Sposi sacerdoti. La tua statura rassomiglia a una palma e i tuoi seni ai grappoli.

I tuoi seni come due cerbiatti,
gemelli di gazzella.
[5]Il tuo collo come una torre d’avorio;
i tuoi occhi sono come i laghetti di Chesbòn,
presso la porta di Bat-Rabbìm;
il tuo naso come la torre del Libano
che fa la guardia verso Damasco.
[6]Il tuo capo si erge su di te come il Carmelo
e la chioma del tuo capo è come la porpora;
un re è stato preso dalle tue trecce».
[7]Quanto sei bella e quanto sei graziosa,
o amore, figlia di delizie!
[8]La tua statura rassomiglia a una palma
e i tuoi seni ai grappoli.
[9]Ho detto: «Salirò sulla palma,
coglierò i grappoli di datteri;
mi siano i tuoi seni come grappoli d’uva
e il profumo del tuo respiro come di pomi»

Una descrizione fantastica. Una descrizione colma di Eros. Strano vero? Siamo abituati a pensare la Bibbia come qualcosa di spirituale. Dove la carne non c’entra nulla. Dove l’eros è un amore un po’ meno amore. Un amore abbassato dalla nostra carnalità. Abbassato dall’animale che c’è in noi. L’agape è l’amore degno di un uomo mentre l’eros è qualcosa di animalesco ed istintivo. Ho sentito con le mie orecchie un sacerdote molto seguito sul web dire che l’amplesso fisico è conseguenza del peccato originale. Che prima ci si univa spiritualmente per concepire figli. Verrebbe da chiedere a questo sacerdote se l’apparato riproduttivo è stato creato da Dio dopo il peccato o prima. Non scherziamo per carità! Non è così. L’eros è qualcosa di meraviglioso. Dio stesso ci ama anche in modo erotico. La Bibbia parla sì di spirito, ma quanta carne c’è! Gesù stesso ha amato nella carne , con i suoi sguardi, le sue carezze, il suo modo di parlare. Ci ha amato nella carne fino a dare il suo corpo e il suo sangue, fino a farsi mangiare dai suoi apostoli. Mi immagino il loro sbalordimento e disorientamento. Non avranno capito molto. Avranno sicuramente capito dopo la Pentecoste.    Bisogna capirsi però su cosa si intende per eros.

L’amore sponsale è quindi agape ed eros. C’è anche un terzo amore che è  la filia, l’amore di amicizia,  ma non complichiamoci le cose e limitiamoci a questi due. L’eros, l’amore che ci spinge ad aprirci, che ci spinge all’incontro con un’alterità diversa e complementare. L’eros, forza impetuosa che se non è controllata rischia di sfondare gli argini e di esondare oltre il nostro controllo facendoci commettere errori e sopraffazioni. L’agape è invece amore di donazione e di servizio. Agape è l’amore considerato più nobile perchè più difficile. Agape che significa sacrificio. L’eros fatto di corporeità, di carne e di sensazioni. L’agape fatto di spirito, di volontà e di dedizione. L’eros che infiamma e l’agape che disseta.  L’eros, l’amore a forma di cuore  e l’agape che invece ha la forma di una croce. L’amore non è nè solo uno nè solo l’altro, ma è l’unione di queste due incompletezze. L’eros senza agape diventa egoismo e l’agape senza eros diventa come una fiamma che non scalda, qualcosa di freddo che non trasmette amore. Entrambi sono necessari perchè la nostra unione matrimoniale diventi una dimora accogliente che possa ospitare Gesù. Padre Raniero Cantalamessa usa un’immagine molto bella per spiegare come l’amore sponsale sia contemporaneamente agape ed eros:

L’amore vero e integrale è una perla racchiusa dentro due valve che sono l’eros e l’agape. Non si possono separare queste due dimensioni dell’amore senza distruggerlo. Come non si possono separare tra loro idrogeno e ossigeno senza privarsi con ciò della stessa acqua.

Uomo e donna sono diversi anche in questo. L’uomo custode dell’eros e la donna custode dell’agape. L’uomo se sarà soddisfatto nel suo desiderio di amore erotico sarà capace di donarsi alla sposa con gesti di servizio, di cura, di dedizione e di tenerezza. La donna, al contrario, solo se sarà fatta centro di gesti di servizio, di cura, di dedizione e di attenzione , sentirà il desiderio di accogliere nell’abbraccio dell’amplesso il suo sposo.

Tutto diventa un intreccio di eros e agape che generano un circolo virtuoso trasformando il matrimonio in qualcosa di meraviglioso da scoprire e perfezionare ogni giorno.

