Quando l’intimità guarisce le ferite

C’è una testimonianza che abbiamo raccolto e pubblicato sul nostro blog che racconta benissimo come il matrimonio possa essere un luogo di guarigione. Guarigione della persona, di tutta la persona. Del suo corpo, della sua psiche e del suo spirito. Una guarigione che avviene attraverso il sacerdozio e che apre alla profezia. Una coppia che vivendo bene l’intimità si è trasfigurata ed ora è pronta a farsi prossima partendo in missione in Brasile. Di seguito la testimonianza di Maria e Silvio.

La sessualità è importante in una coppia di sposi? Oppure è importante solo per la procreazione? Collegandomi con l’argomento del blog matrimonio cristiano sulla sessualità nel matrimonio, volevo condividere con voi la mia storia che, nelle mani di Dio, è stata trasformata, proprio grazie al sacramento del matrimonio.

Sono cresciuta in una famiglia cristiana caratterizzata da un grande senso del pudore e della riservatezza in ambito sessuale, tant’è che cambiavamo canale anche solo per un bacio trasmesso in TV. I miei genitori mi hanno insegnato la bellezza della preghiera, l’importanza della castità prematrimoniale e del rispetto per il mio corpo. Avevo compreso l’importanza di aspettare la persona giusta, lasciando la mia intimità tutta e solo per il mio sposo.

Quando avevo 14 anni nacque mia sorella Chiara. Poco tenmpo dopo, quando Chiara era ancora molto piccola, si scopri che era affetta da una trombosi al rene e i dottori ci dissero che sarebbe morta. Quel giorno andai in chiesa e, davanti alla Madonna, le affidai la mia vita in cambio della vita di mia sorella. Fu così che Chiara, dopo un mese in terapia intensiva, uscì dall’ospedale Sant’Anna guarita. Dopo tante lacrime e preghiere dei miei genitori. I dottori e le infermiere erano scioccati per il miracolo avvenuto. Passò del tempo e per me tutto fu diverso. Non riuscivo a vivere come le altre adolescenti. Ogni argomento mi sembrava così stupido in confronto a quello che avevamo passato in famiglia. Iniziai le superiori. Una sera d’estate io e una mia amica andammo a salutare degli amici. (Entrambe eravamo prese da due ragazzi belli come il sole). Tra una chiacchiera e l’altra la mia amica si allontanò con Giovanni e io rimasi con Filippo (I nomi sono di fantasia).

Filippo, con la scusa di farmi vedere il suo paese,mi invitò a fare un giro in macchina. Mi accorsi troppo tardi che la strada era ben lontana dal centro. Lontana dalla mia amica. Lontana dai miei genitori. La strada divenne sterrata. Si trasformò in un bosco. Finì in una strada chiusa sotto un cavalcavia. Quella sera Filippo fece tutto quello che un uomo può fare su una ragazza. Peccato che io avevo 15 anni e non volevo arrivare a fare quelle cose. Avevo appena scoperto il primo bacio. Lui era un po’ più grande di me. Molto più alto. Molto più forte. Quel luogo era casa sua. Non ebbi la forza né di urlare né di scappare. Avevo paura. Paura di ciò che i miei avrebbero pensato di me. Pensai a mio padre che qualche giorno prima mi aveva fatto ballare una canzone dei Pink Floyd con il rumore della pioggia. Provai vergogna perché avevo permesso a quel ragazzo di toccarmi. Vergogna perché ero salita su quella macchina. Vergogna perché non ero scappata.

Da quel momento è come se Filippo mi avesse strappato l’anima, come se avesse strappato tutto quello che di bello c’era in me. Quello che era successo era come un tatuaggio sul viso che bruciava su tutto il corpo. Odiavo la mia codardia. Odiavo il mio corpo e odiavo la vita. Entrai in un grande buco. Cercai di farla finita e quando lo stavo per fare sentii una voce: “E SE NON FOSSE PER SEMPRE COSÌ?” Ebbi una visione. Vidi una capanna e un ragazzo che mi sorrideva con un amore immenso che mi diceva: “Un altro giorno comincia”. Aprii la tenda e vidi molti bambini e famiglie tutte insieme. FELICI. Finì la “visione” e io piansi tanto.

Perché ve lo racconto? Perché il Signore ha trasformato questo cumulo di macerie in una casa colorata. Passai 5 anni senza dire nulla a nessuno, finché un sacerdote (che aiutava povere ragazze di strada ad avere un lavoro dignitoso) nella confessione capì cosa stavo vivendo e mi disse: “Ma cara, cosa potevi fare? Avevi 15 anni, avevi paura, quel ragazzo non doveva nemmeno cominciare senza il tuo consenso. Sei una ragazza STUPRATA.

