24000 baci!

La figlia più piccola, Dio la benedica, è quella che fa più domande, a volte facili a volte difficili come ogni figlia, ma più di ogni figlia si aspetta che le risposte siano affidabili, precise e circostanziate. Ragion per cui quando l’altro giorno mi ha chiesto: Babbo! Ma tu e mamma esattamente quanti baci vi siete dati da quando vi conoscete? Sapevo che non sarebbe stata soddisfatta di una risposta generica e mi sono messo per quanto possibile a fare due calcoli.

Detto così sembra anche stupido, è così infatti che mi sono sentito sul momento, chi mai si mette a calcolare quanti baci si è scambiato con la moglie? Mica è un bilancio aziendale, né tanto meno una gara con chissà chi. Però dovevo dare una risposta e, al di là del metodo di calcolo a dir poco discutibile (aspetto taciuto alla figlia) e anche della cifra che mi ha ricordato molto quella del titolo di questo post, la cosa ha stimolato una riflessione su quanto i baci che ci siamo dati io mia moglie siano stati preziosi, tutti quanti.

Prima della filiale domanda ero convinto che ci fossero baci con più valore degli altri, secondo una specie di scala di importanza, dove il bacio appassionato scambiato nei momenti più intimi della coppia valesse più di tutti gli altri, quello romantico da film (ma con i vestiti addosso) un po’ meno ma comunque tanto e così via fino ad arrivare al bacetto al volo che ci si scambia prima di andare a lavoro. Non è una logica sbagliata, dopotutto la profondità e il coinvolgimento sono diversi, il primo ad esempio incarna anche molto bene l’unione fisica, segno del dono totale e reciproco degli sposi, insieme al resto del corpo naturalmente.

Pensando però alla nostra vita quotidiana mi sono accorto di quanto siano sempre stati importanti anche i “bacetti” per noi. Io e Valeria sappiamo, anche perché ci è stato insegnato e raccomandato, quanto sia importante mantenere un corteggiamento continuo tra gli sposi, con impegno e costanza in modo reciproco. Abbiamo imparato sulla nostra pelle quanto questa raccomandazione fosse veramente importante, nei momenti in cui è mancato il corteggiamento il nostro amore si è affievolito, si è inaridito, anche quando i motivi non erano gravi e magari ci si sentiva giustificati se eravamo meno romantici perché ad esempio c’erano difficoltà sul lavoro, preoccupazioni economiche o per l’educazione dei figli.

Accorgersi di quanto è importante corteggiarsi e cercare volontariamente di porvi rimedio è stata per noi una grazia e tra i rimedi ci sono i nostri “bacetti”, diventati poco a poco rituali, almeno quelli prima di andare a lavoro e la sera prima di addormentarsi. Questi hanno un significato, sono un modo per dirsi col cuore “ci sono, sono con te, mi piaci e ti amo”. Si potrebbe pensare che farne un rituale possa sminuirne il significato, che se questo gesto diventa un’abitudine possa perdere poco a poco bellezza ma non è così, un bacio, anche se piccolo non è mai scontato perché è un gesto che ti mette sempre un po’ a nudo, è davvero difficile mentire baciando e se lo fai tanto per fare l’altro se ne accorge subito.

Questo gesto tra noi è diventato un piccolo momento speciale, lo aspettiamo e ci rimaniamo male se non avviene, ad esempio un paio di settimane fa è capitato che nella fretta Valeria uscisse di casa al volo con la testa già piena di problemi, era giustificatissima ma francamente mi aspettavo un bacetto al volo e la mia mattinata, solo per questo motivo, è iniziata un po’ peggio del solito. Dopo un paio d’ore lei mi ha chiamato per un motivo che non ricordo e scherzando le ho detto che era stata crudele per avermi lasciato a secco. Ci siamo fatti una risata ed è stato bellissimo, soprattutto perché anche quello è stato un modo per dirsi ti amo, da quel momento la mattinata è migliorata moltissimo.

