monelleria fatta, lo lasciò piangere e disperarsi per una mezza giornata: poi gli disse: – E perché dovrei rifarti i piedi? Forse per vederti scappare di nuovo da casa tua?

Siamo all’inizio del capitolo ottavo e il Collodi ci presenta un Geppetto che sa anche usare l’arma del castigo per educare il proprio figliolo, ma ne fa un uso corretto, senza lasciarsi travolgere dall’impeto della passione, dall’ira o dalla ripicca; egli vuole purificare l’agire di Pinocchio ma senza mai avvilirlo o denigrandone la dignità, il suo unico scopo è quello di rendere puro il suo cuore. La parola castigo deriva dal latino castus puro e agere rendere = rendere puro; e questa purezza è l’unico obiettivo di Geppetto, il suo castigo non è mosso da rancore, vendetta, ripicca o altre cattiverie.

Quanti di noi possono dire di ricorrere al castigo -nell’arte dell’educare i figli- sempre nel modo corretto?

Spesso il motivo principale per cui sbagliamo tante volte nell’arte dell’educare non è perché non ne siamo capaci ma perché la collera ottenebra la ragione per cui agiamo seguendo gli stati d’animo e/o i sentimenti e non seguendo l’obiettivo principale. Quando il focus del nostro educare rimane sull’educando – sia esso nostro figlio o no – allora tutto procede abbastanza bene; nel momento in cui spostiamo il focus su noi stessi ecco che nascono errori madornali e, a volte, di non facile risoluzione… se il focus di quel castigo è la soddisfazione del nostro ego, così da autoproclamarci bravi educatori o solo per godere del potere sugli altri o qualsiasi altro motivo perverso derivante dalle nostre ferite emotive non risolte, ecco che allora i guai cominciano ad affiorare e sono dolori.

Gli articoli di questa serie non sono un manuale di pedagogia ma solo un tentativo – forse un po’ goffo – di aiutare le coppie a fare un poco di luce sul proprio vissuto per accelerare il cammino di santità all’interno del matrimonio. Cari sposi, se notiamo che il nostro consorte compie un’azione sbagliata nell’educazione dei nostri figli, non dobbiamo anzitutto denigrarlo né svilirlo – tantomeno davanti ai figli a meno che si renda necessario fermarlo per l’incolumità dei figli stessi – ma dobbiamo aiutarlo a far luce su ciò che l’ha spinto a compiere tale gesto o tale scelta, aiutiamolo cominciando a capire insieme se il focus del castigo era rendere puro l’agire del figliolo oppure soddisfaceva solo la propria autostima di “bravo educatore” o la rabbia repressa di una giornata nera al lavoro, solo per fare un esempio. Questo dialogo profondo tra gli sposi gioverà alla loro relazione, si sentiranno più coppia, potranno sperimentare cosa significhi essere un solo cuore, ne uscirà vincitore il NOI, non ci sarà la maestrina che aiuta lo scolaretto o viceversa, ma ci saranno finalmente due genitori che d’ora in poi sentiranno forte il desiderio di decidere insieme l’educazione dei propri figli, saranno una sola voce con due caratteristiche: quella femminile e quella maschile.

Se finora abbiamo visto come l’arte dell’educare metta in moto diverse dinamiche nell’agire umano – specialmente all’interno dell’esperienza di coppia – proviamo a scostare un poco il nostro sguardo sull’agire di Dio Padre. Talvolta capita di credere di non sopportare neppure un’ora in più, quando invece passano anche anni nell’apparente nostro deserto senza che nessuno si faccia vivo. Il cardinal Biffi si esprime così a tal riguardo: “Sembra una crudeltà del Padre, ed è invece un modo per farci crescere. Dio, che per amore interviene nella nostra storia, per amore si ritrae e resta nascosto. C’è nell’uomo anche questo paradosso: noi, che ci sentiamo spesso oppressi dall’invadenza del Signore, siamo oppressi anche dal suo silenzio e dalla sua latitanza“.

Il Padre non ha tutti i nostri umani problemi irrisolti, siano essi di stampo psicologico o morale, affettivo o altro; in Lui tutto è perfezione perciò il suo intervento o il suo nascondimento sono il comportamento corretto e migliore per la nostra purificazione, chi meglio del buon Dio ci vuole rendere puri, ricordate l’etimologia di castigo? A volte fa come Geppetto che lascia Pinocchio lagnarsi e piangersi addosso per una mezza giornata, il problema è che con Dio il tempo è molto relativo.

Cari sposi, quando cominciamo a lagnarci e disperarci alla guisa di Pinocchio, dobbiamo chiederci il motivo del nostro lamento. Se siamo sposi in Cristo, Lui ci ha piazzati nel mondo come Sua icona, Lui ci ha donati e consacrati l’uno all’altra, ci ha scelti Lui… perché mai dovrebbe abbandonarci quasi si sia dimenticato di noi? Coraggio mariti, non temiamo di metterci in ginocchio con dignità e fierezza davanti al nostro Re per rimetterci alla Sua volontà. Coraggio mogli, non abbiate timore di consegnare il vostro dolore nel Cuore del Padre come quando da piccoline correvate dal vostro papà terreno e lui vi abbracciava. E se ci lascia mezza giornata come Pinocchio avrà i suoi motivi !

Giorgio e Valentina.

Il matrimonio secondo Pinocchio /13

Da principio voleva dire e voleva fare: ma poi quando vide il suo Pinocchio sdraiato in terra e rimasto senza piedi davvero, allora sentì intenerirsi; e presolo subito in collo, si dette a baciarlo e a fargli mille carezze e mille moine, e, coi luccioloni che gli cascavano giù per le gote, gli disse singhiozzando: – Pinocchiuccio mio! Com’è che ti sei bruciato i piedi ?

Questo passaggio del settimo capitolo viene così commentato dal compianto cardinale G. Biffi:

Geppetto (ovvero il Padre) ha subito il cuore toccato dalla commozione al vedere lo stato miserando della sua creatura: creatura ribelle, ma sua; capricciosa e ostinata, ma opera delle sue mani; lontana e diversa, ma frutto di un pensiero d’amore.

Questo atteggiamento di Geppetto rivela una caratteristica della misericordia di Dio: la tenerezza. Questo attributo è uno tra i tanti dimenticati nella relazione sponsale; se però continuiamo a ripetere che la relazione sponsale richiama l’amore trinitario e deve esserne una -seppur pallida- icona, allora la tenerezza entra a gran titolo tra le peculiarità all’interno dell’amore coniugale.Questo è talmente caratterizzante che chi si lascia permeare dalla tenerezza -divina- diventa inevitabilmente tenero anche al di fuori della relazione sponsale, diventa un modus operandi anche come genitore e/o come educatore.

