Sposi lebbrosi? Sì, siamo noi.

Cari sposi, in quattro e quattr’otto siamo giunti alle porte della Quaresima che avrà inizio proprio questo mercoledì e la Parola odierna sembra quasi anticipare lo spirito penitenziale dei 40 giorni di preparazione alla Pasqua.

La malattia sembra essere il fil rouge di ogni lettura, in particolar modo la lebbra. Meglio conosciuta come Morbo di Hansen essa consiste in un infezione della pelle e nervi periferici che porta alla perdita del tatto, forti dolori, debolezza muscolare ed anche deformità fisiche. Una bruttissima bestia, che 2000 anni fa veniva “curata” anzitutto con l’isolamento degli infetti.

Da qui che la malattia comporti anche un altro aspetto, latente nella mentalità biblica, ossia la sua connotazione spirituale. Dice il celebre biblista P. Silvano Fausti: “La lebbra è la morte visibile, e la morte è il nostro egoismo, il nostro non sapere amare che dà morte agli altri. Il lebbroso era il morto civile, escluso da tutti, perché era «morto» e la legge esclude ciò che è morto”.

Quindi la lebbra sta per peccato, morte, esclusione… ma anche inferno. Ecco allora che risuonano le parole di Dostoevskij: “Padri e maestri, io mi domando: «Che cos’è l’inferno?» E do la seguente risposta: «La sofferenza di non essere più capaci di amare»” (F. Dostoevskij, I Fratelli Karamazov). È un’esperienza che facciamo tutti, che la lebbra del peccato può generare davvero isolamenti mortali.

Se la lebbra-peccato genera segregazione, quindi distanziamento e morte, cosa non può originare tra sposi dove tutta la loro vita gira attorno a una relazione affettiva, santificata dal sacramento? Che succede quando la lebbra tocca il coniuge, o entrambi i coniugi nel loro rapporto? Ne consegue un legame malato, debole, fiacco, se non addirittura morto, sebbene mantenga una qualche apparenza di vita, forse più per i figli che per amore. Lebbra coniugale può darsi anche negli sposi che vivono al margine di una comunità, che hanno sotterrato il talento del sacramento per farne una cosa privata.

Gesù non è affatto estraneo a questi tipi di lebbra degli sposi e vorrebbe tanto guarirli. Gli basta una semplice richiesta sincera per entrare in azione, come accadde nella scena del Vangelo. È commovente vedere che la guarigione non è una qualcosa di astratto o da remoto ma passa dal tocco della sua mano. Una malattia corporea viene guarita proprio dal tocco del Corpo di Cristo.

Quanto è bello allora lasciarci toccare da Cristo nella preghiera, lasciarci toccare da Cristo nei sacramenti! E per voi sposi farvi toccare da Cristo anche tramite il coniuge per iniziare a guarire quella lebbra che paralizza il vostro matrimonio.

Constatare di essere lebbrosi può già essere il primo passo verso la vittoria. Così pare avvenne qualche secolo fa a un nobile giovanotto di Assisi, al secolo Giovanni di Pietro di Bernardone. È la Leggenda dei Tre Compagni a raccontarcela: “Un giorno che stava pregando fervidamente il Signore, sentì dirsi: «Francesco, se vuoi conoscere la mia volontà, devi disprezzare e odiare tutto quello che mondanamente amavi e bramavi possedere. Quando avrai cominciato a fare così, ti parrà insopportabile e amaro quanto per l’innanzi ti era attraente e dolce e dalle cose che una volta aborrivi, attingerai dolcezza grande e immensa soavità»”. Fu l’abbraccio di un lebbroso a mettere in atto un percorso di crescita verso la sua santità. Forse l’abbraccio della “lebbra” del tuo coniuge potrebbe essere nuovamente l’occasione per fare un salto in avanti come persona e come coppia.

Se vi scoprite lebbrosi, non è la fine del mondo! Non a caso nella Lettera agli Efesini S. Paolo non ci dice forse che lo sposo vuole purificare la sposa prima di unirla a sé nel matrimonio?

Perciò, in questa scena evangelica, come non vedervi un tratto nuziale? Ciascuno di voi siete quel lebbroso che significa la sposa di Cristo Sposo e che Lui vuole rendere partecipe del suo amore. Il tocco che lo guarisce è solo il primo passo di un rapporto che Gesù vorrebbe pienamente coinvolgente.

