Ho trovato questa bella riflessione di padre Raniero Cantalamessa. Visto che si tratta di una catechesi molto lunga ho deciso di presentarla in tre momenti distinti.
Ecco il primo:
Dedico questa meditazione a una riflessione spirituale sulla Gaudium et spes, la costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo. Dei vari problemi della società trattati in questo testo conciliare –cultura, economia, giustizia sociale, pace –, il più attuale e problematico è quello relativo a matrimonio e famiglia. Ad esso la Chiesa ha dedicato gli ultimi due sinodi dei vescovi. La maggioranza di noi qui presenti non vive direttamente questo stato di vita, ma tutti dobbiamo conoscerne i problemi, per capire e aiutare la stragrande maggioranza del popolo di Dio che vive nel matrimonio, oggi specialmente che esso è al centro di attacchi e minacce da tutte le parti.
La Gaudium et spes tratta a lungo della famiglia all’inizio della Seconda Parte (nrr. 46-53). Non è il caso di citare le sue affermazioni, perché non è che la dottrina cattolica tradizionale che tutti conosciamo, a parte il rilievo nuovo dato al mutuo amore tra i coniugi, riconosciuto ormai apertamente come un bene, anch’esso primario, del matrimonio, accanto alla procreazione.
A proposito di matrimonio e famiglia, la Gaudium et spes, secondo il suo ben noto procedimento, mette in luce anzitutto le conquiste positive del mondo moderno (“le gioie e le speranze”), e in secondo luogo i problemi e i pericoli (“le tristezze e le angosce”). Io mi propongo di seguire lo stesso metodo, tenendo conto però dei cambiamenti drammatici avvenuti, in questo campo, nel mezzo secolo trascorso da allora. Richiamerò velocemente il progetto di Dio su matrimonio e famiglia, perché è sempre da esso che noi credenti dobbiamo partire, per poi vedere cosa la rivelazione biblica può apportare alla soluzione dei problemi attuali. Mi astengo volutamente dal toccare alcuni problemi particolari discussi nel sinodo dei vescovi, sui quali solo il papa ha ormai il diritto di dire ancora una parola.1. Matrimonio e famiglia nel progetto divino e nel Vangelo di Cristo
Il libro della Genesi ha due racconti distinti della creazione della prima coppia umana, risalenti a due tradizioni diverse: quella jahwista (X sec a.C.) e quella più recente (VI sec. a.C.) detta “sacerdotale”. Nella tradizione sacerdotale (Gen 1, 26-28) l’uomo e la donna sono creati simultaneamente, non uno dall’altro; si pone in rapporto l’essere maschio e femmina con l’essere a immagine di Dio: “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò”. Il fine primario dell’unione tra l’uomo e la donna è visto nell’essere fecondi e riempire la terra.
Nella tradizione jahwista che è la più antica (Gen 2, 18-25), la donna è tratta dall’uomo; la creazione dei due sessi è vista come rimedio alla solitudine (“Non è bene che l’uomo sia solo; gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”); più che il fattore procreativo, si accentua il fattore unitivo (“l’uomo si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne”); ognuno è libero di fronte alla propria sessualità e a quella dell’altro: “Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna”.
La spiegazione più convincente del perché di questa “invenzione” divina della distinzione dei sessi l’ho trovata non in un esegeta, ma in un poeta, Paul Claudel:
“L’uomo è un essere orgoglioso non c’era altro modo di fargli comprendere il prossimo che quello di farglielo entrare nella carne; non c’era altro mezzo per fargli capire la dipendenza, la necessità e il bisogno se non mediante la legge su di lui di questo essere differente [la donna], dovuta al semplice fatto che esso esiste” .
Aprirsi all’altro sesso è il primo passo per aprirsi all’altro che è il prossimo, fino all’Altro con la lettera maiuscola che è Dio. Il matrimonio nasce nel segno dell’umiltà; è riconoscimento di dipendenza e quindi della propria condizione di creatura. Innamorarsi di una donna o di un uomo è fare il più radicale atto di umiltà. È un farsi mendicante e dire all’altro: “Io non basto a me stesso, ho bisogno del tuo essere”. Se, come pensava Schleiermacher, l’essenza della religione consiste nel “sentimento di dipendenza” (Abhaengigheitsgefühl) di fronte a Dio, allora, possiamo dire che la sessualità umana è la prima scuola di religione.