Ma per capirla un po’ meglio dobbiamo analizzare il comportamento del nostro falegname; egli, appena visto Pinocchio in quella situazione, non infierisce sul burattino con invettive e filippiche di sorta, ma comincia a baciarlo e a fargli mille carezze e mille moine piangendo per la situazione in cui si è ridotto il figliolo, solo dopo chiederà a Pinocchio di prendere coscienza di ciò che è successo. A noi è successo di litigare proprio poche ore prima che nascesse la nostra quarta figlia, ma ciò che ci ha rappacificato e fatto ravvedere è stata la tenerezza di una bimba che scalpitava per uscire, un messaggio chiaro ed esplicito di come si prendono più mosche con un vasettino di miele che con un barile di aceto.

Il Padre si comporta proprio così quando noi ci allontaniamo da Lui, dapprima fa sentire il suo delicato ma risoluto toc-toc alla porta del nostro cuore, poi ci coccola con mille baci e moine sì da indurci al pentimento, perché la Sua tenerezza è più forte della desolazione e della schiavitù del peccato, la Sua tenerezza scioglie i cuori più induriti meglio di mille confezioni di Viakal. Cari sposi, se vogliamo che il nostro matrimonio torni ad avere il sapore del Cielo dobbiamo imitare Geppetto.

Quante volte invece ci scagliamo contro l’altro ancora prima che si accorga di aver sbagliato? Le nostre braccia, il nostro volto, le nostre lacrime, le nostre mani, le nostre labbra devono essere permeate della tenerezza di Cristo affinché il nostro amato coniuge sia attirato come le mosche dal vasettino del miele della nostra tenerezza, della nostra compassione; i nostri baci, le nostre moine, le nostre mille carezze riescono così a riaccendere nel suo cuore la nostalgia per un amore incondizionato, un amore che ci raggiunge anche quando abbiamo sbagliato.

La tenerezza è in grado di ridare fiducia e speranza ad un cuore ferito, incoraggia ad uscire dalla propria miseria e fa trovare la forza per cambiare, per ricominciare. La tenerezza ci fa sentire amati non per ciò che riusciamo a fare, ma per ciò che possiamo diventare.

Coraggio sposi e genitori, lo stesso comportamento va attuato con i figli ma con gestualità e parole proprie. Nessuno si senta escluso dalla nostra tenerezza, ma per averne bisogna che ci rechiamo continuamente alla fonte.

Giorgio e Valentina.

Il matrimonio secondo Pinocchio /9

Continuiamo la nostra riflessione col quinto capitolo che è semplicemente l’epilogo del quarto, ed ecco come il Collodi lo titola:

Pinocchio ha fame e cerca un uovo per farsi una frittata; ma sul più bello la frittata gli vola via dalla finestra.

Tolto di mezzo Geppetto e ucciso il Grillo parlante, Pinocchio, che si aspetta un’esistenza luminosa nell’appagamento immediato dei desideri e nel dominio assoluto sulle cose, sperimenta invece l’oscurità, la vacuità delle cose, la fame, la delusione.

Intanto cominciò a farsi notte. Quando ci si allontana dal Padre e si mette a tacere la voce della coscienza, inevitabilmente scende la notte nell’anima, nella nostra vita. La notte impegna in maniera indelebile la nostra natura di creature, perché si avverte che prima o poi dovremo “fidarci” ed abbandonarci al sonno, con la speranza di risvegliarci il mattino seguente con la vacua illusione di riprendere il dominio sul mondo grazie alle ritrovata vigilanza e le capacità di intendere e volere. Ecco perché la sera è il momento propizio per l’esame di coscienza, per riprendere in mano il senso del nostro fare nella giornata appena passata, per aggiustare ciò che è stato rotto, per controllare la rotta della propria vita, per una verifica di controllo, così come facciamo i tagliandi di controllo periodici al motore dobbiamo fare un tagliando continuo alla nostra vita. E tutto ciò vale anche per la notte dell’anima; ci sono numerose testimonianze di persone comuni, ma anche di grandi santi, che si sono convertiti solamente dopo aver “toccato il fondo”. Ed anche per Pinocchio la notte è un richiamo al senso dell’esistenza ed infatti si pente: Ho fatto male a rivoltarmi al mio babbo e a fuggire di casa. Sembra di sentir parlare il figliuol prodigo della famosa parabola raccontata da Gesù.

La pentola era dipinta sul muro. Quello che il mondo prima presentava come libertà dall’oppressione del Padre, si rivela vuoto e con crudele sarcasmo continua a farcelo intravedere nel suo inganno: una pentola dipinta vista dagli occhi di un affamato è molto più di una ironia. È il vuoto dell’esistenza che si sperimenta allontanandosi da Dio e dalla Sua Legge.

E intanto la fame cresceva, e cresceva sempre. Dapprima il mondo ci attira con le sue bramosie e poi ci lascia più fame di prima. Perché il mondo non soddisferà mai la nostra fame di Verità, la nostra fame di senso, la nostra fame di eternità, la nostra fame di una casa eterna, la nostra fame di essere amati, la nostra fame di perdono, la nostra fame di abbracciare tutto, la nostra fame di infinito. Quando finalmente Pinocchio trova un uovo – non a caso lo trova nel monte della spazzatura – esso si rivelerà l’ennesimo inganno.

Cari sposi, il mondo non ci vuole insieme perché ci ritiene un pericolo, siccome la coppia ricorda la creazione ed inevitabilmente il Creatore, ecco che dividendoci raggiunge lo scopo di togliere dal cuore dell’uomo anche solo il ricordo di Dio. Ora più che mai dobbiamo combattere contro le falsità, dobbiamo ribellarci alle pentole vuote disegnate sulle pareti colorate del mondo.

Una di queste pentole vuote che ci tocca da vicino è senz’altro la “pentola” della convivenza. Di sicuro il mondo ce la disegna molto attraente e ricca di colori e sfumature da indurci a credere che sia una pentola vera e piena di cibo succulento e prelibato, mentre invece è un freddo dipinto sul muro, che quando cerchi di afferrarla per cucinare ti accorgi dell’inganno. E’ come se vivessimo in un continuo carnevale dove il vero volto è celato dietro una maschera molto decorata ed appariscente, ma pur sempre maschera.

Ci sono poi le uova che troviamo sul monte della spazzatura: l’adulterio, il sesso libertino, la lussuria, l’impurità, l’impudicizia, l’oscenità, e ci ritroviamo come Pinocchio cogli occhi fissi, colla bocca aperta e coi gusci dell’uovo in mano.

Coraggio famiglie, non dobbiamo temere di riconoscere le nostre cadute, quando ci accorgiamo di avere tra le mani un uovo vuoto, ritorniamo dal Padre e gridiamogli il nostro dispiacere di esserci allontanati da Lui e dalla Sua Legge, il nostro pentimento farà breccia nel Suo cuore. Lui ci aspetta con le braccia aperte, il suo abbraccio misericordioso darà nuova carica al nostro matrimonio, ridarà la luce alla nostra stanza spenta, ridesterà una relazione che sembrava ormai spenta.

