Con cuore di vedova

Sono rimasta vedova a quarantacinque anni con quattro figli ancora in età scolare (all’epoca avevano 19 anni, 17, 15 e 10), dopo vent’anni di matrimonio. Il momento della morte del proprio coniuge è una di quelle cose che non si vorrebbe mai accadessero e se poi arriva troppo presto si aggiunge, al dolore del lutto, la fatica di crescere la famiglia da sole.

Il Signore mi ha dato la grazia di arrivare a quel momento preparata, perché sapevo che la malattia di Francesco era terminale, e il giorno del suo funerale per me era già in cielo. Lui ha vissuto la sua vita matrimoniale spendendosi tutto per Dio e per la famiglia e, quando è arrivata la malattia, l’ha accettata sapendo dove lo stava conducendo. Non ho mai avuto dubbi sulla sua resurrezione perché, come ho sperimentato di persona e scritto in uno dei miei libri: “Vivi la perdita del tuo amato esattamente come hai vissuto l’amore per lui. Il tipo di amore che hai sperimentato in vita diventerà anche il tipo di lutto che sperimenterai quando il tuo sposo morirà.

Quando è iniziata la mia vita da vedova però, mi sono accorta che questa certezza della risurrezione era condivisa da poche persone. Ricordo che, prima di aprire la pagina Facebook (e la sua gemella Instagram) “Con cuore di vedova”, sfogliavo altre pagine Facebook dedicate a chi aveva perso un proprio caro. Alcune avevano tantissimi follower e un sacco di commenti ai post, ma erano tutte improntate soltanto al ricordo del “caro estinto”. Mancava ogni riferimento alla risurrezione che, invece, per me è la testata d’angolo su cui costruisco ogni giorno le mie giornate.

Da qui è nata l’esigenza di testimoniare l’esperienza di risurrezione che Dio ha portato nella mia vita: Dio è rimasto fedele al sacramento del matrimonio donandomi un amore che va oltre la morte. Con questo spirito ho aperto la pagina “Con cuore di vedova” che ad aprile 2024 compirà tre anni.

Tre anni in cui ho proposto post di vario genere – ma sempre improntati alla fede cristiana – indirizzati alle vedove che, come me, stanno portando ogni giorno questa pesante croce.

La vedovanza è un cammino pressoché sconosciuto alla gente perché, in genere, non se ne parla. Così questa pagina, col tempo, è diventata anche un momento di confronto con altre vedove per condividere “come si fa” a sopravvivere a un dolore che sconquassa da cima a fondo e che non passa mai. Come si può ricostruire la propria identità di donna, tornare a sorridere (è il tema della Quaresima 2024 che ho proposto nelle meditazioni settimanali) e crescere una famiglia da sole. Spero che abbia fatto del bene alle persone che l’hanno incrociata anche soltanto per un post.

È anche un’occasione di dare voce a chi non ha voce.

La perdita del proprio sposo è una realtà che, comunemente, non viene toccata in nessun ambito ecclesiale. A parte i rari (e bellissimi) discorsi dei papi alle vedove consacrate, a parte le catechesi dei sacerdoti in occasione della giornata dei defunti, a parte una discreta scelta di libri sul lutto (ma non su come si vive “il dopo”, da sole) direi che manca una realtà che accompagni con costanza chi porta quotidianamente la croce della vedovanza, specifica per loro. Queste pagine web “Con cuore di vedova” sono un modo di dare voce a una realtà che passa sotto silenzio.

Inoltre questa pagina è anche un modo di affrontare la vedovanza alla luce della Parola di Dio. Per me sarebbe impensabile farne a meno: è semplicemente fondamentale. Ed è bello leggere anche le testimonianze che offrono le sorelle di fede vedove: è davvero arricchente e stimolante. Benvengano queste testimonianze perché aprono la prospettiva sulle realtà celesti. Ancora adesso una delle cose che mi fa più soffrire è vedere quante persone, anche cattoliche, anche che vedo a messa, non siano sicure di dove sia l’anima del loro sposo defunto. C’è tanto da annunciare!

