Sposi: magi in cammino

Come consuetudine all’approssimarsi dell’Epifania condivido questo articolo. Per chi lo ha già letto è comunque un modo per fare memoria.

Il cammino dei magi può essere letto anche come una trasposizione della nostra vita matrimoniale, della nostra vocazione all’amore. Ripercorrendo il loro viaggio possiamo trovare la mappa del nostro.

 1) I magi come prima cosa decisero lo scopo del loro viaggio. Conoscevano bene la Parola di Dio  e fecero di quel viaggio lo scopo della loro vita. Volevano adorare il Re. “Siamo venuti per adorarlo” (Mt 2:2). I fidanzati fanno lo stesso. Sentono attrazione e simpatia vicendevole, ma non devono ridurre tutto solo alla sola emozione. Un cristiano non vive alla giornata senza progettare e programmare alla luce della fede in Dio e del progetto di Dio sulla sua vita. La relazione si deve leggere agli occhi della salvezza, nella sua dimensione escatologica, i fidanzati devono cercare in quella relazione il realizzarsi della loro vocazione. Vocazione che è la nostra personalissima modalità di risposta all’amore di Dio.

Non basta decidere di partire, 2) si deve preparare il viaggio.  I magi non erano persone stravaganti che così, ad un tratto, decidono di mettersi in viaggio senza sapere dove andare. Tutt’altro è il loro atteggiamento. Essi saggiamente, prima di partire, hanno fissato la meta che avrebbero dovuto raggiungere, preparando ogni cosa con cura e prendendo ogni informazione necessaria per poterla raggiungere. Il fidanzamento è la preparazione del viaggio. Serve a conoscersi e conoscere Dio insieme. Serve a parlare dei desideri, della propria idea di matrimonio, dei figli, delle aspirazioni personali. Questo è preparare il viaggio che sarà il nostro matrimonio. La nostra meta sarà trovare finalmente Gesù nella nostra unione e, alla fine, nell’abbraccio eterno con Lui.

I Magi sono partiti quando hanno avuto 3) una guida sicura per raggiungere la meta. Per raggiungere il Salvatore. Seguirono la stella con fiducia e costanza, fissando lo sguardo e facendone bussola del loro viaggio. Il matrimonio è un  sacramento della Chiesa cattolica. La nostra stella è lo Spirito Santo che scende nella nostra unione e ci plasma. La nostra stella è anche la Chiesa. Solo all’interno di essa saremo sicuri di non sbagliare strada. La Chiesa con il suo insegnamento, i suoi documenti, la sua tradizione e i suoi pastori ci aiuta a rimanere nei giusti binari del bene e della verità e a non deragliare.

4) I magi partirono senza aspettare, senza paura ed esitazione.  All’apparire della stella, i magi partirono senza esitare. Lasciarono prontamente tutte le cose del loro mondo: la propria dimora, la propria terra, i propri parenti, i propri amici, per andare ad adorare il Signore. Lo scopo che si erano prefissati riempiva totalmente il loro cuore, la loro anima e la loro mente ed è per questo che non esitarono. Quanti uomini e donne aspettano. Quanti uomini e donne esitano e non cominciano il viaggio per paura. Solo accettando la sfida e abbandonando le nostre sicurezze per iniziare il viaggio, che è tutto il nostro matrimonio, potremo essere felici e realizzare la nostra vocazione

5) I Magi non si lasciarono turbare dagli eventi.  Arrivati a Gerusalemme probabilmente non videro più la stella ed allora, come strumenti nelle mani di Dio, si fermarono e, tramite il colloquio con Erode, annunciarono a coloro che avrebbero dovuto attenderlo, che era nato il loro Messia. Quale sarà stato il loro turbamento nel vedere che, pur conoscendo dove doveva nascere, nessuno lo aspettava e meno che mai nessuno pensava di rendergli l’omaggio dovuto?!?
Impariamo dai magi, i quali rimasero fermi nel loro proponimento e non si lasciarono coinvolgere dai turbamenti esterni, ma proseguirono il loro viaggio con un cuore pieno di ardore verso Dio. Anche noi sposi nella nostra vita sperimenteremo l’aridità, la sofferenza, la divisione e il lutto, ma se avremo fiducia in Dio ritroveremo la strada e la stella e allora

6) sperimenteremo la vera gioia. Quando i magi ripartirono da Gerusalemme, videro che la guida sicura mandata da Dio era di nuovo apparsa nel cielo, ed essa li guidò fino a Betlemme, dove era Gesù e lì si fermò; allora si rallegrarono di grandissima gioia.

Sì,  perchè vivere alla presenza di Gesù è meraviglioso, amare la propria sposa in Gesù è un’esperienza che riempie e dona forza e sostegno. Il cammino è già una meta. Il matrimonio è un bellissimo viaggio, un’avventura meravigliosa che ci porterà a desidera sempre di più l’incontro con Gesù e alla fine del viaggio al suo incontro ed eterno abbraccio.

Antonio e Luisa

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Seconda tappa: benedetta carne.

Nella catechesi della prima tappa (leggi qui l’articolo) abbiamo raccontato di come l’uomo ha perso la comunione con Dio e la possibilità di godersi la bellezza di quel giardino donato, rifiutando i suoi limiti e cedendo a quella bugia che lo vuole convincere che sarà benedetto e felice quando sarà come Dio.

benedetta carne amati per mare.jpg

In questa giornata di marcia, dormiremo in una grande palestra tutti insieme. Finalmente potremo farci una doccia e fare il bucato. Ma la giornata sarà dura: dormiremo da una parte, mangeremo da un’altra, e faremo la catechesi in un altro posto ancora. Mi sento sballottata e instabile. Non ho il controllo della situazione. Dal vangelo di Giovanni 1, 1-14. Dal primo versetto: “In principio era il verbo, e il verbo era presso Dio e il verbo era Dio”. Mentre l’uomo è ramingo nel cammino, dopo che ha perduto il suo posto nel giardino dell’Eden, Dio compie la sua tenerezza di Padre mandando dal suo seno il Figlio Unigenito. Nell’incarnazione, l’amante si è fatto simile all’amato prendendo tutti i limiti della sua condizione (fuorché il peccato) e le debolezze della carne. Ma questo non è un fatto isolato della Storia, ma un processo continuo, attuale oggi, per cui Gesù è pellegrino con noi nella via, con le sue gioie e i suoi dolori. Non è un Dio distante e lontano, ma vicino e intimo perché Egli è stato PRESSO di noi. Presso di te. Il termine “presso” indica un legame d’amore in cui è impossibile non tenere fisso lo sguardo verso l’altro. Così Dio tiene il suo sguardo su di te quando si è incarnato. L’incarnazione di Dio segna la Verità: che la tua carne (fragilità) è benedetta. Vuoi diventare come Dio?! Allora impara ad accogliere e a stare nella tua debolezza e nelle sofferenze come occasione di relazione verso l’amore di Dio-Padre, perché Gesù ha fatto questo nella sua Storia e questo stare con fiducia in questa intimità lo ha portato a sconfiggere il più grande limite umano: la morte! Tu invece la tua nudità non la sai gestire, perché la vuoi controllare eliminandola o nascondendola. Così in questo terzo giorno di marcia, vorrei tanto eliminare i miei limiti e la mia insofferenza (come faccio nella mia vita del resto…), ma al massimo riesco a nasconderle, tranne durante le catechesi quando piango. Ma giorno dopo giorno, scopro che proprio in quel pianto ho l’occasione di essere vista e amata, non solo da Dio attraverso la sua Parola, ma anche attraverso il sorriso e gli abbracci di chi mi vede e cammina con me. Io ho bisogno degli altri e gli altri hanno bisogno di me. Questo bisogno gli uni degli altri ci rendere perfetti e ciò che soffri, come gestisci i dispiaceri, ti guida all’obbedienza (ascolto profondo alla Verità della vita). Ma non perché sei masochista o hai un Dio sadico, ma perché il dolore fa parte della nostra esistenza, e ha fatto parte dell’esistenza del nostro Dio, che ci ha mostrato sulla sua carne come gestirlo. Questo è stato il suo modo di stare presso te. Se con i figli l’obiettivo e staccarli dalla carne e donarli alla vita, con tuo marito o tua moglie l’obiettivo è essere una carne sola (la carne nella Bibbia indica la fragilità). Una unità nella fragilità, un incastro perfetto nelle imperfezioni della storia personale e del carattere. È un processo continuo lungo tutta la vita, un divenire che spesso va oltre il bianco e nero del controllo illusorio con cui vorremmo impacchettare la vita e l’altro. Nell’amore delle vostre debolezze c’è l’unica possibilità di diventare come Dio. Nel bisogno dell’altro, nelle ferite reciproche, nella comprensione e nell’ascolto, nel perdono. Per diventare come Dio non devi essere RISOLTO, che non vuol dire non lavorare su di te e la tua crescita. Puoi scoprire che in quel limite diventi pienamente uomo, solidale, capace di amare. Gesù si è fatto “disprezzabile” come noi per smentire la tentazione del serpente che la nostra carne è disprezzata! Ci dimentichiamo che ciò che è fallato è già amato! Così posso cambiare comportamenti malsani e trovare un migliore equilibrio emotivo con me e con gli altri, ma c’è una spina nel fianco che fa male e non si toglierà. Essa che è lo spazio della Grazia e dell’amore di Dio che si manifesta pienamente in quella debolezza. Quali sono le debolezze che non accetti di te, di tua moglie, di tuo marito, dei tuoi figli. Della tua storia. Quelle fragilità diventano tenebra solo se non sono amate. Le nudità della tua relazione di coppia sono lo spazio per poter chiedere aiuto e ricevere, crescere e maturare in una vita che non puoi darti da solo. Benedetta crisi. Benedetti litigi. Quando posso avere a che fare con le sozzure dell’altro senza darmela a gambe, anche scontrandomi, dicendone quattro, senza abbandonare la relazione, la complicità di essere nella stessa squadra, in quel posto che mi è stato donato. Posso stare al POSTO MIO senza paura dei problemi, anche i più sconvenienti, perché è proprio lì che il mio Dio mi aspetta come un innamorato e la luce del suo Amore rischiara l’oscurità delle paure.

Claudia Viola

Qui trovate il link all’articolo originale

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Un limite d’amore

La prima tappa è a Lanciano. A pranzo mi è caduta una borraccia da un litro piena d’acqua sul ditone del piede che pur volendolo ignorare è diventato viola e mi fa malissimo. Non posso camminare, né appoggiare.

cammino francescano amatiperamare.jpg

Sono scoraggiata e avvilita perché mi chiedo se la mia marcia finisce qui. Ce l’ho con me stessa, perché è colpa mia se sto col piede così. Perché sta mattina quando siamo arrivati ero agitata e ansiosa e per illudermi di avere il controllo della situazione mi muovevo freneticamente scaricando la roba dalla macchina, e mentre tentavo di togliere una delle quattro borracce in mano a Roberto, una l’ho afferrata male ed è cascata. Il tema della prima catechesi è IL LIMITE. E io ne ho davanti uno bello grosso: il mio dito viola e tumefatto, e una marcia da percorrere. Ma non solo questo. Ho paura di non farcela, di tirare fuori il peggio di me, ho paura che sbroccherò, che gli altri mi giudicheranno. Sarò all’altezza? Sarò abbastanza brava? Abbastanza brava. La Parola che ci guida è Genesi 3, 1-24 che parla della tentazione del serpente ad Adamo ed Eva sull’unico limite che aveva posto loro Dio: non mangiare dell’albero del bene e del male. Loro cedono a quella bugia e scoprono così di essere nudi, fragili, deboli e questo li porta a nascondersi dall’Amore di Dio. La genesi è una riflessione immaginifica che da risposte a domande esistenziali tramite un racconto “mitico”. Non è un trattato scientifico sulla creazione, ma risponde a domande esistenziali su chi è Dio e chi è l’uomo, da dove viene il mondo, cosa è l’amore, cosa è il peccato. In questi versi la Parola ci mostra come Dio abbia donato tutto all’uomo, nella possibilità di godere pienamente della bellezza delle cose. Ma gli da un piccolo limite, perché Dio ama l’uomo. Se il movimento dell’uomo non ha un limite diventa autodistruttivo, diventa potere coercitivo. Il limite è un dono d’amore per l’uomo, affinché non perda l’essenza della sua identità di figlio bisognoso d’amore e di relazione. I limiti che Dio mi da attraverso la mia storia, attraverso la sua Parola, sono il modo più speciale che ha di volermi bene, di custodirmi e non disumanizzarmi diventando una bestia (verso me stessa o gli altri). Tutta la mia psicoterapia personale ha ruotato intorno a questo tema: volermi bene nei miei limiti, nelle cose che non so fare o non so gestire, nelle mie incapacità, vulnerabilità, difetti. Strano che oggi la marcia cominci con questo argomento, e che il mio piede sia in questo momento un’enorme limite che odio. I narcisisti non vogliono limiti, e sono di due categorie: quelli che trattano male gli altri fregandosene dei loro bisogni, e quelli che odiano sé, bistrattando i propri bisogni autentici. Io appartenevo (o appartengo… non lo so) alla seconda. Ma tutti gli uomini nel cuore hanno questa tentazione: l’orgoglio di poter vivere senza limiti (confini) pensando che questo gli darà la felicità e il benessere. L’arroganza e la superbia ci illudono di poter controllare tutte le cose. Poi arriva il limite: una malattia, un momento di crisi, la morte di una persona cara, una prova qualsiasi e quella mania di grandezza si sfracella miseramente sulla realtà della nostra creaturalità. Ma questa è un’occasione d’amore se impariamo a vivere la vita come un mistero in cui l’unica parola veramente sensata da radicare è STARE. La fatica che facciamo in questo processo è il dono più grande per trovare le coordinate di come abitare questo mistero perché fa crollare la nostra tracotanza di farcela da soli. La menzogna che porta il serpente sembra attendibile, perché attraverso la seduzione e l’ambiguità egli sussurra all’uomo una mezza verità, ponendo l’accento proprio su quello che gli manca (e gli fa da argine) e che quindi desidera più di ogni altra cosa, diventa l’assoluto, un’ossessione. Ma in questa marcia tutti faremo l’esperienza dei nostri limiti, delle nostre fragilità, perché non bastiamo a noi stessi. Adamo ed Eva non erano in grado di gestire la differenza fra Bene e Male, e la pretesa e illusione onnipotente di essere come Dio (e quindi eliminare il limite) gli ha solo incasinato la vita portando dolore e sofferenza, laddove Dio invece voleva custodirli proprio con quell’argine. Perché è quando accettiamo le nostre nudità e quelli degli altri che la nostra vita può diventare un giardino dell’Eden! Ma quando stiamo nell’arroganza, crediamo di non aver ho bisogno di nessuno (o che nessuno possa capirci o aiutarci) e rischiamo di perdere la nostra identità più profonda che invece vede nel limite ricchezza, regalo e salvaguardia. E se quei limiti non li accogliamo cominciamo ad accusare (noi stessi o gli altri). È colpa tua! È colpa mia! Il demonio parla così. Ci vuole grande sapienza per stare AL POSTO TUO nella vita e nelle relazioni. Come quando non accogli il difetto dell’altro (che non significa far finta di nulla o incassare) e il litigio non è più lo spazio per esprimersi, comprendersi e crescere insieme ma diventa il ring dove colpire l’altro, svergognarlo, umiliarlo, ferirlo per difendersi. Così ci spingiamo all’isolamento, a vivere in trincea perché ciascuno nella relazione di coppia sa dove colpire l’altro, perciò è meglio che se ne stia nascosto. Non ci si sente più liberi di parlare. L’intimità di coppia così muore. La TENEREZZA invece nasce dall’accoglienza di quel confine, che i difetti tuoi, di tuo marito, di tua moglie, dei tuoi figli, segnano. E accogliendo, permetti all’altro di essere se stesso e sentirsi voluto bene in quel limite, oltre quel limite, nonostante quel limite. Mentre avete a che fare con quelle debolezze, vi volete bene, vi custodite in un clima di amore. La più grande bugia della mia vita e della tua vita è che non siamo amati, che Dio non mi ama e mi fregherà, che prima o poi la pagherò. Questa convinzione menzognera non mi fa occupare il MIO POSTO nella mia vita e nella mia storia. Ma invece la TENEREZZA di Dio mi aspetta, e gli posso dare fiducia, perché so che in questa marcia ho un appuntamento con Lui, col suo amore. Lui non mi obbliga, mi aspetta per tutto il tempo che mi serve, in ogni cosa. Camminerò per mettermi al posto giusto nella relazione con Lui. O forse mi fermerò se il mio piede non me lo permetterà. Non penserò più al giudizio degli altri, alla mia logica di darci dentro ed essere forte. Non mi importerà di fare bella figura, ma solo di cercare l’AMORE, che mi aspetta nel mio posto imperfetto in cui Dio vuole raggiungermi.

P.S. Il mio dito il giorno dopo è miracolosamente guarito e se c’è stata una cosa che non mi ha fatto male durante la marcia è stato quel piede. La prima notte ho affidato tutto a Dio, e se anche ho pregato perché il dolore sparisse, ero disposta a fermarmi se la mia marcia doveva essere questo per me. La mia marcia inizia con l’AMORE.