Ecco allora che questo Vangelo ci fa da preludio alla Quaresima, difatti nel messaggio del Papa vi è un chiaro riferimento sponsale:

La Quaresima è il tempo di grazia in cui il deserto torna a essere – come annuncia il profeta Osea – il luogo del primo amore (cfr. Os 2,16-17). Dio educa il suo popolo, perché esca dalle sue schiavitù e sperimenti il passaggio dalla morte alla vita. Come uno sposo ci attira nuovamente a sé e sussurra parole d’amore al nostro cuore” (Francesco, Messaggio per la Quaresima 2024).

Cari sposi, siete, siamo tutti lebbrosi, abbiamo bisogno assoluto della mano misericordiosa di Cristo che ci purifichi continuamente perché il nostro amore sia vero. Entriamo con Gesù, quindi, nei nostri deserti per essere guidati nel nostro cammino di conversione.

ANTONIO E LUISA

Che bello leggere la nostra storia attraverso il Vangelo e la bellissima spiegazione di padre Luca. Per me è stato davvero così. L’abbraccio di mia moglie che mi ha amato quando io non riuscivo a farlo è stato l’abbraccio di Cristo. Cristo mi ha sanato attraverso l’amore gratuito di una donna che ha scelto di starmi accanto sempre nella gioia e nel dolore.

Siamo lebbrosi guariti contemplando la bellezza di Cristo nel nostro matrimonio

Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, alzarono la voce, dicendo: «Gesù maestro, abbi pietà di noi!».
Appena li vide, Gesù disse: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono sanati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Alzati e và; la tua fede ti ha salvato!».

Questa Parola è ricca di speranza, tutti possono essere salvati, ma è anche un monito a chi crede di avere una relazione con Dio riempiendola di gesti e di riti senza cercare la Sua presenza. I lebbrosi sono 10. Gli esegeti ci insegnano che 9 erano israeliti e uno solo era samaritano. I samaritani, saprete sicuramente, erano considerati alla stregua dei pagani. L’unico che torna è proprio il samaritano. Non chi è cresciuto nella tradizione del Dio d’Israele, ma quello lontano da Lui. Cosa possiamo intendere da ciò? Che la fede non serve? Che andare a Messa non serve? Certo che serve! Il nostro essere cattolici ci aiuta e ci dà sicuramente un vantaggio su chi non crede o crede in altro, ma non ci rende ancora cristiani. I cristiani sono coloro che riconoscono in Gesù il salvatore della vita, che hanno una relazione con Lui, che sanno contemplare la bellezza di Gesù e della loro umanità vissuta alla luce di Cristo. I cristiani sono coloro che non danno per scontato il dono della Grazia, della fede e della vita. Non tutti i cattolici sono cristiani. La lebbra, secondo la tradizione del tempo, era considerata una malattia impura, che toccava a chi aveva commesso peccati. Gesù guarisce la malattia, cancella quindi i peccati di queste persone. Solo una di queste persone sanate, si meraviglia, contempla il miracolo ricevuto, la grandezza del dono gratuito e immeritato che ha ricevuto, e torna indietro a ringraziare. E’ il samaritano, quello più lontano dal Dio d’Israele, più lontano e proprio per questo, forse, meno abituato alla bellezza della vita alla Sua presenza. Per questo resta senza parole e rapito dalla meraviglia di quello che ha sperimentato. Ecco, noi dobbiamo essere capaci di non perdere questa meraviglia. Di non dare mai per scontato nè Gesù, nè il nostro matrimonio. Quanti invece danno per scontato il matrimonio e la persona che hanno accanto? Quanti non hanno più voglia di prendersi cura della persona che hanno sposato? Quanti vogliono il massimo con il minimo sforzo? Dare per scontato è quanto di più triste ci possa essere in una relazione. Significa non essere più capaci di intravedere qualcosa di prezioso, significa non capirne il valore. Significa non essere più capaci di meravigliarsi. Significa volersi risparmiare per qualcosa di più importante, di più emozionante, di più coinvolgente. Insomma qualcosa che è di più. Cosa ci può essere di più importante, di più bello, di più coinvolgente dell’amore sponsale? Cosa ci può essere di più grande della risposta che possiamo dare alla nostra intima e profonda vocazione a dare e ricevere amore? Cosa ci può essere di più bello di una sposa che mi ha promesso di donarsi completamente a me ogni giorno della nostra vita! Proprio a me! Come posso disprezzare, deprezzare, scontare, dare per scontata questa realtà che è grande? Una meraviglia da riconoscere e di cui essere grati. Tutto il resto può esserci, anzi deve esserci, ma non deve sacrificare la mia relazione matrimoniale. Cercare i prezzi di saldo nell’impegno matrimoniale è ciò che più mi allontana dalla santità e dall’autentico senso della vita. Dare per scontato il mio matrimonio significa non vedere la ricchezza che posseggo. Significa cercare il tesoro altrove e sprecare tutto. Non devo sprecare invece. Non devo sprecare l’amore, ma devo sprecarmi in amore. Devo sprecarmi in tenerezza, devo sprecarmi in ascolto e dialogo, devo sprecarmi in servizio e cura. Non solo perchè devo. Non è una imposizione morale o di coscienza. E’ molto di più. Dando tutto sarò sempre più consapevole che il mio matrimonio è prezioso. Che la mia sposa è incantevole. Che è bello amare così e non è un peso o un dovere, anche se a volte lo sembra, ma la strada per incontrare sempre più l’Amore che è Cristo. Ho capito che la vita acquisterà sempre più senso e verità tanto più io saprò slegarmi da una logica di risparmio in amore.