Lo disse ad alta voce. E divenne REALE. Provai un grande sollievo. Da quel momento passavo dalla chiusura, al voler usare i ragazzi prima che loro usassero me. Vivevo il sesso come arma. Vivevo la mia femminilità come arma. E in tutto quel gran caos l’unico pensiero era quella capanna, quel ragazzo, quelle famiglie. Dopo tanto cammino, fatto di alti e bassi, cadute, salite, discese, amori infranti, progetti allontanati, e anche la separazione dei miei genitori, non riuscivo ad accontentarmi. Non mi bastava una vita uguale alle altre. Non mi bastava lo stipendio le bollette, la carriera. Non mi bastava il ragazzo simpatico, il ragazzo buono, il ragazzo di chiesa. Cercavo quel ragazzo, quello della capanna. Un ragazzo che, come me, voleva vivere della provvidenza, nel donarsi, nella missione, nella famiglia aperta. Mi nascondevo, nelle vicende del Signore degli Anelli dove l’amicizia era sincera, l’amore era puro e si lasciavano tutti i confort per distruggere il nemico e rendere migliore la terra.

Quando incontrai Silvio faccia a faccia nella fila al confessionale della Festa della Vita, era una domenica. Parlare con lui fu naturale come bere dell’acqua. Poi non lo vidi per un mese. Era però rimasto nel mio cuore. Ed ebbi molta paura. Avevo 28 anni. Era lui il ragazzo della capanna. Era lui che aspettava la sua sposa nella castità, che voleva la missione, la famiglia aperta. Avevo paura di non essere all’altezza. Paura di ferirlo. Paura di me stessa. Avevo paura che avrei trasmesso anche a lui quel senso di schifo che mi sentivo addosso, come un virus. Avevo paura che dopo il matrimonio non sarei mai stata capace di donarmi completamente. Conoscevo la sua “fama” di grande ragazzo lavoratore, di sincero amico, sapevo che era stato in missione, che aveva passato metà della sua vita in Comunità Cenacolo per scelta di vita.

Negli anni avevo seguito il suo percorso tramite i passaparola, ma mai avrei pensato che il mio ragazzo della capanna fosse proprio lui. Cercai in ogni modo di allontanarlo, spaventandolo con le mie storie, con il mio passato, cercando di essere fredda, distaccata. Volgare. Nulla. Lui era lì. Aveva capito il mio gioco. Ed io ero senza più riserve davanti a lui che mi amava così come ero. A Medjugorje ebbi la risposta dalla Mamma che più mi conosce. “Questa è la strada, Percorrila.” Dissi il mio “Eccomi” e fu solo una grande gioia e una grande pace. Il giorno delle nostre nozze fu il giorno più bello della nostra vita. Come tutti i giorni a seguire.

Nel Sacramento del Matrimonio il Signore ha guarito ogni ferita inferta quella brutta sera di 14 anni prima, e anche tutte quelle che io stessa mi ero inferta da sola negli anni successivi per punirmi. Ogni volta che mio marito ed io entriamo in paradiso, vivendo la nostra intimità in modo pieno, tenero, nel dono reciproco, è come un balsamo che chiude sempre più quegli squarci. Il Signore è stato crocifisso, ed io con lui. Nella sua Risurrezione i buchi dei chiodi sono rimasti ma non c’è più sangue ma Luce, Vita, Perdono, Grazia, Salvezza come nelle mie ferite. Lui passa attraverso mio marito ed io guarisco, mi salvo, trovo pace. Spero davvero che ogni coppia di sposi capisca il dono che hanno nelle mani e nella loro relazione. Nella loro intimità. Che grande vocazione! Che grande avventura! Questa vita va celebrata. Una Chiesa che si muove, una Chiesa che crea vita. E voi giovani abbiate il coraggio di non accontentarvi, ma seguite quella voce. C’è solo questa vita per trasmettere, a chiunque ci conosca, che in Lui tutto è possibile se lo lasciamo agire su di noi. È già un piccolo anticipo di Paradiso. Vi saluto di grande cuore. Mio marito ed io siamo prossimi alla partenza per la tanto sudata Missione in Brasile e la nostra amata capanna tra i bambini. Pregate per noi. Noi pregheremo per voi.

Maria e Silvio

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