Quella gioia contagiosa…

Per essere santi non è necessario essere vescovi, sacerdoti, religiose o religiosi. Molte volte abbiamo la tentazione di pensare che la santità sia riservata a coloro che hanno la possibilità di mantenere le distanze dalle occupazioni ordinarie, per dedicare molto tempo alla preghiera. Non è così. Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova. Sei una consacrata o un consacrato? Sii santo vivendo con gioia la tua donazione. Sei sposato? Sii santo amando e prendendoti cura di tuo marito o di tua moglie, come Cristo ha fatto con la Chiesa. Sei un lavoratore? Sii santo compiendo con onestà e competenza il tuo lavoro al servizio dei fratelli. Sei genitore o nonna o nonno? Sii santo insegnando con pazienza ai bambini a seguire Gesù. Hai autorità? Sii santo lottando a favore del bene comune e rinunciando ai tuoi interessi personali.[GAUDETE ET EXSULTATE]

La sede della Santità sta nella gioia perché questa è la certezza di una pienezza!

Esiste però un passaggio, anzi un tempo, perché si compia un viaggio che passa da questa terra alla meta di tutti: il cielo!!

La meraviglia di questo tempo è il come viverlo, anzi il come rispondere alla chiamata a cui siamo stati convocati.

I coniugi Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi hanno lasciato, in eredità, a noi, questa risposta alla chiamata ricevuta e lo hanno fatto nella loro vita ordinaria, in una famiglia con quattro figli.

Sei sposato?

L’ESORTAZIONE APOSTOLICA

GAUDETE ET EXSULTATE DEL SANTO PADRE FRANCESCO SULLA CHIAMATA ALLA SANTITÀ NEL MONDO CONTEMPORANEO

dice che la tua Santità dipenderà dall’amore verso il tuo coniuge che dovrà essere il medesimo con cui Cristo ha amato la Chiesa.

I Beati Luigi e Maria sono stati la prima coppia portata agli onori degli altari da S. Giovanni Paolo II, come coniugi e non come singoli. La loro Santità è quella dell’ordinario, della vita di tutti i giorni.

Che grande novità il fatto che attraverso il Sacramento del Matrimonio una coppia diventa Santa in quanto Coppia!

Proprio per questo, come ogni anno, l’Associazione A.Mar.Lui, legata alla spiritualità dei Beati Maria e Luigi festeggia con un convegno nazionale che nella norma si vive il 25 novembre.

Si è scelta questa data perché nel 1905 fu celebrato il loro matrimonio nella Basilica Papale di Santa Maria Maggiore.

Quest’anno invece l’ottavo convegno sara il 13 ottobre 2018 con la presenza straordinaria di PADRE RANIERO CANTALAMESSA che spezzerà per noi le sue bellissime parole sulla Gioia così contagiosa da far di tutti noi un popolo in cammino verso la Gerusalemme Celeste. L’evento si svolgerà nella diocesi di Perugia in comunione con la diocesi di Pescara-Penne.

L’Associazione fu fondata appunto a Pescara ma sono nate tante sezioni della stessa, in tutta Italia e nel mondo, e questo permette di poter realizzare questi eventi in vari luoghi realizzando quella chiesa in uscita tanto desiderata dal Santo Padre .

I presidenti dell’Associazione nazionale, i coniugi Giulia Paola e Attilio Danese, con la loro sapienza spirituale ci diranno che: “NON C’È CHE UNA SOLA TRISTEZZA, QUELLA DI NON ESSERE SANTI”.

 

Ci saranno testimonianze, momenti di preghiera e l’insegnamento prezioso di P. Cantalamessa.

Con questo spirito e con la gioia del cuore condividiamo questo appuntamento per il quale auspichiamo una numerosissima partecipazione.

 

Cristina e Giorgio Epicoco (Responsabili A.mar.lui sezione di Perugia)

locandina

Con la fatica delle mie braccia

Tornando dal mare, percorrendo una stradina stretta, avevo dinanzi un signore in sedia a rotelle che, come me, stava tornando nella propria casa per il pranzo domenicale.
Mentre camminavo dietro a lui tanti pensieri hanno affollato la mia mente, anzi, direi, la mia vita, perché, quando ti impatti con le difficoltà altrui, soprattutto così evidenti, non puoi non riflettere.
Un uomo, un marito, un padre di famiglia e una fatica immensa, soprattutto quando la strada andava leggermente in salita.
Sono anni che quest’uomo “guida” la sua carrozzella e, di certo, è ben esperto perché, per tutte le cose, facili o difficili, ci si allena e ci si abitua persino.
Infatti mentre stavo dietro in tanti nano-secondi mi sono chiesta cosa avrei potuto fare per lui.
Aiutarlo mi avrebbe detto di no perché è stra-abituato e ogni giorno lo fa autonomamente.
Sorpassarlo mi dispiaceva perché mi sarei sentita indifferente nel metterlo alle mie spalle e poi, nei tratti in cui la strada discendeva, lui acquistava velocità, dunque avrei dovuto correre per mettermi davanti. Incredibile, io posso correre, almeno per adesso, mentre lui no, non può .
Affiancarlo non avevo spazio, data la strettezza della strada.

Rallentare il passo

Quello sì, quello è ciò che ho fatto e proprio in questa moderata andatura ho potuto pensare ed osservare la fatica di quelle braccia.
È li che quest’uomo concentra ogni sua azione, in quelle braccia, più muscolose di tutto il suo corpo ed è in quelle braccia che risiede la possibilità di muoversi.
Le osservavo dalla mia postazione retrospettiva e notavo come e con quanta forza quelle braccia andavano avanti per muovere le ruote della carrozzella.
Era caldo in quella stradina alle 13,15, sotto il sole cocente dove spesso, tutti noi, trasciniamo l’andatura quasi irriverenti verso il cielo : è caldo, è fatica è sudore.
Quell’uomo silenziosamente faticava con quelle sue braccia tanto che ad un certo punto avrei potuto io urlare al posto suo a gran voce : bastaaaaa, è fatica, non ce la faccio più!
Chissà quante volte lui stesso avrebbe voluto farlo, gridando, e forse è accaduto.
L’avrei gridato per Lui tanta era per me l’ansia di vederlo così faticare.
Solo 100 metri di stradina hanno pervaso la mia testa di tante riflessioni.
Poi ci siamo incrociati, salutati, con tanti sorrisi ci siamo condivisi la gioia di esserci, di godere persino il profumo dell’ambiente circostante. Eravamo sullo stesso piano.Eravamo liberi di poter fare o non fare, dire o non dire, anche perché, se fossimo passati in momenti diversi non ci saremmo neppure incontrati.
Alla fine della strada lui è andato a destra e io a sinistra perché, nel bivio del percorso, le nostre case erano all’opposto e così, ciascuno, ha raggiunto la propria famiglia.
Ecco fratello che mi leggi, torna indietro, all’inizio di questo scritto e guarda la tua vita nella chiamata in cui sei posto.
Se per caso fossi una moglie o un marito, pensa che il dono che hai accanto può essere quell’uomo in carrozzella, uno che fatica perché è incapace, ferito, bloccato oppure abituato, persino nelle schiavitù in cui è intrappolato.

Per sempre al suo fianco

Tu puoi stargli dietro, davanti, sorpassarlo, ignorarlo, oppure puoi anche rallentare il passo tuo per essere poi vicino al suo. Per essere al suo fianco.
Puoi sentire in te tutta la fatica sua se ti poni così dentro al suo vissuto.
Puoi sentirlo così tanto da essere voce unanime nel denunciare la sua stessa stanchezza.
Una cosa però cerca di farla.
Guarda quelle braccia, è l’unica cosa che ha e con esse porta avanti tutto il suo cammino.
Forse non riesce a fare altro ma con le sue braccia può fare grandi cose se vi aiuterete e se ad un certo punto, vi ritroverete al bivio, potrete scegliere se percorrere la stessa strada o andare uno a destra e uno a sinistra.
E così ti lascio l’ultimo abbraccio: quello della Croce.
Gesù è li, con le sue braccia aperte, per prenderti a quel bivio e riportarti al centro della stradina stretta ove il caldo, l’arsura la fatica, le salite e le discese trovano le vere braccia dell’Amore senza condizioni!
Fatti abbracciare e abbraccialo quel crocifisso affinché tu possa camminare finalmente al passo di chi un giorno guardasti negli occhi senza pensare ad altro se non innamorarti!

Cristina Righi

La porta stretta mi basterà?

Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!»(MT 7,13-14)

Non sono mai stata brava in matematica, ma, leggendo questa parola mi viene in mente una di quelle proprietà dove x sta a y e roba simile.

Nel senso che, attraverso la porta larga ne entrano molti, attraverso quella stretta invece pochi ma soltanto quest’ultima conduce alla vita.

In sostanza se la porta larga conduce alla perdizione e molti sono quelli che vi entrano, ciò significa che, nel mondo, la percentuale dei “vivi” è davvero bassissima.

Se mi soffermo dovrei starci per ore davanti a questa parola perché il suo “avvertimento” è vitale, fondamentale, imprescindibile.

Ma come fare a trovare la porta stretta se davvero essa è appannaggio di pochi?

Si potrebbe ridurre la massa dei versetti semplicemente in questo: «Entrate per la porta stretta e quanto pochi sono quelli che la trovano!»

Detta così penso che chiunque desidererebbe trovarla al più presto questa porta eppure mi sembra di capire che non sia affatto semplice o desiderata.

Stretto è qualcosa di non comodo, che ci fa sentire co-stretti, impediti nei movimenti, quasi a toglierci l’aria. Pensiamo ad un vestito stretto, o a tutte le volte che diciamo….questa vita mi va stretta. Quante volte abbiamo affermato che gli amici o i fratelli in Cristo sono molto meglio dei parenti stretti. Quante volte la vita coniugale è desiderare la libertà piuttosto che pochi metri quadrati in cui si comincia a stare stretti.

Il letto ad una piazza? È stretto!

Il letto matrimoniale? È stretto!

Perché è vero, se sto da solo vorrei di più.

Se sono insieme all’altro mi manca il posto.

Ciò che è stretto è difficile.

 

Ha ragione la parola: NOI CERCHIAMO CIÒ CHE È SPAZIOSO!

La cosa curiosa che mi viene in mente è che, desiderando tutti lo spazio e la comodità per arrivarci, la gran parte delle persone che si trova in ambito largo erano quelli che si sentivano stretti, dunque, pian piano, ci si troverà stretti anche in un luogo apparentemente spazioso.

Faccio un esempio.

Ho conosciuto una coppia il cui marito, stanco della vita stretta con la propria moglie e incapace di portare il peso dei loro quattro figli (lui voleva sentirsi libero, comodo) cominciò a scalpitare per un desiderato spazio di autonomia e boccata d’aria dai normali limiti umani che ti offre una qualunque relazione nella differenza caratteriale, maschile e femminile di base. Cominciò così a varcare la soglia e a cercare i propri spazi manifestando, all’interno della sua vita stretta, grande insofferenza.

Non ce la fece a decidere di amare e volle passare per la via larga e spaziosa della libertà chiedendo la separazione. Nella sua fragilità non riuscì e cercò altri spazi, altre realizzazioni altre gratificazioni. La via larga non conduce alla riflessione vera e, tanto è grande la boccata d’aria che, riempiendo i polmoni tutto d’un fiato, spesso guida a soddisfare i propri impulsi. E così si legò ad un’altra donna!

Che strano….un uomo incapace di sostenere la relazione con un essere diverso da te, come potrà pensare di sostenerne un’altra quando la diversità, anche se diversa(gioco necessario di parole) uscirà allo scoperto e diventerà stretta come la prima?

Quando non sei capace di amare una volta non lo saprai fare una seconda, una terza e così via.

E comunque la passione ebbe la meglio.

E poi? Ma guarda un po’ ebbero un figlio, una bella bambina.

E come farà quello stesso uomo che a mala pena riusciva a gestire i figli del primo matrimonio a prendersi cura di un neonato e di tutte le implicazioni relazionali di tutti e cinque figli e le due mogli?

Dalla fuga della vita stretta all’approccio di una vita super complicata il passo è breve anche se spaziosa è la via per arrivarci.

Insomma si capisce bene quanto sia comune che pochi siano quelli che trovano una porta stretta da amare. Le strettezze non si desiderano ma gli avvertimenti di Cristo sarebbe bene ascoltarli.

C’è un tempo, nella vita, dove non sarà facile ed è probabile che molti falsi profeti cercheranno di portarti nella via larga fratello mio perché, spesso, chi ti dice “ti voglio bene” non vuole esattamente il tuo bene ma vuole confonderti. Del resto tu, a chi ti riportasse alla tua verità cosa risponderesti? Lasciami fare di testa mia!

C’è un’ ultima cosa:

Ci sarà un momento in cui sarai chiamato ad entrare nella porta stretta da solo e in quel momento non potrà esserci nessuno perché tuo Papà Dio aspetta soltanto te e neppure tuo marito con cui sei una sola carne, può aiutarti in questo passo!

Quella porta è personale e ti ci devi misurare.

Cammina fratello il sentiero della tua vita e desidera essere pronto per quella porta, piccola ma così tanto preziosa dove vedrai sempre sorgere il sole!

Cristina Righi

Tutta la famiglia è preghiera.

Invitati a parlare di preghiera di coppia, con mio marito, abbiamo scandagliato le radici del cuore, insieme allo Spirito Santo, e ci siamo resi conto che non avremmo mai e poi lasciato la ricetta della giusta o della bella preghiera ma che avremmo approfondito altri significati.

Il nostro desiderio era, semmai, di lasciare che gli altri leggessero in noi qualcosa di “pregabile” o meglio, lasciare il profumo di Cristo e il modo di arrivare alla Sua amicizia.

Tutta la famiglia è preghiera. Dio, pregando, ha creato la coppia.

Occorre imparare a LEGGERE LA FAMIGLIA, perché la sua storia è scritta nel progetto di Dio per l’uomo. Potremmo azzardare dicendo che è proprio Dio che vuole “metter su” famiglia con noi.

Lo vuole fare sempre, a partire dal tempo del fidanzamento, passando per il viaggio del matrimonio fino alle nozze della vita eterna. Lo vuole fare con tutti, iniziando dagli “alberi” da cui proveniamo, quelli genealogici!

Per questo abbiamo ricevuto degli imperativi necessari dal nostro Creatore:

L’uomo ABBANDONERÀ il padre la madre

Si UNIRÀ al suo coniuge

I due SARANNO una sola carne

CRESCERANNO

SI MOLTIPLICHERANNO

Anche Gesù nasce in una famiglia e tutta la scrittura è un linguaggio nuziale, ovviamente non solo il Cantico ma tutta la Bibbia parla di un matrimonio continuo.

Cosa occorre però per entrare nella preghiera del cuore di due innamorati che hanno deciso di amarsi diventando coppia?