Ogni gesto che costruisce un vissuto di corteggiamento continuo è linfa vitale per l’amore tra gli sposi, ricevere questi gesti è certezza che si è amati dal proprio coniuge, farli è un piccolo dono che permette alla persona amata di sentire che tu l’ami davvero. A volte fare un gesto d’amore anche piccolo può essere difficile, è quindi una grazia avere dei piccoli rituali, dei momenti che si possono quasi pretendere con dolcezza e continuare a tener vivo l’amore.

Ranieri Gracci

“Fare” l’amore, teoria e pratica. Ultima parte

Riprendo il discorso di ieri (clicca qui per leggere l’articolo) rivelando quali sono le doti corporee che consentono di “fare bene” l’amore e come l’episodio del servizievole Jesus mi ha ispirato per capirle bene.

Inizio con un po’ di teoria, ma prometto che sarò breve, per gli approfondimenti rimando ancora agli articoli o meglio ai libri di Antonio e Luisa. Poniamo l’assunto che le doti corporee espressive dell’amore siano tre: sentimento, tenerezza e dolcezza. Non sono opzionali, ci devono essere tutte e devono essere tutte coscientemente sviluppate e maturate. Il sentimento è il desiderio ardente di andare verso l’amato, di averlo vicino, di renderlo felice; si tratta di una forza travolgente che esige di entrare in intimità con l’altro, può anche spingere a sacrificarsi per l’altro. La tenerezza è una forza altrettanto travolgente ma speculare alla prima, cioè un aprirsi all’altro in un dono esclusivo d’amore, esprimendo tutta la propria forza di seduzione dedicata solo all’amato per attirarlo a sé, abbandonandosi a lui e arricchendo così ogni gesto d’amore di comunicazione intima. La dolcezza infine è un modo di esprimersi con delicatezza ed armonia che arricchisce e rende autentici i gesti di sentimento e tenerezza.

Mi spiegarono questo (molto meglio di così) durante la preparazione al matrimonio, ma in quel momento avevo aspetti più delicati ed urgenti da affrontare e non mi curai di approfondire fino in fondo la questione. Avevo maggiormente chiare le doti di sentimento e tenerezza, che da sole raffiguravano le dinamiche del corteggiamento, inoltre mi davano già solo queste, l’idea di una armoniosa completezza, consideravo quindi la dolcezza qualcosa di buono ma sottinteso. Questo all’inizio… dopo qualche anno ho sviluppato un po’ di sensibilità (sì, capita anche ai maschi) e mi sono accorto che un forte sentimento e una splendida tenerezza non bastavano, anzi ognuna di queste doti in me o in Valeria potevano avere momenti alti e bassi, ed anche quando si verificavano da parte di entrambi contemporaneamente non era garantito che nascessero momenti di unione profonda e viva partecipazione d’amore, c’era proprio qualcosa che mancava, forse la dolcezza in fondo faceva la sua parte importante, forse addirittura era più importante delle altre due.

Tentando di capire mi inventai pure una metafora, quella del turibolo, dove ci sono tre elementi: il carbone, il turibolo stesso e l’incenso. Il carbone e il turibolo rappresentano il sentimento e la tenerezza, l’uno è ardente e l’altro è accogliente, l’uno maschile e l’altro femminile, uno selvaggiamente forte e l’altro gentilmente decorato. L’incenso rappresenta la dolcezza, quel qualcosa che dentro i primi due e grazie ad essi sparge profumo benedicente, ovvero fonde le prime due qualità dandone piena realizzazione. Senza l’incenso il turibolo sarebbe solo una bella sfera che brucia ma non scalda e magari puzza anche un pochino.

Tutto questo però era solo una bella immagine, non avevo capito ancora niente, non avevo ancora risposto alla domanda: che cos’è la dolcezza? È qui che l’episodio del servizievole Jesus raccontato ieri mi ha aiutato: ho immaginato un Gesù talmente pieno d’amore per noi sposi che si farebbe così umile da servirci al tavolo se, in quel momento, fosse il solo modo in cui possiamo capire quanto ci ama. È questa la semplice spiegazione, ecco cos’è la dolcezza: un linguaggio per comunicare con l’amato!