La nostra relazione non sarà più come quella pentola disegnata a sbeffeggiare la nostra fame d’amore, ma diventerà matrimonio, diventerà una pentola vera e piena di cibo reale e succulento meglio di un ristorante pentastellato.

Giorgio e Valentina.

Il matrimonio secondo Pinocchio /8

Nel precedente articolo, abbiamo analizzato un po’ il mistero dell’uomo che mette in prigione il Padre; è anche il mistero di Dio che “soffre” a causa delle nostre colpe, non per qualche danno che Gli derivi, ma per l’incredibile voluttà di autodistruzione che spesso affiora nella condotta dell’uomo. Affrontiamo ora il quarto capitolo dal titolo eloquente:

La storia di Pinocchio col Grillo-parlante, dove si vede come i ragazzi cattivi hanno a noja di sentirsi correggere da chi ne sa più di loro

Il burattino, liberato per opera della forza pubblica dalle premure oppressive di colui che l’ha creato, si dà al piacere di una corsa sfrenata nei campi. Vuole assaporare l’ebbrezza di chi è padrone assoluto di sé e non deve rendere conto a nessuno dei suoi atti e dei suoi capricci. Ma i legami non sono tutti tagliati: la corsa si conclude ancora nella casa paterna, dove il Grillo parlante tenta di ricondurlo sulla strada dell’obbedienza, ma verrà messo a tacere con un colpo di martello.

È il tema della coscienza morale, un tema attualissimo in questo moderno dilagare dell’immoralità e dell’indecenza nei costumi, ma non possiamo inoltrarci troppo a causa della sua vastità. Faremo qualche accenno nella speranza di essere d’aiuto a molti.

Nel libro di Collodi ci sono altre bestie faconde, ma stranamente solo il Grillo è detto “parlante“, perché rappresenta la coscienza, solo la sua voce è una voce che non si può mettere a tacere. La voce della coscienza non è una voce come tutte le altre, non è da confondere con il rumore e il fracasso a cui ci ha abituato il mondo moderno, tuttavia è una voce che non smette di giudicare le nostre azioni. Ovviamente la coscienza deve essere rettamente formata, altrimenti si scambia il soddisfacimento dei propri piaceri effimeri o, peggio ancora, dei bassi desideri della carne come “l’agire secondo coscienza”. Su questo punto ci basti ricordare l’ammonimento di San Paolo : (Gal 5,17) la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne

Abbiamo sentito troppe volte “scusare” i propri adulteri (o altre azioni sbagliate) con la frase “Io ho la coscienza a posto“. Ma se ci riflettiamo un attimo, proprio questa tipica frase rivela quanto sia preziosa, importante, necessaria e vitale l’approvazione da parte della nostra coscienza riguardo ai nostri comportamenti. Tanto è vero che la frase in questione cita la coscienza stessa per avere una garanzia di liceità sull’azione, che invece è peccaminosa sempre e comunque. Noi non abbiamo un martello come Pinocchio ma se la nostra coscienza potesse prendere un corpo farebbe una fine certamente peggiore di quella del povero grillo, altro che martello.

Questa voce della coscienza ha modi non convenzionali per farsi sentire, infatti a volte ci parla anche attraverso la sola testimonianza silenziosa di una persona buona attorno a noi – Dio voglia che sia il nostro coniuge – e non è necessario che essa si relazioni con noi, spesso basta la sola sua azione silente. La bontà è un richiamo forte per il nostro cuore, anzi fortissimo, potremmo anche dire irresistibile, ma se il nostro cuore sta vivendo dalla parte sbagliata potremmo avere una reazione contraria a questo soave richiamo, potremmo voler soffocare questo richiamo perché ci costringerebbe a cambiare, ancor meglio, a riconoscere che abbiamo bisogno di cambiare. E questo mina il nostro – vano – tentativo di autosufficienza, il cattivo desiderio di essere il padrone assoluto di sé.

Ecco perché a volte, quando incontriamo una testimonianza di santità, sentiamo dentro di noi l’istinto di denigrare invece che quello di imitare; cambiare è molto faticoso e laborioso, mentre denigrare o irridere è molto facile e non ci richiede nessuno sforzo. Far morire il nostro uomo vecchio è un lavoro faticoso ed impegnativo, mentre lasciargli il trono della nostra vita è alquanto facile ed apparentemente conveniente, salvo accorgerci – ahimè troppo tardi – che in realtà siamo schiavi di quel despota e che quel trono è stato usurpato al legittimo sovrano: l’uomo nuovo.

Cari sposi, dobbiamo imparare a recuperare quella bella pratica, mai andata in disuso ma fuori moda sì, che è l’esame di coscienza a fine giornata. Per cominciare, possiamo pregare alla sera insieme come famiglia e/o come coppia in un clima di silenzio e tranquillità, senza il chiasso del mondo o della TV. Magari con le luci un po’ soffuse, con calma e voce rilassata, facendo precedere la preghiera da un momento di silenzio per l’esame di coscienza personale. Alla fine, ci si può abbracciare tutti, chiedendoci scusa reciprocamente dei torti fatti e ringraziando della pazienza che l’altro/a ha manifestato nei nostri confronti.

Non è la ricetta della famiglia perfetta, ma sono consigli ed esempi di come ci si può aiutare reciprocamente a tenere viva la coscienza morale. Questi momenti e tutti quelli che la fantasia vi suggerisce devono poi trovare concretezza: bisogna ritornare a frequentare i confessionali almeno una volta al mese, non quando me la sento, ma quando è giusto. Altrimenti è sentimentalismo e non fede.

Coraggio sposi, la coscienza è il nostro giudice implacabile, dobbiamo aiutarci l’un l’altra a riconoscerne la voce, così da avere un coniuge sempre più bello e santo, col cuore sempre più legato al Cuore Sacratissimo di Gesù, più è unito a Lui e più ci amerà meglio.

Giorgio e Valentina

Il matrimonio secondo Pinocchio /6

Poi prese il burattino sotto le braccia e lo posò in terra, sul pavimento della stanza, per farlo camminare. Pinocchio aveva le gambe aggranchite e non sapeva muoversi, e Geppetto lo conduceva per la mano per insegnargli a mettere un passo dietro l’altro. Quando le gambe gli si furono sgranchite, Pinocchio cominciò a camminare da sé e a correre per la stanza ; finché, infilata la porta di casa, saltò nella strada e si dette a scappare.