Infine un altro obiettivo di questo “servizio” è diffondere gli interventi della chiesa, dei papi, del magistero, dei padri della chiesa, dei laici sul tema della vedovanza, sperando che lettrici e lettori ne possano trarre beneficio, insegnamento, riflessione. Io stessa scrivo le riflessioni che mi suscita la preghiera, o le poesie che mi nascono da dentro. Ci tengo a precisare che ogni cosa che scrivo nasce dalla preghiera.

Vorrei concludere con uno dei discorsi più belli alle vedove, fatto da Papa Pio XII nel 1957. È un po’ la Magna Charta di tutti i documenti successivi:

 “La morte, anziché distruggere i legami di amore umano e soprannaturale contratti con il matrimonio, può perfezionarli e rafforzarli. È fuori dubbio che sul piano puramente giuridico e su quello delle realtà sensibili, l’istituto matrimoniale non esiste più. Ma sussiste tuttora ciò che ne costituiva l’anima, ciò che le conferiva vigore e bellezza, cioè l’amore coniugale con tutto il suo splendore ed i suoi voti di eternità. [.. .] Se il sacramento del matrimonio, simbolo dell’amore redentore di Cristo e della sua Chiesa, trasferisce agli sposi la realtà di questo amore[..], ne consegue che la vedovanza diventa, in qualche modo, il compimento di questa mutua consacrazione[..]. Ecco la grandezza della vedovanza quando è vissuta come prolungamento delle grazie del matrimonio e come preparazione del loro dischiudersi nella luce di Dio!

Vi ringrazio di avermi dedicato questo spazio e di aver consentito di aprire una finestra sul mondo della vedovanza.

Elisabetta Modena vive e lavora in provincia di Verona, ed è scrittrice di narrativa e poesia (pubblica sia con il suo nome, che con lo pseudonimo Judith Sparkle)

Intervista su Tv 2000

Su Aleteia sono apparsi due suoi articoli: 1 2

Ariticolo su Punto Famiglia

Una sua testimonianza è stata raccolta e pubblicata da Cecilia Galatolo nel libro “Vivere il lutto insieme a Dio” per l’editore Mimep docete.

Ha dedicato un libro di poesie a suo marito, con illustrazioni della figlia, dal titolo: “Come un campo di girasoli” (Amazon).

Vivere il lutto insieme a Dio: la storia di una vedova

La morte genera un dolore assordante, soprattutto se a lasciarci è una persona che abbiamo tanto amato. E quando a lasciarci è la persona con cui si è diventati realmente una sola carne?

Anche se crediamo nella Resurrezione, il vuoto resta: è proprio la mancanza che sentiamo a ricordarci quanto bene abbiamo ricevuto. Eppure, da quel pianto, possono nascere fiori bellissimi.

Mi ha raccontato qualcosa di simile una vedova, Elisabetta, che ho avuto il dono di conoscere – seppure solo virtualmente, ancora – perché aveva letto un mio romanzo. Mi ha scritto, mi ha raccontato un po’ di sé, mi ha toccato il cuore.

Aveva perso il marito a causa di un tumore al cervello e in quella prova si è sentita stretta così forte da Dio che un peso opprimente, insopportabile, è diventato sostenibile. Non solo, ha dato frutti di vita. Elisabetta attualmente gestisce una pagina sui social dal titolo Con cuore di vedova, per condividere la sua esperienza e aiutare altri vedovi e vedove a vivere quella particolare condizione.

Ciò che scrive è di ispirazione per tanti e a colpire è la sua fede incrollabile in un Dio che l’ha sostenuta sia nel tempo della malattia del coniuge, sia dopo averlo dovuto salutare.

Non nasconde le lacrime versate e la fatica che ha vissuto: “La morte di Francesco è stata una prova difficilissima da affrontare perché il nostro matrimonio cristiano era davvero come una centrale atomica d’amore. La morte, purtroppo, ne ha intaccato il reattore”.