Se pregare è incontrare l’altro è necessaria la CHIAVE per aprire il cuore altrui e se ci vuole una chiave significa che ci sono delle PORTE da dover aprire.

GV 10,9 “Io sono la porta. Chi entrerà attraverso me sarà salvo”.

Le porte che possiamo individuare sono essenzialmente 4:

-LA PORTA DELLA CHIESA

-LA PORTA DELLA CASA

-LA PORTA DELLA STANZA NUZIALE

-LA PORTA SANTA

🚪 La porta della chiesa è quella che ci permette la realizzazione del verbo dell’ABBANDONARE perché, col matrimonio avviene il passaggio dalla condizione di figlio a quella di sposo.

I genitori nel consegnare l’uno all’altra fanno un passo indietro e vanno a sedersi addirittura alle spalle dei testimoni. Ciò significa che la famiglia diventa di origine e gli Sposi sono la nuova famiglia.

🚪 La porta della casa è il luogo ove tutto comincia e che consente la realizzazione del verbo dell’UNIRE.

Ecco la chiesa Domestica, ecco dove ogni atto diviene liturgico ed ecco dove si condivideranno le dinamiche maschile e femminile con tutte le implicazioni caratteriali che susciteranno conflitti e rappacificazioni nella prospettiva della crescita e soprattutto della costruzione del famigerato NOI.

Qui bando alle maschere che, vuoi o non vuoi, saremo costretti a togliere.

🚪 La porta della stanza nuziale che realizza il verbo dell’ESSERE UNA SOLA COSA e del MOLTIPLICARE.

Qui si attua la vera intimità. L’unione coniugale. I due che sono Uno. L’apertura alla vita.

Qui si celebra il sacramento perché l’atto più liturgico sarà proprio laddove l’uomo e la donna sapranno donarsi totalmente fino a ricreare quell’essere divino creato ad immagine e somiglianza di Lui. Al centro di due coniugi c’è Cristo che si incarna nell’icona della famiglia in forma trinitaria.

🚪 La porta Santa è la meta. Nella chiesa Universale essa viene aperta ogni 25 anni ma, per una coppia, è la porta della Santità. Al momento del passaggio l’essere umano è da solo ad attraversare la sua porta ma, poi nella Gerusalemme Celeste tutto si ricongiungerà e sarà li il vero successo di un buon matrimonio. Santi insieme!

E allora…..perché pregare? Cosa è la preghiera? Perché c’è difficoltà nel pregare?

La preghiera è un TU. E se è così, TU chi sei veramente? Conosco il mio tu? Il bello è che non conosco neppure il mio io.

Dunque la preghiera è avere un TU con cui condividere la vita. Un TU per eccellenza. Un TU che c’è sempre, che mi segue e mi precede.

Un TU da farmi amico, da conoscere bene, da essergli fratello. Un TU che entra in dialogo con me.

Per arrivare al TU occorre aprire quelle porte e per poterlo fare ho bisogno delle CHIAVI ad esse relative.

Matteo 16:19 Io ti darò le chiavi del regno dei cieli; tutto ciò che legherai in terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai in terra sarà sciolto nei cieli».

Le chiavi sono fondamentali per aprire il cuore al perdono e alla salvezza.

Ma quali possono essere queste chiavi?

🔑 EUCARISTIA QUOTIDIANA

Conosco se frequento. Gesù Cristo è quel TU che deve diventarmi amico e fratello. Lui è il vero passe-partout di ogni porta. Il badge Universale!

A Lui chiedo ciò che vedo nel mio cuore: guarigione dai malanni dello spirito, preghiera per il coniuge in quanto sacramentalmente uniti, preghiera per ciò che mi viene suggerito.

Più lo frequento e più lo conosco il mio Gesù! Ovviamente ad esso collegato è ilSACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE, chiave essenziale per incontrare Gesù e questo lo diamo per già acquisito. Confessione ed Eucaristia vanno di pari passo.

🔑 TALAMO NUZIALE

Questa è la chiave che apre la porta della stanza degli sposi. Qui il fondamento è la preghiera perché nell’atto coniugale, quando i due divengono una sola carne, essi celebrano il sacramento per cui sono ordinati. Al centro vi è Gesù che li trasforma in quell’essere divino creato ad immagine e somiglianza del Padre Creatore. Qui essi sconfiggono Asmodeo, il demone che impedisce l’unione coniugale come accade nel libro di Tobia al capitolo 8 versetti 2-9.

Qui si compie ciò che per dono di Dio moltiplica e accresce attraverso il misterioso e straordinario dono della vita. Questa chiave è l’espressione dell’unità profonda e dell’intesa preghiera interiore.

🔑 PAROLA DI DIO

La Parola compie ciò che dice. Non è come il nostro modo di aprir bocca, è totalmente diverso ed efficace il parlare di Dio. Dio ci rivolge la parola per primo perché Lui entra in dialogo con noi e conduce la nostra storia chiedendo di collaborare. Che bello avere sempre presente la parola di Dio. Leggere, ascoltare, compiere.

🔑 PADRE SPIRITUALE

Un terzo che abbia saggio discernimento è fondamentale per se stessi e per la coppia.

Mai da soli ma con chi ti fa da specchio e ti accende le due spie del bene e del male affinché tu scelga responsabilmente ma consapevolmente ciò che conta per la tua anima.

E allora perché pregare?

Per imparare a parlare con Dio nella storia personale e familiare nel quotidiano dell’esistenza.

Il mondo è il convento della coppia e in questo due cose sono essenziali:

FERMATI e TROVA IL TEMPO, ricordando che Dio prima ha santificato il tempo e poi ha santificato lo spazio, quella tenda e quell’abitare in mezzo a noi.

Fermati e trova il tempo affinché il tempo non trovi più te quando sarai tu stesso a cercarlo!

AMEN

Cristina Epicoco Righi

La crisi una bussola per l’orientamento.

Pregando, apro così, inavvertitamente, l’Amoris Laetitia che tenevo tra le mani e, guarda caso mi trovo davanti il n. 234 che dice:

234. Per affrontare una crisi bisogna essere presenti. È difficile, perché a volte le persone si isolano per non mostrare quello che sentono, si fanno da parte in un silenzio meschino e ingannatore. In questi momenti occorre creare spazi per comunicare da cuore a cuore. Il problema è che diventa più difficile comunicare così in un momento di crisi se non si è mai imparato a farlo. È una vera arte che si impara in tempi di calma, per metterla in pratica nei tempi duri. Bisogna aiutare a scoprire le cause più nascoste nei cuori dei coniugi, e ad affrontarle come un parto che passerà e lascerà un nuovo tesoro. Ma le risposte alle consultazioni realizzate rilevano che in situazioni difficili o critiche la maggioranza non ricorre all’accompagnamento pastorale, perché non lo sente comprensivo, vicino, realistico, incarnato. Per questo, cerchiamo ora di accostarci alle crisi matrimoniali con uno sguardo che non ignori il loro carico di dolore e di angoscia

Incredibile, proprio questo che è il campo, o meglio, la missione che il Signore mi ha affidato?

Ho letto con attenzione e trovo una verità profonda in queste parole, le medesime da noi sempre sostenute sin dal momento in cui venimmo “utilizzati” da Dio Padre ad occuparci delle famiglie.

Una crisi (dal greco κρίσις, decisione) è un cambiamento traumatico o stressante per un individuo, oppure una situazione sociale instabile e pericolosa(diz.)

Questa parola può spaventare molto ed essere il motivo fondante per prendere “decisioni”sbagliate. Però, come vediamo, il significato di crisi è proprio decisione.

Cosa decidere quando in modo traumatico o stressante accade qualcosa che devasta ogni capacità ed ogni lucidità ?

Come e con chi prendere questa decisione?

Se ci addentriamo ad esempio nel TEMA CONIUGALE dovremmo addirittura essere felici dinanzi ad una “crisi” perché, ciò vuol dire che, in ordine a qualcosa che potrebbe andare meglio (senza addirittura saperlo) noi siamo chiamati a fare un salto di qualità assai migliorativo.

Eh già, ma se invece fosse peggiorativo?

Qui entra in gioco un altro aspetto importantissimo che accade in tutte le nostre vite e cioè il fatto che a noi manca sempre qualcosa.

La crisi normalmente presuppone una mancanza:

  • Mancanza di attenzioni.
  • Mancanza di dialogo.
  • Mancanza di lavoro.
  • Mancanza di parole buone.
  • Mancanza di gesti affettuosi.
  • Mancanza dell’unione coniugale.
  • Mancanza di tempo per l’altro.

MANCANZA DI AMORE

La mancanza generalmente non è mai riempita da una presenza ma piuttosto da un’altra mancanza perché nelle relazioni umane se tu non mi dai qualche cosa e addirittura non hai nessuna intenzione di darmela, io, deluso, ti ripagherò con la stessa moneta perché umanamente funziona così. Quando tra me e mio marito aleggiava la freddezza, più lui era scarso, cioè mancante di affettuosità nei miei confronti più io mi ergevo a paladina del mio orgoglio e mi distaccavo anche io, raffreddandomi a mia volta.

Certo se accanto ad un ghiacciolo ci fosse un calorifero allora si che la mancanza troverebbe la sua presenza: il ghiacciolo si scioglierebbe e si avvolgerebbe di tanto calore!

Noi abbiamo impiegato un po’ di anni per capire come colmare le mancanze e diventare una pienezza e, per fare questo è stata necessaria la CRISI, che ci ha condotto a prendere una DECISIONE. Una decisione nostra, non soltanto mia o sua.

Spesso la vera mancanza, quella che ciascuno dovrebbe sentire e fare di tutto per conquistare è la MANCANZA DI DIO. Sapete perché? Perché nel preciso momento in cui tale mancanza si avverte si riceve la presenza. GRATIS per giunta!

Dio, nostro Padre, non aspetta altro che questo e cioè che ogni suo figlio possa avvertire la nostalgia del suo Papà, il desiderio di “avere” ciò che gli manca perché per tanto tempo non lo ha mai cercato, davvero. La crisi nasce dentro. Nasce quando siamo in mezzo al bosco, in piena notte e non abbiamo alcuna bussola per ritrovare la strada. Molti addirittura non sanno trovare i punti cardinali neppure con la bussola in mano…..figuriamoci senza!

Certo, abbiamo detto che la crisi ci invita a fare una scelta ma…..quale scelta?

Se ti manca qualcosa e lo stai cercando nel tuo simile, caro fratello o sorella sappi una cosa: una creatura fatta di carne, come te, non sarà mai capace da sola di riempire le tue mancanze, e lo stesso vale per te. Io e te non ci basteremmo mai. Dunque, se pensi di risolvere la crisi scegliendo una persona piuttosto che un’altra, alle prime mancanze dovrai cominciare a fare il giro del mondo e diventerai il cercatore folle, forse più adatto a scrivere il tuo romanzo d’amore incompiuto.

E allora cosa fare davanti alla crisi?

Occorre scegliere, ma farlo bene!

Cerca prima Dio e Lui penserà a rendervi capaci di “colmarvi”!

Solo cosi risceglierai la persona TUTTA, a partire da quelle mancanze, perché la tua guarigione comincia dall’incontro col TU ma la tua salvezza dipende dal rapporto con LUI, l’unico che può darti tutto ciò che ti occorre per uscire dal tuo egoismo e dare alle mancanze dell’altro la giusta pienezza.

Chi ti credi di essere? O meglio: pensi di non avere bisogno anche tu di essere riempito dell’AMORE VERO, PIENO E GIUSTO?

Se stai vivendo una crisi non andartene in giro ad infilarti nei matrimoni altrui ma lascia che qualcuno possa aiutarti a creare spazi e sostenere te e chi ti sta accanto a comunicare «da cuore a cuore» in ogni tuo dolore e in ogni vostra angoscia.

Cristina Epicoco Righi

La favola dei tre porcellini e il Vangelo di Matteo

Mentre noi non abbiamo fatto nulla per lasciare le radici cristiane alla base della Costituzione Italiana è curioso altresì scorgere come, quasi tutto, nella nostra vita, trovi ispirazione nella sacra scrittura.

Persino le favole sono ispirate dalla parola di Dio e una di queste, a mio avviso, è la favola dei tre porcellini a tutti perfettamente nota.

(MT 7,24-27) Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia.Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande».

La fiaba è di origine europea, non si conosce esattamente l’autore (forse inglese) e parla di tre porcellini che vennero mandati dalla madre, nel mondo, a costruirsi una casa, ovvero a farsi una vita!

Soltanto uno dei tre personaggi fu talmente “saggio” da costruire una casa di mattoni e riuscì a difendersi dal lupo facendolo morire nella pentola d’acqua bollente.

Esattamente aderente al Vangelo di Matteo:la casa non cadde perché fondata sopra la roccia!

Cosa ha a che fare tutto questo nelle nostre vite, soprattutto in quelle matrimoniali?

Tutto parte da una casa che appartiene addirittura alla casa di noi stessi.

Noi siamo una dimora e quando l’uomo incontra la sua anima gemella trattasi di un’altra dimora ove andare ad abitare. Noi siamo personalmente la casa l’uno dell’altra.

Questo ha fondamento in un’altra importantissima parola della scrittura che è:

(Gen 2,22-24) Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: 

«Questa volta essa
è carne dalla mia carne
e osso dalle mie ossa.
La si chiamerà donna
perché dall’uomo è stata tolta». 

Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne.

Due perfetti estranei, che non erano neppure parenti, improvvisamente, sposandosi, diventano una sola cosa, una sola carne, cioè i parenti più intimi, i più stretti.

Da questo si costruisce la casa che sarà il luogo del rifugio, della protezione, della vita condivisa e di un mondo interno sconosciuto a chi ne rimane fuori.

La casa è anche il luogo ove si tolgono le maschere indossate all’esterno e, seppure tra familiari si dovrebbe essere trasparenti, spesso accade che si mantengano personali segreti.

Spesso si diventa addirittura estranei dentro la propria casa. Un coniuge rinchiuso in una stanza, separato dall’altro. I figli nel loro mondo di crescita adolescenziale si arrotolano a gomitolo nelle loro camerette. E tu, vorresti dialogare e trovi un muro e tu, vorresti gioire e trovi la tristezza.

Come hai costruito questa casa?

Sei il porcellino della paglia? Oppure quello della legna?

Ricordati che il soffio del lupo cercherà di non mancare ed è proprio questo ciò da cui devi difenderti per tenere salda la tua casa, la tua vita.

Non basta esistere, occorre edificare bene l’esistenza.

Forse devo guarire le ferite della mia vita; forse devo fare un cammino di perdono; forse devo sentirmi bisognoso di aiuto.

Come posso diventare coniuge se non riesco ad abbandonare i legami con la famiglia d’origine?

