Chiesa Grande chiama chiesa piccola

Cari sposi, nonostante in queste date subentri una certa malinconia per la fine delle ferie e l’imminente ripresa dell’anno sociale, dobbiamo ricordarci che Gesù è sempre a nostro fianco, sia in vacanza che nella vita ordinaria e che Lui è la base di ogni nostra gioia e speranza.

In questa domenica tutta la Parola va proprio in questa direzione e concretamente ci parla del ruolo che Pietro e i suoi successori hanno avuto nella vita della Chiesa: essere roccia, basamento, cemento armato su cui Cristo ha voluto costituire la sua Chiesa come anche essere il punto di unione e convergenza visibile per tutti i cristiani.

Sappiamo che questa scelta non è avvenuta tramite una pesca ai bigliettini ma è stata frutto di assidua preghiera tra Lui e il Padre. E chi ha scelto alla fin fine? Un uomo, come direbbe Paolo Cevoli, un tantino “sborone”, uno che voleva farsi bello e forte davanti a tutti, finendo in seguito per cadere miseramente e rinnegare tre volte il Maestro. Ed ecco a voi il nostro bel fondamento visibile della Chiesa universale! Applausi per favore!

Pur potendo, non ha scelto né Giovanni, il bravo, il fedele, il più coccolato ma nemmeno il focoso Giacomo, così come neppure Natanaele, tanto elogiato per la sua sincerità e schiettezza. Ha proprio voluto quel pescatore testone e spavaldo. E difatti poi, fedele al suo capostipite, la storia dei Papi è davvero una sequela di casi umani tra i più disparati. Ce n’è di ogni: Papi santi e peccatori, intellettuali o asceti, di alta o bassa estrazione, impulsivi o remissivi… Consola tanto constatare come da Pio IX (1846-1878) ad oggi quasi tutti i Vicari di Cristo siano stati Santi o sono sulla via degli altari.

Ma voi sposi dovete ricordare che la Chiesa universale è fondata alla fin fine, certamente su diocesi e parrocchie, ma il tutto poi ha come ultimo piedistallo le piccole chiese, le chiese domestiche, cioè voi come coppia. Ed ecco qui il vostro luogo e il vostro compito nella Chiesa! Ciascuno di voi, nel suo piccolo, non importa se abbiate ricevuto ruoli o compiti dal parroco, se siete catechisti, incaricati della Caritas, se seguite il gruppo giovani o svolgete il ministero straordinario dell’Eucarestia. Fosse anche che questo e altro non ci fosse, per il solo fatto di essere uniti dal sacramento nuziale e quindi essere Presenza viva di Cristo, già coltivare questa amicizia tra voi e Lui e tentare di trasmetterla a chi vi è vicino sarebbe una magnifica missione. Tanto importante che, se mancasse, parrocchie, diocesi e in ultima istanza la Chiesa universale ne risentirebbe pesantemente in negativo.

Pensate a quanti “ecomostri” si trovano in Italia, cioè quegli edifici iniziati ma mai conclusi e che rimangono lì come ruderi a cielo aperto! Non sarà che questo a volte capita alla nostra Chiesa? Il fondamento c’è, lo sappiamo bene dal Vangelo di oggi, ma poi manca il resto, mancano tutte quelle rifiniture (infissi, porte, finestre, arredamenti…) necessari per abitarvi. E voi coppie avete proprio il compito originale di rendere accogliente e confortevole la Chiesa! Che appunto ci si senta amati e attesi, come in casa propria. Non importa se siete più o meno degni, ricordatevi di chi Gesù ci ha messo a capo, ma piuttosto che siate disposti a mettervi in gioco e continuare a provarci.

Cari sposi, per tutto questo che abbiamo visto, è chiaro che la Roccia di Pietro necessita di voi, piccole pietre vive. Gesù ha fiducia in voi e vi chiama ad aderirvi su di essa affinché la Sua Chiesa sia davvero salda in ogni sua parte.

ANTONIO E LUISA

Prendendo spunto dalla riflessione di padre Luca, vorrei aggiungere quanto, per me, Gesù si sia dimostrato un grande pedagogista nello scegliere Pietro. Se Pietro fosse stato perfetto, l’uomo senza difetti, l’uomo che non deve chiedere mai, forse non sarebbe stato un bene. Io sinceramente non avrei potuto identificarmi con la figura di Pietro. Avrei pensato che essere discepoli fosse solo per pochi, non per tutti. È un po’ quello che viene imputato alla Chiesa. La Chiesa? Piena di gente che ne combina di ogni. Eppure questa consapevolezza mi libera dalla mia limitatezza. Io sono povero, limitato, pieno di difetti eppure posso andare bene così. Se Gesù ha affidato la Sua Chiesa a un testone come Pietro, perché non può affidare una piccola chiesa domestica a Luisa e a me? Ed è così che tutte le mie paure e paranoie diventano superabili.