Questa frase ci sembra un’ eco dei primi capitoli della Bibbia, quasi un modo più divertente per raccontare l’ingresso dell’uomo nel Creato. Se nelle puntate precedenti abbiamo toccato il tema della nostra preesistenza in mente Dei, oggi vediamo come il Padre ci colloca nel mondo, e lo faremo usando come Sua contro-figura il nostro Geppetto.

Possiamo notare come il primo gesto di Geppetto sia quello di prendere sotto le braccia il burattino, un po’ come fanno i genitori con i bimbi prima di posarli per terra; qualche cinico obietterà che è un gesto obbligato poiché per il piccolo sarebbe cosa impossibile, ma noi replichiamo che una delle esperienze più appaganti della vita affettiva e relazionale è proprio quella di essere presi in braccio da mamma e papà. È vero che è un gesto obbligato, ma è altrettanto vero che di solito questo gesto viene accompagnato da un sorriso, da un bacio, da una parola affettuosa, da uno sguardo di incoraggiamento. Se viene fatto roboticamente, il bimbo se ne accorge e subito si lamenta perché si nutre della relazione. Se questo piccolo potesse parlare, direbbe che l’essenza di sé stesso è la relazione dipendente dalla mamma e dal papà. E noi come ci relazioniamo con i nostri figli, li prendiamo in braccio (in senso figurato per i figli grandi) per incoraggiarli e sostenerli?

C’è un altro particolare, e cioè che Geppetto posa in terra Pinocchio per un motivo: “per farlo camminare”. Anche il Padre ci ha posti nel mondo per “farci camminare”, e lo ha fatto prendendoci prima in braccio come Geppetto. Cari sposi, se il Padre ci ha posti nel mondo in questo tempo e in questo spazio preciso è perché questo è il nostro posto unico ed irripetibile, nessuno poteva e potrà mai essere nel mondo al posto nostro, il cammino che il Padre ci invita a compiere è personale, il Creatore non ci ha creato in serie come in una fabbrica da cui usciamo tutti uguali con lo stesso codice a barre. Gli spaghetti alla carbonara del ristorante stellato in Piazza Roma sono sicuramente molto buoni, ma preferisco quelli che prepara Valentina, non tanto per il gusto in sé, ma per l’amore che ci mette nella preparazione e la tenerezza con cui li serve, similmente, ognuno di noi può essere sostituito nelle “cose da fare”, ma nessuno le farà mai come me perché ognuno mette un po’ di sé dentro le cose che realizza. Ogni coppia ha il proprio cammino per cui il Padre la “posò in terra per farla camminare”. E noi aiutiamo il nostro coniuge a camminare?

Geppetto poi, come ogni papà, aiuta Pinocchio tenendolo per mano e insegnandogli a “mettere un passo dietro l’altro”. E così fa anche il Padre con noi, non ci abbandona sul pavimento con un “arrangiati da solo adesso”, ma ci tiene per mano con la Sua Grazia, con la Sua Provvidenza, e ci insegna a mettere un passo dopo l’altro. Gli sposi che pretendono tutto e subito avranno di che imparare da Geppetto. Quando una coppia è in crisi vorrebbe uscire immediatamente da essa senza ferite, senza cicatrici, senza riportare contusioni, senza ripercussioni di nessun tipo, ma l’esperienza ci insegna che non è possibile, come ogni papà non molla la manina del piccolino fino a che non sia sicuro di sé stesso così le coppie dovranno avere la pazienza di ritornare sulla giusta strada ma dovranno fare un passo alla volta.

E da ultimo c’è il grande tema della nostra libertà, del nostro libero arbitrio, qui solo accennato e che riprenderemo in seguito, lo si avverte subito nella frase: “Pinocchio cominciò a camminare da sé e a correre per la stanza; finché, infilata la porta di casa, saltò nella strada e si dette a scappare.” Così come il Padre non ci vuole obbligare a riamarlo e corre il rischio che anche noi “corriamo fuori per la strada a scappare” così anche noi dobbiamo fare nei confronti sia del nostro coniuge che dei nostri figli, ma affronteremo più avanti questo tema. Per ora ci basti sapere che, come Geppetto, così anche il Padre corre il rischio di lasciarci camminare da noi stessi, cioé ci lascia la facoltà di scegliere liberamente di camminare restando nella Sua Grazia. Cari sposi, il Signore ci insegna a camminare ma non perché possiamo scappare dalla Sua casa come dei moderni “figliuol prodighi”, ma perché possiamo seguire le Sue orme, le orme del Suo Figlio Gesù.

Coraggio sposi, buona camminata.

Giorgio e Valentina.

Il matrimonio secondo Pinocchio /5

A quel garbo insolente e derisorio, Geppetto si fece triste e melanconico, come non era stato mai in vita sua, e voltandosi verso Pinocchio, gli disse: – Birba d’un figliuolo! Non sei ancora finito di fare, e già cominci a mancar di rispetto a tuo padre! Male, ragazzo mio, male! E si rasciugò una lacrima.

Restiamo ancora su questa frase perché dopo aver riflettuto sulla paternità di Dio Padre e sulla nostra figliolanza divina, ora affrontiamo l’ultima nota di questa frase, quella dolente: E si rasciugò una lacrima.

Le lacrime sono un segno del corpo che spesso arrivano quando il corpo non riesce più ad esternare ciò che avviene dentro; ci sono le lacrime positive di gioia, stupore, meraviglia, pace, incanto così come quelle negative di tristezza, infelicità, angoscia, dolore e dispiacere. Le conosciamo benissimo perché almeno una volta tutti ne abbiamo fatto esperienza, perciò possiamo facilmente immaginare lo stato d’animo del povero Geppetto dinanzi alle monellerie del figliuolo, ma ora non ci interessa farne una disamina attenta, quanto invece far emergere ciò che il Collodi vuole dirci con queste poche parole.

Un antico adagio recita così: non c’è amore senza dolore… è una verità insita nella nostra esistenza e nessuno ne è escluso, lo sanno benissimo le madri che per amore affrontano il dolore del parto, lo sanno benissimo gli sposi che per amore sopportano i dolori che nascono dalla relazione col proprio coniuge. Quando si è disposti a soffrire pur di amare allora si è pronti ad amare, altrimenti si è ancora nell’adolescenza o, peggio, nella fanciullezza. La prima esperienza che si fa quando si comincia ad amare qualcuno è proprio quella del dolore, e Geppetto (simbolo del Padre) ce lo ricorda.

Ma con quale stile ama Dio Padre? Per capirlo meglio ci lasceremo aiutare da una mamma, che, come tutte le mamme, conosce bene il dolore: la Madonna. Nelle sue varie apparizioni riconosciute ufficialmente dalla Chiesa non cessa di mostrarci il volto materno doloroso dell’amore di Dio ; riportiamo solo alcune frasi.