Sa bene che “perdere il proprio coniuge fa cessare il vincolo coniugale (almeno “sulla carta”, poi quel che accade nei cuori è tutto un altro paio di maniche) e chi resta da solo deve affrontare una grande crisi d’identità perché si ritrova da solo, senza l’altro della relazione, che fino a un attimo prima era il pilastro sul quale aveva costruito la famiglia”.

Dio, però, non l’ha abbandonata, anzi, riconosce che le ha dato “la grazia di accogliere la malattia di Francesco”. Non l’avrebbe mai voluta né immaginata, ma “una volta diagnosticata ho ricevuto dall’alto la forza di andare avanti. L’ho semplicemente accettata come avrebbe fatto Maria”. E aggiunge: “Dio mi ha dato tanto negli anni e ora sto imparando a restituire”.

Se le si chiede: “Dio è buono?”, lei risponde prontamente di sì. “Non ho mai dubitato della bontà di Dio e so che è una grazia. Nel mio animo Dio risuona come il Dio della vita, della speranza. Dio non è Dio dei morti, ma dei viventi: perché tutti vivono per lui.” (Lc 20, 40).

Riconosce che questa fede non è “merito” suo, non è il frutto di uno sforzo, ma un “dono”.

Se le si chiede come sopravvivere alla morte del coniuge, lei spiega che quel passaggio è senza dubbio uno “spartiacque”: sia che arrivi presto, a metà della vita coniugale (come nel suo caso) o avanti negli anni, segna sempre una frattura. C’è un prima e un dopo. E qualcosa si rompe dentro.

Fa notare: “Gli studi psicologici sulla vedovanza affermano che questa è la prima causa di stress in assoluto. Restare vedove è un trauma enorme che può durare anche a lungo nel tempo, dipende da diversi fattori: se la morte è stata improvvisa o no, da come ognuna elabora il lutto e dalle risorse che si hanno a disposizione”.

Proprio sapendo quale immensa prova possa essere la vedovanza per tante altre persone, ha deciso di creare la sua pagina “Con cuore di vedova” e ciò che ha capito, dialogando con altri coniugi rimasti soli, è che c’è Qualcuno che di gran lunga può fare la differenza in questa condizione ed è, per l’appunto, Gesù.

È Lui che dà la forza per andare avanti, – testimonia – che dà la consolazione e la speranza di ritrovare i nostri cari in Paradiso. L’attesa è faticosa, ma in certi momenti ha un che di gioioso come quando si aspetta qualcosa di importante e ci si prepara nell’attesa”.

Al tempo stesso, mentre attende di abbracciare di nuovo colui che ha amato in vita, lei già ha una forte esperienza di comunione con il coniuge che è in Cielo: “La comunione con il proprio sposo prosegue oltre la morte, su questo non ho dubbi.” Anche se, a livello “canonico” si interrompe il vincolo nuziale e ci si può risposare lei continua a sentirsi legata al marito: “Continuo ad amarlo e sono certa che anche lui, da lassù, fa altrettanto”. È convinta inoltre che le anime “si parlino anche a distanze enormi”.

Elisabetta è consapevole che alle vedove è affidato un compito, che hanno una vocazione chiara e spiega: “Noi vedove diventiamo esperte di relazioni a distanza, veramente si apre un mondo nuovo sconosciuto alla maggior parte delle persone e persino alla predicazione della Chiesa, oserei dire. Mi sono resa conto, infatti, che le vedove cristiane serbano nel loro cuore un’enorme ricchezza in termini di fede nella risurrezione, di carità, di spirito di preghiera”.

Tuttavia, ciò di cui oggi davvero non può fare a meno è la preghiera assidua, la lettura della Parola, di ricevere la comunione: “il momento più intimo e fondante di questa comunione con il proprio sposo resta l’Eucarestia. Lì si tocca con mano il cielo sulla terra e sempre lì, quando il sacerdote eleva l’Ostia Santa, gli angeli fanno festa e le anime sante dei nostri cari vedono il volto splendente di Gesù. È il mistero della comunione dei santi che ognuno di noi può sperimentare quotidianamente nella preghiera”.