1 Introduzione 2 Popolo sacerdotale 3 Gesù ci sposa sulla croce 4 Un’offerta d’amore 5 Nasce una piccola chiesa 6 Una meraviglia da ritrovare 7 Amplesso gesto sacerdotale 8 Sacrificio o sacrilegio 9 L’eucarestia nutre il matrimonio 10 Dio è nella coppia11 Materialismo o spiritualismo 12 Amplesso fonte e culmine 13 Armonia tra anima e corpo 15 L’amore sponsale segno di quello divino 16 L’unione intima degli sposi cantata nella Bibbia 17 Un libro da comprendere in profondità 18 I protagonisti del Cantico siamo noi 19 Cantico dei Cantici che è di Salomone 20 Sposi sacerdoti un profumo che ti entra dentro.21 Ricorderemo le tue tenerezze più del vino.22 Bruna sono ma bella 23 Perchè io non sia come una vagabonda 24 Bellissima tra le donne 25 Belle sono le tue guance tra i pendenti 26 Il mio nardo spande il suo profumo 27 L’amato mio è per me un sacchetto di mirra 28 Di cipresso il nostro soffitto 29 Il suo vessillo su di me è amore 30 Sono malata d’amore 31 Siate amabili 32 Siate amabili (seconda parte) 33 I frutti dell’amabilità34 Abbracciami con il tuo sguardo 35 L’amore si nutre nel rispetto. 36 L’inverno è passato 37 Uno sguardo infinito 38 Le piccole volpi che infestano il nostro amore. 39 Il mio diletto è per me. 40 Voglio cercare l’amato del mio cuore 41 Cos’è che sale dal deserto 42 Ecco, la lettiga di Salomone 43 I tuoi seni sono come due cerbiatti 44 Vieni con me dal Libano 45 Un giardino da curare 46 L’eros è un amore tenero 47 La tenerezza è amare come Dio ci ama 48 Mi hai rapito il cuore con un tuo sguardo 49 Fammi sentire la tua voce. Perchè la tua voce è soave 50 Mi baci con i baci della sua bocca 51 Quanti sono soavi le mie carezze sorella mia, sposa 52 Venga il mio diletto nel suo giardino e ne mangi i frutti squisiti 53 Le carezze dell’anima 54 Un rumore! E’ il mio diletto che bussa. 55 Il mio diletto ha messo la mano nello spiraglio  56 Io venni meno per la sua scomparsa 57 Mi han tolto il mantello 58 Che ha il tuo diletto di diverso da un altro? 59 Il matrimonio non è un armadio 60 Dolcezza è il suo palato  61 Uccidete il sogno 62 Bella come la luna 63 Sui carri di Ammi-nadìb 64 Vogliamo ammirarti 65 Non mendicanti, ma re e regine 66 Carne della mia carne

La ricetta dell’amore. Terza parte.

Oggi termino la trilogia di riflessioni (cliccate qui per le precedenti 1 2). Come tenere viva la passione, come non permettere che la pianta del desiderio che ci porta l’uno nelle braccia dell’altro possa seccare e morire? Mancano gli ultimi due ingredienti: la tenerezza e il tempo che deve essere adeguato e ricercato.

Tenerezza

La tenerezza è descritta benissimo in Amoris Laetitia come vocazione all’amore sentito, espresso nel linguaggio delle carezze, fino a fare della relazione intima una celebrazione in atto del sacramento delle nozze. Solo la tenerezza è in grado di canalizzare le pulsioni fisiche e la stessa sensibilità affettiva in un quadro di scambio relazionale, connotato da altruismo, premura e attenzione al partner e alla sua bellezza, fino a condurre a desiderare il desiderio dell’altro

(padre Raniero Cantalamessa) .

Detto in parole più semplici la tenerezza è autentica, ed è operante, quando i due sposi sono riusciti a superare l’egoismo e sono riusciti ad aprirsi all’altro. Tenerezza è un linguaggio globale che gli sposi imparano a parlare quando desiderano sinceramente il bene dell’altro. La tenerezza è un atteggiamento che esprime il desiderio di accogliere l’altro. In un certo senso è complementare e inverso rispetto all’amabilità, che abbiamo già visto nei precedenti articoli. L’amabilità è ciò che ci consente di renderci desiderabili, esprime la nostra volontà di essere accolti dall’amata/o. La tenerezza è ciò che ci rende accoglienti verso l’altro, che le/gli fa capire che è preziosa/o ed importante e che desideriamo accoglierla/o. Molti sposi smettono di parlare questo linguaggio, credendo che sia roba da ragazzini. Non è così. La tenerezza è il linguaggio principale dell’amore. Chi non sa essere tenero non sa amare, o meglio, non è capace di manifestare e trasmettere il suo amore. Gesù era profondamente tenero. Il Vangelo è molto chiaro su questo. Altri uomini confondono la tenerezza con il tenerume. Un comportamento falso che non nasce dal cuore, ma dall’egoismo. Nasce dalla pulsione sessuale, dall’istinto che li porta a ricercare l’appagamento fisico e sessuale e non l’incontro amoroso con la sposa. La sessualità coniugale attinge il suo più alto contenuto quando è segno di tenerezza e aiuta a crescere nella tenerezza; in caso contrario, finisce per essere svuotata del suo contenuto e smarrisce il suo significato unitivo specifico con la conseguenza che diventa facile vittima della noia, dell’abitudine e dell’insoddisfazione reciproca.

Tempo

E’ importante considerare l’incontro intimo come qualcosa di importante. Che posto ha questa dimensione? Ci impegniamo per trovare il tempo necessario e di qualità per questa espressione del nostro amore e della nostra unità? Oppure lo releghiamo ai momenti liberi, che visto la nostra vita folle e pieni di impegni, si riducono alla sera tardi, quando, diciamolo senza giri di parole, la voglia di abbracciare il cuscino è più forte del desiderio di abbracciare l’amato/a. Come può una sessualità vissuta così non andare incontro a sofferenza se non addirittura morire nel nostro rapporto a lungo andare? Se muore l’unione fisica spesso e segno e preludio alla morte dell’unione affettiva e relazionale. Non è cosa da poco. Per questo è importante fare di nostra moglie e nostro marito i nostri amanti. E’ importante trovare il momento giusto per gustare la nostra intimità e crescere in amore e unità.E’ importante prendere dei permessi al lavoro, portare i figli dai nonni qualche volta, lasciarli ad una baby sitter, ritrovarsi alla pausa pranzo. Ogni coppia può trovare il suo modo, ma è importante trovarlo. Non dite che non avete nessun modo di farlo! Trovate tempo per andare a parlare con gli insegnanti, per andare in palestra, per attardarvi sul posto di lavoro. Questo non è meno importante. Forse lo ritenete voi meno importante. Siate sinceri. Almeno con voi stessi. Non è possibile che investiamo su tante cose per la nostra famiglia, ma trascuriamo questa che è una delle più importanti. La soluzione non è difficile, Fatevi amanti l’uno dell’altra e tutto sarà meraviglioso. Non serve cercare fuori del matrimonio quello che è una delle realtà più belle del vostro matrimonio.