Antonio e Luisa

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La lebbra nel nostro matrimonio

In quel tempo, venne a Gesù un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi guarirmi!». 

Quante volte ci siamo sentiti dei lebbrosi. Degli sposi incapaci e impreparati. Piccoli e miseri. Quante miserie nella nostra famiglia che cerchiamo di nascondere come polvere sotto il tappeto. Litigi, incomprensioni, egoismo, nervosismo e anche inettitudine. Le altre famiglie ci sembrano più belle della nostra. Come vorremmo avere la serenità di quella o l’unità di quell’altra. Invece ci sentiamo lebbrosi e impuri. Eppure questa è la nostra salvezza. Solo riconoscendo la lebbra nella nostra relazione possiamo trovare l’umiltà di abbassarci e inginocchiarci davanti al Cristo ed invocare la Sua Presenza e la Sua guarigione.

 Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.

Gesù ci guarda con compassione. Non prova disgusto per le miserie della nostra famiglia, ma il Suo sguardo va oltre e vede la nostra sofferenza e il nostro dolore. Soffre con noi come un innamorato per la sua amata. Il suo sguardo è già balsamo. La nostra famiglia è bella ai suoi occhi nonostante la povertà che la abita. Soffre  con noi e ci guarisce. Ci può guarire perchè abbiamo avuto la forza di domandare la sua Grazia. Nel sacramento del matrimonio spesso non abbiamo l’umiltà di ammettere di non farcela e di aver bisogno di Gesù. Il nostro orgoglio ci fa credere che tutto dipende da noi, nel bene e nel male. Siamo sposati in Cristo, ma lui è, di fatto, sfrattato dalla nostra relazione.

E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

Come intendere questa parte. Mi era difficile. Mi è venuto in aiuto il mio sacerdote che ha commentato come sia inutile parlare della nostra conversione a chi non ha sperimentato l’incontro con Gesù. L’incontro è personale e la nostra storia, l’incontro che ci ha salvato non può convertire nessuno. Noi siamo stati sanati da Gesù e possiamo testimoniare la  sua potenza e la sua bellezza non raccontando la nostra conversione, che resta fatto privato e non comprensibile agli altri. Possiamo mostrare i frutti. Mostrare quelle piaghe che caratterizzavano la nostra famiglia e mostrare la loro guarigione. Mostrare senza vergogna le nostre miserie e mostrare come Dio le ha trasformate in feritoie da cui fuoriesce la sua luce che illumina il mondo. La famiglia perfetta non è quella del mulino bianco. La famiglia perfetta è piena di imperfezioni. Imperfezioni che diventano luogo dell’amore, della pazienza, dell’accettazione, della prossimità e della gratuità.

Antonio e Luisa