Giovanni Paolo II è stato sempre affascinato dal matrimonio. Fin da sacerdote prima, e da vescovo nella sua Cracovia dopo, ci ha lasciato delle riflessioni molto interessanti su questa relazione umana tanto importante ed unica da essere messa alla base di un sacramento della Chiesa. In una di queste occasioni, durante degli esercizi spirituali preparati per i fidanzati di Cracovia, disse una frase che mi ha colpito profondamente. Un’immagine chiara.
Gli anelli nuziali indossati dagli sposi non sono che l’ultimo anello di una catena invisibile che li lega l’uno all’altra.
Catena che li unisce anche a Cristo stesso, che è parte dell’invisibile vincolo. Gesù è colui che tiene la catena e la rende resistente, forte e salda. Gesù non permette che gli anelli che la compongono si possano deformare e rompere nella tempesta della vita. Detto così sembra una prigionia. Sembra non ci sia nulla di bello e di buono in tutto questo. Sembra che noi sposati siamo incastrati in una relazione che può diventare opprimente. Una relazione che non possiamo rompere, anche quando risulta difficile e infelice. Non è così. Non siamo legati alla catena. Possiamo sfilarci quell’anello quando vogliamo. Possiamo andarcene. La forza di Cristo tiene salda la catena non noi. Gesù ci lascia liberi. Se sfiliamo quell’anello per rinnegare la promessa dobbiamo però aver chiaro che non ci allontaniamo solo dalla persona che abbiamo sposato, ma lasciamo anche Cristo con lei che, a differenza nostra, resta fedele e resta parte di quella relazione. Cristo resta lì con la persona abbandonata attendendo con lei che chi se ne è andato possa tornare e infilare di nuovo quell’anello al dito. Esattamente come il padre misericordioso. A volte il matrimonio implica di lasciar andare l’altro e di restare lì sulla porta ad aspettarlo, senza la sicurezza che torni. Quella catena non è per me opprimente. Al contrario è una corda di sicurezza. La catena non è solo qualcosa che può imprigionare, ma è qualcosa che può aiutare a custodire, proteggere ed evitare di cadere. Dipende la prospettiva che ognuno dà alla vita e al proprio matrimonio. Se la vita è un girovagare senza meta, di posto in posto, di esperienze, di piaceri e di sensazioni ed emozioni la catena diventa un limite. Lo diventa per forza. La catena non permette di correre la dove si vedono quelle luci e quella musica in lontananza. La catena diventa frustrante. Ma queste persone non hanno un progetto di vita. Vivono giorno per giorno. Per chi ha un progetto, una vetta da raggiungere, la catena diventa strumento di salvezza. La catena diventa corda che ci lega durante la salita. La corda che ci lega in cordata l’uno all’altro. Così quando il vento si fa forte, la neve ti ghiaccia il viso, le forze ti mancano e vorresti mollare, continui a salire perchè sei legato all’altro e perchè quella corda è sostenuta da colui che può tutto. Con la Grazia la salita non sarà mai troppo difficile. Ecco perchè non mi tolgo mai la fede dal dito. Non voglio neanche simbolicamente e per un momento staccarmi da quella catena che è salvezza, pienezza, senso e verità. E’ così che il nostro essere una sola carne (Gen 2, 24) riflette l’essere una sola cosa di Dio(Gv 17,21). Cioè la comunione del Padre del Figlio e dello Spirito Santo.
Per terminare vi lascio una curiosità. Esiste un rito antico matrimoniale dove gli sposi sono davvero legati l’uno all’altra con una catena. Si tratta del rito tradizionale sardo dove lo sposo esce con una catena al dito che all’altra estremità cinge la vita della sposa, ad immagine proprio dell’indissolubiltà dell’unione appena celebrata.