La dolcezza è un linguaggio, non il tuo ma quello dell’altro, quello che all’altro permette di capire quanto lo ami, è qualcosa che richiede di concentrarsi sull’altro a tal punto che si riesce a capire di che cosa l’altro ha bisogno in ogni momento. Richiede impegno e il coraggio di farsi umili senza nessun timore, richiede di mettere al primo posto l’altro e di onorarlo. Cosa sarebbe infatti il solo sentimento senza dolcezza? Un atto eroicamente romantico ma attento a sé stesso, un vano desiderio di gridare ai quattro venti il proprio amore. E la tenerezza senza dolcezza? Non sarebbe far splendere il proprio fascino perché sia ammirato? Non sarebbe anch’essa autoreferenziale? Senza dolcezza, che orienta genuinamente e umilmente verso l’altro sia il sentimento che la tenerezza, non ci sarebbe vera comunicazione d’amore e la nostra graziosa danza di corteggiamento sembrerebbe un bel turibolo scintillante, che brucia ma non scalda e forse puzza anche un pochino.

Ranieri e Valeria

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“Fare” l’amore, teoria e pratica. Prima parte

Ok, ho fatto il furbo col titolo, in effetti non è proprio un articolo sul sesso, almeno non in modo diretto, ma sulle doti corporee che danno un volto all’amore, l’eros c’entra eccome ma queste doti abbracciano tutta quanta la relazione d’amore. Comprendere queste dinamiche e farle proprie è importantissimo per “fare bene” l’amore, cioè per vivere in modo naturale, pieno e autentico la propria relazione d’amore, tutti quanti però siamo più o meno condizionati da una visione distorta ed egoistica dell’amore perciò abbiamo bisogno di un po’ di aiuto. Sulle pagine di questo blog Antonio e Luisa hanno pubblicato articoli splendidi che invito a rileggere, con spiegazioni precise e ricche su ogni dote, quello che voglio raccontare però è il percorso personale di come sono passato dalla teoria, ovvero dalle caritatevoli lezioni di padre Raimondo Bardelli, alla pratica di far mie queste dinamiche d’amore nella vita matrimoniale. In questo percorso c’è stato un episodio fortuito e memorabile che mi ha dato un esempio e uno spunto di riflessione per riuscire a capire bene fino in fondo.

Successe durante una bellissima vacanza di qualche anno fa: io e Valeria avemmo una fortuna sfacciatissima perché ci accaparrammo un last minute per il Messico di quelli che non esistono più. Pagammo la vacanza circa un terzo del normale e ci trovammo in un enorme villaggio a cinque stelle, con piscine, spiagge e ristoranti, trattamento tutto compreso, la foresta tropicale e la spiaggia caraibica completavano una vacanza veramente di lusso. Eravamo sposati da un anno e non avevamo ancora figli pur desiderandoli, naturalmente l’atmosfera non favoriva granché la dimensione spirituale, eravamo sì riusciti con un po’ di fatica ad trovare una messa, ma a parte questo ce la spassavamo quanto più si potesse. Una sera andammo a cena in uno dei lussuosi ristoranti, indossando i nostri abiti migliori e la convinzione di essere dei gran fighi, dopotutto gli altri turisti erano quasi tutti americani molto sovrappeso e sentirsi snelli e fighi era facile… bei tempi!

