Il tocco di Dio e l’arte dell’ascoltare

Prosegue la riflessione sui cinque sesnsi. In fondo alla pagina troverete il link per leggere le riflessioni già pubblicate.

L’udito

“Colui che ha fatto l’orecchio forse non ode?” (Sal 94,9).

“Nella mia angoscia invocai il Signore, gridai al mio Dio. Egli udì la mia voce dal suo tempio, il mio grido giunse a lui, ai suoi orecchi” (Sal 18,6).

L’orecchio esiste per ascoltare, cioè entrare in una profondità diversa dal semplice sentire. Posso alzare la voce anche ai massimi decibel, ma se non sono ascoltato l’effetto sarà inesistente. Basterebbe pensare alla grandezza della frase «…la fede nasce dall’ascolto…» (Rm 10) per comprendere che da un semplice atto della propria volontà, cioè prestare ascolto, si produce un risultato grandissimo: la fede, quella vera, quella cioè che non mi fa sentire schiacciato da nulla perché, ascoltando, sento e rispondo pienamente.

Quante volte manchiamo nell’ascolto e quanto invece ci lamentiamo di non essere ascoltati. Poi, sovente, ascoltiamo male distorcendo la realtà delle cose.

Ascoltare ed essere ascoltati è un’arte da imparare, da voler attuare perché forse è l’atto più difficile da mettere in pratica. Ascoltare è fare spazio perché se io occupo tutto non lascerò all’altro nessun contenuto per esprimersi. Ascoltare è tacere, soprattutto dentro. Spesso, arriviamo alle urla per farci sentire o per ascoltare meglio.

Il tocco di Dio e l'arte dell'ascolto

Il tatto

Mt 14,36: «E lo pregavano di poter toccare almeno l’orlo del suo mantello. E quanti lo toccavano guarivano»

Il tocco di Dio fa miracoli. “Il Signore stese la mano e mi toccò la bocca; e il Signore mi disse: «Ecco, io ho messo le mie parole nella tua bocca»” (Ger 1,9).

In diversi modi Dio tocca la nostra vita tanto che Daniele testimonia: “Colui che aveva l’aspetto d’uomo mi toccò di nuovo e mi fortificò”. (Dn 10,18).

Il tatto è come un tocco, un gesto di meravigliosa tenerezza. Passa attraverso le nostre mani mediante cui abbiamo possibilità di compiere gesti positivi o negativi. Quante volte diciamo che quella persona “non ha tatto”, cioè non ha toccato la nostra anima in modo tale da farci sentire nobili. Ecco, pensiamo a tutte le volte che il nostro toccare l’altro possa essere avvenuto con gesti non perfettamente consoni al rispetto della sua dignità. Un matrimonio è un esempio lampante del tatto. Quanti spintoni durante una litigata!

Può addirittura uscire fuori qualche schiaffo, per non parlare di qualche altra modalità violenta. Non andando assolutamente ad affrontare un tema tanto delicato, vogliamo solo soffermarci sull’importanza dell’uso del tatto. Il tocco di un medico come strumento di salvezza attraverso le sue mani. La carezza di un coniuge, l’abbraccio, il circondare per custodire, l’impastare per sfamare, il toccare per essere guariti, come coloro che sapevano che anche un solo lembo del mantello di Gesù avrebbe sanato la loro vita. Toccare il sacramento del matrimonio con la benedizione reciproca del marito e della moglie!

Cristina

Riflessione sulla vista clicca qui

Articolo pubblicato per il blog di Annalisa Colzi  http://www.annalisacolzi.it/il-tocco-di-dio/

La vista nel matrimonio cristiano: una strada a cinque sensi

Il matrimonio: una strada a cinque sensi

La domanda che ciascun essere umano si è sempre posto nella vita è quella della ricerca del senso, cioè il significato degli eventi e degli accadimenti. Qual è il senso? Che senso ha questa cosa?
Quello di cui vogliamo trattare qui è invece il senso come la facoltà di percepire ogni stimolo proveniente dall’esterno attraverso l’uso dei cinque sensi di cui l’umanità è dotata. La vista, l’udito, il tatto, l’olfatto e il gusto.

Vedremo però che analizzando questi comprenderemo anche il senso della chiamata.

La vista nel matrimonio cristiano

Gli occhi, primo veicolo “bidirezionale”, reciproco, nella conoscenza dell’uomo e della donna che presumibilmente, se “si piaceranno”, si fidanzeranno.

Lia aveva gli occhi smorti, mentre Rachele era bella di forme e avvenente di aspetto, perciò Giacobbe amava Rachele. Disse dunque: «Io ti servirò sette anni per Rachele, tua figlia minore». Rispose Làbano: «Preferisco darla a te piuttosto che a un estraneo. Rimani con me». Così Giacobbe servì sette anni per Rachele: gli sembrarono pochi giorni tanto era il suo amore per lei” (Genesi 29,17-20).

L’incontro di un uomo e di una donna passa attraverso il VEDERSI, cioè quella naturale attrazione a notare la bellezza che soggettivamente desta attrattiva secondo il proprio gusto. Sono gli occhi, come quelli di Giacobbe quando vide Rachele che, a costo di una fatica ben costosa, lavorare sette anni servendo Labano (senza neppure informarsi troppo sul tipo di lavoro da svolgere), porteranno a compimento il desiderio nascente: sposare quella donna.

Giacobbe non ha scelto Lia, ma, guardandola, ha puntato gli occhi verso Rachele.

Gli occhi sono il primo senso attraverso cui quella persona mi piace o non mi piace.

Non basterà questo primo modo di guardare perché lo sguardo contemplerà tutto l’insieme, perché guardando io incontrerò. Ma guardare l’altro e compiacersi del fatto che mi piace, che siamo stati creati anche esteticamente rilevanti, nel senso cioè della corrispondenza dei gusti reciproci, che la parte dell’occhio è importante, ci rassicura su tantissimi altri aspetti.

Ad esempio la giusta cura di se stessi che non finisce certamente il giorno successivo alla celebrazione del matrimonio ed è altresì il “farsi belli” per il proprio coniuge, il complimentarsi a vicenda, il custodire lo sguardo sapendo chi e cosa dovrò guardare per la pienezza della propria vita.

Lo sguardo è l’incontro, l’incontro di un volto e di un’anima.

Cristina

Questo articolo è stato scritto per il blog di Annalisa Colzi   http://www.annalisacolzi.it/la-vista-nel-matrimonio-cristiano/