Credo di avervi scritto una ricetta che in fondo al vostro cuore conoscete bene. Non servivo io per insegnarvela. Forse questo articolo può darvi lo spunto e il desiderio di metterla in pratica. Non aspettate. Ne va della vostra felicità.

Antonio e Luisa

Quella gioia contagiosa…

Per essere santi non è necessario essere vescovi, sacerdoti, religiose o religiosi. Molte volte abbiamo la tentazione di pensare che la santità sia riservata a coloro che hanno la possibilità di mantenere le distanze dalle occupazioni ordinarie, per dedicare molto tempo alla preghiera. Non è così. Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova. Sei una consacrata o un consacrato? Sii santo vivendo con gioia la tua donazione. Sei sposato? Sii santo amando e prendendoti cura di tuo marito o di tua moglie, come Cristo ha fatto con la Chiesa. Sei un lavoratore? Sii santo compiendo con onestà e competenza il tuo lavoro al servizio dei fratelli. Sei genitore o nonna o nonno? Sii santo insegnando con pazienza ai bambini a seguire Gesù. Hai autorità? Sii santo lottando a favore del bene comune e rinunciando ai tuoi interessi personali.[GAUDETE ET EXSULTATE]

La sede della Santità sta nella gioia perché questa è la certezza di una pienezza!

Esiste però un passaggio, anzi un tempo, perché si compia un viaggio che passa da questa terra alla meta di tutti: il cielo!!

La meraviglia di questo tempo è il come viverlo, anzi il come rispondere alla chiamata a cui siamo stati convocati.

I coniugi Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi hanno lasciato, in eredità, a noi, questa risposta alla chiamata ricevuta e lo hanno fatto nella loro vita ordinaria, in una famiglia con quattro figli.

Sei sposato?

L’ESORTAZIONE APOSTOLICA

GAUDETE ET EXSULTATE DEL SANTO PADRE FRANCESCO SULLA CHIAMATA ALLA SANTITÀ NEL MONDO CONTEMPORANEO

dice che la tua Santità dipenderà dall’amore verso il tuo coniuge che dovrà essere il medesimo con cui Cristo ha amato la Chiesa.

I Beati Luigi e Maria sono stati la prima coppia portata agli onori degli altari da S. Giovanni Paolo II, come coniugi e non come singoli. La loro Santità è quella dell’ordinario, della vita di tutti i giorni.

Che grande novità il fatto che attraverso il Sacramento del Matrimonio una coppia diventa Santa in quanto Coppia!

Proprio per questo, come ogni anno, l’Associazione A.Mar.Lui, legata alla spiritualità dei Beati Maria e Luigi festeggia con un convegno nazionale che nella norma si vive il 25 novembre.

Si è scelta questa data perché nel 1905 fu celebrato il loro matrimonio nella Basilica Papale di Santa Maria Maggiore.

Quest’anno invece l’ottavo convegno sara il 13 ottobre 2018 con la presenza straordinaria di PADRE RANIERO CANTALAMESSA che spezzerà per noi le sue bellissime parole sulla Gioia così contagiosa da far di tutti noi un popolo in cammino verso la Gerusalemme Celeste. L’evento si svolgerà nella diocesi di Perugia in comunione con la diocesi di Pescara-Penne.

L’Associazione fu fondata appunto a Pescara ma sono nate tante sezioni della stessa, in tutta Italia e nel mondo, e questo permette di poter realizzare questi eventi in vari luoghi realizzando quella chiesa in uscita tanto desiderata dal Santo Padre .

I presidenti dell’Associazione nazionale, i coniugi Giulia Paola e Attilio Danese, con la loro sapienza spirituale ci diranno che: “NON C’È CHE UNA SOLA TRISTEZZA, QUELLA DI NON ESSERE SANTI”.

 

Ci saranno testimonianze, momenti di preghiera e l’insegnamento prezioso di P. Cantalamessa.

Con questo spirito e con la gioia del cuore condividiamo questo appuntamento per il quale auspichiamo una numerosissima partecipazione.

 

Cristina e Giorgio Epicoco (Responsabili A.mar.lui sezione di Perugia)

locandina

Passione o amore?

Passione è spesso associata ad amore. La passione è quasi più forte dell’amore. La passione è amore all’ennesima potenza. La passione è l’amore dei fidanzati e degli amanti. L’amore è più roba da sposati. E’ qualcosa che ha perso la sua forza dirompente e si trascina negli anni e nell’abitudine. Il matrimonio è la tomba dell’amore. Si intende naturalmente l’amore passionale. Quanti credono che questo luogo comune sia vero? Troppi, probabilmente. Vediamo di fare un po’ d’ordine. Passione ed amore non possono essere scissi. Sono due facce della stessa medaglia o, come scrive padre Raniero Cantalemessa, due valve della stessa conchiglia, che custodisce la perla più preziosa della nostra vita: la nostra somiglianza con Dio che è amore nella relazione. L’eros, la passione, necessita dell’agape, dell’amore di donazione e di volontà, per essere indirizzato al bene, all’incontro e al dono di sè. A sua volta, l’agape necessità dell’eros per non essere semplicemente un sacrificio, ma una realtà che possa soddisfare e farci pregustare sulla terra un anticipo di cielo, di paradiso. Una delle immagini che più possono raccontarci il paradiso su questa terra penso sia proprio l’abbraccio d’amore tra uno sposo e una sposa. Seppur solo per un momento, si avverte la consapevolezza di avere tutto, che tutto il senso è in quell’abbraccio, tutto ciò che non ne fa parte è superfluo, non serve. Non a caso il paradiso è descritto come un abbraccio tra lo sposo Gesù e la sua sposa la Chiesa, cioè ognuno di noi. Concludendo vorrei testimoniare, prima che affermare, che passione ed amore non sono che due espressioni dello stesso amore. Non è vero che la passione con il tempo finisce per lasciare posto ad altro. Semplicemente nel matrimonio la passione può essere governata, educata e anche aspettata. Nel matrimonio la passione non è più quella forza misteriosa che ti spinge a destra e a sinistra quasi fossi una marionetta con dei fili invisibili. Nel matrimonio la passione è gestita e capita. Ogni gesto di tenerezza, di cura, di servizio, di ascolto, di vicinanza e di intimità che gli sposi si scambiano in modo gratuito e incondizionato diventa benzina che alimenta la passione e non permette che muoia. E’ molto bello e calzante una riflessione di Christiane Singer, la quale dice:

Il matrimonio nasce dalla pazienza che Dio ha nei riguardi dell’uomo: Io ti dono una vita per realizzare la tua opera. La passione invece nasce dalla sua impazienza: Come, stai ancora dormendo?

L’amore coniugale si costruisce; è opera di pazienza e di durata, di perseveranza e di lenta crescita. La passione, invece, sorge, colpisce e polverizza il tempo.

Capite il matrimonio che grandezza che racchiude? Permette di scoprire il segreto e il mistero della passione. Permette di far sì, che crescendo nell’amore di dono, anche la passione possa essere nutrita e governata e, che quindi, non scompaia mai, e anche se dovesse perdersi, sappiamo come recuperarla senza darci per finiti.

Antonio e Luisa

Ci si sposa per amore, ma ci salva la misericordia

Solo “la misericordia di Dio per gli uomini e degli uomini tra di loro può salvare la cosa più preziosa e più fragile che c’è, in questo momento, nel mondo, il matrimonio e la famiglia”. Ne è convinto padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa pontificia, che nella parte finale della predica della celebrazione della Passione del Signore, presieduta dal Papa nella basilica vaticana, ha spiegato che “avviene nel matrimonio qualcosa di simile a quello che è avvenuto nei rapporti tra Dio e l’umanità, che la Bibbia descrive, appunto, con l’immagine di uno sposalizio”, e cioè che “all’inizio di tutto c’è l’amore, non la misericordia. Questa interviene soltanto in seguito al peccato dell’uomo”. “Anche nel matrimonio, all’inizio non c’è la misericordia, ma l’amore”, l’analogia di Cantalamessa: “Non ci si sposa per misericordia, ma per amore. Ma dopo anni, o mesi, di vita insieme, emergono i limiti reciproci, i problemi di salute, di finanze, dei figli; interviene la routine che spegne ogni gioia”. “Quello che può salvare un matrimonio dallo scivolare in una china senza risalita – ha assicurato il religioso – è la misericordia, intesa nel senso pregnante della Bibbia, e cioè non solo come perdono reciproco, ma come un rivestirsi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine e di magnanimità”. “La misericordia fa sì che all’eros si aggiunga l’agape, all’amore di ricerca quello di donazione e di con-passione”, ha affermato Cantalamessa, che si è chiesto: “Dio si impietosisce dell’uomo: non dovrebbero marito e moglie impietosirsi l’uno dell’altro? E non dovremmo, noi che viviamo in comunità, impietosirci gli uni degli altri, anziché giudicarci?”.

(Raniero Cantalamessa)

Un ideale da riscoprire

Terzo appuntamento con la riflessione di padre Raniero Cantalamessa sul matrimonio (cliccate qui per la prima parte e qui per la seconda già pubblicate)

Non meno importante del compito di difendere l’ideale biblico del matrimonio e della famiglia è il compito di riscoprirlo e viverlo in pienezza da parte dei cristiani, in modo da riproporlo al mondo con i fatti, più che con le parole. I primi cristiani, con i loro costumi, cambiarono le leggi dello stato sulla famiglia; noi non possiamo pensare di poter fare il contrario, e cioè cambiare i costumi della gente con le leggi dello stato, anche se come cittadini abbiamo il dovere di contribuire a che lo stato faccia leggi giuste.