Come posso diventare una sola carne se le mie schiavitù sono rimaste così “appese” da non permettere che viva una relazione vera ma una egoistica soddisfazione?. Pensa a quante volte sei caduto nell’uso della pornografia quando invece eri chiamato a donarti totalmente alla tua sposa( e viceversa ovvio). Diventare una sola carne è abitare nella casa dell’altro, reciprocamente, non soddisfare un egoistico bisogno che attiene alla fase adolescenziale di una sessualità immatura.Tu non sei chiamato ad amare te stesso ma l’alterità.

Ecco dove la casa non è costruita sulla roccia.

È su questa fragilità della vita e occorre pensare bene a come gettare le fondamenta affinchè tutto non crolli!

Non basterà neppure una casa di mattoni perché, il lupo, cioè il nemico del progetto del tuo Santo matrimonio, tenterà di entrare in tutti i modi per divorarti e soffierà, soffierà fortissimo. Infatti, il porcellino saggio, ha saputo difendere ciò che era suo. Sapeva quale poteva essere il pericolo e ha sconfitto il nemico con la difesa giusta.

Sai qual è la tua unica difesa uomo e donna che non puoi cavartela solo con le forze umane?

È Colui che hai messo al centro del tuo progetto, è Cristo, vera Roccia della tua casa.

Non crollerai se saprai difenderti, usando le armi che il tuo battesimo ti ha consegnato:

La Paternità di Dio

I sacramenti

La preghiera

La tua volontà

Ricorda che i porcellini erano tre ma uno solo ha scampato il pericolo e la vita non è una favola ma un Santo combattimento dove il male lo vince soltanto l’Unico Vero Bene!

Cristina Epicoco Righi

Fragile ma forte perchè Dio è con te!

Il mondo è potente ma ogni creatura è fragile e mi riferisco soprattutto a coloro che non se ne accorgono, a quelli che credono di essere tosti, autoritari, decisionisti.

Possiamo usare l’immagine del vento forte, anzi, dell’uragano che, quando sta per arrivare genera un’allerta così urgente da costringere tutti ad allontanarsi dalle proprie case per scongiurare il pericolo alla propria vita.

Ecco, se il giorno prima di un uragano, di un terremoto o di un qualsiasi evento distruttivo forse ci sentivamo “chissà chi”, in quei momenti di impotenza emerge tutta la nostra debolezza, la fragilità di cui siamo impastati.

 

Chi è dunque la persona fragile?

Fragile è colui che in un matrimonio si stanca e decide di preferire la fuga. Si, la fuga si preferisce, perché, se non sono capace di amare per sempre, non sono capace di amare neppure per un giorno. Quanto sono povero quando, stanco di una moglie o di un marito impegnativo non ce la faccio e me ne vado, magari dietro alla menzogna che mi fa dire : «NON TI AMO PIÙ». Abbiamo detto e ripetuto tante volte che amare è decisione, volontà attiva. Quel non ti amo più è legato al ricordo dell’innamoramento che invece è necessariamente una fase breve e limitata.

Magari me ne torno dalla mamma, la quale, per quel recondito desiderio della perduta chioccia, riprende il proprio figlio (in genere il maschio) non aiutando il “bambino” a crescere. Quando ti sposi hai lasciato tuo padre e tua madre per diventare UNA SOLA COSA col tuo coniuge. Non si torna alla casa natale, non è buono regredire ma….. devi progredire.

Sono povero e fragile perché quando mi sposai non dissi….“Accolgo te e ti amerò fino a un certo punto della mia sopportazione” ma pronunciai “accolgo te e, con la grazia di Cristo, prometto di….”. Siccome sono tanto povero e fragile, non ci riuscirò da solo, ma caspita, mi sono impegnato col Meglio del Meglio per poterci riuscire e invece? Mi sono fatto rubare la vera libertà da colui che mi incatena alla divisione, alla fuga, all’abbandono di ciò per cui ero chiamato e cioè il mio coniuge e i figli che tanto desideravo e che tanto facilmente lascio in balia della mia immaturità.

Questa è una persona fragile. Paradossalmente non lo è chi rimane. Certo, chi subisce ne riceve una ferita immensa, ma lo stato peggiore è chi prende a braccetto il divisore, l’accusatore, lo scoraggiatore di una storia che, seppur difficile, non va abbandonata ma lottata. Il fragile non ce l’ha fatta ma tu che resti puoi combattere.

L’altro o l’altra arriverà persino a toglierti il fiato e a farti desiderare di scappare. Ogni essere umano chiede amore e l’amore va risposto. Scapperai da una moglie o un marito soffocante e troverai, dopo quella momentanea passione inebriante, la tua fragilità spostata altrove: un’altra casa, un’altra camera, un altro letto. Una sola cosa rimarrà comunque ….la tua fragilità!!

E quante volte scapperai dalla dimora di te stesso?

Dice l’AMORIS LAETITIA al n.239:

«È comprensibile che nelle famiglie ci siano molte difficoltà quando qualcuno dei suoi membri non ha maturato il suo modo di relazionarsi, perché non ha guarito ferite di qualche fase della sua vita. La propria infanzia e la propria adolescenza vissute male sono terreno fertile per crisi personali che finiscono per danneggiare il matrimonio. Se tutti fossero persone maturate normalmente, le crisi sarebbero meno frequenti e meno dolorose. Ma il fatto è che a volte le persone hanno bisogno di realizzare a quarant’anni una maturazione arretrata che avrebbero dovuto raggiungere alla fine dell’adolescenza. A volte si ama con un amore egocentrico proprio del bambino, fissato in una fase in cui la realtà si distorce e si vive il capriccio che tutto debba girare intorno al proprio io. È un amore insaziabile, che grida e piange quando non ottiene quello che desidera. Altre volte si ama con un amore fissato ad una fase adolescenziale, segnato dal contrasto, dalla critica acida, dall’abitudine di incolpare gli altri, dalla logica del sentimento e della fantasia, dove gli altri devono riempire i nostri vuoti o sostenere i nostri capricci»

Quando mi trovo a sostenere colui che è “rimasto” davanti al “fuggitivo” della storia coniugale c’è solo una via che ci consente di ottenere una vittoria: COMPRENDERE LA FRAGILITÀ DELL’ALTRO.

Ricordati che solo Uno è FORTE : GESÙ CRISTO.

Potrai girare mille stordimenti ma il medicinale più efficace è la Cristoterapia: assumilo tutti i giorni.

È Gratuito, non ha controindicazioni nuoce solo al nemico.

Nessuno è d’acciaio ma:

«GRANDE» è quel coniuge che resta.

Combatti tu, che sei rimasto solo perché, senza di te, l’altro, chi potrà salvarlo?

Non aspettarti il quando ma punta solo sul quanto.

Quanto sei disposto ad amare per sempre?

Tu, quel giorno, lo hai promesso con la grazia di Cristo.

Non sei solo, sei fragile anche tu ma sei forte perché hai Dio con te.

Perciò mi compiaccio nelle mie infermità … quando sono debole, è allora che sono forte » (2 Cor 12, 9-10).

Cristina Epicoco Righi

Adoro l’acqua, cioè immergermi nell’acqua

Qualsiasi acqua, sia essa il mare, il lago, il fiume….quando vedo acqua sento il desiderio di tuffarmi, ove possibile, ovviamente!

La cosa che però in assoluto mi viene sempre di fare, immergendomi, sono le capriole.

Con lo sguardo divertito dei miei figli, nonché dell’amato coniuge, non posso fare a meno di rotolarmi in varie capriole, sospesa ma sostenuta, in una sorta di amorevole culla.

Più volte mi sono chiesta il motivo di tale piacevole ginnastica acquatica e, la prima risposta che mi è apparsa in mente, è il ritorno al liquido amniotico e al recondito piacere di quell’ambiente prenatale.

Si dice che, il movimento del feto e le sue capriole , rispecchiano una condizione di benessere che misura anche il buon andamento di una gravidanza.

In effetti, rotolarsi nel pancione di una mamma, liberamente, senza alcuna costrizione o limitazione, dovrebbe essere davvero bellissimo. Ciò però che meditavo, rispetto a questa cosa, è che in tale situazione esiste un sostegno, un punto di collegamento che fa capo ad una relazione nutritiva necessaria: il CORDONE OMBELICALE !

Ecco il punto della mia riflessione durante le mie meravigliose capriole.

Cosa differenzia il periodo in cui ci si rotolava nel liquido amniotico, a parte l’avanzare degli anni, rispetto al dispiegarsi delle piroette liberamente eseguite nelle acque offerte dal creato?

L’assenza del cordone ombelicale.

Quante volte sentiamo parlare del taglio del cordone? Questo viene applicato alla nostra crescita e alla gradualità di distacco e autonomia che l’essere umano, rispetto alle proprie origini, dovrebbe riuscire ad effettuare. Ahimè però non sempre ciò accade, può darsi, anche fino agli anni “anta”.

Questo aspetto è ancor più difficoltoso quando, il non taglio del cordone, coinvolge chi si imbatte nella chiamata al matrimonio : uomini o donne irrimediabilmente legati ai propri genitori.

Quante discussioni e quante divisioni a causa di quella famigerata accusa di essere troppo legati o alla mamma o al papà. Qui è necessario fare una distinzione fondamentale. Quando si dice legati al cordone è un legame che coinvolge piuttosto un figlio alla propria madre perché, ovviamente, il cordone è dall’utero materno che trae la propria esistenza. Ecco perché diviene fondamentale il ruolo paterno che servirà, sapientemente, ad attualizzare il taglio necessario dei propri figli al cordone materno, in quell’equilibrio dei ruoli genitoriali in grado di terminare con successo tale distacco.

Del resto la natura ci ha così ben pensato da sola che , vuoi o non vuoi, quel cordoncino è destinato a staccarsi ed essiccarsi fino a lasciare quella piccola cicatrice che per sempre avremo davanti ai nostri occhi. Ognuno di noi ė portatore di questo segno del distacco personalizzato nella forma, chi di un bottoncino, chi un piccolo craterino , o altra simile.

Eppure, nonostante la natura, spesso molti di noi faticano a staccare il cordone e, sovente, non vogliono ammettere di esserne attaccati tanta ė l’abitudine a questo dipendente legame.

Ci sono giovani coppie che, subito dopo la celebrazione del sacramento del matrimonio vengono ad aprire il cuore per le difficoltà di legame con la parte materna, colei che fu legata al proprio pargolo dal famigerato cordoncino ombelicale, tali da impedire il sereno svolgersi della relazione con la nuova famiglia creata, a partire dal coniuge.

Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una stessa carne” (Gen.2,24)

È sempre da qui che occorre ripartire ed osservare i tre verbi fondanti:

LASCIARE (lascerà)

UNIRSI (si unirà)

ESSERE (saranno)

Lasciare non significa certamente una distanza geografica o un abbandono straziante e rinnegante, ovvio. Lasciare è una faccenda emotiva e psicologica, è un passaggio di autonomia, è una realtà di risoluzione interiore che annienta qualunque sentimento di colpa se la domenica si dovesse rinunciare al fatidico “pranzo da mamma” perché, se mamma si offendesse e io ci rimanessi coinvolta significherebbe che non ho sufficientemente risolto il giusto posto della famiglia d’origine. Quanti altri esempi che rimandiamo ai casi concreti di ciascuno!!

Più lascio risolvendomi dentro e più avrò capito il senso del quarto comandamento: onorare il padre e la madre significa dare il giusto peso all’uno e all’altro, benedicendoli sempre per il dono della vita ma lasciarli. Uscire da quelle case.

Se sarò capace in autonoma crescita a LASCIARE allora si che saprò davvero UNIRMI al coniuge secondo la Parola di Dio. Non posso uniformare la mia nuova realtà familiare ai modelli in uso in quella di provenienza. È come se dovessimo imparare una nuova integrazione di un mondo nuovo. È il migrare di un coniuge nel mondo dell’altro nel dialogo comunicativo e concreto dei due. Insomma il marito e la moglie sono gli unici a cui rendere conto per primi.

Come unirsi se non ci si è staccati? Solo allora SARANNO una sola carne, solo se saranno in due, non attaccati a cordoni, peraltro essiccati.

E mentre continuo liberamente a fare capriole sento la libertà di un cordone tagliato e di una risolta genitorialità.

Forse dovremo sforzarci per integrare i mondi di provenienza? Certamente si, non è mai semplice sradicare le nostre strutture ma, con l’aiuto di chi mi è così simile, in quanto cosa molto buona, creata da Dio, ognuno per la sua parte si diletti ad aiutare l’altro in “capriole” acquatiche di una raggiunta libertà, senza cordoni ma con l’unione di ciò che SARANNO.

Cristina Righi

scritto per il blog di Annalisa Colzi

C’è più gioia nel dare o nel ricevere? La palestra è nel matrimonio.

Non a caso questa domanda è a trabocchetto perché, la prima risposta che daremmo, forse, è che la nostra gioia si esprime nel dare.

Si, è vero, molti di noi sono generosissimi e donano largamente ma, sotto sotto, in fondo in fondo, non perfettamente animati da una totale gratuità.

Paradossalmente però, la difficoltà maggiore, la prova non tanto chi dona (seppur desideroso di essere ringraziato sempre e comunque) ma chi riceve, nel senso che è difficile ricevere gratuitamente senza sentirsi in debito.

Insomma, l’essere umano come la fa la sbaglia.

Eh si perché, a causa del famigerato peccato originale, che ha reso ognuno  suscettibile di tanti sentimenti, per  noi uomini e noi donne, qualunque gesto compiamo, ricade sotto la legge della carne che, se non totalmente abbinata a quella dello Spirito, ci farà sentire sempre debitori o creditori.

C’è un luogo privilegiato dove tutto questo è risolvibile o meglio, dove esiste un’opportunità perché il dare e il ricevere acquisisca il sapore della gratuità.

Questo luogo è il sacramento del matrimonio.

Quale miglior palestra se non quella di due coniugi che, per scelta si uniscono per diventare Uno e dove non esisterà più il tutto mio, il tutto tuo, il nascondimento, la pretesa di essere, la pretesa del fare, la forma piuttosto della sostanza e tanto altro?

Esatto, perché, nel matrimonio, gratuitamente do  e gratuitamente ricevo.

Non ho bisogno di facciata quando dono qualcosa di mio al coniuge perché da lui non mi aspetto altro che renderlo felice. Ovviamente il suo grazie mi riempirà ancor di più ma l’intento primordiale sarà solo ed esclusivamente quello di  dare felicità e gioia all’altro senza pretendere nulla in cambio.

Ahimè se così non fosse!!

Vorrebbe dire che un bip bip rosso si sta accendendo per allarmare la mia non corretta relazione sponsale.

Semmai dovessi agire aspettando che l’altro faccia o dica in base a ciò che ho fatto e detto io qualcosa non funzionerà come dovrebbe e, in men che non si dica, arriverà la crisi.

A cosa serve allora mettere al centro Cristo il giorno in cui, innamorati e cotti, ci siamo detti il nostro si?

Serve a ricordare la logica del dono, del dare e del ricevere.