L’articolo è ispirato dalla catechesi di fra Alessandro Ciamei per la prima tappa della marcia francescana Lazio-Abruzzo 2019.

Claudia e Roberto

Articolo tratto dal blog Amati per Amare

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Come Magi in cammino

Un mio articolo dell’anno scorso. Mi ha fatto piacere rileggerlo e vorrei condividerlo con voi.

Il cammino dei magi può essere letto anche come una trasposizione della nostra vita matrimoniale, della nostra vocazione all’amore. Ripercorrendo il loro viaggio possiamo trovare la mappa del nostro.

 1) I magi come prima cosa decisero lo scopo del loro viaggio. Conoscevano bene la Parola di Dio  e fecero di quel viaggio lo scopo della loro vita. Volevano adorare il Re. “Siamo venuti per adorarlo” (Mt 2:2). I fidanzati fanno lo stesso. Sentono attrazione e simpatia vicendevole, ma non devono ridurre tutto solo alla sola emozione. Un cristiano non vive alla giornata senza progettare e programmare alla luce della fede in Dio e del progetto di Dio sulla sua vita. La relazione si deve leggere agli occhi della salvezza, nella sua dimensione escatologica, i fidanzati devono cercare in quella relazione il realizzarsi della loro vocazione. Vocazione che è la nostra personalissima modalità di risposta all’amore di Dio.

Non basta decidere di partire, 2) si deve preparare il viaggio.  I magi non erano persone stravaganti che così, ad un tratto, decidono di mettersi in viaggio senza sapere dove andare. Tutt’altro è il loro atteggiamento. Essi saggiamente, prima di partire, hanno fissato la meta che avrebbero dovuto raggiungere, preparando ogni cosa con cura e prendendo ogni informazione necessaria per poterla raggiungere. Il fidanzamento è la preparazione del viaggio. Serve a conoscersi e conoscere Dio insieme. Serve a parlare dei desideri, della propria idea di matrimonio, dei figli, delle aspirazioni personali. Questo è preparare il viaggio che sarà il nostro matrimonio. La nostra meta sarà trovare finalmente Gesù nella nostra unione e, alla fine, nell’abbraccio eterno con Lui.

I Magi sono partiti quando hanno avuto 3) una guida sicura per raggiungere la meta. Per raggiungere il Salvatore. Seguirono la stella con fiducia e costanza, fissando lo sguardo e facendone bussola del loro viaggio. Il matrimonio è un  sacramento della Chiesa cattolica. La nostra stella è lo Spirito Santo che scende nella nostra unione e ci plasma. La nostra stella è anche la Chiesa. Solo all’interno di essa saremo sicuri di non sbagliare strada. La Chiesa con il suo insegnamento, i suoi documenti, la sua tradizione e i suoi pastori ci aiuta a rimanere nei giusti binari del bene e della verità e a non deragliare.

4) I magi partirono senza aspettare, senza paura ed esitazione.  All’apparire della stella, i magi partirono senza esitare. Lasciarono prontamente tutte le cose del loro mondo: la propria dimora, la propria terra, i propri parenti, i propri amici, per andare ad adorare il Signore. Lo scopo che si erano prefissati riempiva totalmente il loro cuore, la loro anima e la loro mente ed è per questo che non esitarono. Quanti uomini e donne aspettano. Quanti uomini e donne esitano e non cominciano il viaggio per paura. Solo accettando la sfida e abbandonando le nostre sicurezze per iniziare il viaggio, che è tutto il nostro matrimonio, potremo essere felici e realizzare la nostra vocazione

5) I Magi non si lasciarono turbare dagli eventi.  Arrivati a Gerusalemme probabilmente non videro più la stella ed allora, come strumenti nelle mani di Dio, si fermarono e, tramite il colloquio con Erode, annunciarono a coloro che avrebbero dovuto attenderlo, che era nato il loro Messia. Quale sarà stato il loro turbamento nel vedere che, pur conoscendo dove doveva nascere, nessuno lo aspettava e meno che mai nessuno pensava di rendergli l’omaggio dovuto?!?
Impariamo dai magi, i quali rimasero fermi nel loro proponimento e non si lasciarono coinvolgere dai turbamenti esterni, ma proseguirono il loro viaggio con un cuore pieno di ardore verso Dio. Anche noi sposi nella nostra vita sperimenteremo l’aridità, la sofferenza, la divisione e il lutto, ma se avremo fiducia in Dio ritroveremo la strada e la stella e allora

6) sperimenteremo la vera gioia. Quando i magi ripartirono da Gerusalemme, videro che la guida sicura mandata da Dio era di nuovo apparsa nel cielo, ed essa li guidò fino a Betlemme, dove era Gesù e lì si fermò; allora si rallegrarono di grandissima gioia.

Sì,  perchè vivere alla presenza di Gesù è meraviglioso, amare la propria sposa in Gesù è un’esperienza che riempie e dona forza e sostegno. Il cammino è già una meta. Il matrimonio è un bellissimo viaggio, un’avventura meravigliosa che ci porterà a desidera sempre di più l’incontro con Gesù e alla fine del viaggio al suo incontro ed eterno abbraccio.

Antonio e Luisa.

In cammino con Gesù

Navigando su facebook e leggendo i post delle pagine e delle persone che mi piacciono, ho trovato questa lettera di Papa Paolo VI. Molto bella. La ripropongo

 

Non ci pare forse che il dubbio dei due discepoli sia stato talvolta anche nostro?
Non ci pare forse che la nostra fede sia stata talvolta troppo scarsa e debole, e materiale, come quella di quegli uomini sfiduciati ?
Quei discepoli di Emmaus siamo noi!
Ma solo che anche noi abbiamo orecchi per ascoltare, e cuore per seguire la Parola di Cristo, ecco che Egli viene con noi, si accompagna a noi, si fa nostro amico, nostro sodale lungo la strada, nostro commensale alla tavola della carità fraterna e alla comunione eucaristica; solo che abbiamo una scintilla d’amore, gli occhi si aprono per riconoscere la sua presenza, e il cuore si accende.
«Questo fuoco – dice S. Ambrogio, commentando le parole dei discepoli di Emmaus – questo fuoco illumina l’intimo recesso del cuore». Fratelli! la fede e l’amore vi facciano riconoscere e seguire Cristo, sempre.
Cristo ci accompagna per la via della vita: ma quale miglior pensiero possiamo lasciare a voi, diletti sposi, quasi come provvista e nutrimento e sostegno nel lungo viaggio, che state per cominciare insieme? A voi, a tutte le giovani coppie,
a tutte le famiglie cristiane: a tutti coloro che col loro amore,
elevato e trasfigurato dalla virtù del sacramento, sono nel mondo la presenza e il simbolo dell’amore reciproco di Cristo e della Chiesa noi ripetiamo oggi: non temete, Cristo è con voi!
Vicino a voi per trasfigurare il vostro amore, per arricchirne i valori già così grandi e nobili con quelli tanto più mirabili della sua grazia; vicino a voi per rendere fermo, stabile, indissolubile, il vincolo che vi unisce nel reciproco abbandono di uno all’altro per tutta la vita; vicino a voi per sostenervi in mezzo alle contraddizioni, alle prove, alle crisi, immancabili certo nelle realtà umane, ma non certo insuperabili, non fatali, non distruttive dell’amore che è forte come la morte, che dura e sopravvive nella sua stupenda possibilità di ricrearsi ogni giorno, intatto e immacolato; vicino a voi per aiutarvi a vincere i pericoli non irreali dell’egoismo, che si annidano nelle pieghe riposte dell’anima per conseguenza della colpa originale, ma che pur sono stati vinti dalla Croce e dalla Risurrezione di Cristo; vicino a voi per farvi sentire la vostra dignità di collaboratori di Dio Creatore, nel trasmettere il dono inestimabile della vita, e di Dio Provvidente, nel rappresentarlo al vivo davanti ai vostri figli nelle tenerezze, nelle cure, nelle sollecitudini che saprete ad essi dedicare con quegli slanci di eroismo che ben conoscono i cuori dei padri e delle madri.
Sì, fratelli, sì; davvero «questo sacramento è grande: lo dico di Cristo e della Chiesa».L’ha ben sottolineato ancora il Concilio Vaticano II: «Come un tempo Dio venne incontro al suo popolo con un patto di amore e di fedeltà, così ora il Salvatore degli uomini e Sposo della Chiesa viene incontro ai coniugi cristiani mediante il sacramento del matrimonio; inoltre rimane con loro perché, come Egli stesso ha amato la Chiesa e si è dato per lei, così anche i coniugi possano amarsi l’un l’altro fedelmente, per sempre, con mutua dedizione . . . e siano aiutati e rafforzati nello svolgimento della sublime missione di padre e madre». Così, fratelli, così: sia questo il vostro programma, sia questa la vostra ambizione: con Gesù in cammino con voi per le vie faticose e imprevedibili della vita; con Gesù seduto alla tavola del vostro pane quotidiano duramente ma serenamente guadagnato, possiate fare della vostra esistenza a due una luce, una missione, una benedizione.

Paolo VI

L’amore è paziente

92. Essere pazienti non significa lasciare che ci maltrattino continuamente, o tollerare aggressioni fisiche, o permettere che ci trattino come oggetti. Il problema si pone quando pretendiamo che le relazioni siano idilliache o che le persone siano perfette, o quando ci collochiamo al centro e aspettiamo unicamente che si faccia la nostra volontà. Allora tutto ci spazientisce, tutto ci porta a reagire con aggressività. Se non coltiviamo la pazienza, avremo sempre delle scuse per rispondere con ira, e alla fine diventeremo persone che non sanno convivere, antisociali incapaci di dominare gli impulsi, e la famiglia si trasformerà in un campo di battaglia. Per questo la Parola di Dio ci esorta: «Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità» (Ef 4,31). Questa pazienza si rafforza quando riconosco che anche l’altro possiede il diritto a vivere su questa terra insieme a me, così com’è. Non importa se è un fastidio per me, se altera i miei piani, se mi molesta con il suo modo di essere o con le sue idee, se non è in tutto come mi aspettavo. L’amore comporta sempre un senso di profonda compassione, che porta ad accettare l’altro come parte di questo mondo, anche quando agisce in un modo diverso da quello che io avrei desiderato.

Proseguendo con la  lettura di Amoris Laetitia (dopo qualche mese di pausa), il punto 92 ha attratto la mia attenzione . Il Papa per approfondire l’amore umano si avvale dell’Inno all’amore di San Paolo. San Paolo che ci dice che l’amore è paziente.

Il Papa smaschera una realtà che caratterizza tanti rapporti matrimoniali. Il nostro sposo e la nostra sposa diventano sovente strumenti a nostra disposizione per soddisfare voglie, pulsioni, esigenze affettive e sessuali. Diventano nostri e devono comportarsi e agire come piace a noi. Se questo non avviene ci sentiamo defraudati di qualcosa di nostro, che ci è dovuto e riversiamo sul nostro coniuge il nostro malessere, la nostra rabbia e frustrazione. Ma è davvero questo un rapporto sano oppure è l’inizio di un rapporto malato che non può crescere e maturare. Il nostro coniuge è qualcosa di diverso da noi che non ci appartiene. La differenza diventa opportunità di amare. Opportunità di farsi dono, di servire e ci costringe a spostare l’attenzione da noi stessi all’altro. L’amore sponsale è una scuola severa difficile ma efficace. Se ci impegnamo ad amare così il nostro rapporto spicca il volo e noi stessi diventiamo persone migliori. Le differenze, i difetti, le fragilità del nostro sposo o sposa rischiano di diventare qualcosa che divide, che genera rancore e frustrazione. Invece se teniamo fede alla nostra promessa matrimoniale e teniamo lo sguardo fisso al crocefisso, tutte i difetti e fragilità del nostro coniuge non ci irritano più ma ci commuovono, proviamo compassione, perchè patire col nostro coniuge è via maestra per amare e unirsi a lui sempre più. Amare il nostro coniuge quando tutto va bene e ci soddisfa in tutto è seguire un sentimento, una pulsione, sentiamo che ci fa star bene, tutto è facile. Differente il discorso, quando l’incontro diventa scontro e allora amare diventa difficile, significa esercitare la nostra volontà e mettere a tacere il nostro orgoglio e il nostro egoismo. Io ho sentito fortemente l’amore di mia moglie proprio quando ero meno amabile ma nonostante ciò mi sentivo amato incondizionatamente. E’ una sensazione bellissima che riempie di gratitudine verso Dio e verso la persona amata.

Antonio e Luisa

Sposi sacerdoti in Cristo.

Tutti noi battezzati siamo sacerdoti (vedere il precedente articolo Sposi sacerdoti nel dono di sè). Abbiamo il sacerdozio comune di Cristo (da non confondere con il sacerdozio ordinato). Come vivere il sacerdozio nel nostro matrimonio?

L’unico vero, unico e sommo sacerdote è Gesù che fa da mediatore tra gli uomini e Dio. Lo fa donando tutto se stesso sulla croce. Nel sacrificio della croce Gesù è offerente e offerta. Gesù dà tutta la sua vita per la nostra salvezza. Quella di Gesù non è però, un’offerta solo di riparazione di tutto il peccato dell’umanità, ma è prima di ogni altra cosa un gesto d’amore. Sulla croce ci sta amando.  Non c’è gesto più grande compiuto da Dio per noi di questo.  Non c’è un amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici, è quanto troviamo scritto anche nel Vangelo. Quali sono le caratteristiche di questo amore? E’un amore totale. Meglio, è  un amore sponsale. Gesù in quel momento manifesta il suo desiderio di unirsi sponsalmente (in maniera totale, definitiva e indissolubile) all’umanità, a ciascuno di noi. Stabilisce la nuova alleanza, patto d’amore indistruttibile e per sempre.  Gesù offre la sua vita, versa il suo sangue e dona il suo corpo per portarci a Lui e quando rispondiamo accogliendo questo suo dono ecco che nasce la Chiesa. Chiesa sposa di Cristo.  Capite ora, come questa realtà sia strettamente collegata al sacramento del matrimonio. San Paolo in Efesini ci mostra questa stretta connessione. Il mistero del matrimonio, della relazione tra un uomo e una donna sono immagine del rapporto tra Dio e la sua Chiesa. Voi mariti (ma vale anche per le mogli) dovete amare le vostre mogli come Dio ha amato la sua Chiesa. Come l’ha amata? Dando la sua vita.   Quando riflettiamo sul matrimonio riflettiamo sul sacrificio di Gesù sulla croce. Quando riflettiamo sul sacrificio di Gesù sulla croce, stiamo riflettendo anche sul matrimonio sacramento. L’uno richiama l’altro. Capite che mistero grande? Io no faccio una grande fatica, è una realtà troppo immensa e bella per la piccolezza di ciò che sono. Ma così è, e non posso che lodare Dio per questo.

Facciamo un passo avanti. In virtù del battesimo, come già detto,  diventiamo sacerdoti, o meglio siamo abilitati ad essere sacerdoti. Come esercitare il nostro sacerdozio? Nel dono. Tutti i gesti che compiamo nella nostra vita, se offerti come gesti d’amore a Gesù, sono gesti sacerdotali. Le nostre fatiche, le opere, le parole e i gesti offerti a Gesù sono tutti gesti sacerdotali. In quel momento siamo mediatori, mostriamo Dio a chi ci è vicino. Nel sacramento del matrimonio lo Spirito Santo agisce sui nostri doni battesimali e quindi, anche sul nostro sacerdozio comune.  Il sacerdozio sarà vissuto d’ora in poi con modalità e finalità nuove, proprie del matrimonio. Il matrimonio è  questo, vivere la nostra dimensione sacerdotale, donandoci totalmente al nostro sposo o la nostra sposa. Ecco sono tuo. Mi offro per te. Dono la mia vita a te. Con quale modalità sono chiamato a farlo? Alla maniera di Gesù. La mia santità matrimoniale e vocazione matrimoniale si gioca esattamente su questo aspetto. La capacità di amare la nostra sposa o il nostro sposo come Cristo. Il mio dono deve essere sempre più perfetto. Tanto più viviamo questo, tanto più diventiamo santi, perché rispondiamo alla nostra chiamata. Vivendo questo amore, diveniamo una luce meravigliosa per noi, per i nostri figli e per tutti. Tutti hanno nostalgia di questo nel cuore. Una coppia che rifulge di luce e d’amore suscita in chi la incontra meraviglia, stupore, incanto e nostalgia di poterla vivere a sua volta. La dimensione sacerdotale del nostro matrimonio ci porta a vivere sempre di più questo amore totale, indissolubile e unico. Papa Francesco al numero 75 di Amoris Laetitia scrive:

Secondo la tradizione latina della Chiesa, nel sacramento del matrimonio i ministri sono l’uomo e la donna che si sposano,[70] i quali, manifestando il loro mutuo consenso ed esprimendolo nel reciproco dono corporale, ricevono un grande dono. Il loro consenso e l’unione dei corpi sono gli strumenti dell’azione divina che li rende una sola carne.