Dopo Cristo, noi leggiamo giustamente il racconto della creazione dell’uomo e della donna alla luce della rivelazione della Trinità. In questa luce, la frase: “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” rivela finalmente il suo significato rimasto enigmatico e incerto prima di Cristo. Che rapporto ci può essere tra l’essere “a immagine di Dio” e l’essere “maschio e femmina”? Il Dio biblico non ha connotati sessuali, non è né maschio né femmina.
La somiglianza consiste in questo. Dio è amore e l’amore esige comunione, scambio interpersonale; richiede che ci siano un “io” e un “tu”. Non c’è amore che non sia amore di qualcuno; dove non c’è che un solo soggetto, non ci può essere amore, ma solo egoismo o narcisismo. Là dove Dio è concepito come Legge o come Potenza assoluta non c’è bisogno di una pluralità di persone (il potere si può esercitare anche da soli!). Il Dio rivelato da Gesú Cristo, essendo amore, è unico e solo, ma non è solitario; è uno e trino. In lui coesistono unità e distinzione: unità di natura, di volere, di intenti, e distinzione di caratteristiche e di persone.
Due persone che si amano – e quello dell’uomo e la donna nel matrimonio ne è il caso più forte – riproducono qualcosa di ciò che avviene nella Trinità. Lì due persone –il Padre e il Figlio – amandosi, producono (“spirano”) lo Spirito che è l’amore che li fonde. Qualcuno ha definito lo Spirito Santo il “Noi” divino, cioè non la “terza persona della Trinità”, ma la prima persona plurale . Proprio in questo, la coppia umana è immagine di Dio. Marito e moglie sono infatti una carne sola, un cuore solo, un’anima sola, pur nella diversità di sesso e di personalità. Nella coppia si riconciliano tra loro unità e diversità.
In questa luce si scopre il senso profondo del messaggio dei profeti circa il matrimonio umano: che cioè esso è simbolo e riflesso di un altro amore, quello di Dio per il suo popolo. Questo non significava sovraccaricare di un significato mistico una realtà puramente mondana. Non è fare solo del simbolismo; è piuttosto rivelare il vero volto e lo scopo ultimo della creazione dell’uomo maschio e femmina.
Qual è la causa della incompiutezza e dell’inappagamento che lascia l’unione sessuale, dentro e fuori del matrimonio? Perché questo slancio ricade sempre su se stesso e perché questa promessa di infinito e di eterno rimane sempre delusa? A questa frustrazione si cerca un rimedio che però non fa che accrescerla. Anziché cambiare la qualità dell’atto, se ne aumenta la quantità, passando da un partner all’altro. Si arriva così allo scempio del dono di Dio della sessualità, in atto nella cultura e nella società di oggi.
Vogliamo una buona volta, come cristiani, cercare una spiegazione a questa devastante disfunzione? La spiegazione è che l’unione sessuale non è vissuta nel modo e con l’intenzione intesa da Dio. Questo scopo era che, attraverso questa estasi e fusione d’amore, l’uomo e la donna si elevassero al desiderio e avessero una certa pregustazione dell’amore infinito; si ricordassero da dove venivano e dove erano diretti.
Il peccato, a cominciare da quello dell’Adamo ed Eva biblici, ha attraversato questo progetto; ha “profanato” quel gesto, cioè lo ha spogliato della sua valenza religiosa. Ne ha fatto un gesto fine a se stesso, concluso in se stesso, e perciò “insoddisfacente”. Il simbolo è stato staccato dalla realtà simboleggiata, privato del suo dinamismo intrinseco e quindi mutilato. Mai come in questo caso si sperimenta la verità del detto di Agostino: “Tu ci hai fatti per te, o Dio, e il nostro cuore è insoddisfatto finché non riposa in te”. Noi infatti non siamo stati creati per vivere in un eterno rapporto di coppia, ma per vivere in un eterno rapporto con Dio, con l’Assoluto. Lo scopre perfino il Faust di Goethe, al termine del suo lungo vagare; ripensando al suo amore per Margherita, al termine del poema egli esclama: “Tutto ciò che passa è solo una parabola. Solo qui [in cielo] l’irraggiungibile diventa realtà” .
Nella testimonianza di alcune coppie che hanno fatto l’esperienza rinnovatrice dello Spirito Santo e vivono la vita cristiana carismaticamente si ritrova qualcosa del significato originale dell’atto coniugale. Non c’è da stupirsi che sia così. Il matrimonio è il sacramento del dono reciproco che gli sposi fanno di se stessi l’uno all’altro, e lo Spirito Santo è, nella Trinità, il “dono”, o meglio il “domarsi” reciproco del Padre e del Figlio, non un atto passeggero, ma uno stato permanente. Dove arriva lo Spirito Santo, nasce, o rinasce, la capacità di farsi dono. È così che opera la “grazia di stato” nel matrimonio.

4. Sposati e consacrati nella Chiesa
Anche se noi consacrati non viviamo la realtà del matrimonio, ho detto all’inizio, dobbiamo conoscerla per aiutare coloro che vivono in essa. Aggiungo ora un ulteriore motivo: abbiamo bisogno di conoscerla per essere, anche noi, aiutati da essi! Parlando di matrimonio e verginità l’Apostolo dice: “Ciascuno ha il proprio dono (chárisma) da Dio, chi in un modo chi in un altro” (1 Cor 7, 7); cioè: lo sposato ha il suo carisma e chi non si sposa “per il Signore” ha il suo carisma.
Il carisma — dice lo stesso Apostolo — è “una manifestazione particolare dello Spirito, per l’utilità comune” (1 Cor 12, 7). Applicato al rapporto tra sposati e consacrati nella Chiesa, questo significa che il celibato e la verginità sono anche per gli sposati e che il matrimonio è anche per i consacrati, cioè a loro vantaggio. Tale è l’intrinseca natura del carisma, apparentemente contraddittoria: qualcosa di “particolare” (“una manifestazione particolare dello Spirito”) che però serve a tutti (“per l’utilità comune”).
Nella comunità cristiana consacrati e sposati possono “edificarsi” a vicenda. Gli sposati sono richiamati, dai consacrati, al primato di Dio e di ciò che non passa; sono introdotti all’amore per la parola di Dio che essi possono meglio approfondire e “spezzare” ai laici. Ma anche i consacrati imparano qualcosa dagli sposati. Imparano la generosità, la dimenticanza di sé, il servizio alla vita e, spesso, una certa “umanità” che viene dal duro contatto con le realtà dell’esistenza.
Ne parlo per esperienza. Io appartengo a un ordine religioso dove, fino a qualche decennio fa, ci si alzava di notte per recitare l’ufficio del “Mattutino”, che durava circa un’ora. Poi ci fu la grande svolta nella vita religiosa, a seguito del Concilio. Sembrò che il ritmo della vita moderna – lo studio per i giovani e il ministero apostolico per i sacerdoti – non consentissero più quell’alzata notturna che interrompeva il sonno, e a poco a poco essa fu abbandonata, a parte qualche luogo di formazione.
Quando, più tardi, il Signore mi ha fatto conoscere da vicino, nel mio ministero, diverse giovani famiglie, ho scoperto una cosa che mi ha salutarmente scosso. Quei giovani papà e mamme dovevano alzarsi non una, ma due, tre o anche più volte per notte, per dare da mangiare, somministrare la medicina, cullare il bambino se piangeva, vegliarlo se aveva la febbre. E al mattino uno dei due, o tutti e due, alla stessa ora, di corsa al lavoro, dopo aver portato il bambino o la bambina dai nonni o all’asilo. C’era un cartellino da timbrare e questo sia con il buono che con il cattivo tempo, sia con la buona che con la cattiva salute.
Allora mi sono detto: se non corriamo ai ripari, siamo in un grave pericolo! Il nostro genere di vita, se non è sorretto da autentica osservanza della Regola e da un certo rigore di orario e di abitudini, rischia di diventare una vita all’acqua di rose e di portarci alla durezza del cuore. Quello che dei buoni genitori sono capaci di fare per i loro figli carnali; il grado di dimenticanza di sé a cui sono capaci di giungere per provvedere alla loro salute, ai loro studi e alla loro felicità, deve essere la misura di ciò che dovremmo fare noi per i figli o i fratelli spirituali. Ci è di esempio in ciò proprio l’apostolo Paolo che diceva di volere “prodigarsi, anzi consumarsi”, per i suoi figli di Corinto (cf 2 Cor 12, 15).
Che lo Spirito Santo, datore dei carismi, aiuti tutti noi, sposati e consacrati, a mettere in pratica l’esortazione dell’apostolo Pietro:
“Ciascuno viva secondo il dono ricevuto, mettendolo a servizio degli altri, come buoni amministratori della multiforme grazia di Dio […], perché in tutto sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen!” (1Pt 4, 10-11).