Il matrimonio, in quanto sacramento, non dimenticherà mai la presenza costante e quotidiana di colui, Gesù Cristo, il quale unico è stato capace di donarsi, dando la vita, non tanto per i suoi amici ma soprattutto e addirittura per i suoi nemici. Che grande aiuto è per noi questo!

Lui ha donato e basta perché fossimo salvi….ti pare poco?

Ecco dove poter attingere ed allenarsi per imparare la gioia nel dare:

 

IL SIGNORE AMA CHI DONA CON GIOIA (2 Cor 9,7)

 

Fratello e sorella che doni con gioia non sai quanto riceverai in cambio senza desiderare il contraccambio. L’altro, che avrà saggiato la bellezza di ogni tuo gesto d’amore si sentirà in dovere di ripagarti con altrettanta gioia e tu, sorella mia, non dirai mai più «lui non fa questo, lui non fa quello» perché lo avrai così riempito dei doni da te elargiti che non accamperà più obiezioni a renderti felice. E lo troverai a fare ciò di cui potrai sorprenderti.

Sai però  perché ti viene da obiettare? Perché, forse,  tu per prima, non doni con gioia!

Coraggio, fai questa prova, anche laddove sei ferito, tradito, deluso, abbattuto…

Dona con gioia, indipendentemente da cosa troverai, perché un giorno, il Cristo che hai chiamato al centro della tua esistenza, l’ha fatto Lui  per primo e ha dovuto persino dire:

“Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte. Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: “Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto”. (Lc 23, 34-35)

 Questo lo ha detto mentre donava tutto se stesso, ma tu ed io abbiamo Lui per fare esattamente la stessa cosa.

Cristina Epicoco Righi.

Gli alti e bassi nella coppia

Davanti al mare puoi ispirarti per tanti paragoni, come, ad esempio, cosa accade nella vita di una coppia.
Questa mattina, la grande distesa d’acqua, è di una calma indescrivibile.
Tempo fa, un saggio frate francescano al quale spesso apro il mio cuore, mi fece una domanda:
«Secondo te, figliola mia, dove si vede la potenza di Dio? Nel mare calmo o nel mare in tempesta?»
In genere, siccome lui ha molta sapienza, non rispondo mai perché so che, sicuramente, la mia osservazione non corrisponderebbe al quesito.
Cosi mi lascio sempre guidare dal suo intento e ascolto il suggerimento che consegue tanto utile alla mia vita.
Di seguito appresi una cosa molto vera.
La potenza di Dio si manifesta nel mare assolutamente calmo!
Infatti, «Come si fa a tenere ferma ed immobile una massa d’acqua così sterminata?»
Solo un Dio Potente può riuscire in una cosa del genere e qui si manifesta ai nostri occhi una profonda riflessione data dal Creato.
Dio esiste negli alti della coppia, cioè quando tutto è calmo, quando addirittura tutto sembra correre così linearmente che spesso ci si aspetta una tragedia imminente ……come mai stiamo così bene? Cosa dovrà succedere?

coppia crisi
La cosa più scontata si dà spesso per scontata, cioè il fatto che, nei momenti in cui la distesa della vita è tranquillissima, tutto dipende dalle nostre capacità e quindi, difficilmente ci svegliamo la mattina ringraziando il Signore per avere ancora due gambe, due braccia, un marito che ti dice che sei bella, una salute perfetta, una giornata da benedire perché andremo a lavorare in un tempo in cui questo non è facile per niente eccetera, eccetera.
Come mai abbiamo trascorso tanti anni, nella calma di una relazione felice e, nel contempo ci siamo allontanati da Dio? Ci siamo accomodati nella tranquillità?
Eppure era Lui che teneva «calma» la sterminata nostra esistenza, addirittura di due persone tanto diverse.
È un po’ come quel mare calmissimo che tanti bagnanti rischiano di agitare con i loro movimenti natatori, comprese le barchette e i motoscafi, e, nonostante questo, riesce a rimanere calmo e liscio come l’olio.
Anche se intorno ci sono gli agitatori, Dio riesce a tenere ferma l’acqua. Noi lo diamo per scontato, ma Lui c’è!
Così la vita di quella coppia: agitata da mille perché e per come, eppure Dio la tiene calma!

E noi che facciamo?

Soltanto quando il mare è agitato ci ricordiamo del nostro Creatore.
Quando cominciano ad arrivare le onde grosse e arriva la tempesta ecco che la paura sopravanza e cominciamo a urlare: “dove sei Dio mio? Ti sei dimenticato di me? Non vedi che sto affogando, sto soffrendo e la mia vita va a rotoli?”
Allora si che cerco Dio, perché l’uomo, di dura cervice, non comprende che Dio era lì ad aspettarci nella calma delle sue acque confortanti.
Abbiamo bisogno della tempesta per cercare la Sua potenza, perché prima, la sua Onnipotenza è abbassata dalla nostra supponenza.
Conosco tante coppie, in crisi, che alla domanda : “Dov’era Dio quando il tuo mare era calmo?” sovente mi rispondono “mi ero distaccato, stavo bene e non sentivo più il bisogno di pensare a Lui”.
E adesso? Dov’e Dio nel tuo mare in tempesta?
Adesso sì che lo rivoglio, ho bisogno di Lui, cosa fare per non affogare?
Allora forza, cerca e contempla il tuo Signore nella distesa calma di quell’acqua dove vedi scorrere la vita. Frequentalo e ringrazialo quando tutto scorre serenamente perché sentirai la sua presenza quando le acque diventeranno alte e le onde ti spaventeranno e ti scoraggeranno.

ISAIA,43
1 Ora così dice il Signore che ti ha creato, o Giacobbe,
che ti ha plasmato, o Israele:
«Non temere, perché io ti ho riscattato,
ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni.
2 Se dovrai attraversare le acque, sarò con te,
i fiumi non ti sommergeranno…

La potenza di Dio è nel mare calmo, non perdere tempo ad aspettare la tempesta, abbraccialo oggi e contempla con stupore la grandezza dell’ infinito Amore che nutre per te, coppia che Lui ha congiunto.

Cosa vuoi che io faccia? chiediamolo per conoscere la volontà di Dio

Conoscere la volontà di Dio

Tutti noi vogliamo conoscere la volontà di Dio, chiediamo allora; cosa vuoi che io faccia? Quando mi metto in meditazione e guardo Gesù Eucaristia, spesso mi viene da pormi questa domanda e la rivolgo al Signore: COSA VUOI CHE IO FACCIA?

Stranamente subito dopo mi sento inquietata da un’altra parola che dice:

«Voi chi dite che io sia?» Mt 16,15

Da questo capisco un aspetto importante.

È più importante il fare o l’essere?

E poi, se sbagliassi a comprendere chi è veramente Gesù?

Potrebbe essere determinante anche il mio fare.

Ma io realmente chi sono?

Questo è il dilemma anche quando si vive una normale relazione, potendo passare anche anni e non aver capito chi siamo pretendendo di conoscere invece gli altri, giudicandoli severamente.

Abbiamo presente come siamo soliti dire….«Lo conosco benissimo, non farebbe mai una cosa del genere».

Purtroppo, quando quella cosa invece la farà ne rimarremo del tutto delusi e sconcertati perché, chi credevamo di conoscere, è altresì un perfetto sconosciuto. O meglio, l’altro è capace di fare cose che non ci saremmo mai aspettati.

È molto importante l’essere, piuttosto che il fare ed è molto importante che ciascuno sia aiutato a crescere formando il proprio essere.

C’e un saggio sacerdote di nostra conoscenza che spesso ci raccomanda di non dire mai ai nostri figli «tu sei uno sciocco, tu sei un incapace, tu sei un pigro e via dicendo ». Dire invece, tu sei un ragazzo intelligente ma il tuo comportamento è così o così. Cioè non giudicare mai la persona, dando così un bollino che lo marchierà, ma guardare al suo comportamento, quello si, anche perché il comportamento si può e si deve correggere.

Ecco il motivo per cui abbiamo formato generazioni di persone fragili, in quanto giudicate sulla stima e mal incanalate invece in una strada di verità e di aiuto nella buona crescita.

Ecco perché è spesso difficile riuscire a capire chi siamo e ci buttiamo sul ciò che facciamo, pretendendo di essere sempre elogiati con occupazioni che hanno bisogno di essere estremamente gratificate.

Infatti, sovente, la prima frase che sentiamo dire quando una relazione naufraga è «dopo tutto quello che ho fatto; ho fatto il possibile ma non è servito a nulla; mi sono sacrificato una vita; ho fatto, ho fatto, ho fatto e nessuno si è mai accorto».

Se anche noi rivolgessimo la stessa domanda di Gesù agli altri:

CHI DITE CHE IO SIA?

Cioè, mi conosci davvero tu che mi sei accanto o difronte?

Cosa porto dentro? Quali maschere sono costretto ad indossare a causa di questo o quel tormento? Chi sono veramente tanto da trovarmi a tradire la fiducia del mio coniuge buttandomi tra le braccia di un’altra persona? Chi sono quando fingo un sorriso in parrocchia mentre sono inquieto con gli altri proprio a causa del “fare” servizi? Chi sono

veramente quando vorrei aprire un dialogo con una persona e quando me la trovo davanti non ho il coraggio di tirar fuori le parole giuste? Perché ho paura di tutto?

Sbrigati a scoprire chi sei davvero!

Quando fu Gesù a fare quella domanda le persone tirarono un po’ ad indovinare in base alle categorie che conoscevano.

Mt 16,13-16«Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai suoi discepoli: «La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Voi chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».

Soltanto Pietro riuscì a dire Tu sei il Cristo, tanto che lo stesso Gesù spiego che ciò avvenne in base alla rivelazione dello Spirito e non certo dal pensiero razionale, cioè dalla sua umanità.

Tornando allora un po’ all’inizio di questa riflessione è possibile fare piccole grandi cose.

La prima è guardare a Gesù: Chi sei per me Signore?

La seconda è specchiarsi in Lui: Chi sono io realmente?

La terza, dopo aver sprofondato lo sguardo nel profondo della meraviglia che siamo e dei prodigi che il Padre ha creato, ci lanceremo a chiedere:

SIGNORE COSA VUOI CHE IO FACCIA? Il Santo d’Assisi ce l’ha insegnato.
Signore, che vuoi che io faccia?”
“Francesco, va e ripara la mia Chiesa
che, come vedi, è tutta in rovina!”
Come potremo salvare la casa di Dio se prima non SIAMO come Lui vuol condurci?

Eccomi Signore manda me e scruta la profondità del mio ESSERE! Solo così capiremo come conoscere la volontà di Dio.

Cristina Righi
articolo scritto per il blog di Annalisa Colzi http://www.annalisacolzi.it/conoscere-la-volonta-di-dio/

Che cos’è la somiglianza?

Cresciamo con l’abitudine di  affermare, sempre , che qualcuno somigli a qualcun altro.

Guarda, è identico al padre, però solo gli occhi, la bocca è tutta la mamma, anzi esattamente la nonna paterna aveva gli stessi zigomi e forse anche il mento appuntito. Le gambe a ics e i fianchi larghi sono della zia.

Potremmo andare avanti all’infinito ma, vuoi o non vuoi, sotto gli occhi di tanti, le somiglianze sono all’ordine del giorno!

Tra l’altro tutte diverse. Noi abbiamo quattro figli che, guarda un po’ somigliano tutti a me, cioè è prevalente la mia caratteristica, tanto che si dice di averli generati con lo “stampino”.

Poi, improvvisamente, incontri una persona che afferma la somiglianza col padre.

Le somiglianze sono molto soggettive.

Se ci pensiamo, questo somigliare è qualcosa che ci rende certezza. Noi, somigliando, troviamo le nostre radici ed è bellissima questa discendenza somatica che ci accomuna.

Ed è così profonda tanto da essere addirittura biblica:

Genesi 1,26-28 E Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra».
Dio creò l’uomo a sua immagine;
a immagine di Dio lo creò;
maschio e femmina li creò.

Cosa è allora questa somiglianza? E cosa è l’immagine?

La SOMIGLIANZA è la conformità a un modello o ad un termine di paragone

«Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza»

 

L’IMMAGINE è la figura, l’aspetto in quanto suscettibili di riproduzione o confronto

«L’uomo fu creato ad immagine di Dio»

 

Dov’è che realmente si svela il volto di Dio?

In Gesù di Nazareth , in Lui “il Verbo si fece carne” e venne a dimorare in mezzo al popolo che egli ama.

Attraverso questa incarnazione noi possiamo trarre il senso dell’immagine e somiglianza.

Ma ciò che più differisce il primo termine dall’altro è che l’immagine di Dio nell’ uomo rimane sempre, anche dopo il peccato, mentre la somiglianza potrebbe perdersi proprio a causa del permanere del peccato.

È come se ogni dono ricevuto che tende alla virtù, alla pienezza e alla santità venga allontanato e diversificato, fino a non “assomigliare” più al Creatore.

Quindi la somiglianza non è altro che la tensione a diventare sempre più simili, tanto che i Santi venivano chiamati i “somigliantissimi” e S. Agostino parlava della Regione della dissomiglianza.

A cosa serve a noi tutto questo?

Bene, considerando che l’immagine e la somiglianza riguardano proprio noi, come uomini e come donne, anche perché, maschio e femmina LO CREÒ ad immagine di Dio lo creò, questa faccenda ci interessa tantissimo e soprattutto è davvero una garanzia per la vita, molto più di un’assicurazione!

Se sono fatto ad immagine del Meglio del Meglio  ho la certezza che nulla potrà cancellare tale immagine.

Se sono fatto a Sua somiglianza significa che ho tutte, ma proprio tutte le carte in regola per essere conforme a Lui.

E allora, chi me lo fa fare di dissomigliare? Perché preferisco diventare molto più brutto della bellezza per cui sono stato creato? Perché soggiacere alle insidie di chi vuole imbruttirmi? Perché barattare le mie doti e le mie virtù con vizi e schiavitù?

Che strano, darei tutto il patrimonio per aggiustare esteticamente i caratteri somatici che non accetto e invece faccio fatica ad accogliere gratuitamente la somiglianza con il più bello dei figli di Adamo. Accendiamo allora la speranza che ci è data!

Vorrei somigliarti Signore Gesù, vorrei mantenere costante l’immagine con cui tu mi hai creato.

Non farmela rubare da colui che, pur essendo l’angelo più bello, portatore di Luce, divenne così ribelle da voler essere Te.

Io, Signore, non sono Dio, ma sono fatta ad immagine di Dio e voglio somigliarti, fino alla fine: questa è la vera Santa battaglia che voglio fare!