Gli sposi possono essere ministri solo in virtù del battesimo, che gli abilita a donarsi l’uno all’altro in un sacramento.  Senza dono totale di sé, espresso con le parole e il corpo nell’amplesso fisico non ci può essere sacramento del matrimonio. Questi sono i famosi casi di nullità del sacramento. Il matrimonio è nullo se c’è vizio nel consenso o nell’intimità coniugale. Se manca uno o l’altro manca il dono totale. Ora si capisce come certe regole non siano invenzioni della Chiesa, ma rientrano tutte nella logica del battesimo. Cristo prende dimora stabile in noi, nel nostro amore. Si forma una nuova Chiesa. Piccola Chiesa domestica. La Chiesa infatti cosa è? E’ Cristo insieme alle sue membra. Lui è il capo e noi le membra. Gesù si offre e noi accettiamo la sua offerta. Cosa accade nel matrimonio? Lo sposo in cui abita Cristo si offre alla sua sposa e viceversa.  Sorge una nuova Chiesa. Cristo in quel momento si sta donando alla sposa nel corpo e nelle parole dello sposo. Cristo si sta donando allo sposo nei gesti e nelle parole della sposa. Da quel momento gli sposi divengono sacramento perenne. Diventano offerenti e offerta. Il sacramento sappiamo essere un insieme di gesti e parole che rendono presente Dio e manifestano la presenza di Dio. Gli sposi amandosi rendono presente Dio in ogni gesto d’amore dell’uno verso l’altro. Capite ora cosa intende il Papa quando ammonisce sul divorzio. Capite ora come il divorzio sporca l’immagine di Dio? Intuite che realtà grande è il vostro matrimonio?

Antonio e Luisa

L’amore è una corsa

Quando termino la mia consueta corsa al parco mi ritrovo, stanco, sfatto, sudato, disordinato. Non certo attraente. Ma questa è l’immagine che più mi rappresenta. L’immagine che rappresenta me e la mia vita.

Sempre di corsa, occupato in mille faccende. Occupato ad accompagnare i bambini (i più piccoli) a scuola, a lavorare, ad uscire giusto in tempo per ritirarli e poi via con le attività pomeridiane: calcio, karate, catechismo, pianoforte, nuoto e forse dimentico ancora qualcosa. Poi la spesa e arrivi all’ora di cena in attimo. La giornata è già finita, è ora di cenare, riassettare e prepararsi per la notte. Questa vita, all’apparenza da matti, è la vita che voglio, che mi piace, che mi riempie. Alla sera, quando i miei ragazzi sono a letto e finalmente la casa è silenziosa, ho tempo per guardarli sereni mentre dormono, vivono e crescono.  Allora ogni sacrificio assume senso e valore. Il centro non sono più io ma il mio prossimo. Il mio prossimo più prossimo sono loro ed è lei. E già, poi c’è lei, la mia sposa. Con lei ho sempre un debito di riconoscenza. Lei fa molto più di me. Lei mi ringrazia sempre quando lavoro in casa e non mi rinfaccia mai quando non lo faccio. Lei è una grande sposa perchè ancor prima è una grande donna. Una donna forte, accogliente e dolce. Una donna che non si tira indietro. Una donna che si dona senza riserve, perchè questa è la sua natura. Una donna che mi provoca ogni giorno meraviglia e anche un certo senso di inferiorità, perchè non sono capace di tanto sacrificio. Questo concetto è spiegato molto bene da Costanza Miriano che scrive:

L’uomo si innamora quando ha al suo fianco una donna profondamente bella, che non si lamenta, che non cerca di cambiarlo; una donna spiritualmente profonda, che lo faccia innamorare nella più completa libertà, una donna capace di accoglierlo in tutto, che si fida della sua virilità nell’affrontare il mondo. Quello che arriva in cambio è straordinario: dedizione totale e disponibilità al sacrificio.

E’ proprio così. Per me, diventa quindi normale darmi da fare, non come un impegno, ma come modo di restituire amore. Ogni volta che riesco a sollevarla da un lavoro o un pensiero tra i tanti che ha, mi sento felice. Sento di ritornare un poco del tanto amore che riesce a donarmi. La vita diventa così un continuo impegno ma, a differenza di quanto si possa credere, sempre più vera e libera. Nel dono scopri il senso della vita e la pienezza del cuore. Come in una corsa arrivi alla fine stanco, stanchissimo ma più felice, leggero e libero di quando sei partito. Come dice Gesù: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.” Il matrimonio è una scuola d’amore, una scuola dove si impara ad amare come Gesù vuole. Una scuola che prepara all’esame più bello della nostra vita: l’abbraccio eterno con Dio.

Antonio e Luisa

 

Vi amo e vi perdono.

Quando si sono trasferiti in Libia come missionari conoscevano i pericoli che stavano correndo. Nonostante i bombardamenti che distruggevano il Paese davanti ai loro occhi, Anita e Ronnie Smith hanno deciso di continuare a vivere in quella terra, aggrappandosi alla forza della loro fede.

In fondo è stato per fede che sono andati a vivere in Libia, attirati da una chiamata a “mostrare al popolo libico l’amore e il perdono di Dio”, ha raccontato Anita.

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Comunione ai divorziati risposati?

Il 305 è il punto “incriminato”. Il punto incriminato che, letto insieme alla nota 351 posta in calce all’esortazione Amoris Laetitia, apre ai sacramenti per i divorziati risposati:

305. Pertanto, un Pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni “irregolari”, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone. È il caso dei cuori chiusi, che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa «per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite».In questa medesima linea si è pronunciata la Commissione Teologica Internazionale: «La legge naturale non può dunque essere presentata come un insieme già costituito di regole che si impongono a priori al soggetto morale, ma è una fonte di ispirazione oggettiva per il suo processo, eminentemente personale, di presa di decisione».A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa.Il discernimento deve aiutare a trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti. Credendo che tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita e scoraggiamo percorsi di santificazione che danno gloria a Dio. Ricordiamo che «un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà». La pastorale concreta dei ministri e delle comunità non può mancare di fare propria questa realtà.


nota 351 In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti. Per questo, «ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore» (Esort. ap. Evangelii gaudium [24 novembre 2013], 44:AAS 105 [2013], 1038). Ugualmente segnalo che l’Eucaristia «non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli»

In questi mesi ho sentito e letto di tutto. Da un’apertura totale (quasi che il matrimonio indissolubile non esistesse più) fino a una chiusura totale.

Ma cosa voleva tramettere il Papa con la sua esortazione apostolica?

Sinceramente durante questi mesi non l’ho capito, nonostante abbia cercato di informarmi, ma più leggevo e più trovavo pareri discordanti e la mia confusione cresceva. Sia chiaro che non voglio giudicare la vita delle persone ed ergermi a giudice, ma voglio soltanto capire. Ultimamente però la nebbia si sta diradando. Giorno dopo giorno sto comprendendo sempre di più l’azione pastorale di Papa Francesco e anche il suo modo di scrivere e parlare. Gli ultimi dubbi mi sono stati chiariti da un documento uscito pochi giorni fa dove i vescovi argentini forniscono una serie di indicazioni per applicare quanto chiesto da Francesco e, cosa fondamentale, che lo stesso Papa ha approvato.

Il documento afferma: «Quando le circostanze concrete di una coppia (di divorziati risposati) lo rendano fattibile, specialmente quando entrambi siano cristiani con un cammino di fede — si legge nel documento — si può proporre l’impegno di vivere in continenza». L’Amoris laetitia «non ignora le difficoltà di questa opzione e lascia aperta la possibilità di accedere al sacramento della riconciliazione quando si manchi a questo proposito». In altre circostanze più complesse e quando non si è potuto «ottenere una dichiarazione di nullità — sottolinea il testo — l’opzione menzionata può non essere di fatto praticabile». È possibile, tuttavia, compiere ugualmente «un cammino di discernimento». E «se si giunge a riconoscere che, in un caso concreto, ci sono limitazioni che attenuano la responsabilità e la colpevolezza, particolarmente quando una persona consideri che cadrebbe in una ulteriore mancanza provocando danno ai figli della nuova unione, Amoris laetitia apre alla possibilità dell’accesso ai sacramenti della riconciliazione e dell’Eucaristia». Questo, a sua volta, dispone la persona a continuare a maturare e a crescere con la forza della grazia.

Il documento sottolinea come occorra evitare di intendere questa possibilità come un «accesso illimitato ai sacramenti o come se qualsiasi situazione lo giustificasse». Ciò che si propone è piuttosto un discernimento che «distingua adeguatamente ogni caso». Speciale attenzione richiedono alcune situazioni, come quella di una nuova unione che viene da un recente divorzio, oppure quella di chi è più volte venuto meno agli impegni familiari, o ancora di chi attua «una sorta di apologia o di ostentazione della propria situazione, come se fosse parte dell’ideale cristiano». In questi casi più difficili, i sacerdoti devono accompagnare con pazienza cercando qualche cammino di integrazione. È importante, si legge nel testo, «orientare le persone a mettersi con la propria coscienza davanti a Dio, e perciò è utile l’esame di coscienza» che propone l’esortazione apostolica, specialmente in ciò che fa riferimento al comportamento verso i figli o verso il coniuge abbandonato. In ogni caso, quando ci sono «ingiustizie non risolte, l’accesso ai sacramenti è particolarmente scandaloso».

Per questo il documento afferma che «può essere conveniente che un eventuale accesso ai sacramenti si realizzi in maniera riservata, soprattutto quando si prevedono situazioni di conflitto». Allo stesso tempo, però, non si deve tralasciare di accompagnare la comunità perché «cresca in uno spirito di comprensione e di accoglienza, senza che ciò implichi creare confusioni nell’insegnamento della Chiesa riguardo al matrimonio indissolubile». A questo proposito i presuli ricordano che «la comunità è strumento della misericordia che è “immeritata, incondizionata e gratuita”». Soprattutto, ribadiscono che il discernimento «non si chiude, perché è dinamico e deve rimanere sempre aperto a nuove tappe di crescita e a nuove decisioni che permettano di realizzare l’ideale in maniera più piena».

Da questo documento preparato dai vescovi argentini possiamo cercare di decifrare i punti salienti.

La comunione non è per tutti i divorziati risposati. Amoris Laetitia non apre indiscriminatamente a tutti. Serve un discernimento serio, un accompagnamento della Chiesa, un percorso e alla fine, solo in certi casi, si può giungere alla comunione anche per alcuni divorziati risposati. Non è possibile accedere ai sacramenti per quei coniugi che hanno lasciato alle proprie spalle situazioni di ingiustizie non risolte, quindi di persone che hanno abbandonato (il documento le cita come particolarmente scandalose), oppure persone che vedono nel divorzio e nella nuova unione un ideale cristiano in quanto basato sul sentimento dell’amore (secondo loro). Tutte queste persone sono, se lo richiedono, da accompagnare con pazienza, scrive il documento, per portarli pian piano a comprendere la loro situazione. In questi casi integrazione senza comunione. Da quello che comprendo io, la comunione potrà essere ammessa in un numero limitato di casi. Serve infatti che la persona abbia subito la separazione o che pur avendola procurata, sia una storia da tempo affrontata e superata con l’altro coniuge. Serve inoltre la volontà e la fede di voler far parte della Chiesa. Ma tutto questo non basta. Bisogna procedere a verificare la possibile nullità della precedente unione matrimoniale. Molti matrimoni infatti sono nulli in partenza. Molti sposi si uniscono in matrimonio senza la consapevolezza di cosa stiano facendo ed escludono qualche elemento fondamentale affinché la promessa sia valida. Verificata l’impossibilità di chiedere la nullità, chi accompagna ha il dovere di proporre l’astensione dai rapporti, la continenza che ricordiamo è quanto la Chiesa ha chiesto fino ad oggi. Qui Francesco va oltre. Si rende conto che, pur continuando a ritenere valida la proposta dei suoi predecessori, per poterla mettere in pratica serve una consapevolezza, una fede e una maturità che pochi hanno, tanto da scoraggiare quanti pur animati da buone intenzioni, vedono la proposta della Chiesa non misericordiosa ma troppo severa e impossibile da attuare. Qui il Papa chiede pazienza e misericordia. Chiede di accompagnare con compassione. Chiede di non nascondere la verità, ma di renderla raggiungibile non come una scalata di una parete verticale (proponibile a pochi) ma come una salita dura ma realizzabile da tutti. Ed ecco che i vescovi argentini propongono l’astinenza, la confessione nel caso non si riesca a realizzarla sempre e, in pochi casi dove sono presenti bambini e l’astinenza porterebbe più danni che benefici, la concessione ad avere rapporti. Tutto questo va verificato caso per caso ed è impossibileconcedere i sacramenti  quando la situazione precedente non è risolta. L’accompagnamento della Chiesa, dice sempre il documento, non si esaurisce mai, la comunità cristiana deve accogliere queste persone, integrarle ed aiutarle a crescere sempre più nella fede, nella forza e nella consapevolezza.

Il cardinal Biffi proprio su questo tema diceva alcuni anni fa:

Dalla narrazione evangelica apprendiamo dunque che Gesù annuncia senza attenuazioni e senza sconti il progetto originario del Padre sull’uomo e sulla donna. Però guarda sempre con simpatia e comprensione quanti di fatto hanno avvilito questo ideale con le loro prevaricazioni. I “peccatori” sono da lui trattati con affettuosa cordialità. Non li ritiene estranei e lontani; anzi li considera i naturali destinatari della sua missione: <<Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori>> (Mt 9,13). Con questo atteggiamento benevolo riesce a salvare l’adultera dalla lapidazione (Gv 8,1-11); difende cavallerescamente la donna che è qualificata come peccatrice della città (Lc 7,37); avvia con la samaritana dalle molte esperienze un colloquio garbato e schietto che conquista il suo cuore (Gv 4, 5-42).

Attenzione però: la sua però non è la misericordia apparente del permessivismo; è la misericordia sostanziale che, senza disprezzare e umiliare, sospinge al ravvedimento e alla rinascita interiore.

Io non so se questa è la via giusta. Io sono un legalista, per me esiste il bianco e il nero. Non c’è gradualità del male ma solo gradualità del bene. Si può crescere nel bene se si cerca di abbandonare il male completamente. Questo è il mio limite e la mia forza.

Il Papa mi chiede di fare un passo in più. Mi chiede di avere ben salda e presente la verità che la Chiesa ci insegna sul matrimonio, ma anche di non dimenticarmi della vita, della storia, delle sofferenze e dei fallimenti delle persone divorziate. Forse ha ragione lui: l’accompagnamento, se realizzato senza nascondere la verità e tendente a raggiungerla, può essere la via cristiana che porta al bene. Papa Francesco è un dono di Dio, mi sta aiutando a crescere nella mia fede, costringendomi a mettermi in discussione ogni volta.

Antonio e Luisa

 

 

Un ideale da riscoprire

Terzo appuntamento con la riflessione di padre Raniero Cantalamessa sul matrimonio (cliccate qui per la prima parte e qui per la seconda già pubblicate)

Non meno importante del compito di difendere l’ideale biblico del matrimonio e della famiglia è il compito di riscoprirlo e viverlo in pienezza da parte dei cristiani, in modo da riproporlo al mondo con i fatti, più che con le parole. I primi cristiani, con i loro costumi, cambiarono le leggi dello stato sulla famiglia; noi non possiamo pensare di poter fare il contrario, e cioè cambiare i costumi della gente con le leggi dello stato, anche se come cittadini abbiamo il dovere di contribuire a che lo stato faccia leggi giuste.