Cosa l’insegnamento biblico dice a noi oggi.

Proseguimo con la seconda parte della meditazione di padre Cantalamessa (la prima parte la trovate qui)

Questa, per sommi capi, la dottrina della Bibbia, ma non possiamo fermarci ad essa. “La Scrittura, diceva san Gregorio Magno, cresce con chi la legge” (cum legentibus crescit) ; rivela implicazioni nuove a mano a mano che le vengono poste domande nuove. E oggi di domande, o provocazioni, nuove su matrimonio e famiglia ce ne sono tante.

Ci troviamo di fronte a una contestazione apparentemente globale del progetto biblico su sessualità, matrimonio e famiglia. Come comportarsi di fronte a questo inquietante fenomeno? Il concilio ha inaugurato un metodo nuovo che è di dialogo, non di scontro con il mondo; un metodo che non esclude neppure l’autocritica. Dobbiamo, credo, applicare questo metodo anche nella discussione dei problemi del matrimonio e della famiglia. Applicare questo metodo di dialogo significa cercare di vedere se al fondo anche delle contestazioni più radicali non c’è una istanza positiva da accogliere.

La critica al modello tradizionale di matrimonio e di famiglia che ha portato alle odierne, inaccettabili, proposte del decostruzionismo, è iniziata con l’illuminismo e il romanticismo. Con intenti diversi, questi due movimenti si sono espressi contro il matrimonio tradizionale, in quanto visto esclusivamente nei suoi “fini” oggettivi: la prole, la società, la Chiesa, e troppo poco in se stesso, nel suo valore soggettivo e interpersonale. Tutto si richiedeva ai futuri sposi eccetto che si amassero e si scegliessero liberamente tra di loro. Anche oggi, in tante parti del mondo ci sono sposi che si conoscono e si vedono per la prima volta il giorno delle nozze. A tale modello, l’Illuminismo oppose il matrimonio come patto tra i coniugi e il Romanticismo il matrimonio come comunione d’amore tra gli sposi.

Ma questa critica va nel senso originario della Bibbia, non contro di essa! Il concilio Vaticano II ha recepito questa istanza quando, come dicevo, ha riconosciuto come bene ugualmente primario del matrimonio il mutuo amore e aiuto tra i coniugi. San Giovanni Paolo II, nella linea della Gaudium et spes, in una sua catechesi del Mercoledì, diceva:

”Il corpo umano, con il suo sesso, e la sua mascolinità e femminilità,…è non soltanto sorgente di fecondità e di procreazione, come in tutto l’ordine naturale, ma racchiude fin dal principio l’attributo sponsale, cioè di esprimere l’amore: quell’amore appunto nel quale l’uomo-persona diventa dono e, mediante questo dono, attua il senso stesso del suo essere ed esistere” .

Nella sua enciclica “Deus caritas est”, il papa Benedetto XVI è andato oltre, scrivendo cose profonde e nuove a proposito dell’eros nel matrimonio e negli stessi rapporti tra Dio e l’uomo. “Questo stretto nesso tra eros e matrimonio nella Bibbia quasi non trova paralleli –scriveva – nella letteratura, al di fuori di essa” . Uno dei torti più grandi che facciamo a Dio è di aver finito per fare di tutto ciò che riguarda l’amore e la sessualità un ambito saturo di malizia, dove Dio non deve entrare ed è di troppo. Come se satana, e non Dio, fosse il creatore dei sessi e lo specialista dell’amore.

Noi credenti – e anche tanti non credenti – siamo lontani dall’accettare le conseguenze che alcuni traggono oggi da queste premesse: per esempio che basti qualsiasi tipo di eros a costituire un matrimonio, compreso quello tra persone dello stesso sesso, ma questo rifiuto acquista un’altra forza e credibilità se unito al riconoscimento della bontà di fondo dell’istanza, e anche a una sana autocritica.