 

Salmo 8
O Signore, nostro Dio,
quanto è grande il tuo nome su tutta la terra:
sopra i cieli si innalza la tua magnificenza.
Con la bocca dei bimbi e dei lattanti
affermi la tua potenza contro i tuoi avversari,
per ridurre al silenzio nemici e ribelli.
Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissate,
che cosa è l’uomo perché te ne ricordi
e il figlio dell’uomo perché te ne curi?
Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli,
di gloria e di onore lo hai coronato:
gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi piedi;
tutti i greggi e gli armenti,
tutte le bestie della campagna;
Gli uccelli del cielo e i pesci del mare,
che percorrono le vie del mare.
O Signore, nostro Dio,
quanto è grande il tuo nome su tutta la terra.

Cristina Epicoca Righi

Articolo scritto per il blog Cristianitoday

Elogio della differenza

Spesso molte cose accadono senza che tu ne comprendi la differenza, quella che cambia il significato delle cose, quella differenza secondo cui quello che un domani sarà è completamente distinto da ciò che ora è. La capacità di capirne la differenza è una consapevolezza sacra!
Succede infatti di vivere degli eventi importantissimi della propria vita come se fossero la stessa medesima cosa, come se addirittura i termini di significato così diversi diventassero improvvisamente sinonimi. Tutto origina da questa omonimia menzognera delle parole e degli accadimenti.
Il fidanzamento può essere sinonimo di matrimonio?
Il seminarista è lo stesso di un sacerdote ordinato?
Può guidare una macchina chi non ha la patente?
Il digiuno è la stessa cosa di un giorno in cui mangi?
La convivenza è uguale al Matrimonio Sacramento?
L’anello fedina è l’anello fede?
La sessualità di due coniugi che si uniscono perché ricreano quell’essere divino che…..”maschio femmina LO creò”, quindi diventano una sola carne nel nome di Gesù Cristo è la stessa medesima cosa di una sessualità vissuta da maschio e femmina  che ancora non sono un progetto e che non unendosi nel nome di Gesù si uniscono nel nome di qualcun altro?
Io e Giorgio, fidanzati per sette anni senza comprendere la differenza delle cose!
Stavamo benissimo insieme, condividevamo tutto, compresa naturalmente l’intimità, ci mancherebbe altro, due fidanzati che si amano, che fanno viaggi insieme, che ritengono a giusta ragione che la cosa importante è essere felici, fare le cose che piacciono…..insomma vivevamo da sposati senza ancora esserlo, usurpavamo il diritto di una parola, matrimonio, inserendola dentro al termine fidanzamento. Compivamo  con il corpo gesti che non ci appartenevano…..La grande menzogna!!!!Magari qualcuno ce l’avesse annunciato, dunque eravamo davvero nella tenebra…..e il peccato come  ci sguazza volentieri!!!
È come se un sacerdote non ancora ordinato  tale si adoperasse con fervore a celebrare messa, a confessare, a fare insomma il prete…..sarebbe un bugiardo: esattamente come chi vive il fidanzamento come un matrimonio……è un bugiardo!
Avevamo preparato in questo modo il terreno per il futuro matrimonio e, quando decidemmo di sposarci, giungemmo con tale “coltivazione” a condividere le due diversissime umanità.
Arrivo poi un tempo in cui  non ci sentimmo gratificati e insoddisfatti così, nel bisogno egoistico della felicità, cominciammo interiormente a navigare il mare della divisione. Quel naturale passaggio dall’innamoramento all’amore non lo facemmo perché ancora incapaci di comprendere il valore della differenza.
L’innamoramento , nell’uomo e nella donna , è una pulsione che provoca una varietà di sentimenti e di comportamenti caratterizzati dal forte coinvolgimento emotivo verso un’altra persona , che, a seconda dei casi, è associata a un’intensa attrazione sessuale.
Tra le numerose decisioni , dimentichiamo la più importante, quella che dovrebbe avere la priorità….L’amore…..AMARE È UNA DECISIONE!!
In realtà c’è differenza…..
Il FIDANZATO è un promesso in matrimonio. Ė la promessa di fiducia fatta dall’uno all’altra per un futuro impegno di un GIÁ e non ancora per sempre. Da qui la FEDINA.
Il MARITO  è un uomo sposato in relazione a sua moglie ed è un impegno presente di alleanza per sempre. Da qui la FEDE. Ancora non stiamo parlando di sacramento.
Il MATRIMONIO è il MATER MUNUS, cioè il compito della donna madre di custodire ed accogliere essendo il fondamento (la sottomissione di San Paolo) della vocazione.
Il PATRIMONIO è il PATER MUNUS, cioè il compito dell’ uomo padre di guidare, procacciare sostentamento, essere il navigatore satellitare della vocazione.
Il CONIUGE, da CUM IUGUM è colui che cammina col giogo che, visto dall’alto ha la forma di croce ed è il cammino della coppia dove l’uno necessariamente aspetta i passi dell’altro perché il giogo non ti permetterebbe di camminare con ambiguità chilometriche e ciascuno conosce perfettamente chi c’è al centro dei due.
Il COMPAGNO, da CUM PANIS è colui con cui divido il pane, sperimento la convivialitá ed è un impegno libero, semplice condivisione
La CONVIVENZA è vivere con. È un patto a volte solo verbale e di fatto altre volte sancito dinanzi al primo cittadino. Può essere anche una bellissima famiglia, può anche durare tantissimo ma non rappresenta la grande novità!!
Il MATRIMONIO SACRAMENTO è la grande novità…..quella che ci permette e ci regala il dono più ambito e sconosciuto: LO STUPORE!!
La grande differenza è che il Matrimonio Sacramento è CHIESA DOMESTICA…..che meraviglia!!! Due esseri poveri e fragili come gli umani possono compiere GESTI LITURGICI:
Si uniscono sessualmente nel nome di Gesù Cristo ed è l’unica forma di non privatizzazione della sessualità perché tutta la comunità conosce che quella coppia diventerà UNA SOLA CARNE  e deve essere così perché questo è molto piaciuto al Creatore e, se LUI vorrà, nasceranno futuri cittadini per il mondo. Qui si celebra il sacramento del matrimonio perché la prima cosa che la coppia deve generare è il NOI.
Possono benedirsi i coniugi  di buon mattino e in ogni momento della giornata perché, già con il battesimo sono Re, Sacerdoti e Profeti ma in più, gli sposi, sono CONSACRATI e possono impartire benedizioni per loro e per i propri figli.
Loro sicuramente pregano prima dei pasti e ricevono l’eucaristia l’uno per l’altro per ricolmare di grazia ogni necessità della famiglia.
LA GRANDE DIFFERENZA……ESSERE CHIESA DOMESTICA….CHE SPETTACOLO e che libertà interiore!!!
Così io e Giorgio, navigando il mare della divisione facemmo  prevalere, addirittura per  11 anni di infelicità, il grande nemico, il tentatore che ci fece credere, come alla coppia modello ISH E ISSHÁ,  a cui il mondo continua ad ispirarsi, che la menzogna avrebbe avuto la meglio ai fini della nostra felicità e noi ci siamo caduti. Del resto eravamo partiti male perché l’area fabbricabile ( il fidanzamento) per costruire la casa sulla roccia (il matrimonio con Gesu) non aveva nè il tetto (lo Spirito Santo) nè tanto meno le fondamenta del NOI cementato della coppia. Anche quando ci sposammo in chiesa, dopo 3 anni di matrimonio civile, non avevamo ancora capito la differenza, doveva passare ancora del tempo.
Così peccato su peccato, accusa sui difetti e dito puntato è  poi finalmente arrivato il nostro grande riscatto contro il nemico ma questo bisogna deciderlo con tutte le forze!!! Abbiamo riconosciuto quel GESÙ che si era inchinato dinnanzi al nostro si. Avevamo dimenticato DIO ma lui mai si dimentica di noi!!!
In forza del battesimo tu, essere umano meraviglioso, hai la certezza che ovunque ti troverai e in qualunque condizione sarai DIO verrá sempre a cercarti, Lui ascolterà il grido sordo del tuo cuore ed infatti…….il Signore ha risorto il nostro noi!!
Eccoli gli occhi nuovi per comprendere il VALORE DELLA DIFFERENZA!!!
Noi, che ci saremmo separati, siamo oggi sposati da 25 anni, abbiamo 4 figli, siamo madre e padre spirituale di moltissime coppie giovani, di coppie “anziane” in serissime difficoltà, siamo padrini  di battesimo di 30 bambini, distribuiamo cerotti per le ferite della vita, siamo al fianco e accompagniamo la cura della RELAZIONE . Insomma siamo in pieno a servizio della famiglia contagiosi al massimo e dispensatori di gioia, di  quella  speranza che è certezza, contro ogni scoraggiamento e tristezza.
Tutto questo può accadere solo se costantemente fai memoria della tua resurrezione. Si è innanzitutto poveri per arricchirsi. Ecco l’altra grande differenza!!!
Scoprire la POVERTÀ per ARRICCHIRE. Tutto parte da me. Sono io che rendo ricco e felice l’altro.
Scoprire la DIFFERENZA fa nascere il senso della CHIAMATA.
Cosa è mio marito per me?
È la mia parte maschile!
Cosa sono io moglie per lui?
La sua parte femminile.
È il dono che mi è stato consegnato con tutta la sua storia: se non amo la sua storia e non ci entro con tutta me stessa non potrò mai decidere di AMARE.
Se non generiamo il Noi della coppia non saremo generatori di figli nel vero senso della parola.
Io non voglio  te secondo i miei gusti meschini ma amandoti nella tua storia ti vedrò sempre speciale perché è il mio sguardo che cambia davanti alla tua  povertà…..e mi diventi ricco, ricchissimo!
Mio  marito era un taciturno? Un distratto? Una persona poco affettiva?
Cosa ho fatto io per arricchirlo?
Credo qualcosa abbia fatto, per essere oggi la miglior coppia….
Sedici anni or sono, al tempo della nostra rinascita, annunciavamo che un grande nemico avrebbe contrastato questa preziosissima cellula che è la famiglia…..allora in pochi ci si credeva (noi eravamo reazionari perché la mentalità del “che c’è di male” contagiava anche molti cattolici)ma noi abbiamo iniziato subito la nostra buona battaglia a cui oggi invece molti hanno dovuto aderire, a giudicare dallo smascheramento che il nemico sta operando!
Noi però lavoriamo sulla carne, sulle ferite delle singole famiglie…..e la nostra casa ne accoglie tanti, davvero un piccolo ospedale da campo. L’abbiamo chiamata OASI NEL DESERTO NEVÈ MIDBAR.
Si rinasce???
Solo se si desidera comprendere la DIFFERENZA!
Solo io posso arricchire il povero che ho davanti.
Maschio e femmina lo creò, tu sei prezioso ai miei occhi, io ti amo.
Ecco dove sta la grande differenza!!!!!
Per scrivere a Cristina: cristinarighi1@virgilio.it

Resta con noi Signore perché si fa sera

Seconda parte. Per la prima parte clicca qui

“Resta con noi Signore” e noi l’abbiamo riconosciuto nello spezzare il pane

Resta con noi, ormai si fa sera e il giorno volge al declino…

Noi speravamo che fosse Lui a liberare Israele; con tutto ciò sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute» (21).

Ecco la delusione! La speranza era così tanto legata ad una propria visuale che l’assenza o il silenzio di un Dio, che non attende ai desideri proiettati, fa sorgere una ovvia reazione di scoraggiamento.

I due discepoli sposi sono in un momento difficile, critico e stanno addirittura discutendo dell’ipotesi di separarsi. Non riescono più a sostenersi, sono diventati un peso l’uno per l’altra. Sono infastiditi di tutto, non c’e più molto da dirsi o da fare.

«Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo» (22-23).

Lui è Vivo. Gesù c’è. Sta camminando accanto a loro, ma essi non l’hanno riconosciuto.

Quanta strada ha già fatto con loro

Quante parole, sguardi e suggerimenti ha cercato di dare loro.

«Stolti e tardi di cuore nel credere alla Parola dei profeti» (25).

Ma quando con fervore “il forestiero” insistette per raccontare ciò che sta scritto, i due sposi non potevano più distaccarsi da Lui: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino» (29).

resta con noi Signore ormai si fa sera

Signore ti prego non ci lasciare, non ci abbandonare. Siamo finiti senza di te. Siamo sordi e muti alla verità che ci illumina e andiamo verso la notte, piena di pericoli e di insidie.

Signore, eravamo ad un passo dal baratro se non ci avessi affiancato, se non ci avessi tu parlato per primo e non avessi continuato a passeggiare nella nostra diffidenza.

Signore resta con noi. Ora sì che i nostri occhi sono aperti, dopo tutto questo tempo di lontananza da te.

Sì, Signore, ora siamo di nuovo a cena con te

Erano anni che non celebravamo l’Eucaristia, che non ti aprivamo il cuore nella riconciliazione.

Ora Signore vogliamo farlo perché solo Tu ci fai ardere forte il cuore nel petto (32).

Eccoci di nuovo missionari, riaperti al significato del nostro essere sposi, chiamati, vocati al matrimonio.

Torniamo di corsa a Gerusalemme, a casa nostra, a dire ai nostri figli che non l’abbiamo data vinta al nemico.

Noi non ci separeremo perché il Signore è con noi. Non ci ha lasciato soli nella notte. L’abbiamo riconosciuto.

«Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone» (34).

Simone sei tu, coppia discepola e sposa.

Fermati a cena e resta con Lui.

(fine)

Cristina

articolo scritto per il blog di Annalisa Colzi (www.annalisacolzi.it)

I due sposi di Emmaus in cammino

In cammino, ma sordi al grido dell’altro

«Ed ecco, in quello stesso giorno, due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto (13-14)».

Di che cosa stavano realmente parlando i due discepoli sposi in cammino?

Erano forse delusi da qualche cosa che riguardava la loro vita?

È come se i due fossero scoraggiati, non pienamente felici e incapaci di sostenersi a vicenda.

Così, cammin facendo e parlando, «Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Ed egli disse loro: che sono questi discorsi che state facendo tra voi durante il cammino?» (15-17).

Immaginiamo cosa accadesse se, con il proprio coniuge camminassimo per strada, discutendo animatamente o chiacchierando e si avvicinasse un “estraneo” ad impicciarsi dei fatti nostri.

Non credo che ci fermeremmo col volto triste, come continua Luca nel racconto, mettendoci a parlare come niente fosse con il forestiero.

in cammino con Gesù risorto

Immagino che cercheremmo di allontanarlo senza rivolgere troppa attenzione o forse penseremmo ad un pazzo che vuole intromettersi forse per rapinarci o comunque scocciarci.

Insomma, quando due sposi vivono momenti difficili non è sempre facile che un terzo possa “mettersi in mezzo a loro” senza intromettersi.

Tu solo sei così forestiero?

Del resto, semmai fosse stato quel Gesù che i medesimi sposi avessero invitato al loro matrimonio, il giorno della celebrazione, dopo tanto, non si sarebbero ricordati della sua esistenza a meno che lo avessero frequentato regolarmente, cioè non lo avrebbero appunto riconosciuto.