Dopo Cristo, noi leggiamo giustamente il racconto della creazione dell’uomo e della donna alla luce della rivelazione della Trinità. In questa luce, la frase: “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” rivela finalmente il suo significato rimasto enigmatico e incerto prima di Cristo. Che rapporto ci può essere tra l’essere “a immagine di Dio” e l’essere “maschio e femmina”? Il Dio biblico non ha connotati sessuali, non è né maschio né femmina.
La somiglianza consiste in questo. Dio è amore e l’amore esige comunione, scambio interpersonale; richiede che ci siano un “io” e un “tu”. Non c’è amore che non sia amore di qualcuno; dove non c’è che un solo soggetto, non ci può essere amore, ma solo egoismo o narcisismo. Là dove Dio è concepito come Legge o come Potenza assoluta non c’è bisogno di una pluralità di persone (il potere si può esercitare anche da soli!). Il Dio rivelato da Gesú Cristo, essendo amore, è unico e solo, ma non è solitario; è uno e trino. In lui coesistono unità e distinzione: unità di natura, di volere, di intenti, e distinzione di caratteristiche e di persone.
Due persone che si amano – e quello dell’uomo e la donna nel matrimonio ne è il caso più forte – riproducono qualcosa di ciò che avviene nella Trinità. Lì due persone –il Padre e il Figlio – amandosi, producono (“spirano”) lo Spirito che è l’amore che li fonde. Qualcuno ha definito lo Spirito Santo il “Noi” divino, cioè non la “terza persona della Trinità”, ma la prima persona plurale . Proprio in questo, la coppia umana è immagine di Dio. Marito e moglie sono infatti una carne sola, un cuore solo, un’anima sola, pur nella diversità di sesso e di personalità. Nella coppia si riconciliano tra loro unità e diversità.
In questa luce si scopre il senso profondo del messaggio dei profeti circa il matrimonio umano: che cioè esso è simbolo e riflesso di un altro amore, quello di Dio per il suo popolo. Questo non significava sovraccaricare di un significato mistico una realtà puramente mondana. Non è fare solo del simbolismo; è piuttosto rivelare il vero volto e lo scopo ultimo della creazione dell’uomo maschio e femmina.
Qual è la causa della incompiutezza e dell’inappagamento che lascia l’unione sessuale, dentro e fuori del matrimonio? Perché questo slancio ricade sempre su se stesso e perché questa promessa di infinito e di eterno rimane sempre delusa? A questa frustrazione si cerca un rimedio che però non fa che accrescerla. Anziché cambiare la qualità dell’atto, se ne aumenta la quantità, passando da un partner all’altro. Si arriva così allo scempio del dono di Dio della sessualità, in atto nella cultura e nella società di oggi.
Vogliamo una buona volta, come cristiani, cercare una spiegazione a questa devastante disfunzione? La spiegazione è che l’unione sessuale non è vissuta nel modo e con l’intenzione intesa da Dio. Questo scopo era che, attraverso questa estasi e fusione d’amore, l’uomo e la donna si elevassero al desiderio e avessero una certa pregustazione dell’amore infinito; si ricordassero da dove venivano e dove erano diretti.
Il peccato, a cominciare da quello dell’Adamo ed Eva biblici, ha attraversato questo progetto; ha “profanato” quel gesto, cioè lo ha spogliato della sua valenza religiosa. Ne ha fatto un gesto fine a se stesso, concluso in se stesso, e perciò “insoddisfacente”. Il simbolo è stato staccato dalla realtà simboleggiata, privato del suo dinamismo intrinseco e quindi mutilato. Mai come in questo caso si sperimenta la verità del detto di Agostino: “Tu ci hai fatti per te, o Dio, e il nostro cuore è insoddisfatto finché non riposa in te”. Noi infatti non siamo stati creati per vivere in un eterno rapporto di coppia, ma per vivere in un eterno rapporto con Dio, con l’Assoluto. Lo scopre perfino il Faust di Goethe, al termine del suo lungo vagare; ripensando al suo amore per Margherita, al termine del poema egli esclama: “Tutto ciò che passa è solo una parabola. Solo qui [in cielo] l’irraggiungibile diventa realtà” .
Nella testimonianza di alcune coppie che hanno fatto l’esperienza rinnovatrice dello Spirito Santo e vivono la vita cristiana carismaticamente si ritrova qualcosa del significato originale dell’atto coniugale. Non c’è da stupirsi che sia così. Il matrimonio è il sacramento del dono reciproco che gli sposi fanno di se stessi l’uno all’altro, e lo Spirito Santo è, nella Trinità, il “dono”, o meglio il “domarsi” reciproco del Padre e del Figlio, non un atto passeggero, ma uno stato permanente. Dove arriva lo Spirito Santo, nasce, o rinasce, la capacità di farsi dono. È così che opera la “grazia di stato” nel matrimonio.

4. Sposati e consacrati nella Chiesa
Anche se noi consacrati non viviamo la realtà del matrimonio, ho detto all’inizio, dobbiamo conoscerla per aiutare coloro che vivono in essa. Aggiungo ora un ulteriore motivo: abbiamo bisogno di conoscerla per essere, anche noi, aiutati da essi! Parlando di matrimonio e verginità l’Apostolo dice: “Ciascuno ha il proprio dono (chárisma) da Dio, chi in un modo chi in un altro” (1 Cor 7, 7); cioè: lo sposato ha il suo carisma e chi non si sposa “per il Signore” ha il suo carisma.
Il carisma — dice lo stesso Apostolo — è “una manifestazione particolare dello Spirito, per l’utilità comune” (1 Cor 12, 7). Applicato al rapporto tra sposati e consacrati nella Chiesa, questo significa che il celibato e la verginità sono anche per gli sposati e che il matrimonio è anche per i consacrati, cioè a loro vantaggio. Tale è l’intrinseca natura del carisma, apparentemente contraddittoria: qualcosa di “particolare” (“una manifestazione particolare dello Spirito”) che però serve a tutti (“per l’utilità comune”).
Nella comunità cristiana consacrati e sposati possono “edificarsi” a vicenda. Gli sposati sono richiamati, dai consacrati, al primato di Dio e di ciò che non passa; sono introdotti all’amore per la parola di Dio che essi possono meglio approfondire e “spezzare” ai laici. Ma anche i consacrati imparano qualcosa dagli sposati. Imparano la generosità, la dimenticanza di sé, il servizio alla vita e, spesso, una certa “umanità” che viene dal duro contatto con le realtà dell’esistenza.
Ne parlo per esperienza. Io appartengo a un ordine religioso dove, fino a qualche decennio fa, ci si alzava di notte per recitare l’ufficio del “Mattutino”, che durava circa un’ora. Poi ci fu la grande svolta nella vita religiosa, a seguito del Concilio. Sembrò che il ritmo della vita moderna – lo studio per i giovani e il ministero apostolico per i sacerdoti – non consentissero più quell’alzata notturna che interrompeva il sonno, e a poco a poco essa fu abbandonata, a parte qualche luogo di formazione.
Quando, più tardi, il Signore mi ha fatto conoscere da vicino, nel mio ministero, diverse giovani famiglie, ho scoperto una cosa che mi ha salutarmente scosso. Quei giovani papà e mamme dovevano alzarsi non una, ma due, tre o anche più volte per notte, per dare da mangiare, somministrare la medicina, cullare il bambino se piangeva, vegliarlo se aveva la febbre. E al mattino uno dei due, o tutti e due, alla stessa ora, di corsa al lavoro, dopo aver portato il bambino o la bambina dai nonni o all’asilo. C’era un cartellino da timbrare e questo sia con il buono che con il cattivo tempo, sia con la buona che con la cattiva salute.
Allora mi sono detto: se non corriamo ai ripari, siamo in un grave pericolo! Il nostro genere di vita, se non è sorretto da autentica osservanza della Regola e da un certo rigore di orario e di abitudini, rischia di diventare una vita all’acqua di rose e di portarci alla durezza del cuore. Quello che dei buoni genitori sono capaci di fare per i loro figli carnali; il grado di dimenticanza di sé a cui sono capaci di giungere per provvedere alla loro salute, ai loro studi e alla loro felicità, deve essere la misura di ciò che dovremmo fare noi per i figli o i fratelli spirituali. Ci è di esempio in ciò proprio l’apostolo Paolo che diceva di volere “prodigarsi, anzi consumarsi”, per i suoi figli di Corinto (cf 2 Cor 12, 15).
Che lo Spirito Santo, datore dei carismi, aiuti tutti noi, sposati e consacrati, a mettere in pratica l’esortazione dell’apostolo Pietro:
“Ciascuno viva secondo il dono ricevuto, mettendolo a servizio degli altri, come buoni amministratori della multiforme grazia di Dio […], perché in tutto sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen!” (1Pt 4, 10-11).

Cosa l’insegnamento biblico dice a noi oggi.

Proseguimo con la seconda parte della meditazione di padre Cantalamessa (la prima parte la trovate qui)

Questa, per sommi capi, la dottrina della Bibbia, ma non possiamo fermarci ad essa. “La Scrittura, diceva san Gregorio Magno, cresce con chi la legge” (cum legentibus crescit) ; rivela implicazioni nuove a mano a mano che le vengono poste domande nuove. E oggi di domande, o provocazioni, nuove su matrimonio e famiglia ce ne sono tante.

Ci troviamo di fronte a una contestazione apparentemente globale del progetto biblico su sessualità, matrimonio e famiglia. Come comportarsi di fronte a questo inquietante fenomeno? Il concilio ha inaugurato un metodo nuovo che è di dialogo, non di scontro con il mondo; un metodo che non esclude neppure l’autocritica. Dobbiamo, credo, applicare questo metodo anche nella discussione dei problemi del matrimonio e della famiglia. Applicare questo metodo di dialogo significa cercare di vedere se al fondo anche delle contestazioni più radicali non c’è una istanza positiva da accogliere.

La critica al modello tradizionale di matrimonio e di famiglia che ha portato alle odierne, inaccettabili, proposte del decostruzionismo, è iniziata con l’illuminismo e il romanticismo. Con intenti diversi, questi due movimenti si sono espressi contro il matrimonio tradizionale, in quanto visto esclusivamente nei suoi “fini” oggettivi: la prole, la società, la Chiesa, e troppo poco in se stesso, nel suo valore soggettivo e interpersonale. Tutto si richiedeva ai futuri sposi eccetto che si amassero e si scegliessero liberamente tra di loro. Anche oggi, in tante parti del mondo ci sono sposi che si conoscono e si vedono per la prima volta il giorno delle nozze. A tale modello, l’Illuminismo oppose il matrimonio come patto tra i coniugi e il Romanticismo il matrimonio come comunione d’amore tra gli sposi.

Ma questa critica va nel senso originario della Bibbia, non contro di essa! Il concilio Vaticano II ha recepito questa istanza quando, come dicevo, ha riconosciuto come bene ugualmente primario del matrimonio il mutuo amore e aiuto tra i coniugi. San Giovanni Paolo II, nella linea della Gaudium et spes, in una sua catechesi del Mercoledì, diceva:

”Il corpo umano, con il suo sesso, e la sua mascolinità e femminilità,…è non soltanto sorgente di fecondità e di procreazione, come in tutto l’ordine naturale, ma racchiude fin dal principio l’attributo sponsale, cioè di esprimere l’amore: quell’amore appunto nel quale l’uomo-persona diventa dono e, mediante questo dono, attua il senso stesso del suo essere ed esistere” .

Nella sua enciclica “Deus caritas est”, il papa Benedetto XVI è andato oltre, scrivendo cose profonde e nuove a proposito dell’eros nel matrimonio e negli stessi rapporti tra Dio e l’uomo. “Questo stretto nesso tra eros e matrimonio nella Bibbia quasi non trova paralleli –scriveva – nella letteratura, al di fuori di essa” . Uno dei torti più grandi che facciamo a Dio è di aver finito per fare di tutto ciò che riguarda l’amore e la sessualità un ambito saturo di malizia, dove Dio non deve entrare ed è di troppo. Come se satana, e non Dio, fosse il creatore dei sessi e lo specialista dell’amore.

Noi credenti – e anche tanti non credenti – siamo lontani dall’accettare le conseguenze che alcuni traggono oggi da queste premesse: per esempio che basti qualsiasi tipo di eros a costituire un matrimonio, compreso quello tra persone dello stesso sesso, ma questo rifiuto acquista un’altra forza e credibilità se unito al riconoscimento della bontà di fondo dell’istanza, e anche a una sana autocritica.

Non possiamo infatti tacere il contributo che i cristiani avevano dato al formarsi di quella visione puramente oggettivista del matrimonio contro la quale la cultura moderna occidentale si è scagliata con veemenza. L’autorità di Agostino, rinforzata su questo punto da Tommaso d’Aquino, aveva finito per gettare una luce negativa sull’unione carnale dei coniugi, considerata il tramite di trasmissione del peccato originale e non priva, essa stessa, di peccato “almeno veniale”. Secondo il dottore di Ippona, i coniugi dovevano venire all’atto coniugale “con dispiacere” (cum dolore) e solo perché non c’era altro modo di dare cittadini allo stato e membri alla Chiesa .

Un’altra istanza moderna che possiamo fare nostra è quella della pari dignità della donna nel matrimonio. Essa, abbiamo visto, è nel cuore stesso del progetto originario di Dio e del pensiero di Cristo, ma è stata spesso disattesa lungo i secoli. La parola di Dio a Eva: “Verso l’uomo sarà la tua brama ed egli ti dominerà”, ha avuto un tragico avveramento nella storia.

Nei rappresentanti della cosiddetta “Gender revolution”, rivoluzione dei generi, questa istanza ha portato a proposte folli, come quella di abolire la distinzione dei sessi e sostituirla con la più elastica e soggettiva distinzione dei “generi” (maschile, femminile, variabile), o quella di liberare la donna dalla “schiavitù della maternità” provvedendo in altri modi, inventati dall’uomo, alla nascita dei figli. In questi ultimi mesi è un rincorrersi di notizie di uomini che fra poco potranno diventare incinti e dare alla luce un figlio. “Adamo da alla luce Eva”, si scrive sorridendo, mentre ci si sarebbe da piangere. Gli antichi avrebbero definito tutto ciò con un termine: Hybris, arroganza dell’uomo nei confronti di Dio.

Proprio la scelta del dialogo e dell’autocritica ci da il diritto di denunciare questi progetti come “disumani”, contrari, cioè, non solo alla volontà di Dio, ma anche al bene dell’umanità. Tradotti in pratica su larga scala, essi porterebbero a guasti umani e sociali imprevedibili. L’unica nostra speranza è che il buon senso della gente, unito al “desiderio” naturale dell’altro sesso e all’istinto di maternità e di paternità che Dio ha inscritto nella natura umana, resistano a questi tentativi di sostituirsi a Dio, dettati più da tardivi sensi di colpa dell’uomo, che da genuino rispetto e amore per la donna.

Matrimonio e famiglia nel progetto divino e nel Vangelo di Cristo

Ho trovato questa bella riflessione di padre Raniero Cantalamessa. Visto che si tratta di una catechesi molto lunga ho deciso di presentarla in tre momenti distinti.

Ecco il primo:

Dedico questa meditazione a una riflessione spirituale sulla Gaudium et spes, la costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo. Dei vari problemi della società trattati in questo testo conciliare –cultura, economia, giustizia sociale, pace –, il più attuale e problematico è quello relativo a matrimonio e famiglia. Ad esso la Chiesa ha dedicato gli ultimi due sinodi dei vescovi. La maggioranza di noi qui presenti non vive direttamente questo stato di vita, ma tutti dobbiamo conoscerne i problemi, per capire e aiutare la stragrande maggioranza del popolo di Dio che vive nel matrimonio, oggi specialmente che esso è al centro di attacchi e minacce da tutte le parti.
La Gaudium et spes tratta a lungo della famiglia all’inizio della Seconda Parte (nrr. 46-53). Non è il caso di citare le sue affermazioni, perché non è che la dottrina cattolica tradizionale che tutti conosciamo, a parte il rilievo nuovo dato al mutuo amore tra i coniugi, riconosciuto ormai apertamente come un bene, anch’esso primario, del matrimonio, accanto alla procreazione.
A proposito di matrimonio e famiglia, la Gaudium et spes, secondo il suo ben noto procedimento, mette in luce anzitutto le conquiste positive del mondo moderno (“le gioie e le speranze”), e in secondo luogo i problemi e i pericoli (“le tristezze e le angosce”). Io mi propongo di seguire lo stesso metodo, tenendo conto però dei cambiamenti drammatici avvenuti, in questo campo, nel mezzo secolo trascorso da allora. Richiamerò velocemente il progetto di Dio su matrimonio e famiglia, perché è sempre da esso che noi credenti dobbiamo partire, per poi vedere cosa la rivelazione biblica può apportare alla soluzione dei problemi attuali. Mi astengo volutamente dal toccare alcuni problemi particolari discussi nel sinodo dei vescovi, sui quali solo il papa ha ormai il diritto di dire ancora una parola.

1. Matrimonio e famiglia nel progetto divino e nel Vangelo di Cristo

Il libro della Genesi ha due racconti distinti della creazione della prima coppia umana, risalenti a due tradizioni diverse: quella jahwista (X sec a.C.) e quella più recente (VI sec. a.C.) detta “sacerdotale”. Nella tradizione sacerdotale (Gen 1, 26-28) l’uomo e la donna sono creati simultaneamente, non uno dall’altro; si pone in rapporto l’essere maschio e femmina con l’essere a immagine di Dio: “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò”. Il fine primario dell’unione tra l’uomo e la donna è visto nell’essere fecondi e riempire la terra.