Non possiamo infatti tacere il contributo che i cristiani avevano dato al formarsi di quella visione puramente oggettivista del matrimonio contro la quale la cultura moderna occidentale si è scagliata con veemenza. L’autorità di Agostino, rinforzata su questo punto da Tommaso d’Aquino, aveva finito per gettare una luce negativa sull’unione carnale dei coniugi, considerata il tramite di trasmissione del peccato originale e non priva, essa stessa, di peccato “almeno veniale”. Secondo il dottore di Ippona, i coniugi dovevano venire all’atto coniugale “con dispiacere” (cum dolore) e solo perché non c’era altro modo di dare cittadini allo stato e membri alla Chiesa .

Un’altra istanza moderna che possiamo fare nostra è quella della pari dignità della donna nel matrimonio. Essa, abbiamo visto, è nel cuore stesso del progetto originario di Dio e del pensiero di Cristo, ma è stata spesso disattesa lungo i secoli. La parola di Dio a Eva: “Verso l’uomo sarà la tua brama ed egli ti dominerà”, ha avuto un tragico avveramento nella storia.

Nei rappresentanti della cosiddetta “Gender revolution”, rivoluzione dei generi, questa istanza ha portato a proposte folli, come quella di abolire la distinzione dei sessi e sostituirla con la più elastica e soggettiva distinzione dei “generi” (maschile, femminile, variabile), o quella di liberare la donna dalla “schiavitù della maternità” provvedendo in altri modi, inventati dall’uomo, alla nascita dei figli. In questi ultimi mesi è un rincorrersi di notizie di uomini che fra poco potranno diventare incinti e dare alla luce un figlio. “Adamo da alla luce Eva”, si scrive sorridendo, mentre ci si sarebbe da piangere. Gli antichi avrebbero definito tutto ciò con un termine: Hybris, arroganza dell’uomo nei confronti di Dio.

Proprio la scelta del dialogo e dell’autocritica ci da il diritto di denunciare questi progetti come “disumani”, contrari, cioè, non solo alla volontà di Dio, ma anche al bene dell’umanità. Tradotti in pratica su larga scala, essi porterebbero a guasti umani e sociali imprevedibili. L’unica nostra speranza è che il buon senso della gente, unito al “desiderio” naturale dell’altro sesso e all’istinto di maternità e di paternità che Dio ha inscritto nella natura umana, resistano a questi tentativi di sostituirsi a Dio, dettati più da tardivi sensi di colpa dell’uomo, che da genuino rispetto e amore per la donna.

Matrimonio e famiglia nel progetto divino e nel Vangelo di Cristo

Ho trovato questa bella riflessione di padre Raniero Cantalamessa. Visto che si tratta di una catechesi molto lunga ho deciso di presentarla in tre momenti distinti.

Ecco il primo:

Dedico questa meditazione a una riflessione spirituale sulla Gaudium et spes, la costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo. Dei vari problemi della società trattati in questo testo conciliare –cultura, economia, giustizia sociale, pace –, il più attuale e problematico è quello relativo a matrimonio e famiglia. Ad esso la Chiesa ha dedicato gli ultimi due sinodi dei vescovi. La maggioranza di noi qui presenti non vive direttamente questo stato di vita, ma tutti dobbiamo conoscerne i problemi, per capire e aiutare la stragrande maggioranza del popolo di Dio che vive nel matrimonio, oggi specialmente che esso è al centro di attacchi e minacce da tutte le parti.
La Gaudium et spes tratta a lungo della famiglia all’inizio della Seconda Parte (nrr. 46-53). Non è il caso di citare le sue affermazioni, perché non è che la dottrina cattolica tradizionale che tutti conosciamo, a parte il rilievo nuovo dato al mutuo amore tra i coniugi, riconosciuto ormai apertamente come un bene, anch’esso primario, del matrimonio, accanto alla procreazione.
A proposito di matrimonio e famiglia, la Gaudium et spes, secondo il suo ben noto procedimento, mette in luce anzitutto le conquiste positive del mondo moderno (“le gioie e le speranze”), e in secondo luogo i problemi e i pericoli (“le tristezze e le angosce”). Io mi propongo di seguire lo stesso metodo, tenendo conto però dei cambiamenti drammatici avvenuti, in questo campo, nel mezzo secolo trascorso da allora. Richiamerò velocemente il progetto di Dio su matrimonio e famiglia, perché è sempre da esso che noi credenti dobbiamo partire, per poi vedere cosa la rivelazione biblica può apportare alla soluzione dei problemi attuali. Mi astengo volutamente dal toccare alcuni problemi particolari discussi nel sinodo dei vescovi, sui quali solo il papa ha ormai il diritto di dire ancora una parola.

1. Matrimonio e famiglia nel progetto divino e nel Vangelo di Cristo

Il libro della Genesi ha due racconti distinti della creazione della prima coppia umana, risalenti a due tradizioni diverse: quella jahwista (X sec a.C.) e quella più recente (VI sec. a.C.) detta “sacerdotale”. Nella tradizione sacerdotale (Gen 1, 26-28) l’uomo e la donna sono creati simultaneamente, non uno dall’altro; si pone in rapporto l’essere maschio e femmina con l’essere a immagine di Dio: “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò”. Il fine primario dell’unione tra l’uomo e la donna è visto nell’essere fecondi e riempire la terra.