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La Dracma ritrovata (1 parte)

Varcare il limite delle tenebre, una dignità che può amare sempre e nonostante tutto!


Le luci e i colori della festa ornavano il Natale di quell’anno tanto lontano quanto vicino nel ricordo che faceva capolino nella memoria. Il freddo, per un bimbo ben vestito e curato, era più piacevole che rigido e la meraviglia di quella visione, che incontravo per la prima volta, riempiva a mani piene il mio stupore, la mia gioia nel vedere qualcosa che agli occhi di un bimbo doveva sembrare molto più che stupendo o magnificente: era infatti incredibile. Piazza San Pietro, vestita a festa, con gli ornamenti dell’albero e del presepe, con le decorazioni e le luminarie che avvolgevano la via che ad essa conduce, il tutto insieme al mio babbo e alla mia mamma sembrava traboccare di felicità, perché respiravo la bellezza di essere protetto, di essere voluto, di essere amato, perché quel momento era stato pensato per me.

Eppure spesso, accanto al chiarore del bello che risplende, il dolore del buio guarda attonito e spera che ci sia qualcuno che varchi il confine tra buio e luce per rendere luminose anche le tenebre. Molto spesso siamo capaci di varcare quel limite, anche se non ce ne accorgiamo, e questo, nella innocenza di allora, accadde anche a me! Mentre estasiato osservavo la grandezza di quegli edifici, che avevano attraversato i secoli per farmi dono della loro bellezza, il mio sguardo andò verso una zona d’ombra sotto il porticato, lì dove un uomo rovistava tra le sue cose. Non so cosa cercasse, ma, pur nella mia infantile età, capivo che era un povero, un senza tetto, qualcuno che era veramente un “bisognoso” e che era solo, che stava cercando qualcosa che sembrava avesse perso.

Tutto d’un tratto cessò la sua ricerca, si sedette per terra e, quasi a tradire un gesto di preghiera e di scoraggiamento, portò le mani giunte verso il volto e poi verso le ginocchia. Lasciò cadere il collo su se stesso, sensibile segno del senso di sconfitta, come aspettando il colpo di grazia, poiché non aveva trovato ciò che cercava. Non so perché, ma in quel momento chiesi alla mia mamma qualche spicciolo. Dopo essersi accertata sulle mie intenzioni, lei mi incoraggiò ad andare, vincendo il timore che un bimbo può avere verso una situazione così nuova per lui. Andai incontro a quell’uomo, non dissi nulla: gli sorrisi, stesi la mano e misi quegli spiccioli nella sua. Mi sorrise con una forza che non avevo mai visto, penetrante, nobile, dignitosa e mi disse: “ Grazie …. Dio ti benedica”.

A distanza di quasi trent’anni quelle parole mi risuonano ancora, perché fu una delle benedizioni più belle che abbia ricevuto, che generò in me un sentimento di bene che la meraviglia di prima non poteva in nessun modo eguagliare. Non conoscevo quel povero, ma sicuramente era tutt’altro che povero. Avevo fatto un piccolo gesto, ma certamente le sue parole di benedizione e di ringraziamento erano ridondanti di regalità. In quel momento il mio regno di bambino incontrò un Re, un uomo che cercava ciò che aveva perduto, che soffriva per tutto ciò che aveva avuto e perso, un uomo che sapeva donare molto di più di quanto poteva ricevere: mi donò una benedizione da cui, ancora oggi, mi sento protetto e confortato nel suo indelebile ricordo. Non io diedi qualcosa a lui, ma lui diede tutto a me: mi diede la regalità di chi cerca e sa gioire quando trova, perché il regno di Dio è proprio questo…

“quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte”.

Luca 15, 9-10

Ringrazio questo amico per aver condiviso la sua esperienza di Dio fatta molti anni fa e, rispettandone l’anonimato, ne traggo spunto per capire il valore, il prezzo e il costo di una casa misericordiosa e magnanime. Qual è il prezzo della dramma, il suo valore che vedremo contraddistinguere la missionarietà di ogni coppia, di ogni famiglia e di ogni uomo?

La dramma era una moneta di conio greco, probabilmente della zecca stabilita da Alessandro Magno ad Acco, nel nord della Palestina ed aveva l’equivalente valore di un denaro. E’ interessante considerare come la didramma, cioè due dramme, era l’equivalente del mezzo siclo, la cifra con cui veniva pagata la tassa del Tempio. Il libro del Deuteronomio, dando le norme relative al contributo per il Tempio, sottolinea il fatto che, se la distanza tra l’abitazione e il Tempio fosse stata troppa, la decima avrebbe dovuto essere convertita in denaro, per non portare un peso troppo grande durante il viaggio. Ribadisce inoltre, di andare verso il posto che Dio ha scelto! (Cf. Dt 14,24-25).