Nella tradizione jahwista che è la più antica (Gen 2, 18-25), la donna è tratta dall’uomo; la creazione dei due sessi è vista come rimedio alla solitudine (“Non è bene che l’uomo sia solo; gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”); più che il fattore procreativo, si accentua il fattore unitivo (“l’uomo si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne”); ognuno è libero di fronte alla propria sessualità e a quella dell’altro: “Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna”.
La spiegazione più convincente del perché di questa “invenzione” divina della distinzione dei sessi l’ho trovata non in un esegeta, ma in un poeta, Paul Claudel:
“L’uomo è un essere orgoglioso non c’era altro modo di fargli comprendere il prossimo che quello di farglielo entrare nella carne; non c’era altro mezzo per fargli capire la dipendenza, la necessità e il bisogno se non mediante la legge su di lui di questo essere differente [la donna], dovuta al semplice fatto che esso esiste” .
Aprirsi all’altro sesso è il primo passo per aprirsi all’altro che è il prossimo, fino all’Altro con la lettera maiuscola che è Dio. Il matrimonio nasce nel segno dell’umiltà; è riconoscimento di dipendenza e quindi della propria condizione di creatura. Innamorarsi di una donna o di un uomo è fare il più radicale atto di umiltà. È un farsi mendicante e dire all’altro: “Io non basto a me stesso, ho bisogno del tuo essere”. Se, come pensava Schleiermacher, l’essenza della religione consiste nel “sentimento di dipendenza” (Abhaengigheitsgefühl) di fronte a Dio, allora, possiamo dire che la sessualità umana è la prima scuola di religione.
Fin qui il progetto di Dio. Non si spiega però il seguito della Bibbia se, insieme con il racconto della creazione, non si tiene conto anche di quello della caduta, soprattutto di quello che viene detto alla donna: “Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà” (Gen 3,16). Il predominio dell’uomo sulla donna fa parte del peccato dell’uomo, non del progetto di Dio; con quelle parole, Dio lo preannuncia, non lo approva.
La Bibbia è un libro divino – umano non solo perché ha per autori Dio e l’uomo, ma anche perché descrive, frammiste insieme, la fedeltà di Dio e l’infedeltà dell’uomo. Questo appare particolarmente evidente quando si confronta il progetto di Dio sul matrimonio e la famiglia con la sua attuazione pratica nella storia del popolo eletto. Per rimanere nel libro della Genesi, già il figlio di Caino Lamech viola la legge della monogamia prendendo due mogli. Noè con la sua famiglia appare un’eccezione in mezzo alla generale corruzione del suo tempo. Gli stessi patriarchi Abramo e Giacobbe hanno figli da più donne. Mosè sancisce la pratica del divorzio; David e Salomone mantengono un vero harem di donne.
Più che nelle singole trasgressioni pratiche, il distacco dall’ideale iniziale è visibile nella concezione di fondo che si ha del matrimonio in Israele. L’oscuramento principale riguarda due punti cardini. Il primo è che il matrimonio, da fine, diventa mezzo. L’Antico Testamento, nel suo insieme, considera il matrimonio come una struttura d’autorità di tipo patriarcale, destinata principalmente alla perpetuazione del clan. In questo senso vanno comprese le istituzioni del levirato (Dt 25, 5-10), del concubinaggio (Gen 16) e della poligamia provvisoria. L’ideale di una comunione di vita tra l’uomo e la donna, fondata su un rapporto personale e reciproco, non è dimenticata, ma passa in secondo ordine rispetto al bene della prole. Il secondo grave oscuramento riguarda la condizione della donna: da compagna dell’uomo, dotata di pari dignità, essa appare sempre più subordinata all’uomo e in funzione dell’uomo.

Un ruolo importante, nel mantenere vivo il progetto iniziale di Dio sul matrimonio, lo svolsero i profeti, in particolare Osea, Isaia, Geremia e il Cantico dei cantici. Assumendo l’unione dell’uomo e della donna come simbolo dell’alleanza tra Dio e il suo popolo, di riflesso, essi rimettevano in primo piano i valori dell’amore mutuo, della fedeltà e dell’indissolubilità che caratterizzano l’atteggiamento di Dio verso Israele.

Gesú, venuto a “ricapitolare” la storia umana, attua questa ricapitolazione anche a proposito del matrimonio.

“Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: È lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo? Ed egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina (Gen 1, 27) e disse: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? (Gen 2, 24). Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt 19,3-6).

Gli avversari si muovono nell’ambito ristretto della casistica di scuola (se è lecito ripudiare la moglie per qualsiasi motivo, o se occorre un motivo specifico e serio), Gesú risponde riprendendo il problema alla radice, dall’inizio. Nella sua citazione, Gesú si riferisce a entrambi i racconti dell’istituzione del matrimonio, prende elementi dall’uno e dall’altro, ma di essi mette in luce, come si vede, soprattutto l’aspetto di comunione delle persone.

Quello che segue nel testo, sul problema del divorzio, va anch’esso in questa direzione; riafferma infatti la fedeltà e indissolubilità del vincolo matrimoniale al di sopra del bene stesso della prole, con il quale si erano giustificati in passato poligamia, levirato e divorzio:

“Gli obiettarono: Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e mandarla via? Rispose loro Gesù: Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un’altra commette adulterio” (Mt 19, 7-9).

Il testo parallelo di Marco mostra come, anche in caso di divorzio, uomo e donna si collocano, secondo Gesú, su un piano di assoluta parità: ”Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio” (Mc 10, 11-12).

Con le parole: “Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”, Gesú afferma che c’è un intervento diretto di Dio in ogni unione matrimoniale. L’elevazione del matrimonio a “sacramento”, cioè a segno di un azione di Dio, non riposa dunque soltanto sul debole argomento della presenza di Gesú alle nozze di Cana e sul testo di Efesini che parla del matrimonio come di un riflesso dell’unione tra Cristo e la Chiesa (cf. Ef 5, 32); comincia, implicitamente, con il Gesú terreno e fa parte anch’essa del suo riportare le cose all’inizio. Giovanni Paolo II definisce il matrimonio “il sacramento più antico” .

fonte: http://www.cantalamessa.org/

 

Si incrociano fra loro, ma non si incontrano

Papa Francesco, durante la sua consueta omelia a Santa Marta, ci ha messo in guardia. Ci ha messo in guardia dalla nostra sempre più frequente incapacità di incontrare il nostro prossimo. Ha detto: “si incrociano fra loro, ma non si incontrano”.

Questo fa riflettere molto anche noi sposi cristiani. Quante volte ci incrociamo con la nostra sposa o il nostro sposo ma non ci incontriamo. Quante volte facciamo altro invece di ascoltare e dialogare col nostro coniuge. E’ vero abbiamo tutti tante cose da fare e a cui pensare. Abbiamo il lavoro, la famiglia, i bambini e tutto il resto. Il mondo in cui viviamo è terribile da questo punto di vista. Non riusciamo a fermarci. E anche quando siamo a casa siamo distolti dall’attenzione dell’ uno verso l’altra. Trovare un momento in cui parlare diventa davvero complicato e spesso, lo dico con sincerità, non ne abbiamo neanche voglia.

Consideriamo quel poco tempo libero nostro, un tesoro da non dividere con nessuno. Questo è molto triste. Dialogare con il nostro sposo/a non dovrebbe mai essere considerato tempo perso, ma al contrario è una grande occasione per amarlo, per far crescere e maturare quell’intimità, quella complicità, quel voler bene che sono ciò che dà sapore al rapporto. Ascoltare la propria moglie o il proprio marito mentre si apre, esprime le proprie paure, gioie, difficoltà, sofferenze, gratitudine e mostrare interesse, compassione (patire con) condivisione è grande. Sono quei momenti che saldano un rapporto più che mai e riempiono il cuore.  E invece noi magari passiamo ore sui social a parlare con persone che neanche si conoscono bene e trascuriamo nostra moglie e nostro marito.

Questo è un peccato gravissimo e le parole del Papa mi hanno toccato il cuore. Grazie Papa Francesco.

Antonio e Luisa

Tra la testa e il cuore.

Ho ricevuto questa luminosa testimonianza da parte di Federica e Alessandro. Grazie cuore e che la vostra unione sia sempre benedetta e protetta da Gesù e Maria.

Siamo Federica e Alessandro.
Io ho 33 anni, sono originaria di Palermo, ma vivo a Firenze da sei anni, dove mi sono trasferita per lavoro. Sono disabile dalla nascita: ho una emiparesi laterale sinistra, che comporta un uso limitato della mano sinistra, ed ho qualche difficoltà nel muovermi, sebbene cammini ed usi i mezzi pubblici per spostarmi.
Alessandro ha 42 anni ed è di Novara, dove vive e lavora nella ditta di famiglia.
Ci siamo conosciuti circa quattro anni fa, su un gruppo Facebook dedicato a Claudio Baglioni, il nostro cantante preferito.
Fui io a chiedergli l’amicizia, ma il nostro “rapporto” non è mai decollato, perché dopo aver parlato con Alessandro (erroneamente, lo ammetto), in modo superficiale, non lo avevo trovato interessante.
Lui però continuava a scrivermi, a chiedermi come stavo, ed io gli rispondevo molto vagamente.
Nel frattempo io ero impegnata in una storia, finita a novembre 2014.
A novembre 2015 acquistai un biglietto riservato ai portatori di handicap del concerto dei Capitani Coraggiosi, Baglioni e Morandi, che mi dava la possibilità di portare con me un accompagnatore. Così scrissi un post su Facebook chiedendo se qualcuno avesse voglia di venire con me ed Alessandro si offrì. All’inizio ero un po’ titubante, e speravo si tirasse indietro, cosa che fece per diversi motivi, ma risolte le questioni mi disse che alla fine poteva venire con me.
Cominciammo a sentirci spesso, a parlare, finché un giorno Alessandro mi disse che si era innamorato di me già da tempo, che mi seguiva da lontano, leggendo i miei post. Non gli interessava della mia disabilità, sentiva che il mio cuore era puro, che avevo bisogno di amore ed ero pronta a darne. In quel momento qualcosa dentro il mio cuore si sciolse: era come se avessi un nodo che quella dichiarazione fece sparire.
Parlando, Alessandro mi disse che grazie ai miei post su Facebook riguardanti la fede cattolica, voleva riavvicinarsi alla Chiesa, riaccostarsi ai sacramenti (cosa che fece il giorno del concerto): aveva smesso di andare in chiesa da parecchio tempo, pur essendo stato chierichetto e animatore in oratorio, senza un vero motivo. Alessandro mi ha chiesto anche di andare a messa tutti i giorni: se siamo insieme riusciamo a farlo, ma se siamo soli è un po’ più difficile, per i diversi impegni. Siamo di stimolo l’uno all’altro, anche se sarebbe ottimale andare sempre a messa. Abbiamo preso comunque la buona abitudine di pregare insieme ogni giorno: alle 15 seguiamo su Tv2000 la Coroncina alla Divina Misericordia, alle 18 seguiamo il S. Rosario da Lourdes e la sera prima di dormire, per telefono.
Un giorno Alessandro mi disse che dopo essere venuto a Firenze, sarebbe andato a Perugia per una breve vacanza, e per visitare Assisi. Gli dissi che sarei andata con lui: volevo portarlo a Collevalenza, al Santuario dell’Amore Misericordioso, per fargli fare l’immersione nelle piscine. Io sono devota della Beata Madre Speranza di Gesù, sono volontaria al Santuario, e sto facendo un percorso per diventare Laica dell’Amore Misericordioso.
Ritenevo fosse un buon modo di rinnovare le promesse battesimali e riprendere il cammino della fede.
Ci andammo il 3 marzo 2016, e facemmo l’immersione, dopo aver pregato sulla tomba di Madre Speranza, dove Alessandro avvertì la presenza della Madre sorridente. In Basilica, davanti una statuetta del Bambino Gesù dalla storia miracolosa, avvertì una voce che gli diceva: “Bentornato!”
Durante l’immersione io chiesi al buon Gesù di farmi capire se Alessandro fosse la persona che Lui aveva scelto per me e per cui avevo pregato tanto.
Alessandro si era sentito molto più sereno e leggero durante l’immersione.
Il giorno dopo andammo ad Assisi e assistemmo alla Santa Messa nella Basilica Inferiore. Durante l’omelia incentrata sul comandamento dell’Amore io mi sentivo il cuore piccolo piccolo, come se qualcuno me lo stringesse, e qualcosa dentro di me che mi diceva: “tu non puoi amarlo! Tu non puoi amarlo!” Mi voltai verso Alessandro, e vidi che aveva gli occhi spalancati e terrorizzati. Alla fine della Messa mi disse che si era sentito il cuore esplodere, e aveva avuto la sensazione di qualcuno che gli dicesse: “Non dovete ascoltare le parole del sacerdote!”. Capimmo che era stato un attacco del Maligno… e se era un attacco del Maligno, allora il Signore voleva che stessimo insieme! Comprammo due Tau, li facemmo benedire e da quel giornoli portiamo sempre al collo.
Abbiamo cominciato la nostra storia e da allora subiamo attacchi continui. Siamo stati attaccati da persone che criticano il nostro rapporto e che cercano di dividerci, e Alessandro a volte ha la sensazione che il Maligno gli dica che dobbiamo lasciarci perché il nostro non è amore. Di contro il Signore ci manda delle persone che ci aiutano a non cedere, o attraverso le omelie dai sacerdoti che sembrano rivolte a noi.
Un esempio. Siamo tornati a Collevalenza, perché io dovevo partecipare all’incontro mensile dell’Associazione Laici dell’Amore Misericordioso, e siccome Alessandro doveva venire a trovarmi siamo andati insieme. Io sarei dovuta andare a Collevalenza la settimana prima, da sola, ma l’incontro era stato rimandato all’ultimo. Vidi nello slittamento dell’incontro il segno che Alessandro doveva venire con me.
Quel fine settimana a Collevalenza accaddero diversi episodi.
Arrivati a Collevalenza andammo subito sulla tomba della Madre, e Alessandro avvertì di nuovo la sua presenza e la sensazione che gli dicesse: “Vi attendevo!”.
Ho spinto Alessandro a svolgere il servizio alle piscine, mentre io svolgevo servizio come guida nella casa della Madre. Alessandro ha capito cos’è il servizio al prossimo.
Abbiamo conosciuto un sacerdote molto in gamba che ci ha fatto capire diverse cose.
Mentre parlavamo, questo sacerdote ha detto una cosa che ci colpì molto. Disse, senza sapere del concerto, che tra me e Alessandro io ero la testa ed Alessandro il cuore… io e Alessandro ci guardammo ed esclamai che era stato lo Spirito Santo a fargli dire quelle parole. Gli parlammo del concerto e della canzone “Capitani Coraggiosi” che simboleggia la nostra storia. Recita così: “tra la testa e il cuore, capitani coraggiosi noi”. L’incontro tra la testa e il cuore che si completano!
Don Giuseppe ci disse anche che vedeva luce tra noi, e che gli attacchi del Maligno sarebbero arrivati soprattutto a me, perché ero stata uno strumento del Signore per far riavvicinare Alessandro, e mi disse che se la mia fede dovesse vacillare crollerebbe tutto, perché crollerebbe anche Alessandro. Ci ha suggerito di farci seguire da un direttore spirituale, che per fortuna abbiamo trovato, e per il quale avevo pregato.
Quel sabato, a Collevalenza era arrivata una nostra carissima amica, che da Roma organizza pellegrinaggi, e volle che raccontassimo ai pellegrini che erano con lei la nostra storia. I pellegrini stavano ad ascoltarci, e capimmo che la nostra missione è testimoniare il Vangelo attraverso il nostro amore.
Abbiamo capito anche che dobbiamo divulgare il carisma dell’Amore Misericordioso e per questo abbiamo creato il gruppo Facebook “L’Amore Misericordioso nella famiglia sulle orme di Madre Speranza”

(https://www.facebook.com/groups/1778368439049320/?fref=ts)

Casto è meglio.

I rapporti prematrimonioali, oramai sembrano accettati e considerati cosa buona da tutti o quasi. Anche all’interno della Chiesa Cattolica. Ma è davvero così? Oppure la nostra Madre Chiesa, vetusta e austera secondo molti, ha un’altra volta ragione? Quante volte ci siamo chiesti: perchè aspettare? Quante volte abbiamo considerato l’insegnamento della Chiesa vecchio e ormai fuori dal mondo. Ma ci siamo mai chiesti il perchè di tale richiesta?

E’ facile credere che avere rapporti con la propria fidanzata possa arricchire ancora di più il rapporto, possa renderlo più completo, più appagante, più vero, che ti permetta di essere davvero uno con la persona che ami. Ma è davvero così o c’è una menzogna di fondo?

Giovanni Paolo II, spiegando magistralmente la valenza dell’amplesso, ha evidenziato una verità ancora poco conosciuta. Il rapporto fisico è un atto sacramentale che esprime nel corpo l’unione totale e indissolubile dei cuori. Anima e corpo sono nella verità quando vivono in armonia tra loro, quando la verità dell’una è aderente alla verità dell’altro. Due persone che hanno rapporti nel fidanzamento esprimono con il corpo una totalità che nel cuore ancora non esiste e magari neanche si vuole avere. Non è più un dono totale di noi stessi ma diventa un guscio vuoto, spesso riempito con egoismo e pulsioni mascherati da amore. Ed ecco che il fidanzamento non è più un periodo da fruttificare e  in cui verificare se all’attrazione fisica che si prova per l’amato/a corrisponde una altrettanto forte unione di intenti, caratteri compatibili e volontà comune di formare una famiglia santa. L’unione affettiva sposta il centro dell’attenzione dalla persona amata ai rapporti sessuali. Tutto, l’attenzione, la volontà, l’impegno e la cura per l’altro saranno finalizzati ad ottenere appagamento sessuale, l’altro non è più il centro del nostro amore ma diventa mezzo per soddisfarci emotivamente e sessualmete. Non facciamo finta che non sia così. L’amplesso è un gesto così totalizzante che sbiadisce tutto il resto. Passa in secondo piano tutto il resto. Come faremo con queste premesse a fare la scelta giusta, una scelta che ci impegnerà per la vita? Avere rapporti è come avere la mente annebbiata, è come vivere perennemente ubriachi, mentre la castità rende sobri e svegli. La castità permette di tenere lo sguardo e la mente fissi su ciò che davvero è importante. La castità permette di capire che si sta vivendo un periodo di precarietà dove le scelte definitive ancora non sono state fatte. La castità permette di accorciare il tempo del fidanzamento, perchè nella conoscenza reciproca sempre più profonda nasce e cresce sempre più il desiderio di unirsi totalmete (anima e corpo) con l’amato/a nel sacramento del matrimonio oppure svanisce tutto e il rapporto cessa. La castità permette di vivere questo gesto solo con una persona, rendendolo molto più unitivo e forte di chi lo ha già sperimentato con altri.