Apparizione a La Salette (19/9/1846): Da quanto tempo soffro per voi ! Se voglio che mio figlio non vi abbandoni, sono incaricata di pregarlo incessantemente e voi non ci fate caso. Per quanto pregherete e farete, mai potrete compensare la pena che mi sono presa per voi.

Apparizione a Fatima (13/08/1917): Ed assumendo un aspetto più triste, (aggiunse): Pregate molto e fate sacrifici per i peccatori, perché molte anime vanno all’Inferno non avendo chi si sacrifichi e preghi per loro”. (13/10/1917) E assumendo un aspetto triste (la Madonna aggiunse): non offendano più Dio Nostro Signore che è già molto offeso.

Apparizione a Beauraing (03/01/1933): Chiede infine, al culmine del dialogo con i bambini: “Amate mio Figlio? Mi ami? Quindi sacrificati per me.”

Anche se queste frasi mettono in luce alcuni aspetti particolari della nostra vita di fede, ci confermano comunque che anche l’amore tra Dio e l’uomo è caratterizzato dal dolore; non possiamo a questo riguardo non citare la dolorosissima Passione del Figlio di Dio per la nostra salvezza e le vite di tanti santi che hanno deciso di corrispondere all’amore di Dio e si sono conformati al Figlio come San Pio da Pietrelcina o Santa Veronica Giuliani.

La Madonna in questi messaggi ci conferma e ci mostra la tenerezza materna che il Signore ha nei nostri confronti. Proprio come una mamma che vede il proprio figlio “prendere una brutta strada” e non si stanca di sperare in un cambiamento, continuamente lo richiama sulla retta via con la sua tenerezza materna ricordandogli il suo amore materno ed aspetta, aspetta e ancora aspetta con la speranza nel cuore, perché le mamme sono così, per fortuna.

Il Signore sapeva bene che cominciare l’avventura umana sarebbe costato tanto dolore, eppure l’ha fatto, non ha esitato un solo istante perché ciò che Lo muove è l’amore per l’uomo. Questo Padre (rappresentato da Geppetto) non nasconde la verità delle nostre “monellerie” – Male, ragazzo mio, male! – ma ce lo dice con la tristezza nel cuore, non per metterci sulle spalle il peso del ricatto morale (come a volte facciamo noi coi nostri figli) ma perché spera di risvegliare in noi la nostalgia del Suo amore, della Sua pace, della Sua serenità.

Questo atteggiamento di Dio, nello stesso tempo paterno e materno, ci interroga direttamente come sposi perché il nostro matrimonio deve sempre più conformarsi al Suo amore: come ci relazioniamo col nostro consorte quando sbaglia? Siamo interrogati anche come genitori, in quanto facciamo le veci del vero Padre: come aiutiamo i nostri figli a correggersi?

Molte persone che vivono lontane dalla vita di fede pensano che Dio non si interessi a loro, ma si sbagliano di grosso. La Madonna ci testimonia in ogni apparizione che più siamo lontani da Dio e più Lui ci cerca per sedurci a tornare a Lui con tutto il cuore. Molte mamme vanno a letto “con un occhio aperto” (ma anche con un’orecchio), e non prendono sonno finché tutti i figli non sono rincasati dalle serate con gli amici o il marito non torna dal lavoro dopo il turno serale. Similmente anche il Signore non si addormenta, non prende sonno il nostro Custode, a volte quando non ci vede rincasare da troppo tempo ci manda dei richiami quali il tormento della coscienza, altre volte ci manda la Madonna ma mai con atteggiamenti aspri, sempre con tenerezza e dolcezza.E così dobbiamo imparare ad agire anche noi sia come sposi che come genitori, impariamo dalla Madonna, ma anche Geppetto è un buon insegnante!

Giorgio e Valentina.

Il matrimonio secondo Pinocchio /4

A quel garbo insolente e derisorio, Geppetto si fece triste e melanconico, come non era stato mai in vita sua, e voltandosi verso Pinocchio, gli disse: – Birba d’un figliuolo! Non sei ancora finito di fare, e
già cominci a mancar di rispetto a tuo padre! Male, ragazzo mio, male! E si rasciugò una lacrima.

Siamo ancora nel capitolo in cui Geppetto sta dando forma al burattino al quale, abbiamo visto in precedenza, ha già dato nome Pinocchio. La cosa straordinaria che si scopre in queste righe è che se dapprima l’intenzione di Geppetto era quella di fabbricarsi “un bel burattino di legno; ma un burattino maraviglioso, che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali“, ora invece scopriamo che in realtà questo burattino gli è già figlio, o meglio, è figlio in quanto il Geppetto si pone come suo creatore e padre.

Già questi dettagli ci danno modo di riscoprire la nostra figliolanza divina, il Creatore non limita la Sua azione nella potenza creatrice, ma va ben oltre, perché vuole esserci padre. Avrebbe potuto limitarsi a crearci per poi lasciarci vagare su questa terra allo sbaraglio, quasi fossimo degli orfani lasciati crescere da soli in mezzo alla strada, ed invece ci ha creati come figli perché vuole donarci il Suo amore di Padre e la gioia di vivere come Suoi figli destinati alla gloria eterna.

Quando due fidanzati si sposano non sono due che semplicemente si piacciono e desiderano amarsi per tutta la vita, ma sono anche due figli di Dio, figli dello stesso Padre, che si uniscono in una fratellanza ancora più stretta (ed indissolubile) di quella che già li accomuna, visto così il matrimonio si riveste di una connotazione eterna; questa consapevolezza ha dissipato tra noi – Giorgio e Valentina – tantissime liti, molti contrasti, parecchi bisticci e baruffe, perché se ci pensiamo bene la maggior parte delle dispute non serve a chiarirsi, ma a dichiarare quale sia il vincitore tra i due IO: praticamente una zuffa tra due egoismi che non accettano la sconfitta e vogliono averla vinta sull’altro ad ogni costo e con ogni mezzo.

Cari sposi, dobbiamo imparare sempre di più a vedere il nostro coniuge come un nostro fratello, fratello nella figliolanza dello stesso Padre Creatore e fratello nello stesso Cristo Redentore. Molte volte invece il nostro egoismo ci acceca e ci fa vedere l’altro come un nemico, avere un nemico in casa non è tra le più belle esperienze della vita. Ma c’è di più, perché Geppetto non chiama Pinocchio “burattino“, ma da subito è “ragazzo mio“.