In ogni caso c’è un tempo, nel mezzo del cammin di nostra vita, in cui ci si trova a discutere su questo o quel problema. Magari, nella discussione, si è talmente avviluppati in se stessi e sordi al grido dell’altro che si diventa dimissionari, cioè si esce dalla missione primaria, che nasce nel matrimonio e si pensa di essere soli cavandosela soltanto con le proprie forze.

Gesù diventa il grande estraneo: «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?» (18).

La tristezza dei due sposi discepoli è proprio questa domanda: essere così disillusi da considerare Gesù un forestiero, uno che non sa né può conoscere i fatti di quel territorio, di quella storia, di quella casa, di quelle vite.

In sostanza è come se prima, sposandosi, si invita a nozze il Signore e poi, camminando, si pensa che Lui non può avere il minimo spazio in quel matrimonio. Anzi lo si considera un perdente, un fallito, da essere incapace di sostenere, liberare, salvare il patatrac a cui si è arrivati!

(prima parte)

Cristina

articolo pubblicato per il blog di Annalisa Colzi (www.annalisacolzi.it)

Amore che salva, e se fosse una ciabatta a salvarci?

L’amore che salva, l’esperienza di un incontro

Storiella di una ciabatta incorniciata per avere “la visione e la certezza che è l’amore che salva“.

Si narra di una storiella, della casa di un parroco, alle cui pareti era appeso un quadro con una vecchia e consunta ciabatta ben incorniciata. Eh sì, perché, tempo prima, durante una lunga malattia del parroco, la madre, ogni mattina si recava davanti alla porta della camera per vedere come stesse il figlio. Il primo suono che l’uomo ascoltava era il trascinare della materna premura quotidiana, il rumore delle ciabatte tenacemente presenti! Poi col tempo il sacerdote guarì e, agli altri familiari, chiese di avere soltanto un oggetto della madre: la ciabatta. Così, a chiunque chiedesse il significato di quel quadro con la ciabatta incorniciata, egli rispondeva: «PER AVERE SEMPRE, DINANZI AGLI OCCHI, LA VISIONE E LA CERTEZZA CHE È L’AMORE CHE SALVA!».

Cosa resta di questa meravigliosa storiella? Lo sguardo di ciò che agli occhi può sembrare invisibile; ma che dietro cela l’intero significato e cioè l’esperienza di un incontro!

Incontro e innamoramento

Cosa è accaduto ad esempio quando due fidanzati si sono conosciuti? Un incontro fatto di sguardi, parole, battute per suscitare il massimo interesse, sensi e doppi sensi, dare il meglio di sé, attirare l’altro in tutte le maniere possibili, essersi vestiti nel miglior modo per il primo appuntamento, aver scelto il ristorantino più adeguato, aver speso tutti i complimenti, e altro.

Poi ci si scambiano doni particolarissimi e, quando si va in un luogo significativo, si scattano foto speciali e si acquistano oggetti “ricordativi” e soprattutto si vivono momenti che mai si scorderanno.

amore che salva l'esperienza di un incontro

Poi si va avanti nel percorso dell’innamoramento e si stampano nella memoria situazioni specialissime che solo quelle due persone hanno saputo vivere.

Può essere accaduto che l’anello di fidanzamento sia stato consegnato in ginocchio declamando la più bella poesia. Può darsi che, camminando mano nella mano, siano state pronunciate bellissime parole; e che ricorreva sempre una frase molto speciale che accomunava tantissimo la sintonia dei due.

Matrimonio e famiglia

Poi si è andati avanti nel percorso dell’amore e ci si è sposati. Quanti sorrisi e quanti ricordi quel giorno super specialissimo che mai può dimenticarsi. Saremmo addirittura degli sciocchi a criticare e a detestare ciò che da soli, senza alcuna costrizione, abbiamo deliberatamente scelto, voluto, desiderato, conquistato ed accolto pienamente: l’altro o l’altra! Un sì pronunciato dalla nostra stessa bocca, quella con cui fin dall’inizio ci siamo relazionati.

È vero, spesso tutto accadeva nella fretta, o nella superficialità del tempo che scoccava sempre più velocemente mentre si dovevano acquistare oggetti, arredi, camere, cucine, stoviglie, fedi, biancheria, viaggio di nozze, viaggio di ritorno.

Poi si va avanti e la vita cambia con il lavoro, i bambini; forse non è detto che ci siano bambini. C’è la crescita umana e personale dove ciascuno deve fare i conti con se stesso, con i propri limiti e i limiti dell’altro.

Poi, se ci sono bimbi essi crescono; c’è l’adolescenza, quella dei figli si spera (e degli eterni adolescenti… ahimè…) e poi ci sono i suoceri, i consuoceri, i rapporti familiari e interpersonali.

amore che salva l'esperienza di un incontro

Ciò che davvero ti serve

Tutto intanto corre, come l’attività pastorale del sacerdote della storiella.

Ma il sacerdote a un certo punto si ammala ed è costretto a fermarsi, a vivere un po’ di tempo relegato nella solitudine, nell’intimità di se stesso, obbligato vuoi o non vuoi a quell’immobilità dove tutto quello che prima scorreva, ora si è fermato, almeno fisicamente. Rimane però una cosa che non riesce a fermarsi: l’alterità!

C’è un altro che si muove per te. Un altro che striscia le sue ciabatte per vedere come stai, se hai bisogno di qualcosa, di ciò che DAVVERO TI SERVE. All’inizio non te ne accorgi; anzi, quella ciabatta rumorosa che passa può infastidirti anche parecchio. Tu forse nella tua immobilità hai imbroccato una strada sbagliata o sei proprio fuori strada. Forse stai “rinnegando” ciò che tu avevi scelto, forse sei molto confuso. Si è vero, ora sei ammalato; ma sappi che quelle ciabatte che arrivano a destinazione per guardarti davanti alla porta sono quella certezza: LA CERTEZZA DELL’AMORE CHE SALVA.

E se fosse quella ciabatta a salvarti?

Il sacerdote guarì.

Puoi incorniciarla anche tu se vuoi!

Cristina

Articolo scritto per il blog di Annalisa Colzi:  www.annalisacolzi.it/amore-che-salva/

La Perla del nostro tempo? La coppia creata ad immagine di Dio

Scritto per www.cristianitoday.it     

 

«…..trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra»

(Mt 13,46)

«Posi (la perla), fratelli miei, sul palmo della mia mano,

per poterla esaminare.

Mi misi ad osservarla dall’uno e dall’altro lato:

aveva un solo aspetto da tutti i lati.

(Così) è la ricerca del Figlio, imperscrutabile,

perché essa è tutta luce.

Nella sua limpidezza, io vidi il Limpido,

che non diventa opaco;

e nella sua purezza,

il simbolo grande del corpo di nostro Signore,

che è puro.

Nella sua indivisibilità, io vidi la verità,

che è indivisibile»

(Efrem il Siro, Inno sulla perla 1,2-3).

 

Pensando alla perla vorrei applicarla all’immagine trinitaria pensata dal Creatore sin dall’inizio: la coppia.

Maschio e femmina creò l’Uomo, ebbene sì, ad immagine e somiglianza Sua, perché, diventando uno, una sola carne, la coppia potesse ricreare quell’essere divino originariamente creato.

Soltanto quando l’uomo riconosce la donna come «…osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne»(Gn 2,23) ecco il rispecchiamento, ecco la reciprocità, ecco la pienezza del gesto creatore di Dio.

Che meraviglia pensare ad una bella ostrica dalla conchiglia tondeggiante come il corpo del mollusco annesso. Non tutte le ostriche producono perle perché esse si formano quando un corpo estraneo, di qualunque genere (sabbia, parassita o pezzetto di conchiglia)  va a conficcarsi nella cavità interna del mollusco stesso.

Soltanto per difesa si producono gli strati madreperlacei che, uniti ad altri strati di calcio e minerali, formano e creano questi meravigliosi e preziosi oggetti.

Questo processo può essere lunghissimo, non sapremo quanto occorrerà perché vi sia una perla ma questo è il risultato, per quella determinata ostrica, ciò accadrà!

Nella coppia ,che qui immaginiamo, la perla è il risultato di loro stessi, il prezioso prodotto del loro amore, della loro limpidezza e soprattutto della loro indivisibilità.

Dalla scelta consapevole del “loro per sempre” inizierà il viaggio creativo che plasmerà le reciproche vite. Molti saranno i detriti, i parassiti e i pezzetti di conchiglia che cercheranno di entrar nel loro guscio e molto dipenderà da come sapranno difendersi.

Potranno insieme livellare gli strati della custodia, della clausura protettiva dei pericoli terreni, del materialismo, dell’idolatria, dei rispettivi egoismi, degli attacchi esterni sulle loro fragilità….sostenendosi a vicenda. E ci sarà la preghiera, l’aiuto dello Spirito, l’unione coniugale che fondandosi sulla roccia del sacramento, saprà farsi dono reciproco e servizio pieno alla vita. Ci sarà l’umiltà del comprendere che da soli non ce la faranno ma che chiederanno sostegno alle preziose e sagge guide preposte al loro cammino.

Potranno altresì scoraggiarsi, farsi prendere dal panico, vorranno contare solo sulla propria forza, sfuggirà di mano quella saggia difesa di costruire strati di bene per difendersi e si troveranno sprovveduti nell’agganciare gli altri materiali, affinché possa formarsi la perla. La coppia sarà sottoposta al mare calmo e a quello in tempesta, come il mollusco ostrica depositario della perla. Ci saranno giorni di pioggia, che gonfieranno le acque, e giorni di sole che porteranno calore. Sara freddo e sarà mite.

Sarà giorno e sarà notte. Sarà luce e sarà tenebra.

Ci saranno gioie e ferite, ma l’ostrica una cosa la sa:

deve difendersi per produrre la perla preziosa!

Il commerciante, trovata la perla, rinuncia a tutto pur di averla con se.

E tu coppia, vuoi farti trovare dal tuo Commerciante d’Amore Onnipotente?

Difenditi, combatti ed entra nel tuo NOI.

Impegnati a far nascere la tua PERLA che nella sua limpidezza e purezza sia la sola tua Verità. Il resto lo farà il tuo Creatore che, sin dall’inizio ti ha scelto perché i due diventassero uno, collaborando al progetto e, coppia, dopo coppia, sara una bellissima collana di PERLE!!!

Cristina Epicoca Righi

IL MAGNIFICAT DEGLI SPOSI

L’anima di noi sposi magnifica il Signore
Perché nel quotidiano è il nostro Salvatore.
Ha guardato, sin dall’inizio, alla nostra povertà
E ha posto nei nostri cuori la reciproca gratuità
Perché diventasse una gratuita reciprocità.
Grandi cose ha fatto e farà per noi
Perché mai dubitassimo del prezioso Tesoro.
Ha abbattuto la superbia per generare concordia
Dispensando ad entrambi la Misericordia.
Non ci sono potenti ma «troni di doni»
Da scambiare vicendevolmente
Per sempre ed eternamente.
Di beni ci ricolma ogni giorno
Perché di noi e per noi conosce il bisogno,
non quello effimero ma il necessario
Per difendere il nostro amore dalle lusinghe
dell’avversario!
Ci soccorre costantemente
Senza perdere mai lo sguardo
Per condurci gioiosi al nostro traguardo
Come aveva promesso il giorno del sì
Ed ora, più che mai, qui
Accompagnati passo per passo
Senza lasciarci un momento.
Gloria al Padre e al Figlio
e allo Spirito Santo
Come era nel principio, e ora e sempre
nei secoli dei secoli. Amen.

Cristina

Scritto per il blog di Annalisa Colzi   http://www.annalisacolzi.it/il-magnificat/

Il profumo di Cristo e il cibo che non perisce

L’olfatto: davanti a Dio siamo il profumo di Cristo

“Siamo infatti davanti a Dio il profumo di Cristo” (2 Cor 2,15).

“La mia preghiera sia incenso che sale fino a te” (Sl 141,2)

Il Cantico dei Cantici è tutto un insieme di profumi e di effluvi. La ragazza innamorata dice: “Io sono un narciso della pianura di Saron, un giglio delle valli” (Ct 2,1) e poi: “Ora che il mio re è qui nel suo giardino, il mio profumo di nardo si spande tutt’intorno. Amore mio, sei come un sacchetto di mirra, di notte riposi fra i miei seni. Amore mio, sei come un mazzo di fiori cresciuti nelle vigne di Engaddi” (Ct 1,12-14).

L’olfatto è un senso particolarissimo perché va oltre gli altri sensi. Non tocca, ma è toccato; non sente e non gusta, ma avverte e fa proprio, non vede ma riconosce perfettamente inspirandone tutta l’essenza. L’olfatto si inserisce pienamente nella relazione tra individui. Sappiamo distinguere benissimo il profumo di chi ci sta accanto, non per la marca dell’acqua di colonia, ma per quella conoscenza nel tempo. Fa parte del respiro della vita e, come avvertiamo il profumo sappiamo conoscere anche la puzza. C’è una bella differenza tra il nardo e lo zolfo. Ecco perché è bene avere cura di se stessi, compresa l’anima ovviamente!

il profumo di cristo e il cibo che non perisce

Il profumo fa scendere nell’intimità perché ciò che di per sé è impersonale diventa personalissimo, persino nel modo di pregare oltre che di amare l’altro. È così che ci distingueremo, dal profumo che emaniamo. E se dovessimo scorgere anche “l’afrore” di noi stessi, non rinunciamo mai a cercare un profumo migliore, quello che sale e che ci trasforma. Lo zolfo dei nostri peccati possiamo, se vogliamo, trasformarlo nel profumo più inebriante che ci sia!

Il gusto: il cibo che dura per la vita eterna

“Gustate e vedete come è buono il Signore” (Sl 34,9)

Come ogni senso, tra i cinque, c’è uso e uso e, quando Eva “vide che l’albero era buono come cibo” (Gn 3,6) agì in nome di una “disubbidienza”. Pietro però incoraggia: “Sbarazzandovi di ogni cattiveria, di ogni frode, dell’ipocrisia, delle invidie e di ogni maldicenza, come bambini appena nati, desiderate il puro latte spirituale, perché con esso cresciate per la salvezza, se davvero avete gustato che il Signore è buono” (1Pt 2,1-3).

Il gusto è un senso importantissimo, soprattutto nel matrimonio, perché il nutrimento ė necessario affinché una coppia possa sopravvivere.

Così come il cibo materiale sostiene il corpo, sarà necessario un altro cibo per sostenere le due volontà maschile e femminile, così diverse ma così profondamente necessarie per l’unità!

il profumo di cristo e il cibo che non perisce

Ci vuole il cibo giusto per affinare il gusto e la grandezza del matrimonio sacramento consisterà in un cibo «che non perisce, ma… che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell’uomo vi darà» (Gv 6,27). Il cibo eucaristico! Il cibo che non perisce è Gesù stesso; e anche la sua Parola che è un tutt’uno con Gesù.