La castità è una scelta difficile e incomprensibile per la nostra società attuale ma dà una marcia in più nel matrimonio. Non sono io a dirlo ma la statistica. Secondo una ricerca di un’università americana,  le coppie che hanno aspettato fino al matrimonio per avere la loro prima esperienza sessuale rispetto a coloro che hanno iniziato a fare sesso relativamente presto, hanno fatto registrare una stabilità di coppia maggiore del 22%, una soddisfazione nella relazione superiore del 20%, una qualità del rapporto sessuale migliore del 15% e la comunicazione all’interno della coppia è stata valutata migliore del 12%.

Un’ultima riflessione ma per me bellissima. Ricorda un noto cantante e attore messicano:

“Io potrò dire alla mia futura moglie io ti sono stato fedele ancora prima di conoscerti. Il sesso è un regalo di Dio ed è sacro. Ho capito che devo custodirlo, preservarlo e condividere questo regalo di Dio con la persona più importante della mia vita che, dopo Dio, sarà la madre dei miei figli, mia moglie, il giorno che mi sposerò.

Legare la bellezza dell’amplesso fisico a una sola donna. Rimanere fedele alla sola donna che Dio ha preparato per te fin dall’eternità dei tempi. Davvero la difficoltà della lotta per restare casti e combattere le pulsioni sono ben poca cosa in confronto alla ricompensa che ci verrà data in cambio.

A voi la scelta.

(spezzone del film “Il giocoliere di Dio”. Molto bello e significativo)

 

L’amore è forte come la morte

L’amore nasce dalla Signoria,

Signoria di Cristo in noi che incontra la nostra volontà.

Volontà che si fa dono nell’incontro con un’alterità

 diversa da noi, ma a noi complementare.

L’amore fa di noi poveri mendicanti e schiavi, dei Re e delle Regine.

L’amore è un Re che non domina ma si fa servo.

L’amore è come un animale che non si lascia addomesticare da noi

ma vuole la nostra resa per lasciarsi prendere.

L’amore nasce nel cuore ma cresce e matura nella mente dell’uomo.

L’amore non prende forma nella morbidezza di un cuore

ma nell’asprezza di una croce.

L’amore è incontro e scontro insieme.

L’amore è fiducia in qualcosa che non si comprende ma che sai che ti salverà.

L’amore è retrocedere da solo per andare avanti insieme.

L’amore è aspettare senza forzare.

L’amore è farsi parte di un tutto.

L’amore non esiste se non nella concretezza della carne.

L’amore è la tenerezza di un abbraccio ad occhi chiusi

perché a parlare sia solo l’incontro dei corpi

assaggio dell’abbraccio eterno con Cristo.

L’amore è un albero che va nutrito e curato

per dare frutto e non seccare.

L’amore è forte come è più della morte

 perché davanti a lui la morte arretra ed è sconfitta.

Grazie perché, attraverso le mie e le tue fragilità,

impariamo ad amare ogni giorno della nostra vita insieme.

 

 

 

L’amore che riceve senza dare è sfigurato.

89. Tutto quanto è stato detto non è sufficiente ad esprimere il vangelo del matrimonio e della famiglia se non ci soffermiamo in modo specifico a parlare dell’amore. Perché non potremo incoraggiare un cammino di fedeltà e di reciproca donazione se non stimoliamo la crescita, il consolidamento e l’approfondimento dell’amore coniugale e familiare. In effetti, la grazia del sacramento del matrimonio è destinata prima di tutto «a perfezionare l’amore dei coniugi».Anche in questo caso rimane valido che, anche «se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe» (1 Cor 13,2-3). La parola “amore”, tuttavia, che è una delle più utilizzate, molte volte appare sfigurata.

Dopo aver approfondito alcuni punti di Amoris Laetitia che sono serviti a caratterizzare il sacramento del matrimonio, Papa Francesco con il quarto capitolo dell’esortazione apostolica entra nel cuore del matrimonio, cercando di spiegare come si deve manifestare l’amore per essere davvero tale. Per farlo, vedremo successivamente, si avvale dell’inno all’amore di San Paolo.

Papa Francesco constata come la parola amore sia spesso una parola sfigurata, l’amore nella nostra società individualista nasconde spesso un concetto di possesso, di utilità, di prevaricazione, di egocentrismo. L’amore è tale perchè provoca sensazioni, perchè mi fa stare bene, perchè mi permette di soddisfare le mie esigenze affettive e sessuali. Sostanzialmente amare nel nostro tempo significa ricevere. Amo finchè mi conviene amare. E’ questo l’amore? E’ questo l’amore che ci insegna Gesù? E’ questo l’amore che ci permette di vivere un sacramento santo nella nostra vita di coppia? Non è questo, e il Papa cercherà di spiegarlo. Questo è il modo più facile per fallire un matrimonio. Quando arrivano le prove, le stanchezze, le sofferenze, le malattie ecco che il matrimonio non ci  dà più nulla, ma al contrario “pretende” (sacrilegio!) che siamo noi a darci, a donarci.Nei momenti difficili, quando non riceviamo che briciole, è proprio in quei momenti che ci viene chiesto di più.  Proposta che ci coglie impreparati e ci risulta incomprensibile. Il matrimonio diventa così una scuola dove impariamo a donarci, a scendere dal piedistallo, a capire che il mondo non gira attorno a noi. Ed è così che la stanchezza del coniuge, i suoi momenti di stress, i momenti di scoraggiamento, fino ad arrivare alle situazioni più gravi e difficili come la malattia, diventano per noi occasione di amare, di farci portatori di speranza, di forza, di misericordia. Il nostro amare senza ricevere fa sentire il nostro sposo o sposa amato/a per ciò che è, non per ciò che fa o che ci dà. E questo è grande. Amati in modo incondizionato, totale, per sempre. Un sacerdote missionario in Brasile ci ha raccontato un aneddoto: “Quando celebro un matrimonio chiedo agli sposi il perchè di quella scelta. Molti di loro mi rispondono per essere felici, considerando tale risposta la più ovvia e vera. Io allora faccio finta di mandarli via indignato, perchè non è la risposta corretta. Poi li richiamo e gli dico che avrebbero dovuto rispondere per rendere felice l’altro.”

Questa è una grande verità. Ci saranno momenti difficili, di crisi, in cui l’altro non sarà in grado di darci amore e di renderci felici, e in quel momento dove sentiremo aridità e lontananza che dovremo darci più di prima, perchè sarà il momento in cui il nostro coniuge avrà più bisogno di noi, del nostro amore, della nostra vicinanza e  attenzione.

Crisi deriva dal greco, è significa scelta. Ecco nella crisi noi abbiamo la possibilità di scegliere se restare accanto al nostro sposo/a oppure scappare verso un’illusione di felicità lontano da lui/lei. Abbiamo la possibilità di scegliere tra l’amore e l’egoismo. Se terremo lo sguardo fisso a quel crocefisso che ci ricorda cosa è l’amore, la scelta non sarà difficile.

Concludo con una testimonianza di vita:

Turia Pitt, ex modella e sportiva australiana, oggi simbolo ed esempio per tutte le donne del mondo. Tre anni fa l’ex modella è incappata in un vasto incendio nei boschi del Sudafrica, perdendo quasi la vita. Le conseguenze sul suo corpo sono state devastanti e rimarranno tali per tutto il resto della sua esistenza: ustioni gravi che l’hanno ricoperta per il 65%, 100 interventi chirurgici e 800 giorni in ospedale.

Con il passare del tempo, Turia ha saputo rialzarsi, riprendersi e addirittura diventare una motivatrice per tante donne. Nel frattempo ha lasciato le passerelle e lo sport, facendo della sua esperienza un punto da cui ripartire e un esempio per aiutare gli altri. Gli ostacoli e il cambiamento fisico non hanno compromesso nemmeno la storia d’amore con Michael Hoskin. Un uomo che si è dimostrato forte e nello stesso tempo dall’animo profondo.

Michael, intervistato qualche giorno fa dalla CNN, ha raccontato di avere recentemente lasciato il suo lavoro per stare accanto la compagna. “È come se avessi sposato la sua anima, lei è l’unica donna che continua a realizzare i miei sogni“, ha dichiarato ai microfoni dell’emittente televisiva statunitense. Parole che hanno commosso tutti i presenti e che sono la prova di come un legame possa andare al di là dell’esteriorità.

Il viso di Turia è sfigurato dalle fiamme, ma non è sfigurato il suo amore e quello di Michael che bruciano di un fuoco che non consuma e non riduce in cenere ma che brilla più che mai.

Antonio e Luisa.

Mano nella mano

Questa è l’immagine di due sposi americani, cento anni lui e novantasei lei. Da lì a pochi minuti lei morirà. Questa immagine mi ha commosso. Dopo settantasette anni che hanno detto il loro sì e sono usciti dalla chiesa mano nella mano, li ritroviamo ancora mano nella mano in quell’ultimo saluto che non vogliono finisca mai. Io non so quale è stata la loro vita, le loro difficoltà, le loro cadute, i loro litigi, le loro divisioni e quanto abbiano dovuto faticare per arrivare a quell’ultimo gesto. Ma quell’immagine mi regala la bellezza di chi c’è riuscito. Sono vecchi, malati, hanno un corpo sfatto, ma il loro amore brilla, è forte come non mai, perché, sono certo, lo hanno nutrito, rinnovandolo tutti i 28.000 giorni che hanno passato assieme e chi li vede, non può che restarne affascinato, perché vede in loro la verità di una vita spesa bene, spesa per crescere nel rapporto con la persona che Dio ha messo loro al fianco, perché certi gesti non nascono dal nulla ma sono frutto di una vita piena e non gettata via. Da lì a poco lei incontrerà lo Sposo, quello con la S maiuscola, Gesù il salvatore di ognuno di noi, e sono sicuro sarà pronta. Non so se sia credente o meno, in cosa creda ma poco importa, sono sicuro che sia pronta, si è preparata per quell’incontro negli ultimi settantasette anni, facendosi dono per il marito e adesso il marito non vuole lasciarla perché lei è parte di lui, è dentro di lui e vederla andare è come perdere una parte di sé, la migliore.

Antonio e Luisa.

La fede nuziale da sola non ha peso

Nel 1960 Andrzej Jawien, un autore polacco, pubblica sul mensile cattolico Znak  un dramma teatrale “La bottega dell’orefice”.Dietro quel nome per tutti sconosciuto si celava il futuro papa Giovanni Paolo II, Karol Wojtyla. Una bellissima opera che ruota intorno a una bottega di un orefice e racconta poeticamente tre storie per permetterci di meditare sul sacramento del matrimonio. L’orefice è la voce della Divina Provvidenza che interviene a svelare le coscienze dei protagonisti, ad indirizzare la loro strada, a ricordare loro il destino buono che sta già iniziando a svelarsi attraverso la scelta matrimoniale. Un’opera piena di brevi dialoghi, piccole pietre preziose che Karol ci regala. Emerge tutta la sua attenzione verso gli sposi che poi sarà uno dei tratti distintivi del suo pontificato.

Di seguito vi riporto il dialogo tra Anna e l’orefice, Anna ormai delusa e stanca del suo matrimonio:

Una volta, tornando dal lavoro, e passando vicino all’orefice, mi sono detta – si potrebbe vendere, perchè no, la mia fede (Stefano non se ne accorgerebbe, non esistevo quasi più per lui. Forse mi tradiva – non so, perchè anche io non mi occupavo più della sua vita. Mi era diventato indifferente. Forse, dopo il lavoro, andava a giocare a carte, dalle bevute tornava molto tardi, senza una parola, e se ne gettava là una rispondevo col silenzio).

Quella volta decisi di entrare.

L’orefice guardò la vera, la soppesò a lungo sul palmo e mi fissò negli occhi. E poi decifrò la data scritta dentro la fede. Mi guardò nuovamente negli occhi e la pose sulla bilancia…. poi disse: “Questa fede non ha peso, la lancetta sta sempre sullo zero e non posso ricavarne nemmeno un milligrammo d’oro. Suo marito deve essere vivo – in tal caso nessuna delle due fedi ha peso da sola – pesano solo tutte e due insieme. La mia bilancia d’orefice ha questa particolarità che non pesa il metallo in sè ma tutto l’essere umano e il suo destino”.

Ripresi con vergogna l’anello e senza una parola fuggii dal negozio.

Antonio e Luisa

Accompagnati teneramente (2 parte)

 

CERCAVO LA MIA STRADA

Due mesi dopo, incontrai per la prima volta padre Pancrazio che non trattai mai come un indovino – ci tiene a sottolineato Annalisa – ma mi rivolsi a lui con molta delicatezza, gli parlai della mia vita e gli domandai di poter fare un’esperienza con la comunità per capire se il Signore mi stava chiamando alla consacrazione. E così feci. Gli ultimi due giorni, venne anche Domenico. Ero ancora combattuta, perchè da una parte sentivo il desiderio di diventare suora e dall’altro l’amore per il mio ragazzo. Ero molto confusa e solo una persona poteva aiutarmi: padre Pancrazio che mi ha accompagnata lungo il cammino, ma senza interferire nella scelta. Una sera gli domandai di poter rimanere ancora un altro po’ con loro. Lui con tono chiaro ed autorevole:”Annalisa vai a casa…devi tornare a casa per sentire se ti manca la fraternità. Seguii il suo consiglio. Continuai a pregare e a portare avanti i miei impegni. All’epoca lavoravo e studiavo giurisprudenza.Pian piano , a frequentare Casa Betania, ho visto con più chiarezza la mia strada grazie all’incontro con tante famiglie, ai loro cenacoli di preghiera, ai pellegrinaggi che organizzavano. Così è maturato dentro di me il desiderio di sposarmi. Fondamentale è stata la presenza di padre Pancrazio (al secolo Nicola Gaudioso, Ndr.). Ricordo molto bene – racconta Annalisa – quel caldo pomeriggio di maggio, quando gli abbiamo confidato che sentivamo la chiamata al matrimonio. Il suo viso si è illuminato di gioia: “Coraggio, padre Pio diceva sempre ai fidanzati di sposarsi in minimo 6 mesi e massimo due anni” aggiunse: “L’uomo non è stato creato per sposarsi o consacrarsi, ma per conoscere, servire e amare Dio. C’è chi lo fa con la consacrazione chi col matrimonio, voi fatelo da sposati con quest’ordine. Dio, la famiglia e infine il lavoro”. I miei genitori non la presero bene,  avevo ventisei anni e non avevo ancora finito l’università. Anche questa volta padre Pancrazio mi fu di grande aiuto. Sentiva che lo studio in quel momento non mi avrebbe portato da nessuna parte. Mi ero iscritta alla facoltà di giurisprudenza solo per far contento mio padre ma non desideravo diventare avvocato.L’idea non mi appagava per nulla.Mentre volevo tanto una famiglia, fare la moglie e la mamma.Mi sentivo sovraccaricata, non sapevo più che cosa scegliere”.