A volte succede che qualche papà tratti il proprio figlio come se fosse un campione di calcio nonostante sia un novellino, questi padri non lo fanno di certo per canzonarlo con ironia o sarcasmo, ma semplicemente perché agli occhi di papà quell’esordiente è già un campione da pallone d’oro, vede nel bambino le potenzialità per diventarlo e già sogna ad occhi aperti il futuro del proprio figlio. Similmente anche noi per il nostro Padre Creatore è come se fossimo già dei figli degni di gloria, e così ci tratta, come dei figli specialissimi ed unici, non ci tratta mai con disprezzo e/o sbattendoci in faccia in primis i nostri peccati, ma ci tratta con tenerezza, i suoi richiami sono seducenti, vogliono sedurci a tornare a Lui con tutto il cuore affinché possiamo partecipare del Suo amore, della Sua pace, della Sua gioia, della Sua vita. E’ così che anche noi dobbiamo trattare il nostro coniuge, vedendo in lui/lei non il “burattino” che è ma il “ragazzo” che è destinato a diventare.

Purtroppo non tutti hanno avuto alle spalle dei genitori che li hanno spronati, incoraggiati, esortati, e forse tra questi c’è anche il nostro coniuge; sono ferite che, se non curate, possono causare molti dolori personali, ma poi inevitabilmente si riversano all’interno della coppia. La prima cosa necessaria è il perdono verso i propri genitori perché ci hanno dato solo ciò che avevano, non potevano darci ciò che a loro volta non hanno ricevuto, anch’essi sono stati genitori imperfetti come tutti, non esistono i genitori perfetti perché l’unico genitore perfetto è il nostro Padre Creatore. I genitori hanno il compito di fare le veci del Padre, sono come dei sostituti di cui Lui si fida per una porzione di anni, le madri hanno il compito di incarnare l’aspetto materno di Dio e i padri quello paterno, e tutto ciò nonostante, anzi no, attraverso i nostri difetti, le nostre finitezze.

Sembra un controsenso, ma in realtà se esistessero i genitori perfetti chi sentirebbe il desiderio e l’impulso a cercare un Altro che ci ami di più e meglio dei nostri genitori? Quindi il primo passo è il perdono e ringraziare il Signore per averci dato i nostri genitori, perché le loro imperfezioni, i loro difetti, le loro mancanze, ci hanno spinto a cercare e trovare/capire che esiste un vero Padre che non ha difetti, che non ha mancanze, che non ha imperfezioni, che non muore e che ci aspetta da tutta l’eternità.

Questa prospettiva è liberante anche vissuta dalla parte di genitori, noi che lo siamo diventati a nostra volta, perché sapere che il Padre si fida di noi due per crescere altri Suoi figli è già una Grazia grande, e secondariamente ci libera da tutti quei sensi di colpa per gli errori o i guai che abbiamo combinato più o meno consciamente. Lo ripetiamo spesso alle nostre figlie che noi siamo come dei genitori in prestito, come dei vicari temporanei, pieni di difetti (in gergo teologico: peccatori) e di limiti, ma perché il vero senso della loro vita non siamo noi genitori ma Il Genitore per eccellenza, Colui di cui noi siamo indegnamente una pallidissima immagine molto sfocata. Ma è Lui che devono cercare, amare e per cui devono vivere.

Coraggio sposi, il cammino è arduo sia come sposi che come genitori che come figli, ma il Padre non ci lascia mai soli.

Giorgio e Valentina.

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Il matrimonio secondo Pinocchio /3

Una volta messosi d’accordo con l’amico, comincia il terzo capitolo così:

<< Geppetto, tornato a casa, comincia subito a fabbricarsi il burattino e gli mette il nome di Pinocchio, prime monellerie del burattino>>

Con fine comicità l’autore racconta le prime monellerie del burattino, ma prima di tutto ciò:

<< Che nome gli metterò ? – disse fra sé e sé. – lo voglio chiamar Pinocchio. […] Quando ebbe trovato il nome al suo burattino, allora cominciò a lavorare a buono, e gli fece subito i capelli, poi la fronte, poi gli occhi. >>

Manteniamo ancora l’immagine di Geppetto come simbolica del Padre per aiutarci nella riflessione. E’ significativo che la prima cosa a cui pensi Geppetto sia il nome. Il nome non è un semplice orpello, non è una sorta di soprammobile che se c’è o non c’è fa lo stesso. Se ci pensiamo bene ognuno di noi avrà chiesto almeno una volta ai propri genitori il motivo del proprio nome, o se non l’ha chiesto ad essi, sicuramente se l’è chiesto tra sé e sé.

Per lo sviluppo armonico della persona è di fondamentale importanza il nome, lo sanno bene i fratelli di una famiglia numerosa, i quali conoscono bene il tempo che hanno a disposizione prima che la madre pronunci il loro nome dopo aver passato in rassegna i nomi di tutti gli altri figli. A volte succede anche a noi di confondere al telefono la voce di una figlia per un’altra, la reazione non è delle migliori, e bisogna stare attenti a non confondere i nomi dei professori nonché dei compagni di classe… un errore è considerato un mancato riconoscimento della propria identità anche se fatto notare con ironia. Quanto è importante il nome che abbiamo, e di solito la prima volta che lo abbiamo sentito è uscito dalla voce di mamma o papà, quando lo sentiamo pronunciato con dolcezza e tenerezza ci sono buone notizie all’orizzonte, ma quando lo sentiamo gridato oppure digrignato tra i denti sono guai e cerchiamo rifugio dalle ciabattate in arrivo.

Molti nomi vengono storpiati o modificati con vezzeggiativi, nomignoli, soprannomi o altro, e non è raro trovare persone più affezionate a quel soprannome perché non amano il proprio nome reale; ci sono altre persone che amano di più il nomignolo col quale le chiamava il nonno o la nonna ad esempio; ci sono persone che si arrabbiano qualora si sentano chiamare col loro vero nome anziché col soprannome, le reazioni sono le più disparate; ci sono poi persone che per fare carriera hanno cambiato il proprio nome in un nome d’arte; altri artisti nascondono per una vita intera la loro vera identità dietro il nome d’arte; vengono usati pseudonimi per ragioni militari come gli 007 oppure pensiamo ai falsi nomi usati dagli organi di polizia per agire in incognito; ci sono poi i nomignoli usati dagli adolescenti innamorati per comunicare tra loro in privato; ci sono gli odiati nomignoli che ci siamo sentiti ripetere mille volte dalla mamma, nonna, zia, pseudo-zia o altra persona, nomignoli con i quali continuano a chiamarci anche se siamo adulti e che ci fanno andare su tutte le furie; alcuni usano il soprannome solo con gli amici mentre i suoi familiari ne sono ignari in casa; di alcune persone si conosce il vero nome solo al funerale; ci sono altri nomignoli, soprannomi e appellativi che i genitori usano inconsapevolmente a danno dei propri figli, quali : “campione, genio, stordito, patatone/a, ciccino, amorino del papà, amore della mamma, gioia, stella, cucciolone/a, tesoro, ecc… ; ci sono poi i nomi imposti da rigidi protocolli come quelli di re e regine, nomi decisi molto tempo prima che la creatura sia stata concepita.