Eravamo seduti al tavolo sfogliando il menù atteggiandoci un po’ quando giunse il cameriere che con molta gentilezza ci disse qualcosa in spagnolo che io non capii, sostanzialmente ci salutò, ci chiese cosa volevamo da bere e si allontanò. Da lì in poi la serata cambiò: alzai lo sguardo dal mio menù e vidi che Valeria aveva qualcosa che non andava, anche lei alzò gli occhi dal menù con un’espressione imbarazzata. Mi preoccupai, forse la cena non era compresa nello scontatissimo prezzo del viaggio? Forse eravamo capitati nel ristorante vegano? Con voce bassissima mi chiese: − Hai sentito cosa ha detto?No…che ha detto?Buonasera, il mio nome è JESUS e sono qui per servirvi!….Cioè mi vuoi dire che lui si chiama Gesù?!? E ha proprio detto “sono qui per servirvi”?!? Sapevo che non si era sbagliata, capiva lo spagnolo molto meglio di me, quindi mi resi conto di una cosuccia: mentre “Jesus” era venuto al mio tavolo, per servirmi, io bello bello sfogliavo il menù, mi atteggiavo a figo e non avevo neanche capito quel nome. Debbo solo a Valeria il fatto di essermi reso conto e di avermi permesso di riflettere in seguito. Naturalmente la cena andò avanti ma tutto si era fatto assurdo e buffo: avere proprio quel cameriere era imbarazzante, insomma, immagina di avere davanti a te “Jesus” che ti chiede − Tu cosa desideri? −, ci vuole un bel coraggio a rispondere − Linguine allo scoglio! − Sì, fu anche comico, dovetti sforzarmi per non dire Rendiamo grazie a Dio, invece di un semplice Gracias ogni volta che ricevevo i gentilissimi e normalissimi gesti di servizio. Un buon effetto che ci fece da subito quella cena fu quello di farci essere superbi e fighi, certo, non ci è mai passato per la mente che quello fosse JESUS o un suo inviato speciale, ma questo divertente episodio ci risvegliò quel tanto da farci ricordare di essere molto amati come sposi, e fummo veramente grati di avere intorno tutta quella bellezza che la natura ci offriva in modo generoso.

Questo episodio, che ad altri potrebbe far nascere ore e ore di riflessione con decine di spunti sugli episodi evangelici, a me ha fatto accendere una lampadina particolare, spiegandomi in modo semplice e chiarissimo una in particolare tra le doti corporee che servono per “fare bene” l’amore, ma spiegherò tutto quanto domani nella seconda parte.

Ranieri e Valeria

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La bellezza di Tiziana Mercurio, un’innamorata della purezza

La purezza è una virtù da custodire e desiderare, ma prima di tutto da riscoprire. Perciò, invece di sprecare tante parole, voglio farvi respirare il profumo che ha una vita vissuta nella purezza, vi voglio parlare della bellezza di Tiziana, perché è la bellezza che attira.

È la testimonianza di vita di Tiziana Mercurio, una giovane ragazza di Benevento salita al Cielo nel 2006 a 26 anni e che mi affascina perché mi incoraggia a credere ancora nella purezza, a vederla come una realtà sempre attuale per tutte quelle coppie che vogliono amarsi donandosi all’altro.

«Tiziana aveva un’ambizione eroica: nel giorno del suo matrimonio, come giglio profumato, voleva presentarsi all’altare vergine» (Fra Alessandro di Madonna Povertà, Una santa della porta accanto. Tiziana. L’offerta di una giovane, p. 28).

Sembra una scelta folle, impossibile nel mondo di oggi, eppure era la scelta di una ragazza che credeva ancora nell’Amore.

Nel XXI secolo la purezza è passata ormai di moda? Ci possiamo ancora incantare davanti alla bellezza di un cuore puro?

La sfida di oggi è essere attraenti nella purezza. Cerchiamo di essere attraenti sognando che la persona con cui uniremo il nostro corpo voglia prima di tutto stare con noi con il solo scopo di amarci.

Tiziana era una ragazza bellissima e attraente, ma ce ne sono tante bellissime, perché lei attrae così tanto? È la luce del suo volto che attrae, una luce particolare, una bellezza che riflette l’amore di Dio. Rifletteva della Sua luce.

Tiziana si è fatta prendere per mano dalla Madonna e ha scoperto il segreto della bellezza di Maria, bella perché pura, bella perché abitata da Dio. E allora volle consacrarsi a Maria per chiedere a Lei di custodirla con la sua tenerezza materna.

Oggi abbiamo la sensazione che le ragazze che vanno in chiesa e credono ancora nel valore della verginità siano bigotte e con i baffi, così ce le immaginiamo. Tiziana mi affascina tanto perché dimostra alle donne di oggi che desiderare la purezza non significa non curarsi o non farsi belle, anzi la purezza ti rende luminosa, la purezza è bellezza! Un cuore puro dona uno sguardo che sa amare, un sorriso dolce e attraente.