“UNA COMPAGNIA PER LA NOSTRA VITA”

E padre Pancrazio si espresse in questi termini: “Mai sacrificare un valore più grande per uno più piccolo. Non puoi fare tutte e tre le cose: studio, lavoro, famiglia. Ora pensa a sposarti e a lavorare, Ho continuato a  per lo studio hai tempo, e potrai farlo meglio quando lo sentirai un bene per te stessa, e non un’imposizione”. Ho lasciato l’università. Ho continuato a lavorare nell’azienda di famiglia e con Domenico abbiamo fissato la data del matrimonio. A un tratto ho sentito che ogni cosa aveva trovato il giusto posto. E ho provato un gran sollievo, il padre ci ha guidato a Gesù come solo lui sapeva fare. Ci ha preparato – prosegue Annalisa – ad affrontare un’avventura, una vocazione così grande come il matrimonio. Ci ha incoraggiato soprattutto nei momenti della prova che non sono mancati. Ma si sa che i progetti di Dio, sono sempre attaccati, e tanti sono gli ostacoli da superare.  Dopo due lunghissimi anni passati a preparare il nostro sì a Dio tra Casa Betania, Medjugorje e il corso prematrimoniale, finalmente la mattina del 2 giugno 2011 nel Santuario di Sant’Antonio a Bari, Domenico ed io ci siamo uniti con Gesù davanti a cinque sacerdoti tra cui non poteva mancare padre Pancrazio. Poco dopo siamo diventati oblati della fraternità francescana di Betania, il 25 marzo giorno dell’Annunciazione, rinnoviamo le promesse. Il Signore ci ha donato due bellissime bambine: Miriam (è stato padre Pancrazio a scegliere il nome) ed Elisabetta Maria, nata tre anni dopo. Entrambe le nostre figlie sono state consacrate da lui a Maria Santissima. E pochi mesi dopo la nascita della nostra ultima figlia, il 3 gennaio 2016, il religioso è nato al cielo. Mi ricordo che nel suo ultimo colloquio mi disse: “Farò più di prima”.Penso sentisse che il momento di lasciarci era vicino. Lui è stato capace di insegnarci l’amore di Dio, il suo cuore si è consumato tutto per amore verso il prossimo e noi sentiamo la responsabilità di rendere fruttuoso quello che ci ha donato. Siamo chiamati a testimoniare che la santità non è un cammino solo per alcuni, ma per ognuno di noi, e consiste nel fare in modo straordinario tutte le piccole cose di ogni giorno. Il suo motto era: “Vivere bene per morire bene”. “Oggi sono una moglie e una mamma felice, vivo la mia vocazione impegnandomi ogni giorno, e cerco di fare il bene nel mio lavoro, in fraternità , in alcuni momenti sbagliando, a volte facendo un passo indietro, ma sempre tenendo lo sguardo su di Lui”.

Qui l’articolo finisce. Voglio aggiungere una mia personale sensazione. Mi riconosco in tanto di quello che Annalisa ha testimoniato. Riconosco gli errori di gioventù, riconosco l’importanza di incontrare la persona giusta con cui progettare una famiglia, e riconosco l’importanza  di trovare una guida saggia che ci ha permesso di mettere ordine e di individuare le priorità. Un padre che ci ha condotti al Padre, e che quando ci ha lasciato per  salire al cielo, ci siamo accorti di non essere più le persone fragili che eravamo quando lo incontrammo, ma avevamo imparato, come ricorda Annalisa, ad avere sempre lo sguardo su di Lui, e quindi, ad essere capaci di affrontare le difficoltà della vita e le fragilità che ognuno di noi nasconde dentro.

Ora sono sicuro che padre Pancrazio (che abbiamo conosciuto anche io e Luisa) e padre Raimondo (colui che ci ha insegnato tutto) sono lì con Gesù e Maria a intercedere per noi e a volerci bene più di prima.

Accompagnati teneramente (1 parte)

Oggi posto la prima parte della testimonianza di Annalisa e Domenico, due sposi di Bari. Ho avuto occasione di scambiare due battute con Annalisa e ho percepito in lei la consapevolezza della bellezza del matrimonio e il desiderio di appartenere sempre più a Gesù attraverso il suo sposo, per avere una vita personale e di coppia sempre più piena e vera.

Questa lunga testimonianza, che inizio oggi a pubblicare, è tratta dalla rivista “La presenza di Maria  a Medjugorje” ed è stata scritta da Simona Amabene. Ringrazio di cuore Annalisa e suo marito Domenico che hanno voluto condividere con tutti noi questa storia meravigliosa di conversione e di amore.

 

Annalisa ricorda ancora l’emozione della sua prima comunione ricevuta nel Santuario di Sant’Antonio a Bari: “Sentivo un trasporto speciale verso Gesù. Ero felicissima!”. Poi cresce. E ormai adolescente, una notte, fa un sogno: “Ero avvolta come in una nuvola di pace. Tutto era così bello, un’infinità di petali di rosa volavano ovunque. All’improvviso vedo ingigantirsi la statua della Madonna di Lourdes che si trovava nel nostro giardino, e stava per cadere giù dal muretto, ma io corro e l’afferro. Poi mi appare un volto illuminato da una luce intensa e con voce dolcissima: “Non farmi cadere ti prego”.E mi sveglio. Rimango turbata. Solo dopo un po’ di tempo, comprenderò il significato di quella visione”. Come accade a tanti ragazzi, Annalisa si lascia trascinare da una compagnia sbagliata. Si innamora di un giovane benestante con il vizio dell’alcool, delle canne, con cui finisce a fare serate in discoteca sino a tardi. “Lui era di Milano, ci vedevamo solo nel fine settimana a Bari, o io salivo a casa sua. Avevo diciotto anni, assaporavo il gusto della prima libertà concessa dai miei genitori e come spesso accade ti fai prendere la mano. Dopo un anno ci siamo lasciati. Mi sentivo sola e triste -ricorda Annalisa- e sfogavo il mio dolore nel fumo e nelle cattive abitudini che avevo imparato dal mio ex ragazzo. La mia vita era il vuoto più assoluto, buia come la notte. E fu così fino a quando, a una serata universitaria, incontro Domenico, anche lui di Bari. I nostri sguardi si sono incrociati, e ho sentito che non potevo andarmene senza conoscerlo. E’ stato un vero e proprio colpo di fulmine. Ci siamo scambiati i numeri di telefono. Dopo due giorni ci siamo rivisti. E’ nata così la nostra storia d’amore! Come un angelo è apparso nella mia vita e mi ha aiutato a smettere di bere e di fumare, mi ha salvato dai vizi e da una vita senza senso. Solo oggi, a distanza di anni, capisco il progetto di Dio”

“UNA LETTURA MI HA PORTATO CONSIGLIO”

Con Domenico, Annalisa vive un periodo spensierato, della sua giovinezza, sono felici! Lui la protegge e la consiglia. E lei è sempre più innamorata. Ma il loro amore doveva perfezionarsi per volare in alto. “Nel 2007 mia madre si reca per la prima volta a Medjugorje. Era settembre. Io la prendevo in giro perchè mi parlava sempre di Radio Maria e padre Livio. Ma io non la ascoltavo proprio. Ma accadde qualcosa di davvero particolare. Mentre lei era in pellegrinaggio, sento l’impulso di leggere il libro di Antonio Socci Mistero Medjugorje che si trovava nella libreria di casa. Lo feci di nascosto dal mio fidanzato , da mio fratello, che sapevano quanto fossi scettica sull’argomento. Che figura avrei fatto! Non riuscivo a interrompere la lettura, me lo sono portato anche al lavoro. In due giorni l’ho finito. L’effetto è stato travolgente. A un tratto ho aperto gli occhi e ho sentito il fortissimo desiderio di andare a Medjugorje. Chiamo mia mamma al telefono, le chiedo di portarmi una corona del rosario da quella terra benedetta. E dissi a Maria: “Se tu vorrai, mi farai venire da te!” Iniziai a pregare ogni giorno il santo Rosario. Era la mia nuova forza! Poi a novembre di quello stesso anno, arriva l’occasione tanto attesa da me e Domenico, di partire in pellegrinaggio con un gruppo. Il signore fa perfette tutte le cose e chiamò a nuova vita anche il mio ragazzo. E’ stata una meraviglia! Abbiamo sperimentato la gioia di essere amati per quello che siamo, pieni di peccati, fragili e umani. Ricordo l’atmosfera, l’allegria, i canti, le preghiere, le adorazioni. E’ iniziato il nostro sì a Gesù. E da allora sono arrivati fiumi di Grazie.

UN INCONTRO DECISIVO

“Quando siamo tornati a casa, la nostra vita non era più la stessa. Gesù e Maria ci avevano trasformato. Non potevamo tacere un amore così grande. E con entusiasmo abbiamo organizzato gruppi di preghiera coinvolgendo altre persone. Ogni giorno recitavamo tutti insieme il Rosario, la coroncina alla Divina Misericordia e i sette Pater Ave e Gloria. Intanto sentivamo anche il desiderio di amarci come Dio ci insegna per la nostra vera felicità. Abbiamo fatto voto di castità.In attesa di capire cosa volesse da noi il Signore. Sentivo da una parte il desiderio di seguire Dio in maniera totale, ma allo stesso tempo provavo un grande sentimento per Domenico. Durante la Santa Messa, la recita del Rosario, chiedevo al Signore la Grazia di farci capire che cosa voleva fare con  noi. Molto importanti furono le preghiere davanti al crocefisso di San Damiano, a cui rivolgevo la stessa preghiera di San Francesco: “Signore cosa vuoi che io faccia?”Un giorno, nel mio negozio di dolci e caramelle in centro a Bari, conosco per caso sorella Cristina. Mi racconta della loro Fraternità Francescana di Betania composta da fratelli e sorelle consacrati a Dio, della loro spiritualità mariana, del loro carisma di preghiera e accoglienza molto legata a Medjugorje (dove peraltro la veggente Marija ha avuto l’apparizione più lunga in assoluto), e del loro fondatore, padre Pancrazio, figlio spirituale di san Pio da Pietralcina che a Terlizzi (Bari), nella casa madre, riceveva chiunque avesse bisogno di un consiglio. Inoltre, grazie ai doni ricevuti per bontà divina, aiutava tanti a trovare la loro strada. Così a settembre 2008 decisi di andare per la prima volta a conoscere questa realtà religiosa. Era una vera oasi di pace e nel mio cuore sentii una voce che mi diceva, questa è casa tua. E lo era davvero, ma non nel modo che allora immaginavo”.

Continua……..

 

 

Servire la comunità attraverso l’amore sponsale.

 

86. «Con intima gioia e profonda consolazione, la Chiesa guarda alle famiglie che restano fedeli agli insegnamenti del Vangelo, ringraziandole e incoraggiandole per la testimonianza che offrono. Grazie ad esse, infatti, è resa credibile la bellezza del matrimonio indissolubile e fedele per sempre. Nella famiglia, “che si potrebbe chiamare Chiesa domestica” (Lumen gentium, 11), matura la prima esperienza ecclesiale della comunione tra persone, in cui si riflette, per grazia, il mistero della Santa Trinità. “È qui che si apprende la fatica e la gioia del lavoro, l’amore fraterno, il perdono generoso, sempre rinnovato, e soprattutto il culto divino attraverso la preghiera e l’offerta della propria vita”

87. La Chiesa è famiglia di famiglie, costantemente arricchita dalla vita di tutte le Chiese domestiche. Pertanto, «in virtù del sacramento del matrimonio ogni famiglia diventa a tutti gli effetti un bene per la Chiesa. In questa prospettiva sarà certamente un dono prezioso, per l’oggi della Chiesa, considerare anche la reciprocità tra famiglia e Chiesa: la Chiesa è un bene per la famiglia, la famiglia è un bene per la Chiesa. La custodia del dono sacramentale del Signore coinvolge non solo la singola famiglia, ma la stessa comunità cristiana»

88. L’amore vissuto nelle famiglie è una forza permanente per la vita della Chiesa. «Il fine unitivo del matrimonio è un costante richiamo al crescere e all’approfondirsi di questo amore. Nella loro unione di amore gli sposi sperimentano la bellezza della paternità e della maternità; condividono i progetti e le fatiche, i desideri e le preoccupazioni; imparano la cura reciproca e il perdono vicendevole. In questo amore celebrano i loro momenti felici e si sostengono nei passaggi difficili della loro storia di vita […] La bellezza del dono reciproco e gratuito, la gioia per la vita che nasce e la cura amorevole di tutti i membri, dai piccoli agli anziani, sono alcuni dei frutti che rendono unica e insostituibile la risposta alla vocazione della famiglia»,[103] tanto per la Chiesa quanto per l’intera società.

I punti 86, 87 e 88 di Amoris Laetitia mettono in risalto una realtà poco evidenziata e poco accolta dalla Chiesa o da parte di essa, una realtà che fa fatica ad affrancarsi, ma che è determinante per il futuro della Chiesa. Il Papa riconosce a noi sposi una missione che è diversa da quella dei consacrati ed è diversa da quella dei laici singoli. Noi siamo sposi e come tali dobbiamo operare all’interno della nostra comunità. Spesso i parroci ci domandano di occuparci di mille attività (per es. coro, catechismo, oratorio), ma spesso non hanno la sensibilità e la formazione necessarie a comprendere che noi, per essere davvero utili alla nostra comunità, abbiamo bisogno di crescere come coppia e come famiglia; abbiamo bisogno di uno spazio di confronto dove affrontare le nostre difficoltà su quella che deve essere la nostra prima missione nel mondo, cioè vivere un matrimonio santo; abbiamo bisogno di uno spazio dove non sentirci soli nella nostra scelta di essere sposi in Cristo. La pastorale familiare e l’accompagnamento delle famiglie giovani all’inizio del loro cammino è spesso assente o poco curata.  Va bene quindi aiutare la propria comunità per quello che si può, ma non va più bene quando questi impegni sommati ai tanti altri che riempiono le giornate delle nostre famiglie vanno a soffocare la relazione tra gli sposi. Dobbiamo aver ben presente che la nostra missione più importante che Dio ci ha affidato è quella di mostrare l’amore tra due persone, che diventa specchio di quello di Dio. Con il nostro amore dobbiamo essere speranza e luce per un mondo disperato. Dobbiamo essere piccola Chiesa per i nostri figli e per la nostra comunità. Dobbiamo nutrire il nostro amore con il dialogo e la tenerezza e sappiamo che questo è spesso possibile solo la sera e durante il fine settimana. Per questo  Padre Bardelli, il nostro padre spirituale, ci diceva sempre di prendere impegni serali solo per al massimo due giorni a settimana in modo che i restanti cinque potessimo occuparci dei bambini e di noi come coppia. L’impegno per la comunità e per Dio non deve diventare una compensazione di quell’appagamento che non troviamo in  casa, ma al contrario l’amore che nutriamo e che generiamo all’interno della coppia deve traboccare e diventare servizio per i figli e la comunità. Dobbiamo ricordare che siamo sposi, che il nostro rapporto con Gesù è vero quando non è più un fatto personale, ma diventa vero quando passa attraverso la mediazione del nostro coniuge. Amiamo Gesù in e attraverso nostra moglie e nostro marito.

Antonio e Luisa

Ama e lasciati amare

Qualche giorno fa, siamo andati a Roma, e abbiamo avuto la grazia di poter pregare davanti alla tomba di Chiara Corbella e dei suoi due piccoli angeli Maria Grazia Letizia e Davide Giovanni. Non ho conosciuto Chiara in vita, ma la sua storia mi è entrata dentro, ha suscitato in me una sana invidia per come lei ed Enrico sono stati capaci di vivere situazioni tanto dolorose, con un abbandono completo a Dio. Nello stesso tempo, la storia di Chiara mi ha donato la speranza che tutti noi possiamo avere quello che lei ha avuto: forza, Grazia, bellezza, speranza. Dio, infatti, ci vuole tutti così, sta a noi dire il nostro sì proprio come hanno fatto Chiara ed Enrico. Non li conosco, ma gli voglio bene e provo tanta gratitudine, perché la loro testimonianza è per tutti e anche per me.

Leggendo il libro sulla storia di Chiara ed Enrico, ho capito quello che penso sia il cuore della loro vita e quello che possono insegnare a tutti noi.

Noi siamo imperfetti, abbiamo limiti e fragilità, la croce ci spaventa, ma è proprio nella nostra fragilità che troviamo la nostra forza e il nostro coraggio.

Noi non vediamo Chiara ed Enrico per quelli che sono (con tanti difetti come ognuno di noi), ma vediamo Chiara ed Enrico trasfigurati da Gesù, due persone che hanno aperto il loro cuore a Gesù e alla sua Grazia e Gesù non ha tradito. Negli anni della gioia del matrimonio, ma anche della croce della morte dei figli e della sua malattia, Chiara non mostrava più soltanto Chiara, ma attraverso di lei si faceva esperienza diretta dell’amore, di Gesù.

E’ bello, a questo proposito, quello che Enrico scrive di lei, che è poi uno dei passaggi che mi hanno colpito molto del libro “Piccoli passi possibili”:

Come la Vergine Maria, non parli mai di te, ma del tuo amore. E’ stata lei a presentarti suo Figlio e tu ora fai lo stesso con noi.

Chiara ci insegna questo, la santità non è un talento innato, che spetta a qualcuno di predestinato, la santità è per tutti, la santità non è nello straordinario, ma è nel fare in modo straordinario le cose ordinarie della vita. Chiara ed Enrico hanno solo detto sì e lo straordinario si è manifestato nel gesto ordinario di accogliere la vita sempre. Chiara ci insegna che possiamo essere come lei se solo riusciamo ad aprire il nostro cuore a Gesù o, come dice lei, ad amare e a lasciarsi amare. Chiara non ci lascia scuse. Non importa se abbiamo difetti, paure, imperfezioni e fragilità, Dio può fare meraviglie in noi attraverso la Grazia. Chiara, sono sicuro, si è vista con gli occhi di Dio, ha visto tutta la meraviglia della sua imperfezione umana, perché proprio in quella imperfezione si è lasciata amare ed ha imparato ad amare. Chiara è tutto questo ed è per questo che tante persone trovano conforto dalla sua vita e la pregano già come santa.