La donna del vangelo perde una dramma e, pur avendone altre nove, rivoluziona tutta la casa, spazza a fondo, dopo aver acceso una lampada. Entrando nel testo la donna assume l’atteggiamento di chi è determinato a perseguire un fine e non smetterà finché questo non sia portato a compimento. Perché tale determinazione?

Fra Andrea Valori

Continua….

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Una “bastonata” non fa mai male, se ci dona una Promessa, serve a Risorgere!

Una delle bugie anestetiche più frequenti, che raccontiamo alla nostra vita, alle nostre scelte, alle vicende e che riguarda noi o le persone più care, è proprio quella di credere, in modo gobbo, che noi, lui o lei possa realmente cambiare. Addirittura, spesso deleghiamo ad un sacramento come il matrimonio il dovere di fare ciò che la solo grazia e libertà insieme possono fare: cambiare il cuore di qualcuno. Eppure, correggere i nostri difetti, smussare gli spigoli del nostro carattere, insomma diventare migliori è ciò che fin da piccoli ci è stato insegnato, ciò che la letteratura teologica e la predicazione cristiana ci invita a fare, ma qualcosa sembra andare sempre nel verso opposto. Forse perché l’uomo, la donna, la coppia non ha nel proprio DNA specifico il dover cambiare ma bensì il desiderio di voler risorgere: ecco cosa cambia un uomo, la risurrezione, anzi il Risorto! Nella scorsa riflessione ci siamo interrogati sul personaggio di Giuda. Giuda tradirà e si pentirà andando dai sommi sacerdoti dicendo di aver tradito sangue innocente (cf. Mt 27,4) usando un espressione molto forte: io ho consegnato un sangue che non meritava nessun castigo, una carne che non andava sacrificata. I sacerdoti gli risponderanno con un secco su opsei e cioè te la vedrai tu con te stesso d’ora in poi! Sappiamo tutti quale sarà la fine di Giuda, la fine di un uomo che deve vedersela da solo con il male che ha fatto, un uomo che forse voleva cambiare ma non ha trovato le persone giuste. E Pietro?!
Pietro non l’ha fatta molto diversa, tanto che lo stesso Gesù gli predice il suo tradimento con queste parole testuali: prima che il gallo canti mi rinnegherai tre volte, aparneomai, ossia per tre volte dirai NO, rigetterai tutto quello che siamo cf. Mt26,34. Più avanti l’apostolo dirà: “non lo conosco”, non l’ho mai conosciuto nel mio passato quest’uomo non c’è, e se c’è stato non conta nulla per me! Quante volte la rabbia verso la persona che ci è accanto, rabbia comprensibile poiché insanguinata di amore, ci ha fatto desiderare che nulla fosse mai esistito, ci ha fatto rimpiangere di averlo, averla, mai amata o amato.
Ma Pietro risorge, Pietro cambia, Pietro inizia a piangere come una fontana, i suoi occhi si incontrano con quelli del maestro e non si sente dire da quello sguardo che adesso erano affari suoi. Quelle palpebre si chiudono solo per il dolore di chi prova dolore del peccato e poi si riaprono per donare all’amico un nuovo Sabato, una nuova creazione, una Promessa: ora sei risorto perché hai capito che puoi sbagliare e che il mio amore è più grande del tuo errore. Una bella “batosta”, una “palata nei denti” che ci mette “ko” nella vita non fa mai male, può essere salutare, questo non significa andarsela a cercare, ma non presumere di noi stessi e degli altri ci conduce giorno per giorno in quel cammino che si chiama conversione, anzi Risurrezione! Pietro sbaglierà molte altre volte, se ne andrà a pescare, verrà rimproverato da Paolo (cf Gal 2), cercherà secondo la tradizione di scappare da Roma durante la persecuzione del 64 d.C., ma ormai Pietro è cambiato, Pietro è risorto lui è il vero penitente, il vero apostolo di Cristo. In ebraico pentirsi è di solito espresso con il verbo shuv, che vicino ad un altro verbo può aver un valore continuativo\ingressivo: cominciare di nuovo. Pietro è un penitente, un uomo nuovo, un risorto perché sa che vicino ad ogni errore e peccato, dovrà sempre accostare il verbo shuv: continuare ad amare e amare sempre di nuovo. Una coppia, un NOI risorto vive di questa potenza e non è più lo stesso di prima è Risorto, risorge ogni giorno, è passato dalla morte alla vita!

Fra Andrea Valori

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