Nella tradizione jahwista che è la più antica (Gen 2, 18-25), la donna è tratta dall’uomo; la creazione dei due sessi è vista come rimedio alla solitudine (“Non è bene che l’uomo sia solo; gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”); più che il fattore procreativo, si accentua il fattore unitivo (“l’uomo si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne”); ognuno è libero di fronte alla propria sessualità e a quella dell’altro: “Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna”.
La spiegazione più convincente del perché di questa “invenzione” divina della distinzione dei sessi l’ho trovata non in un esegeta, ma in un poeta, Paul Claudel:
“L’uomo è un essere orgoglioso non c’era altro modo di fargli comprendere il prossimo che quello di farglielo entrare nella carne; non c’era altro mezzo per fargli capire la dipendenza, la necessità e il bisogno se non mediante la legge su di lui di questo essere differente [la donna], dovuta al semplice fatto che esso esiste” .
Aprirsi all’altro sesso è il primo passo per aprirsi all’altro che è il prossimo, fino all’Altro con la lettera maiuscola che è Dio. Il matrimonio nasce nel segno dell’umiltà; è riconoscimento di dipendenza e quindi della propria condizione di creatura. Innamorarsi di una donna o di un uomo è fare il più radicale atto di umiltà. È un farsi mendicante e dire all’altro: “Io non basto a me stesso, ho bisogno del tuo essere”. Se, come pensava Schleiermacher, l’essenza della religione consiste nel “sentimento di dipendenza” (Abhaengigheitsgefühl) di fronte a Dio, allora, possiamo dire che la sessualità umana è la prima scuola di religione.
Fin qui il progetto di Dio. Non si spiega però il seguito della Bibbia se, insieme con il racconto della creazione, non si tiene conto anche di quello della caduta, soprattutto di quello che viene detto alla donna: “Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà” (Gen 3,16). Il predominio dell’uomo sulla donna fa parte del peccato dell’uomo, non del progetto di Dio; con quelle parole, Dio lo preannuncia, non lo approva.
La Bibbia è un libro divino – umano non solo perché ha per autori Dio e l’uomo, ma anche perché descrive, frammiste insieme, la fedeltà di Dio e l’infedeltà dell’uomo. Questo appare particolarmente evidente quando si confronta il progetto di Dio sul matrimonio e la famiglia con la sua attuazione pratica nella storia del popolo eletto. Per rimanere nel libro della Genesi, già il figlio di Caino Lamech viola la legge della monogamia prendendo due mogli. Noè con la sua famiglia appare un’eccezione in mezzo alla generale corruzione del suo tempo. Gli stessi patriarchi Abramo e Giacobbe hanno figli da più donne. Mosè sancisce la pratica del divorzio; David e Salomone mantengono un vero harem di donne.
Più che nelle singole trasgressioni pratiche, il distacco dall’ideale iniziale è visibile nella concezione di fondo che si ha del matrimonio in Israele. L’oscuramento principale riguarda due punti cardini. Il primo è che il matrimonio, da fine, diventa mezzo. L’Antico Testamento, nel suo insieme, considera il matrimonio come una struttura d’autorità di tipo patriarcale, destinata principalmente alla perpetuazione del clan. In questo senso vanno comprese le istituzioni del levirato (Dt 25, 5-10), del concubinaggio (Gen 16) e della poligamia provvisoria. L’ideale di una comunione di vita tra l’uomo e la donna, fondata su un rapporto personale e reciproco, non è dimenticata, ma passa in secondo ordine rispetto al bene della prole. Il secondo grave oscuramento riguarda la condizione della donna: da compagna dell’uomo, dotata di pari dignità, essa appare sempre più subordinata all’uomo e in funzione dell’uomo.

Un ruolo importante, nel mantenere vivo il progetto iniziale di Dio sul matrimonio, lo svolsero i profeti, in particolare Osea, Isaia, Geremia e il Cantico dei cantici. Assumendo l’unione dell’uomo e della donna come simbolo dell’alleanza tra Dio e il suo popolo, di riflesso, essi rimettevano in primo piano i valori dell’amore mutuo, della fedeltà e dell’indissolubilità che caratterizzano l’atteggiamento di Dio verso Israele.

Gesú, venuto a “ricapitolare” la storia umana, attua questa ricapitolazione anche a proposito del matrimonio.

“Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: È lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo? Ed egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina (Gen 1, 27) e disse: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? (Gen 2, 24). Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt 19,3-6).

Gli avversari si muovono nell’ambito ristretto della casistica di scuola (se è lecito ripudiare la moglie per qualsiasi motivo, o se occorre un motivo specifico e serio), Gesú risponde riprendendo il problema alla radice, dall’inizio. Nella sua citazione, Gesú si riferisce a entrambi i racconti dell’istituzione del matrimonio, prende elementi dall’uno e dall’altro, ma di essi mette in luce, come si vede, soprattutto l’aspetto di comunione delle persone.

Quello che segue nel testo, sul problema del divorzio, va anch’esso in questa direzione; riafferma infatti la fedeltà e indissolubilità del vincolo matrimoniale al di sopra del bene stesso della prole, con il quale si erano giustificati in passato poligamia, levirato e divorzio:

“Gli obiettarono: Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e mandarla via? Rispose loro Gesù: Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un’altra commette adulterio” (Mt 19, 7-9).

Il testo parallelo di Marco mostra come, anche in caso di divorzio, uomo e donna si collocano, secondo Gesú, su un piano di assoluta parità: ”Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio” (Mc 10, 11-12).

Con le parole: “Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”, Gesú afferma che c’è un intervento diretto di Dio in ogni unione matrimoniale. L’elevazione del matrimonio a “sacramento”, cioè a segno di un azione di Dio, non riposa dunque soltanto sul debole argomento della presenza di Gesú alle nozze di Cana e sul testo di Efesini che parla del matrimonio come di un riflesso dell’unione tra Cristo e la Chiesa (cf. Ef 5, 32); comincia, implicitamente, con il Gesú terreno e fa parte anch’essa del suo riportare le cose all’inizio. Giovanni Paolo II definisce il matrimonio “il sacramento più antico” .

fonte: http://www.cantalamessa.org/