Fin qui il progetto di Dio. Non si spiega però il seguito della Bibbia se, insieme con il racconto della creazione, non si tiene conto anche di quello della caduta, soprattutto di quello che viene detto alla donna: “Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà” (Gen 3,16). Il predominio dell’uomo sulla donna fa parte del peccato dell’uomo, non del progetto di Dio; con quelle parole, Dio lo preannuncia, non lo approva.
La Bibbia è un libro divino – umano non solo perché ha per autori Dio e l’uomo, ma anche perché descrive, frammiste insieme, la fedeltà di Dio e l’infedeltà dell’uomo. Questo appare particolarmente evidente quando si confronta il progetto di Dio sul matrimonio e la famiglia con la sua attuazione pratica nella storia del popolo eletto. Per rimanere nel libro della Genesi, già il figlio di Caino Lamech viola la legge della monogamia prendendo due mogli. Noè con la sua famiglia appare un’eccezione in mezzo alla generale corruzione del suo tempo. Gli stessi patriarchi Abramo e Giacobbe hanno figli da più donne. Mosè sancisce la pratica del divorzio; David e Salomone mantengono un vero harem di donne.
Più che nelle singole trasgressioni pratiche, il distacco dall’ideale iniziale è visibile nella concezione di fondo che si ha del matrimonio in Israele. L’oscuramento principale riguarda due punti cardini. Il primo è che il matrimonio, da fine, diventa mezzo. L’Antico Testamento, nel suo insieme, considera il matrimonio come una struttura d’autorità di tipo patriarcale, destinata principalmente alla perpetuazione del clan. In questo senso vanno comprese le istituzioni del levirato (Dt 25, 5-10), del concubinaggio (Gen 16) e della poligamia provvisoria. L’ideale di una comunione di vita tra l’uomo e la donna, fondata su un rapporto personale e reciproco, non è dimenticata, ma passa in secondo ordine rispetto al bene della prole. Il secondo grave oscuramento riguarda la condizione della donna: da compagna dell’uomo, dotata di pari dignità, essa appare sempre più subordinata all’uomo e in funzione dell’uomo.Un ruolo importante, nel mantenere vivo il progetto iniziale di Dio sul matrimonio, lo svolsero i profeti, in particolare Osea, Isaia, Geremia e il Cantico dei cantici. Assumendo l’unione dell’uomo e della donna come simbolo dell’alleanza tra Dio e il suo popolo, di riflesso, essi rimettevano in primo piano i valori dell’amore mutuo, della fedeltà e dell’indissolubilità che caratterizzano l’atteggiamento di Dio verso Israele.
Gesú, venuto a “ricapitolare” la storia umana, attua questa ricapitolazione anche a proposito del matrimonio.
“Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: È lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo? Ed egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina (Gen 1, 27) e disse: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? (Gen 2, 24). Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt 19,3-6).
Gli avversari si muovono nell’ambito ristretto della casistica di scuola (se è lecito ripudiare la moglie per qualsiasi motivo, o se occorre un motivo specifico e serio), Gesú risponde riprendendo il problema alla radice, dall’inizio. Nella sua citazione, Gesú si riferisce a entrambi i racconti dell’istituzione del matrimonio, prende elementi dall’uno e dall’altro, ma di essi mette in luce, come si vede, soprattutto l’aspetto di comunione delle persone.
Quello che segue nel testo, sul problema del divorzio, va anch’esso in questa direzione; riafferma infatti la fedeltà e indissolubilità del vincolo matrimoniale al di sopra del bene stesso della prole, con il quale si erano giustificati in passato poligamia, levirato e divorzio:
“Gli obiettarono: Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e mandarla via? Rispose loro Gesù: Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un’altra commette adulterio” (Mt 19, 7-9).
Il testo parallelo di Marco mostra come, anche in caso di divorzio, uomo e donna si collocano, secondo Gesú, su un piano di assoluta parità: ”Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio” (Mc 10, 11-12).
Con le parole: “Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”, Gesú afferma che c’è un intervento diretto di Dio in ogni unione matrimoniale. L’elevazione del matrimonio a “sacramento”, cioè a segno di un azione di Dio, non riposa dunque soltanto sul debole argomento della presenza di Gesú alle nozze di Cana e sul testo di Efesini che parla del matrimonio come di un riflesso dell’unione tra Cristo e la Chiesa (cf. Ef 5, 32); comincia, implicitamente, con il Gesú terreno e fa parte anch’essa del suo riportare le cose all’inizio. Giovanni Paolo II definisce il matrimonio “il sacramento più antico” .
fonte: http://www.cantalamessa.org/
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