Come possiamo notare, il nome non è qualcosa di aggiunto a noi, esso è parte integrante di noi, delinea in qualche modo anche la nostra personalità, il nostro futuro, la nostra missione nel mondo. Ma per il cristiano c’è ancora qualcosa in più, Gesù così si esprime nel Vangelo di Luca: <<rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli.>>(Lc 10,20)

Se dunque Geppetto è figura del Padre, scopriamo che ognuno di noi, ancor prima di venire all’esistenza in questo mondo, non solo esisteva in qualche modo in mente Dei, ma ancor di più, è stato chiamato per nome fin dall’eternità, ed il nostro nome è, per usare una metafora, nell’elenco degli invitati al banchetto di nozze eterno.

Inoltre nel libro di Isaia il nostro nome ha anche un’altra accezione, è segno di appartenenza a Colui che da sempre ci ha amato e sulla Croce ce lo ha dimostrato, un’appartenenza di cui dobbiamo riscoprire sempre più l’orgoglio e la fierezza: <<Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni.>> (Is 43,1)

Care famiglie, i nostri nomi dicono molto di noi, dobbiamo imparare ad usarli bene, a pronunciarli con amore e rispetto, non possiamo disprezzarli, dobbiamo ridare loro la dignità filiale e regale insieme… dignità filiale perché figli di un Padre e regale perché, anche se monelli, siamo pur sempre figli di un Re. Coraggio famiglie, questa settimana abbiamo la possibilità di rieducarci a chiamare i nostri cari col loro nome, ed impegnarci affinché sentano il proprio nome pronunciato con tenerezza, con amore, con rispetto, con dignità. Ma il nome più bello, più soave e più dolce che le coppie e le famiglie devono sempre avere sulle labbra e nel cuore è il santissimo nome di Gesù, del quale esistono anche le litanie.

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Giorgio e Valentina.

Il matrimonio secondo Pinocchio /2

Terminato l’iniziale incontro alquanto burrascoso tra “quel pezzo di legno” e Mastro Ciliegia, ecco che il secondo capitolo comincia con un altro falegname, amico del primo, il quale bussa alla porta della bottega, teatro di un improbabile tafferuglio. Entra quindi in scena un secondo lavoratore del legno, il famoso Geppetto, il quale, a differenza di Mastro Ciliegia, ha già un’idea in testa: “Ho pensato di fabbricarmi da me un bel burattino di legno; ma un burattino maraviglioso, che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali.“.

Questa frase sembra solo uno stratagemma letterario per passare la palla a Geppetto, quasi che l’autore non avesse più idea di come far proseguire l’iniziale baruffa tra Mastro Ciliegia e il pezzo di legno; all’inizio infatti ci è sembrato di intuire che a volte anche noi facciamo così: quando non riusciamo a “trattare” con i nostri figli o con il nostro coniuge, cominciamo una battaglia, e nel bel mezzo di questa capita di voler gettare la spugna, un po’ come se aspettassimo un nostro Geppetto che finalmente ci liberi da questa fatica. E’ a questo punto che partono frasi del tipo: “Ma chi me l’ha fatto fare di sposarti?… aveva ragione mia mamma , mi aveva messo in guardia… ecc… “, ci sembra che l’altro sia come un’armadio dell’Ikea che non riusciamo a montare senza istruzioni, ci pare impossibile addirittura averlo scelto al negozio e di averlo già tra i piedi in casa… e invochiamo un fantomatico Geppetto che bussi alla porta e se lo/a prenda.

Cari sposi, a volte nel matrimonio si vivono momenti così, ma per capire come uscirne non dobbiamo invocare il nostro Geppetto, ma chiederci se non siamo noi ad essere come Mastro Ciliegia, se non siamo noi ad aver perso lo sguardo sul nostro coniuge, quello sguardo che intravede già un burattino. Continuando però nella riflessione su questo inizio del capitolo secondo, si può notare come salti all’occhio una differenza sostanziale tra i due falegnami: Mastro Ciliegia non sa che farsene di quel pezzo di legno e se ne vuole disfare, Geppetto, al contrario ha già un’idea in mente, viene alla porta di Mastro Ciliegia spinto proprio da quell’idea.

Il suo approccio è totalmente diverso perché ha un progetto molto ardito, ci vuole infatti molta immaginazione per intravedere dentro un pezzo di legno da stufa un burattino che sappia ballare. Se ci pensiamo bene Geppetto sta addirittura come raffigurazione di Dio Padre. Ed ognuno di noi in fondo è come quel pezzo di legno, del quale il Creatore ha deciso di farne un burattino che sappia ballare, su ognuno di noi c’è un progetto ardito e ben definito, ognuno di noi è stato pensato e fortemente voluto da Qualcuno prima di noi. Praticamente Pinocchio esisteva nella mente di Geppetto ancora prima di esistere, ancor prima di uscire da quel legno; similmente ognuno di noi esisteva nel pensiero di Dio dall’eternità.

Quando ero piccolo sentivo i racconti di fatti della mia famiglia accaduti prima che io nascessi, e la risposta alla mia faccina esterrefatta che sentivo spesso rivolgermi era: “Tu eri ancora in mente Dei“. Col tempo ho capito la profondità di tal modo di dire, perché è vero che prima ancora che ognuno di noi venisse all’esistenza era già in mente Dei, cioè nella mente di Dio, nei Suoi progetti, nelle Sue intenzioni.

E questa consapevolezza è la prima fonte di gioia della vita: la gioia di sapermi visto, voluto ed amato da sempre. Di fronte alle domande sulla nostra origine ci sono solo due strade: o tutto è un caso oppure tutto è stato voluto, tertium non datur, cioè la terza soluzione non esiste. Se volessimo seguire la strada del caso fino alle sue estreme conseguenze, tenendo come bussola il caso, rimanendo coerenti con questa tesi, finiremmo nella più desolata delle disperazioni, non troveremmo senso neanche dentro il più bello degli amori, dentro la più bella esperienza di affetto o di amicizia, e nemmeno si spiegherebbe il desiderio di infinito che alberga dentro il nostro cuore.

Al contrario, la visione di un Dio che, per sua libera ed insindacabile decisione decide di crearmi – senza chiedermene il permesso – è sicuramente eccedente ad ogni umana comprensione, ma è un mistero che illumina l’intera esistenza. Il motivo per cui il Creatore abbia deciso di creare me tra le molteplici ed infinite possibilità che aveva a disposizione resta oscuro alla mia ragione, l’unica risposta ragionevole è l’amore; alla radice della mia esistenza c’è un puro atto di amore incondizionato ed infinito perché la mia venuta all’esistenza non ha nessuna giustificazione convincente.