Tiziana era tutto questo: era «elegante, bella, sempre ordinata, profumata, capace di far emergere il bello da se stessa» (p. 9). Era una rosa diventata giglio nel tempo con il miracolo della purezza. «La rosa era diventata uno splendido giglio bianco nelle mani di Maria» (p. 79).

La purezza ci rende giovani vivi e luminosi. Vero, ma è difficile dire questo quando la malattia si affaccia nella giovane vita di una ragazza di 17 anni che viene colpita dal tremendo morbo di Hodgkin. La malattia «fece presto cadere alla bellissima rosa tutti i suoi petali… Tiziana risentì molto della perdita dei capelli, sentendosi ferita nella sua femminilità» (p. 18).

È questa purezza e questo Amore che la resero bella pure quando era consumata dal dolore, talmente magra che si vedevano le ossa. Una bellezza che andava al di là della sua fragile carne. La sua non era solo una bellezza effimera che se ne va come tutte le cose del mondo, il suo sorriso non veniva appassito dalla malattia e dalle lacrime, perché lei era un’innamorata della purezza e si lasciava amare da Dio. Di più, lei era un’amante della vita e non appassiva insieme al suo corpo perché amava ancora di più un’altra vita: la vita eterna, il Paradiso.

Tiziana amava parlare del Paradiso. Viveva la fede in modo puro e semplice. Il suo Amore folle per Dio la portò a offrirsi per le anime del purgatorio e per la Famiglia Mariana Le Cinque Pietre, la comunità religiosa del suo amato cugino fra Alessandro. Solo chi ha la purezza nel cuore sa fare pazzie per Dio, follie d’amore per Dio.

Pur vivendo atroci patimenti e pianti, non voleva rattristare gli altri. Sorridere era la sua missione e il suo era un sorriso sincero, un sorriso che disarmava il demonio.

Quegli anni di lungo calvario furono intervallati da periodi in cui Tiziana era riuscita ad abbattere la malattia e poteva così godersi la sua giovane età, fra innamoramenti, ferite, delusioni e grandi sogni. Dovette fare i conti anche con quella categoria dei giovani che considerano il corpo dell’altro come oggetto del piacere e non come casa amata di Dio. Tiziana era stata corteggiata da un uomo col quale si fidanzò. Presto però si rese conto che quel giovane era convinto di smorzare il suo desiderio di rimanere vergine. «Anche se le costava molto, sapeva che per conservare intatto lo scrigno della verginità, presto, molto presto, avrebbe dovuto lasciarlo. Ci teneva a M., ma molto di più teneva alla sua purezza e non appena egli tentò di strapparla dal suo giardino, la bellissima rosa si difese con tutte le spine che aveva» (p. 59).

Questa testimonianza ci invita a non arrenderci finché non troveremo quell’uomo o quella donna che sappia darci il suo cuore puro, o che almeno ci rispetti. Non è per niente facile una scelta del genere perché è terribilmente dolorosa, ma la realtà è che succede a non poche persone di dover rinunciare a una relazione per proteggere la propria integrità. È un coraggio da ammirare e imitare. Se la fidanzata o il fidanzato ci mette davanti a un bivio e ci dice: “O sesso o ciao”, è meglio perdere quella persona che perdere se stessi. Può amarci chi ci chiede di rinunciare all’Amore?

Sembra una contraddizione ma è proprio così: scegliendo la purezza urliamo al mondo quanto è bello fare l’Amore. La purezza ci libera e permette all’Amore di esprimersi nella sua forma più autentica, quella del dono. La purezza esalta la sessualità come un bene prezioso.

In un libro scritto su Tiziana, suo cugino fra Alessandro di Madonna Povertà racconta come lei e il fidanzato volessero vivere il loro rapporto. «Tiziana si fidanzò con Alessandro, un giovane del gruppo, a mio parere eccezionale, con cui ha percorso un bellissimo cammino di preghiera. Ogni giorno i due fidanzatini sostavano in preghiera per chiedere a Dio una speciale vigilanza sulla loro unione. […] Un giorno in confidenza mi disse: “Passiamo molto tempo da soli io ed Ale, e visto il grande bene che ci vogliamo, delle volte entriamo in lotta contro i nostri sensi, ed è lì che ci precipitiamo in chiesa per rifugiarci in Dio. È dura, ma voglio rimanere vergine, ci tengo troppo”» (p. 28).