Per leggere la storia di Elisabetta nella versione integrale, accanto ad altre testimonianze di lutto vissuto nel Signore, ecco il libro: Vivere il lutto insieme a Dio per ritrovare la pace. Dieci storie vere (Cecilia Galatolo, Mimep Docete).

Cecilia Galatolo

 

Una foto triste ma bellissima

Tanti giornali e siti di informazione hanno ripreso una foto diventata virale. Una foto all’apparenza soltanto molto triste. Una foto colma di solitudine e sofferenza. Un signore anziano, ripreso di spalle, siede sul bordo di un parapetto. Davanti a lui l’infinito del mare. Con il braccio destro sembra voler abbracciare una cornice. Nella cornice è contenuta la fotografia della moglie. Non guarda il mare. E’ chino su se stesso. Come a volersi concentrare solo sui suoi pensieri. La moglie è morta. Probabilmente era loro abitudine andare al mare insieme. Ora che non c’è più lui è ancora lì, ma non se la sente di rivedere quei luoghi, quei panorami e quel mare che apre al’infinito da solo senza di lei che dava valore, colore e bellezza ad ogni cosa. Ora non è più capace di vedere il bello da solo. Piange. Anche quell’odore salmastro del mare gli ricorda lei. E’ chinato su di sè perchè lei è parte di lui, lei è dentro di lui. In lui è ancora viva. La può trovare nel suo cuore. La ritrova in mille ricordi, in mille gesti, in mille sguardi, in mille abbracci. La ritrova nei loro momenti di gioia e di dolore. La ritrova, ma non riesce più a toccarla. E questo è straziante. Non riesce più a sentirla. Lei c’è, ma non c’è. Il matrimonio è il sacramento del corpo, della concretezza. Non basta la presenza nel cuore. Serve la concretezza della carne. Servono gli sguardi, la compagnia, la presenza, gli abbracci, le parole e anche i litigi. Ha il cuore a pezzi e sente il bisogno di qualcosa di concreto che possa esprimere ciò che è vivo e presente nel suo cuore. Così si porta la fotografia. Quest’uomo sembra aver perso tutto. Per il mondo è così. Per noi cristiani non è così. Abbiamo la grazia di una prospettiva eterna. Questa immagine così triste attira e  affascina ogni persona. Accanto al sentimento di tristezza  provoca una sensazione di bellezza non ben definita.  Noi sappiamo dare ragione a tutto questo. Quest’uomo ha realizzato ciò che noi tutti abbiamo nel cuore. Un desiderio costitutivo di ciò che siamo, ma che spesso, disillusi, riteniamo impossibile. L’amore eterno. Una relazione unica, indissolubile, totale che vada oltre la morte. Non so nulla di lui. Non so se sia credente o meno. Non importa. E’ riuscito a realizzare la sua vocazione all’amore. E’ stato capace di amare una donna così tanto da farne parte di sè. Padre Bardelli diceva sempre a noi sposi: Il vostro matrimonio sarà santo e realizzato quando arriverete a dire non sono più io che vivo ma lei/lui che vive in me. Questo signore c’è riuscito. Nel suo immenso dolore c’è la vittoria di chi ha dato compimento all’unico e solo senso della vita: amare Dio con tutto il cuore, con tutto lo spirito e tutta la mente. Non che la moglie fosse Dio, ma nel matrimonio si impara ad amare l’altro come Dio desidera essere amato. Ci prepara ad accogliere l’amore e l’abbraccio eterno di Gesù per ognuno di noi.  Dico ogni tanto a mia moglie che spero di morire prima di lei. Non voglio fare l’esperienza di questo dolore, ma mi rendo conto che amare davvero significa mettere in conto anche questa sofferenza. Non so se toccherà a me o alla mia sposa, ma una cosa è certa l’amore che ci siamo donati non andrà perso e il nostro sarà solo un arrivederci. Ci ritroveremo nella gioia eterna e condivideremo l’amore infinito e perfetto di Cristo. Almeno spero che ci sia un posticino anche per noi.

Antonio e Luisa.