Quanti bocconi amari la vita ci presenterà, anche come coppia, nelle delusioni, nella povertà personale che sa amare solo fino a un certo punto.

Il gusto ci permetterà di rendere dolce ciò che è amaro perché quel cibo ha uno specialissimo sapore: la salvezza!

Alla ricerca del Vero Bene

Ecco cara coppia, queste sono le cinque strade del tuo matrimonio sacramento.

Scegli quella più adatta per cominciare a risorgere, se hai bisogno di rinascere o per continuare il tuo meraviglioso cammino.

Noi, proprio quando la nostra storia stava naufragando, ricominciammo dalla strada di un senso, quello del gusto, dell’Eucaristia; e da lì ripartimmo perché, più ne mangiavamo e più i cuori si riempivano di ascolto, sguardi, carezze e profumo che si spandeva tra di noi e verso quelli che avevamo intorno. Un senso tira l’altro nell’armonia del bene, del Vero Bene.

Amare è decisione.

E tu, da quale senso vuoi ricominciare?

Cristina

Articoli precedenti

Il tocco di Dio e l’arte di ascoltare

La vista nel matrimonio cristiano

 

Questo articolo è stato scritto per il blog di Annalisa Colzi http://www.annalisacolzi.it/il-profumo-di-cristo/

Il tocco di Dio e l’arte dell’ascoltare

Prosegue la riflessione sui cinque sesnsi. In fondo alla pagina troverete il link per leggere le riflessioni già pubblicate.

L’udito

“Colui che ha fatto l’orecchio forse non ode?” (Sal 94,9).

“Nella mia angoscia invocai il Signore, gridai al mio Dio. Egli udì la mia voce dal suo tempio, il mio grido giunse a lui, ai suoi orecchi” (Sal 18,6).

L’orecchio esiste per ascoltare, cioè entrare in una profondità diversa dal semplice sentire. Posso alzare la voce anche ai massimi decibel, ma se non sono ascoltato l’effetto sarà inesistente. Basterebbe pensare alla grandezza della frase «…la fede nasce dall’ascolto…» (Rm 10) per comprendere che da un semplice atto della propria volontà, cioè prestare ascolto, si produce un risultato grandissimo: la fede, quella vera, quella cioè che non mi fa sentire schiacciato da nulla perché, ascoltando, sento e rispondo pienamente.

Quante volte manchiamo nell’ascolto e quanto invece ci lamentiamo di non essere ascoltati. Poi, sovente, ascoltiamo male distorcendo la realtà delle cose.

Ascoltare ed essere ascoltati è un’arte da imparare, da voler attuare perché forse è l’atto più difficile da mettere in pratica. Ascoltare è fare spazio perché se io occupo tutto non lascerò all’altro nessun contenuto per esprimersi. Ascoltare è tacere, soprattutto dentro. Spesso, arriviamo alle urla per farci sentire o per ascoltare meglio.

Il tocco di Dio e l'arte dell'ascolto

Il tatto

Mt 14,36: «E lo pregavano di poter toccare almeno l’orlo del suo mantello. E quanti lo toccavano guarivano»

Il tocco di Dio fa miracoli. “Il Signore stese la mano e mi toccò la bocca; e il Signore mi disse: «Ecco, io ho messo le mie parole nella tua bocca»” (Ger 1,9).

In diversi modi Dio tocca la nostra vita tanto che Daniele testimonia: “Colui che aveva l’aspetto d’uomo mi toccò di nuovo e mi fortificò”. (Dn 10,18).

Il tatto è come un tocco, un gesto di meravigliosa tenerezza. Passa attraverso le nostre mani mediante cui abbiamo possibilità di compiere gesti positivi o negativi. Quante volte diciamo che quella persona “non ha tatto”, cioè non ha toccato la nostra anima in modo tale da farci sentire nobili. Ecco, pensiamo a tutte le volte che il nostro toccare l’altro possa essere avvenuto con gesti non perfettamente consoni al rispetto della sua dignità. Un matrimonio è un esempio lampante del tatto. Quanti spintoni durante una litigata!

Può addirittura uscire fuori qualche schiaffo, per non parlare di qualche altra modalità violenta. Non andando assolutamente ad affrontare un tema tanto delicato, vogliamo solo soffermarci sull’importanza dell’uso del tatto. Il tocco di un medico come strumento di salvezza attraverso le sue mani. La carezza di un coniuge, l’abbraccio, il circondare per custodire, l’impastare per sfamare, il toccare per essere guariti, come coloro che sapevano che anche un solo lembo del mantello di Gesù avrebbe sanato la loro vita. Toccare il sacramento del matrimonio con la benedizione reciproca del marito e della moglie!

Cristina

Riflessione sulla vista clicca qui

Articolo pubblicato per il blog di Annalisa Colzi  http://www.annalisacolzi.it/il-tocco-di-dio/

Padre d’infinito amore tu solo conosci

 

Padre

Padre d’infinito amore

Tu solo conosci questo cuore

Padre che sei buono

Insegnami Tu il perdono

Che io possa tuffarmi nel tuo infinito abbraccio

Che Tu possa slegare l’insidioso laccio

Che io possa fidarmi della tua solidità

Che Tu possa cambiare la mia infedeltà

Che io possa buttare la mia rete a destra

Che tu possa sanare la fame che mi resta

Padre d’immenso amore

Padre della mia vita

Padre che hai riscattato

In un battito di ciglia

Questa tua amata Prediletta Prodigiosa Figlia

Cristina

Articolo pubblicato anche sul blog di Annalisa Colzi http://www.annalisacolzi.it

La purezza e l’impurità beati coloro che vedranno

Cristina mi ha fatto un’altra volta il dono di condividere la profondità delle sue riflessioni con noi e con piacere la ospito sul blog. Ecco quello che ci regala oggi.

Beati coloro che vedranno

La purezza è una parola che spesso ci spaventa. Ci sembra troppo grande perché noi, anche se siamo un prodigio vivente, ci sentiamo sempre un po’ “macchiati”.
Non siamo infatti lontano dalla verità e, in genere, funziona un po’ come con la candeggina, che nello sbiancamento dei capi rovinati, sovente ingiallisce; raramente si riesce al ripristino del bianco iniziale.
Il nero è un colore più facile da mantenere; anzi, si può intensificare e, se si macchia, spesso non si scorge. Il bianco no, è un colore difficilissimo da mantenere intatto!
La purezza, dal latino “puritia” cioè “puro”, è una qualità interiore che denota l’essere privo di colpe: integrità morale, onestà, assenza di malizia.
Maria, la “Paraghía” è la Tutta Pura.
Gesù, del resto, indica la purezza nel discorso della Montagna, come una qualità del cuore che consente di vedere Dio (Mt 5,8).

Beati i puri di cuore

La purezza ha dunque a che fare con la vista e si deduce che l’impuro non vede o, meglio, non riesce a vedere Dio.
Gesù considera felice, cioè beato, il puro perché vedrà Dio, ed è molto bella l’indicazione promettente del verbo al futuro: vedranno!
Se da una parte la purezza è un cammino, dall’altra è un premio, cioè beato me perché vedrò.
Lo sguardo torna sempre e ciò che reintegra saranno proprio gli occhi.

 

Dice il Salmo 34 al versetto 14: “Preserva la lingua dal male, le labbra da parole bugiarde. Sta lontano dal male e fa il bene, cerca la pace e perseguila. Gli OCCHI del Signore sui giusti, i suoi occhi al loro grido d’aiuto”.

Ci sono occhi e occhi, sguardi e sguardi, l’impurità e la purezza.
L’impurità è il dominare del corpo sul cuore, sullo spirito e sul desiderio.
La purezza è il dominare di Dio sullo spirito, sul cuore e sul corpo dell’uomo.
Occorre allora tornare sullo sguardo perché, per poter cristallizzare la nostra vita, abbiamo bisogno di purificare i globi oculari.
Potremo avere occhi bellissimi, ma non vedenti. Potremo essere ciechi, ma vedere benissimo.

La nebbia, il buio, il giorno

Cos’è che impedisce allora la visibilità?
Possono esserci tre situazioni:
-la nebbia
-il buio
-il giorno

La nebbia è una situazione in cui, padroni di incerta visibilità, procediamo a “tentoni” e, nel guidare un’automobile, siamo facilitati dai cosiddetti fari antinebbia.
La vita spesso è nebbia, è quell’umidita che arriccia i capelli appena piastrati (le donne capiranno) è quell’incertezza nel sostenere una fatica scegliendo o che il banco denso sfoci in uno splendido sole oppure lasciando alla nebbia il sopravvento perché preferiamo brancolare nel “ti vedo e non ti vedo”. La purezza può venire compromessa ma, ancora siamo indecisi, annebbiati, confusi.

Il buio è una situazione in cui la visibilità manca. Tutto è oscuro. Qui non ti vedo. Qui può esserci la tenebra, lo stordimento e lo sguardo si annerisce. Qui mi posso giocare la purezza, ma soprattutto il mio cuore.
È notte, sono solo, disperato, infelice, scoraggiato; i miei occhi, anche quelli della mente, non trovano bagliori.

 

Ma ecco una lampada che ci viene in aiuto:

“La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie. Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo e non lasciatevi prendere dai desideri della carne” (Rm 13, 12-14).

Oggi è il giorno

«Gettiamo via», ci viene consigliato e «indossiamo» ci viene raccomandato!
Il giorno è la situazione del tuo oggi. Il giorno si riveste di luce e gli occhi ritornano a vedere dall’esterno all’ interno e viceversa.
Il punto non è vivere la nebbia, trovarsi nel buio e sprofondare nella tenebra.
Il punto è scegliere il giorno, che potrà essere un giorno di nebbia, un giorno oscuro, ma con un cuore desideroso di gettare e indossare.
A te la scelta fratello mio, siamo entrambi chiamati alla promessa; BEATI I PURI DI CUORE PERCHÉ VEDRANNO DIO.

Cristina

Per custodire la famiglia bisogna curare le ferite

Custodire la famiglia dall’inizio prima che sia troppo tardi

Per ferita si intende l’interruzione dei tessuti causata da agenti esterni. Da questa definizione notiamo che la ferita ė data da un’interruzione, certo. Quindi presupponiamo che, prima di essere interrotto, quel qualcosa era lineare, unito, insieme, una cosa sola. Ma se questa cosa sola non c’era in partenza, ecco che la ferita preesiste; quindi all’inizio di un rapporto tra persone, ciascuno porta in sé la sua ferita.

La ferita del peccato

Ciò che mette il muro, cioè ferisce in partenza la relazione, è esattamente il peccato. Il peccato non ci rende concavi, cioè accoglienti così come l’utero è pronto ad accogliere la vita, ma altresì ci rende convessi, contrastanti, spigolosi, piuttosto tendenti a creare morti intorno, cioè a far soccombere l’altro perché ci dobbiamo difendere. Ci riesce difficile capire che la donna fu creata per l’uomo perché «unico aiuto che gli fosse simile» (Gn 2,20) e, per questo motivo, piuttosto che esserci un incontro, spesso si verifica lo scontro. Così nasce una coppia. Non è concava, ma è convessa. Con gli spigoli della propria umanità che, a seconda della personale storia, sarà un convesso mammone, un convesso alla professione, una convessa tutta “battipanni e pattine”, oppure un po’ trasandata, o tutta sua mamma (secondo lui), tutta dedita solo ai figli e, così via, ognuno metta i suoi spigoli.

 

È qui che può giocarsi il meglio per edificare una coppia, indi una famiglia. I due convessi, cioè i due feriti, diventeranno una coppia meravigliosa se aiutati nell’ascendere. Qui sta il punto, anzi il rovesciamento del pensiero secondo cui la coppia e la famiglia ferita è quando siamo alla frutta. In parte è vero perché, come dicono gli esperti, la frutta andrebbe mangiata prima dei pasti per evitare la fermentazione; invece noi la mangiamo alla fine. Ma, frutta a parte, il punto è che il matrimonio è un’ascesi e non una discesa.

Il matrimonio è gravido d’amore reciproco

Quindi, dalle ferite si arriva alla cicatrice totale attraverso il balsamo continuo e curativo. Ecco dove partire. Che gli spigoli dei due “convessi” si arrotonderanno e che tu diventerai marito attraverso tua moglie e tu diventerai moglie attraverso tuo marito. Sarai madre attraverso il dono di tuo figlio, così come per te, padre.

Cammina, ci vorrà del tempo e non è vero il contrario, cioè che il tempo distrugge l’intento. Il matrimonio è gravido d’amore reciproco. Occorre saper attingere e forse ci vorrà qualcuno che ti accompagni bene, cara coppia!

 

È partendo da ferito che sarai salvato, e alla separazione saprai non arrivarci. Certo che non mancheranno “le discese ardite e le risalite”, le porte sbattute, la caparbietà, la non fedeltà e tutta la materia del peccato. Ma è proprio questa la ferita della famiglia.

Riempire la valigia…

Cosa manca allora per dire alla gente chi è la famiglia ferita? Il fatto che non ė vero che prima andava tutto bene, che abbiamo iniziato bene e poi abbiamo fatto il botto. Siamo invece partiti feriti e con la valigia vuota e se riconosceremo con umiltà questa realtà, piano piano, nel viaggio della vita, riempiremo la valigia del vestito giusto per ogni stagione. Persino il cappello a punta diventerà una magnifica bombetta se saremo in grado di smussare gli angoli.

Ciò che è convesso diventerà concavo come l’Amore di Dio che abbraccia TUTTI. E in tutto questo, prima di arrivare al botto, la famiglia non deve rimanere SOLA. È da qui, dall’inizio, che dobbiamo custodire la famiglia. Una pastorale che dalle ferite partorirà famiglie sane e saprà trarre da una SOLIDA partenza un glorioso TRAGUARDO a gloria di Dio Padre!

(Fine)

Prima parte dell’articolo

Cristina

La famiglia ferita fin dalla sua nascita

La famiglia ferita non è solo quella che arriva alla separazione

Se qualcuno pensa che la famiglia ferita sia quella giunta alla separazione e poi al divorzio effettivamente ha ragione; ma in realtà c’è qualcosa di più. La famiglia ferita è addirittura altro. La ferita nasce molto prima, anzi la famiglia nasce ferita perché feriti sono coloro che la costituiranno: le persone dei coniugi!

Il giorno del matrimonio, nella pienezza delle emozioni, si ha quanto è necessario per essere una famiglia “sana”. In potenza c’è tutto e, se qualcosa non c’è, si pensa che non manchi nulla. Nella maggior parte dei casi (anche per la necessità ai fini della celebrazione del matrimonio in chiesa) si è svolta diligentemente la partecipazione al corso prematrimoniale; qualcuno tra uno sbadiglio e una forzatura da parte di uno della coppia (tendenzialmente la fidanzata); qualcun altro ascoltando con le orecchie, ma contrastando mentalmente le opinioni “troppo ecclesiali” a cui sfuggire alla prima occasione; altri attentissimi a prendere appunti perché sono di quelli che “casomai me lo dimenticassi”; taluni ancora seriamente interessati, intenzionati e motivati.