L’attrazione fisica è un dono di Dio, come coppia di fidanzati non vediamo l’ora di fare l’Amore, altrimenti saremmo come fratello e sorella, o come due amici, niente di più. Abbracciamoci, riempiamoci di tenerezza e di baci, ma impariamo a fermarci e a pregare insieme chiedendo a Dio di saperci amare senza pretendere subito altro.

Tiziana sognava di sposarsi e di avere tanti figli, di avere una famiglia e con essa servire il Signore. La testimonianza di Tiziana incoraggia i giovani a credere nell’Amore. Guardando alla sua vita, noi fidanzati scopriamo il valore della purezza e dell’affidarci a Dio per non accontentarci di un amore ferito, gli sposi riscoprono che anche chi risponde alla vocazione matrimoniale ha come mèta il Paradiso. L’uomo e la donna uniti nel Matrimonio gustano la presenza di Dio, il diavolo li detesta tanto proprio perché sono l’immagine di Dio. Tiziana mostra agli sposi che delle vite abitate da Gesù riescono a gioire anche nei momenti di prova e sofferenza, è Gesù che trasforma il dolore in Amore.

Questa è “la santità della porta accanto” di cui parla Papa Francesco, la santità di «quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio» (Gaudete et exsultate, n. 7). La purezza bussa alla porta di ogni cuore, siamo sempre in tempo a viverla: nessuna caduta può renderci schiavi del nostro passato, qualunque esso sia. Non è mai troppo tardi per desiderare la purezza. Come puoi rinunciare a questa bellezza?

Filippo Betti

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Per conoscere meglio Tiziana, clicca qui per acquistare il libro “Una santa della porta accanto. Tiziana. L’offerta di una giovane” di fra Alessandro di Madonna Povertà.

Clicca qui per vedere su YouTube il video sulla vita di Tiziana.

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Quando l’intimità guarisce le ferite

C’è una testimonianza che abbiamo raccolto e pubblicato sul nostro blog che racconta benissimo come il matrimonio possa essere un luogo di guarigione. Guarigione della persona, di tutta la persona. Del suo corpo, della sua psiche e del suo spirito. Una guarigione che avviene attraverso il sacerdozio e che apre alla profezia. Una coppia che vivendo bene l’intimità si è trasfigurata ed ora è pronta a farsi prossima partendo in missione in Brasile. Di seguito la testimonianza di Maria e Silvio.

La sessualità è importante in una coppia di sposi? Oppure è importante solo per la procreazione? Collegandomi con l’argomento del blog matrimonio cristiano sulla sessualità nel matrimonio, volevo condividere con voi la mia storia che, nelle mani di Dio, è stata trasformata, proprio grazie al sacramento del matrimonio.

Sono cresciuta in una famiglia cristiana caratterizzata da un grande senso del pudore e della riservatezza in ambito sessuale, tant’è che cambiavamo canale anche solo per un bacio trasmesso in TV. I miei genitori mi hanno insegnato la bellezza della preghiera, l’importanza della castità prematrimoniale e del rispetto per il mio corpo. Avevo compreso l’importanza di aspettare la persona giusta, lasciando la mia intimità tutta e solo per il mio sposo.

Quando avevo 14 anni nacque mia sorella Chiara. Poco tenmpo dopo, quando Chiara era ancora molto piccola, si scopri che era affetta da una trombosi al rene e i dottori ci dissero che sarebbe morta. Quel giorno andai in chiesa e, davanti alla Madonna, le affidai la mia vita in cambio della vita di mia sorella. Fu così che Chiara, dopo un mese in terapia intensiva, uscì dall’ospedale Sant’Anna guarita. Dopo tante lacrime e preghiere dei miei genitori. I dottori e le infermiere erano scioccati per il miracolo avvenuto. Passò del tempo e per me tutto fu diverso. Non riuscivo a vivere come le altre adolescenti. Ogni argomento mi sembrava così stupido in confronto a quello che avevamo passato in famiglia. Iniziai le superiori. Una sera d’estate io e una mia amica andammo a salutare degli amici. (Entrambe eravamo prese da due ragazzi belli come il sole). Tra una chiacchiera e l’altra la mia amica si allontanò con Giovanni e io rimasi con Filippo (I nomi sono di fantasia).