Per capire chi era Chiara vi riporto uno scritto tratto dal suo diario e riportato nel libro “Piccoli passi possibili”. Parla di Davide, il suo secondogenito. Anche lui, come Maria Grazia Letizia (la primogenita), presenta diverse malformazioni tanto da essere destinato a morte certa entro pochi minuti dalla nascita. Chiara esprime in queste poche righe, una libertà, un affidamento a Dio e un amore meravigliosi, tanto da sconfiggere la morte e la malattia e vedere in Davide non solo la meraviglia di una creatura umana, ma anche una via di salvezza per lei e per tutti.

Chi è Davide? Un piccolo che ha ricevuto in dono da Dio un ruolo tanto grande, quello di abbattere i grandi Golia che sono dentro di noi. Abbattere il nostro potere di genitori di decidere su di lui e per lui. Ci ha dimostrato che lui cresceva ed era così perché Dio aveva bisogno di lui così. Ha abbattuto il nostro diritto a desiderare un figlio che fosse per noi, perché lui era solo per Dio.. Ha abbattuto il desiderio di chi pretendeva che fosse  il figlio della consolazione, colui che ci avrebbe fatto dimenticare il dolore per la morte di Maria Grazia Letizia. Ha abbattuto la fiducia nella statistica, di chi diceva che avevamo le stesse probabilità di chiunque altro di avere un figlio sano. Ha smascherato la fede magica di chi crede di conoscere Dio e poi gli chiede di fare il dispensatore di cioccolatini. Ha dimostrato che Dio i miracoli li fa, ma non con le nostre logiche limitate perché Dio è qualcosa di più dei nostri desideri. Ha abbattuto le idee di quelli che non cercano in Dio la salvezza dell’anima ma solo quella del corpo; di tutti quelli che chiedono a Dio una vita felice e semplice che non assomiglia affatto alla via della croce che ci ha lasciato Gesù. Davide così piccolo si è scagliato con forza contro i nostri idoli e ha gridato con forza in faccia a chi non voleva vedere; ha costretto tanti a correre ai ripari per non riconoscere di essere stati sconfitti. Io invece ringrazio Dio di essere stata sconfitta dal piccolo Davide; ringrazio Dio che il Golia che era dentro di me ora è finalmente morto.Grazie a Davide nessuno è riuscito a convincermi che quello che ci stava capitando era una disgrazia, che deriva dal fatto che ci eravamo allontanati da Dio, anche inconsciamente. Ringrazio Dio perché il mio Golia è finalmente morto, e i miei occhi sono liberi di guardare oltre e seguire Dio, senza avere paura di essere quella che sono.

Chiara, tu sei riuscita a passare nella porta stretta. Il segreto per riuscire a passare per quella porta non è fare o non fare qualcosa, che diventa spesso moralismo, ma è di più, è seguire Gesù fino a Gerusalemme, fino alla fine e tu Chiara hai saputo farlo.

Chiara intercedi per tutti noi, aiutaci ad amare e a lasciarci amare come hai saputo fare tu e fa’ che possiamo trasformare la nostra vita e il nostro matrimonio in qualcosa di meraviglioso, perché, anche se noi siamo imperfetti, il nostro amore in virtù della Grazia può essere perfetto.

Antonio e Luisa

 

Sposi: sacerdoti nel dono di sé.

I ministri del matrimonio sono lo sposo e la sposa. Il sacerdote, pur se presente, non è ministro del sacramento delle nozze. Questo puntualizza il punto 75 di Amoris Laetitia.

Come è possibile che due laici possano celebrare un sacramento, reale presenza di Cristo?

Possono in virtù del loro battesimo. Nel battesimo Gesù, che è il primo e unico sacerdote, (tutti i sacerdoti ordinati sono abilitati in virtù di Cristo) ci ha donato tutto di sé. Lo Spirito Santo, con il suo fuoco d’amore, ci ha reso tralci della vite che è Gesù. Gesù, che è Re sacerdote e profeta, ci ha reso Re profeti e sacerdoti. In virtù di questo, tutti noi battezzati abbiamo il sacerdozio comune (da non confondere con il sacerdozio ordinato). La dimensione sacerdotale riguarda l’offerta. Il sacerdote è colui che offre a Dio. Gesù vive la più alta espressione della propria dimensione sacerdotale nella sua passione  e morte, donando tutto se stesso per noi. Nell’ultima cena Gesù si è infatti donato al Padre in sacrificio per noi, sacrificio che sarebbe stato consumato sul calvario, e reso glorioso dalla resurrezione.

In virtù di tutto questo, Dio ci abilita al sacerdozio comune e a farci offerta totale di noi stessi nel matrimonio esattamente come Cristo sulla croce.

Vi può sembrare un paragone dissacrante del sacrificio di Gesù, ma non lo è.

Chiedetelo alle tante spose e ai tanti sposi che hanno sofferto la malattia, l’abbandono, la divisione, la menzogna, il tradimento e, nonostante ciò, sono rimaste/i fedeli alla promessa del dono di sé fatta il giorno delle nozze, non sono scese/i dalla croce e si sono immolate/i anche e soprattutto per la persona che ha fatto loro del male, sono “morte/i” per lei. Se quella persona, nonostante il dolore che ha provocato, si salverà, sarà anche grazie al sacrificio compiuto dalla/o sposa/a rimasto fedele a Cristo e alla sua promessa.

Padre Maurizio Botta, sacerdote che segue tantissime coppie di fidanzati afferma in un’intervista di qualche anno fa:

Indico il crocifisso. “Allora, siete sicuri? Volete amarvi proprio così?”. Questo stesso crocifisso lo ritiro fuori quando la coppia viene a dirmi che c’è la crisi, la difficoltà, io attraverso il crocifisso li riporto a chiedere la grazia del matrimonio, li riporto a quella domanda: ma tu vuoi essere un discepolo di Cristo? Il punto centrale è sempre l’identità di Cristo, e io sono schietto: o Cristo è Dio o Cristo è un matto. Se tu ci credi, e vuoi essere suo discepolo, quando sei in fila per la Comunione, riferendoti al tuo sposo o alla tua sposa devi dire: “Voglio amarlo come lo ami Tu”, quindi significa che credi che quello sia il corpo di Cristo e allora io domando ancora: davvero vuoi amarlo così? Fino a farti mangiare? Questo è il cuore del matrimonio.

Antonio e Luisa

I frutti di un’unione casta ed ecologica 3

Il terzo dono è l’aumento dell’amore naturale. L’amplesso fisico non è solo la riattualizzazione di un sacramento, ma è anche, allo stesso tempo, la più alta espressione naturale e sensibile dell’amore tra gli sposi, ed in quanto tale accresce naturalmente il loro amore. Il corpo, infatti, esprimendo l’amore lo accresce, rivestendolo del fascino delle doti espressive dell’amore.

Il rapporto fisico diventa quindi sorgente di crescita dell’amore umano.

Attenzione però! Questa crescita è proporzionata all’autentico amore incarnato nel rapporto. E’ quindi di decisiva importanza che gli sposi purifichino il loro cuore dagli influssi negativi e deleteri del concetto di amore promosso dalla strada e da tutti i mezzi di comunicazione, dove non esiste la cultura del dono ma solo quella del piacere fine a se stesso o comunque influenzata fortemente da egoismo e individualismo.

Gli sposi devono cercare di migliorare sempre più il rapporto fisico con gesti e parole rispettosi della sensibilità personale del proprio sposo e della propria sposa in un clima di conoscenza, intimità, rispetto, cura sempre maggiori. Viene da sè che è un cammino di crescita anche la qualità del rapporto fisico, perchè più ci si conosce in un dialogo d’amore franco e fedele e più saremo capaci di vivere l’intimità secondo la sensibilità del nostro coniuge, rendendolo per lui/lei e per noi un gesto sempre più bello e appagante.

L’intimità sessuale diventa così per gli sposi un mezzo privilegiato per realizzare la santità, che va rivalutato, liberandolo dei pregiudizi e delle incrostazioni del passato e anche del presente. Ciò comporta da parte della coppia una meditazione, profonda e ricorrente del Cantico dei Cantici, per immergere il loro cuore e la loro mente sempre più intensamente nell’educazione sessuale elargita a loro da Dio stesso.

Questa riflessione è tratta dal libro “Amore Sponsale” di padre Raimondo Bardelli con integrazioni e aggiunte personali.

Antonio e Luisa

 

I frutti di un’unione casta ed ecologica 2

Il secondo frutto della riattualizzazione del sacramento del matrimonio è l’aumento della Grazia santificante. Se gli sposi sono in amicizia con Dio, cioè sono in “grazia di Dio”, quando riattualizzano il matrimonio, possiedono un certo grado di grazia santificante. Questa, durante l’unione fisica, è aumentata in base al desiderio ardente d’immergersi in Dio presente nei loro cuori e all’intensità d’amore con cui vivono la celebrazione.

L’aumento della grazia santificante comporta una partecipazione più intima alla vita divina.

Questa grazia, che è un aumento soprannaturale dell’amore degli sposi, divinizza la creatura, rendendola più intensamente simile a Dio, in cui la vita è amore.

L’aumento della grazia operato nell’amplesso non va inteso unicamente come crescita dell’amore divino in noi, ma anche come aumento della comprensione delle ricchezze e gioie racchiuse in tale amore. Gli sposi comprendono meglio la dimensione profetica del loro amore (sono segno dell’amore di Dio in sé stesso e verso gli uomini) e al tempo stesso lo sperimentano nella vita, mostrandola più intensamente agli uomini.

L’aumento di questa Grazia non è necessariamente uguale per entrambi gli sposi, ma dipende dall’apertura del cuore di ognuno di loro.

L’amore divino effuso in noi con la Grazia santificante, è una sola cosa con il nostro amore naturale, che viene però perfezionato ed elevato.

Così la Grazia santificante, che scaturisce dall’unione fisica degli sposi, stabilisce un intreccio meraviglioso tra l’umano e il divino, tra l’impegno dell’essere umano e la gratuità di Dio: è un canto d’amore che unisce cielo e terra.

Antonio e Luisa

L’amplesso fonte di Grazia

L’unione sessuale, vissuta in modo umano e santificata dal sacramento, è a sua volta per gli sposi via di crescita nella vita della grazia. È il «mistero nuziale». Il valore dell’unione dei corpi è espresso nelle parole del consenso, dove i coniugi si sono accolti e si sono donati reciprocamente per condividere tutta la vita. Queste parole conferiscono un significato alla sessualità, liberandola da qualsiasi ambiguità. Tuttavia, in realtà, tutta la vita in comune degli sposi, tutta la rete delle relazioni che tesseranno tra loro, con i loro figli e con il mondo, sarà impregnata e irrobustita dalla grazia del sacramento che sgorga dal mistero dell’Incarnazione e della Pasqua, in cui Dio ha espresso tutto il suo amore per l’umanità e si è unito intimamente ad essa. Non saranno mai soli con le loro forze ad affrontare le sfide che si presentano. Essi sono chiamati a rispondere al dono di Dio con il loro impegno, la loro creatività, la loro resistenza e lotta quotidiana, ma potranno sempre invocare lo Spirito Santo che ha consacrato la loro unione, perché la grazia ricevuta si manifesti nuovamente in ogni nuova situazione.

Il 74 è un altro punto fondamentale. Papa Francesco ribadisce quello che ormai è un concetto acquisito per la Chiesa. Il rapporto fisico tra gli sposi non è qualcosa che abbassa ma innalza, non è qualcosa di tollerato per permettere la procreazione ma è qualcosa di sacro, non è qualcosa di cui vergognarsi ma è qualcosa di bello, di intimo e bello, sia per gli sposi che lo vivono sia per Dio che ci ha creato sessuati, maschio e femmina, perché potessimo unire i nostri corpi in un abbraccio d’amore e di vita, replicando così in modo imperfetto l’amore trinitario.

Il Papa non si limita a scrivere che è qualcosa di bello, dice molto di più, scrive testualmente che è una via di crescita nella Grazia.

Padre Raimondo Bardelli che ci ha insegnato tanto, anzi tutto, chiamava l’amplesso fisico tra gli sposi riattualizzazione del sacramento del matrimonio, perché con questo gesto, se vissuto in modo casto e aperto alla vita, c’è sempre una crescita dell’amore, c’è una nuova effusione dello Spirito con l’aumento della Grazia sacramentale e della Grazia santificante. Il rapporto fisico è una via di santificazione per gli sposi, perché genera amore e vita, anche quando non si concepisce un figlio.

San Giovanni Paolo II, durante un discorso alle famiglie, ebbe a dire:

L’unione dei corpi, voluta da Dio stesso come espressione della comunione più profonda ancora del loro spirito e del loro cuore, compiuta con tanto rispetto e tanta tenerezza, rinnova il dinamismo e la giovinezza del loro impegno solenne, del loro primo “sì”.

Il mondo di oggi banalizza il sesso e la sessualità e li defrauda del loro vero significato, della loro profonda verità. Il sesso è vissuto come mero mezzo di sfogo e di ricerca di piacere fine a sé stesso. L’insegnamento della Chiesa e in particolare di Papa Francesco, a differenza della convinzione comune, è la sola che restituisce all’incontro sessuale la dignità e l’importanza reale, un gesto così grande da essere fonte di vita, d’amore e di Grazia. Gli sposi che vivono il rapporto così, nutrendolo con una vita di attenzione e di tenerezza, non si stancheranno mai, perché la loro gioia non sarà determinata dalla voluttà dei sensi, ma dalla bellezza di un incontro d’amore che abbraccia tutto l’essere umano, cuore corpo e spirito.

Antonio e Luisa

I doni di Dio sono preziosi e abbondanti.

In questa seconda riflessione relativa al punto 73 dell’Amoris Laetitia, volevo approfondire i doni di nozze che Dio elargisce a tutti gli sposi con il sacramento.

Siamo nati per essere amati ed amare in modo totale e per sempre, solo così possiamo essere realizzati nella nostra vita. Amore che si può realizzare nella vocazione alla vita consacrata oppure al matrimonio. Amore che riempie il cuore di chi lo dona e di chi lo riceve, ma che non è semplice da vivere per persone limitate, fragili e corrotte dalla concupiscenza del peccato originale, che ci rende spesso egoisti e dominati dal desiderio di possedere e non di donarci.

Dio lo sa bene! Gesù, quando è venuto nel mondo, ha sconfitto la morte e ci ha redento dal peccato. Gesù ha redento anche il matrimonio. Questo significa che nella Grazia del matrimonio e nell’abbandono a Gesù possiamo tornare alle origini, amare in modo casto e vero il nostro sposo o la nostra sposa, per prepararci alle nozze eterne con Gesù sposo.

Parliamo sempre di Grazia, ma la Grazia non è qualcosa di vago bensì è molto concreta.

Con il matrimonio Dio ci dona:

  • La grazia sacramentale
  • La grazia santificante
  • Il legame coniugale cristiano

Cercherò in breve di caratterizzare ogni dono con poche parole.

La Grazia sacramentale è un diritto che Dio ci dona. Il diritto di avere da Dio tutti gli aiuti necessari per perseverare e perfezionare il nostro amore sponsale.

Questa Grazia ci permette di affrontare, sopportare e vincere ogni situazione che può mettere in crisi il nostro matrimonio.

La Grazia santificante è un altro dono di nozze magnifico ma che pochi conoscono. La Grazia santificante è un amore creato del tutto simile a quello di Dio, che lo Spirito Santo effonde nei cuori degli sposi in proporzione all’apertura del loro cuore ad accoglierlo.

Dio aumenta e infiamma il nostro amore umano e naturale con la Sua Grazia.

Con il legame coniugale cristiano, il fuoco dello Spirito, infiamma d’amore i cuori degli sposi, saldandoli in modo indissolubile. Gli sposi da questo momento amano Dio con un cuore solo.

Attraverso questo dono gli sposi sono resi sacramento e Gesù entra nel loro amore per abitarlo perennemente: non più lo sposo da solo, non più la sposa da sola, ma nel loro amore, nella loro unione.

Essi vanno a Dio come due mani giunte, fuse e unite tra di loro, in modo indelebile, dal fuoco consacratorio dello Spirito Santo.

Grazie a questo dono, gli sposi diventano immagine della Trinità e profezia dell’amore di Dio in sé e per la sua Chiesa.

Una domanda sorge spontanea. Perché tanti matrimoni, nonostante questa ricchezza incredibile, falliscono? Molti matrimoni sono nulli in partenza, come ha giustamente detto Papa Francesco, parlando alla Sacra Rota e quindi privati fin dall’inizio di questo tesoro. Per i matrimoni validi che godono di questi preziosi doni, dipende da altro. Questi doni vanno chiesti e non solo, il nostro cuore va preparato ad accoglierli, come per qualsiasi altro sacramento. Solo una vita vissuta nella castità e nella lotta al peccato può aprirci la strada a questa ricchezza. Pornografia, adulterio, anticoncezionali, aborto, egoismo (per citare i peccati principali presenti nella vita di coppia) ci impediscono di accedere alla Grazia e di trasformare il nostro matrimonio in una vita piena, anche nelle difficoltà.

Antonio e Luisa