Facciamo un’ultima riflessione: se la radice del nostro essere è eterna, l’unico destino della nostra vita non può che essere eterno; in Dio infatti tutto esiste da sempre senza evoluzioni o successioni, ne sovviene che chi in qualche modo affonda le proprie radici nell’eternità, è fatto per vivere eternamente. La ragionevolezza della vita eterna quindi trova la sua spiegazione nell’atto creativo di Dio, in Lui l’inizio e la fine sono correlati, poiché in realtà inizio e fine sono categorie dell’umano pensiero, ma in Dio coincidono essendo in Se stesso infinito ed eterno.

Cari sposi, ogni tanto fermiamoci a ringraziare il Signore che – nonostante le nostre reticenze – ci ha donato il coniuge che da sempre ha pensato per noi, non ce n’era un altro migliore, ci ha donato quello perfetto, non perfetto in sé stesso, ma perfetto per amare solo noi e per lasciarsi amare solo da noi di un amore sponsale che deve avere il sapore dell’amore di Dio. Ma questo vale anche in relazione ai nostri figli: di genitori migliori di noi ce ne sono a bizzeffe, ma Lui ha scelto di fidarsi di noi perché solo noi abbiamo le caratteristiche perfette per amare quei figli, quelli e non altri, per realizzare il Suo progetto su quei figli ha bisogno di noi come genitori, nonostante – ma anche attraverso – le nostre povertà, le nostre fragilità, i nostri sbagli.

Coraggio sposi, non stiamo semplicemente insieme per il capriccio casuale di forze anonime alle quali siamo indifferenti, ma siamo uniti in virtù di una trascendente volontà di comunione che sta all’origine della nostra esistenza. Parafrasando le parole di Geppetto, il Creatore direbbe: “Ho pensato di fabbricarmi da me una coppia di sposi che…“.

Giorgio e Valentina.

Il matrimonio secondo Pinocchio /1

Inizia con oggi un serie di articoli sul famosissimo libro di Carlo Collodi, pseudonimo di Carlo Lorenzini, il quale scrisse su un giornale per bambini una serie di avventure di un simpatico burattino di legno, la raccolta di queste storie divenne poi il celebre libro che tutti conosciamo. Raccontiamo brevemente la trama per chi avesse bisogno di rispolverare la memoria: da un pezzo di legno – che magicamente ha vita propria – un falegname di nome Geppetto tira fuori un burattino che si muove senza fili avendo vita propria, e dopo una serie di avventure più o meno disastrose, finalmente il burattino diventa un bambino vero in carne ed ossa. Ci sono diversi autori che hanno tratto spunto dai racconti del burattino, noi cercheremo di fare un miscuglio tra le riflessioni che il libro ha suscitato a noi come sposi/genitori e quelle che il compianto cardinale Giacomo Biffi racconta nel suo libro “Contro Mastro Ciliegia“, definito da lui stesso un commento teologico alle avventure di Pinocchio.

Le nostre riflessioni non seguiranno il susseguirsi dei capitoli pagina dopo pagina, ma potrà succedere di saltare qualche capitolo a piè pari, a volte ci soffermeremo su qualche particolare, capiterà che citeremo alcune frasi chiave del Collodi, altre volte analizzeremo un personaggio piuttosto che un altro, di modo che gli sposi che avranno la pazienza di seguirci in questo percorso potranno avere la possibilità chi di fare un cammino di crescita personale, chi di crescere come coppia, chi di crescere come genitore, chi di crescere nella fede, chi di guarire dalle ferite del passato.

Fatte le dovute premesse cominciamo ad aprire il primo capitolo che ci fa entrare “nella bottega di un vecchio falegname, il quale aveva nome mastr’Antonio, se non che tutti lo chiamavano maestro Ciliegia, per via della punta del suo naso, che era sempre lustra e paonazza, come una ciliegia matura“. Ma a ben vedere non siamo noi ad entrare in questa bottega, semmai ci limiteremo ad osservare dal di fuori gli avvenimenti che fra poco accadranno in tale luogo, ciò che invece entrò davvero in questa bottega artigiana fu “Non un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d’inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze“. Mastro Ciliegia è un uomo senza fronzoli, che incarna il materialista tipo, uno per il quale è vero solo ciò che si vede e si tocca, che non lascia spazio alle novità, insomma… per lui un pezzo di legno è solo un pezzo di legno. Tant’è vero che gli pare inconcepibile il sentire una vocina uscire da quel legno, si convince che possa essere un’autosuggestione, siccome non rientra nei suoi schemi è impossibile e non ci crede neanche quando la sente ripetutamente. Lui aveva già segnato il destino di quel pezzo di legno, e gli pareva di avergli già concesso troppo considerarlo “una gamba di tavolino“, una gran fortuna per un pezzo di legno da catasta.

Quante volte anche noi consideriamo il nostro coniuge come un pezzo di legno da catasta? Quante volte anche noi ci pare che averlo/la già considerato come una gamba da tavolino sia pure troppo per un pezzo da catasta?

Cari sposi, troppe volte anche noi bolliamo con un marchio il nostro amato, la nostra amata, e non glielo leviamo più, perché per noi è impossibile che esca una vocina da quel pezzo di legno che è il nostro coniuge, ci pare impossibile che dentro quel legno ci sia un’anima, siccome non rientra nei nostri schemi imprigioniamo lei/lui nel pre-giudizio che abbiamo nei suoi confronti. Lo incateniamo dentro le nostre definizioni “sei sempre lo stesso/la stessa“… “è impossibile, non cambierai mai” … “lascia stare che tu non sei capace” … “. Questo è il metodo migliore per bloccare lui/lei che magari sente una spinta a cambiare se stesso/a ma ne è impedito/a dalle prigioni in cui noi lo/la abbiamo rinchiuso/a. E così succede anche con i bambini: se l’educatore continua ad apostrofarlo “stupido“, il bambino crescerà convinto di esserlo e lo diventerà davvero; così com’è altrettanto pericoloso definirlo sempre “sei un genio“, questo crescerà convinto di esserlo ma presto o tardi si scontrerà con la dura realtà e saranno dolori.

L’amore degli sposi deve sempre più assomigliare all’amore di Dio Padre: un amore che incoraggia a migliorarsi sempre, un amore che ci fa sentire unici ed irripetibili, un amore che non nega i nostri difetti ma li abbraccia, un amore che vede più in là del nostro naso, che non vede solo quel pezzo di legno da catasta che siamo, ma intravede già ciò che potremmo diventare con la Sua Grazia. Coraggio sposi, la strada del matrimonio non è fatta per gente statica, facciamo sentire la nostra vocina a lui/lei, ma soprattutto apriamo le nostre orecchie per sentire la vocina del nostro coniuge che si sforza di uscire da quel pezzo di legno da catasta che per noi è già tanto se diventerà una gamba di tavolino.

Giorgio e Valentina.