Tutti costoro desiderano realizzare, costi quel che costi, il desiderato progetto! E a costoro vien ben annunciata la verità sulla sessualità, la necessità del distacco dalla famiglia d’origine, la visione sulla scelta delle priorità quali, ad esempio, il lavoro, gli hobbies, il calcio, lo shopping, il “baretto”, la discoteca con le vecchie amiche e quant’altro. Viene ben detto che i figli sono un dono e non un diritto; che amare è una decisione, cioè un atto della volontà.  Viene ripetuto sempre che l’uomo è diverso dalla donna, persino nel distinguere la scala dei colori e che l’uno deve rendere felice l’altro senza pretendere di esserlo per primo. Viene anche ribadita quella bellissima parola che “non tramonti mai il sole sopra la vostra ira” (Ef 4,26). Guai al mondo se, dopo un amorevole colloquio, il parroco o le coppie guida provassero a suggerire di aspettare ancora prima del matrimonio, di discernere bene… Dio ce ne scampi, noi ci amiamo, ti risponderanno giustamente.

 

Quante altre cose si dicono, si affermano, si vogliono imprimere nella testa gli uni degli altri, si incoraggia, si scoraggia, si danno addirittura (sbagliando) consigli, si scende sullo psicologico, ci si alza troppo sul teologico.

I due saranno Una Cosa Sola

Ma la cosa fondamentale forse non si considera mai. Ci sono, davanti a noi, due persone! Due creature, non due creatori, che a malapena riescono a balbettare qualcosa di minimamente affettivo e che dovranno diventare addirittura Una Cosa Sola, cioè Uno, Una sola carne, o, per essere più precisi: un SACRAMENTO! E cammin facendo le vicende della vita si articolano.  Ma la famiglia ferita è davvero quella che arriva alla separazione? È questa la nuova materia della pastorale? O non ė forse la parte precedente che deve essere potenziata e rafforzata onde evitare separazioni o divorzi? Questa è davvero la missione ed è POSSIBILISSIMA!  Le due persone, maschio e femmina che abbiamo davanti sono due separati; infatti, differentemente a quanto pensa la mentalità corrente, i due fidanzati non sono ancora una cosa sola. I conviventi non sono ancora una cosa sola perché, di fatto, nulla ancora è accaduto che li possa far diventare Uno. Affiatatissimi e innamoratissimi, ma non ancora UNO.

(fine prima parte)

Cristina

Sperare significa saper aspettare oltre il buio.

Sperare….Siamo soliti usare questa parola con quel senso umano, a volte quasi sconfitto, di un’attesa positiva su qualcosa che già in anticipo non crediamo possa realizzarsi.

Attaccati continuamente dal nostro passato e paurosi verso un futuro sconosciuto, siamo spesso sfiduciati sul fatto che la vita possa avere esiti di speranza e questo ce la fa vedere sempre scaramanticamente.

Qualcuno collega la speranza a qualche amuleto e di fronte a certe frasi tipo: “Come stai?”, segue: “Benaccio speriamo”, accompagnato dal contatto con qualche cornetto o ferro di cavallo (nascostamente custodito in saccoccia).

Spesso nel sostenere un’attività che possa essere un esame, un lavoro, un incarico particolare ricevuto si è soliti dire: “Speriamo bene!!!”.

Intrisi di speranza

Che meraviglia però essere uomini e donne intrisi di SPERANZA.

Il dizionario dice che la speranza è l’attesa fiduciosa, più o meno giustificata, di un evento gradito o favorevole. Ogni essere umano, in qualsiasi relazione sia posto, spera sempre. Ciò che è vero è che la speranza ha sempre a che fare con la chiamata.

Sei assunto? Speri che il lavoro sia a tempo indeterminato, che ci sia uno stipendio consono, che ci siano buoni colleghi, che il datore di lavoro sia perlomeno amabile. Stai diventando prete? Speri in una parrocchia accettabile, in fedeli rispondenti e anime obbedienti. Stai per sposarti? Quante speranze, troppe per poter elencarle, avendo a che fare con due mondi diversissimi: il maschio e la femmina.

Ma tutti, proprio tutti, di fronte a ciò in cui sono chiamati sperano! La speranza spesso è disattesa, e sovente è non desiderato ciò che segue a quanto si è sperato. Perché questo accade? Perché nello sperare non sappiamo aspettare. La speranza cammina a braccetto con l’attendere. Se non so aspettare non posso sperare!

«Egli ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto…» (Rm 4,18).

Abramo sperando divenne. Abramo credette.

Ecco cosa dicevamo poco sopra. Legati al passato e paurosi del futuro non andiamo verso, non camminiamo fiduciosi. Lo sradicamento, l’uscire dalla propria terra, ci annienta e fa vacillare i nostri passi disegnando la speranza con contorni sfumati. Una donna spera di diventare mamma, di avere un figlio.

 

La speranza nell’attesa

La speranza sta nell’aspettare. Se il figlio non arriverà quella speranza sarà delusa ma se avrà imparato ad aspettare vedrà quel figlio in ciò che sarà riconosciuto come tale. Figlio sarà ciò che in lei è generazione perché l’attesa rende leggibile la speranza. Se non sarà un figlio nella carne quella donna avrà la certezza che altro avrà generato la speranza.

Se da bambino non sei stato molto ascoltato e magari ti è stato chiesto di compiacere e di darti da fare, crescendo cercherai ascoltatori e, nella maggior parte dei casi, non li troverai. Così la speranza sarà disattesa e, dietro un’illusione (provocata dal diritto di aver ciò che ci è mancato) seguirà una ovvia delusione. La speranza va oltre. Essa cammina avanti rispetto ai nostri desideri, come quando Abramo, desiderando il figlio, pensò che la soluzione migliore, consigliato tra l’altro dalla propria moglie Sara, fosse quella di unirsi con la schiava Agar.

Ma il Signore lascia la libertà nello sperare. Lui, il nostro Dio, benedirà ugualmente quel figlio di nome Ismaele, ma farà comprendere ad Abramo che, se lui avesse ASPETTATO, Isacco sarebbe arrivato. Perché SPERANZA vuol dire CERTEZZA.

 

Sperare significa…

Sperare significa essere certi che dinanzi alla propria vocazione qualunque cosa sarà il meglio per la propria vita.

Sperare significa che se non avrò ottenuto ciò che avevo desiderato era perché il mio bene non sarebbe stato quello.

Sperare significa non forzare, non violentare il corso degli eventi ma… aspettare!

Sperare significa confrontarsi con la verità e non con la caparbietà, la presunzione, il sentirsi in diritto di questo o di quello.

E se sei nella prova, in una difficoltà pazzesca da affrontare, laddove non riesci a vedere una luce ma solo buio, buio e buio… spera e attendi perché il tuo deserto fiorirà!

“Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi. Spera nel Signore, sii forte, si rinfranchi il tuo cuore e spera nel Signore”.

Il Signore é buono e non può donarmi e consegnarmi cose cattive. Ecco dov’è la mia speranza perché per il Signore l’oggi è pieno di giorni! (Sal 27,13-14)

Cristina Epicoco

La vera amicizia fa a gara nello stimarsi a vicenda.

Una nuova bellissima riflessione di Cristina Epicoco.  Grazie Cristina.

 

L’amore è la volontà di accogliere l’altro così come è, decidendo di amarlo per fondersi in quell’alterità affinché sia generato un noi.
L’amore non pretende, ma esige di trarre il meglio dalla meraviglia che già l’altro è ai propri occhi, portando all’esterno ciò che interiormente sorge come un talento.

ma dell’amico ne vogliamo parlare?

Più scrivo e meno è facile perché, ad esempio, io non ho avuto la cosiddetta amica del cuore o amica preferita che, spesso, invece è anelata da ogni fanciullo.
Per molti, altresì, l’amicizia, può essere stata fonte di sofferenza perché, alcuni trovavano, anche a prezzo di affamate conquiste, l’amico del cuore, mentre altri ne rimanevano sprovvisti tanto da “accattonare” amicizie magari non desiderate, piuttosto che rimanere senza!
Spesso i primi amici sono quelli che hanno prodotto le ferite della vita perché, da loro, partivano le peggiori critiche, le sfide e la necessità di essere un giullare per attrarre le simpatie. Una specie di elemosina d’amore nel corredo amicale presente.

 

I nostri quattro figli hanno spesso sperimentato questo “sgomitare” alla ricerca d’attenzione nel periodo scolastico tanto che, sovente, mi veniva riferito dai docenti, di un comportamento “clownesco” nei confronti dei compagni.
Spesso mi sono anche domandata quanti clowns ci potessero essere in una classe tenendo presente la necessaria contagiosa emulazione tra gli adolescenti.
In realtà ciò veniva confermato dagli stessi professori che concludevano nella generica affermazione «sono tutti uguali questi ragazzi».
Come mai in sostanza, tanti di noi, hanno dovuto essere “pagliacci” per poter attrarre amici? E’ questa la vera amicizia?

è faticoso stringere amicizie

Si definisce l’amicizia come il “reciproco affetto costante e operoso tra persona e persona, nato da una scelta che tiene conto della conformità dei voleri e dei caratteri e da una prolungata consuetudine”.
L’amicizia si fa.
L’amicizia si stringe.
L’amicizia si costruisce.
L’amicizia si guasta.
L’amicizia si rompe.
Il primo vero rapporto da costruire, dopo quello naturale coi genitori e coi fratelli è proprio l’amicizia.
È faticoso stringere amicizie.
Quante volte noi adulti abbiamo avuto, per i nostri figli, la preoccupazione delle amicizie giuste o sbagliate, sane o delinquenziali. Conosco abitudini meridionali in cui la prima domanda che si pone, riguardo ad una nuova conoscenza è: “di chi è figlio?” come dire “da quale famiglia viene l’amico che frequenti?”.
Spesso infatti l’uomo, per risolvere sbrigativamente la faccenda dell’amicizia, ha preferito affermare che il cane è il miglior amico dell’uomo.

un amico fedele è una protezione potente

Che fatica l’amicizia! Che fatica vivere una vera amicizia!
Eppure c’è un amico speciale, davvero l’amico del cuore di ciascuno di noi, che afferma con autorevolezza:
«Un amico fedele è una protezione potente. Chi lo trova, trova un tesoro. Per un amico fedele non c’è prezzo, non c’è peso per il suo valore. Un amico fedele é un balsamo di vita, lo troveranno quanti temono il Signore. Chi teme il Signore è costante nella sua amicizia perché, come uno è così sarà il suo amico…» (Sir.6,14 ss).

dai tuoi amici guardati

E ancora, in un piccolo passo indietro, Gesù, il nostro Amico degli amici, parla del nemico, piuttosto che dell’amico e addirittura di un amico che si tramuta in nemico.
Cerchiamo di capire cosa vuol dirci Gesù!
Se andiamo ai versetti dal 5 al 13 del medesimo capitolo del Siracide si recita:
«Una bocca amabile moltiplica gli amici, un linguaggio gentile attira i saluti.
Siano in molti coloro che vivono in pace con te ma i tuoi consiglieri uno su mille.
Se intendi farti un amico, mettilo alla prova; e non fidarti subito di lui.
C’è infatti chi è amico quando gli fa comodo ma non resiste nel giorno della tua sventura.
Nella tua fortuna sarà come un altro te stesso, e parlerà liberamente con i tuoi familiari. Ma se sarai umiliato si ergerà contro di te e dalla tua presenza si nasconderà.
Tieniti lontano dei tuoi nemici, e dai tuoi amici guardati».

chi è l’amico per me?

Molti nostri “amici” Santi stringevano bellissimi rapporti tra loro, di vera amicizia. Sentiamo cosa diceva San Gregorio Nazianzeno del suo amico San Basilio:
«Ci muoveva lo stesso desiderio di ottenere ciò che c’è di più desiderabile: la scienza.
Non avevamo invidia, ma valorizzavamo l’emulazione. Entrambi lottavamo, non per vedere chi raggiungeva il primo posto, ma per cederlo all’altro. Ciascuno considerava la gloria dell’altro come propria».

 

Ecco allora alcune domande che dobbiamo porci:
Chi è l’amico per me?
Che amico sono io per l’altro?
Ho una bocca amabile?
Ci sono bocche amabili verso di me?

Dice ancora un grande Santo:
“Ama tutti gli uomini con un grande amore di carità cristiana, ma non stringere amicizia se non con quelle persone la convivenza con le quali possa darti beneficio, e quanto più perfette sono queste relazioni, tanto più perfetta sarà la tua amicizia”.
“Al mondo è necessario che coloro che si dedicano alla pratica della virtù si uniscano con una santa amicizia, per esortarsi a vicenda e mantenersi in questi santi esercizi” (San Francesco di Sales).

taglia ciò che ci nuoce

Come vediamo, i nostri amici Santi non erano certo dei buonisti, anzi, severamente è come se ci dicessero: “taglia ciò che ti nuoce!”.
Ecco allora ciò che muove tutto: la carità!
Solo l’affettività cercata con carità, e dico cercata perché dobbiamo chiederla, potrà muovere l’amicizia e tutto ciò che deriva da essa.
I nemici ci saranno, di tutti i generi, ma dovremo intenderli come i nostri pensieri di “inimicizia”.
Quando mi chiederò che tipo di amico sono per l’altro dovrò necessariamente partire dai miei pensieri.
Se avrò sentimenti ed emozioni amicali, i miei saranno veri amici e la mia sarà vera amicizia!
Se avrò sentimenti ed emozioni d’inimicizia i miei saranno i nemici!
E viceversa, ovvio che vale anche per gli altri!

0ccorre essere amici prima che sposi?

Così, vorrei concludere con la sponsalità.
Occorre essere amici prima che sposi?
Certo che sì! Perché tutto ciò che ha a che fare con l’alterità e con l’affettività, dunque qualsiasi relazione, passa prima per un rapporto amicale.

Dice Papa Francesco nell’Amoris Laetitia al n.120:
“La carità ė l’amore che unisce gli sposi, santificato, arricchito e illuminato dalla grazia del Sacramento del matrimonio. È un’unione affettiva, spirituale e oblativa che però raccoglie in se la tenerezza dell’AMICIZIA e la passione erotica, benché sia in grado di sussistere anche quando i sentimenti e la passione si indebolissero”.

E infine al n.127:
“L’amore di AMICIZIA si chiama CARITÀ quando si coglie e si apprezza l’alto valore dell’altro”.

Questo accade nel matrimonio.

Che amico sono io per te, fratello che il Signore ha messo sulla mia strada?
Che amico sono io per te sposo o sposa della mia vita?

Cristina Epicoco