Filippo, con la scusa di farmi vedere il suo paese,mi invitò a fare un giro in macchina. Mi accorsi troppo tardi che la strada era ben lontana dal centro. Lontana dalla mia amica. Lontana dai miei genitori. La strada divenne sterrata. Si trasformò in un bosco. Finì in una strada chiusa sotto un cavalcavia. Quella sera Filippo fece tutto quello che un uomo può fare su una ragazza. Peccato che io avevo 15 anni e non volevo arrivare a fare quelle cose. Avevo appena scoperto il primo bacio. Lui era un po’ più grande di me. Molto più alto. Molto più forte. Quel luogo era casa sua. Non ebbi la forza né di urlare né di scappare. Avevo paura. Paura di ciò che i miei avrebbero pensato di me. Pensai a mio padre che qualche giorno prima mi aveva fatto ballare una canzone dei Pink Floyd con il rumore della pioggia. Provai vergogna perché avevo permesso a quel ragazzo di toccarmi. Vergogna perché ero salita su quella macchina. Vergogna perché non ero scappata.

Da quel momento è come se Filippo mi avesse strappato l’anima, come se avesse strappato tutto quello che di bello c’era in me. Quello che era successo era come un tatuaggio sul viso che bruciava su tutto il corpo. Odiavo la mia codardia. Odiavo il mio corpo e odiavo la vita. Entrai in un grande buco. Cercai di farla finita e quando lo stavo per fare sentii una voce: “E SE NON FOSSE PER SEMPRE COSÌ?” Ebbi una visione. Vidi una capanna e un ragazzo che mi sorrideva con un amore immenso che mi diceva: “Un altro giorno comincia”. Aprii la tenda e vidi molti bambini e famiglie tutte insieme. FELICI. Finì la “visione” e io piansi tanto.

Perché ve lo racconto? Perché il Signore ha trasformato questo cumulo di macerie in una casa colorata. Passai 5 anni senza dire nulla a nessuno, finché un sacerdote (che aiutava povere ragazze di strada ad avere un lavoro dignitoso) nella confessione capì cosa stavo vivendo e mi disse: “Ma cara, cosa potevi fare? Avevi 15 anni, avevi paura, quel ragazzo non doveva nemmeno cominciare senza il tuo consenso. Sei una ragazza STUPRATA.

Lo disse ad alta voce. E divenne REALE. Provai un grande sollievo. Da quel momento passavo dalla chiusura, al voler usare i ragazzi prima che loro usassero me. Vivevo il sesso come arma. Vivevo la mia femminilità come arma. E in tutto quel gran caos l’unico pensiero era quella capanna, quel ragazzo, quelle famiglie. Dopo tanto cammino, fatto di alti e bassi, cadute, salite, discese, amori infranti, progetti allontanati, e anche la separazione dei miei genitori, non riuscivo ad accontentarmi. Non mi bastava una vita uguale alle altre. Non mi bastava lo stipendio le bollette, la carriera. Non mi bastava il ragazzo simpatico, il ragazzo buono, il ragazzo di chiesa. Cercavo quel ragazzo, quello della capanna. Un ragazzo che, come me, voleva vivere della provvidenza, nel donarsi, nella missione, nella famiglia aperta. Mi nascondevo, nelle vicende del Signore degli Anelli dove l’amicizia era sincera, l’amore era puro e si lasciavano tutti i confort per distruggere il nemico e rendere migliore la terra.

Quando incontrai Silvio faccia a faccia nella fila al confessionale della Festa della Vita, era una domenica. Parlare con lui fu naturale come bere dell’acqua. Poi non lo vidi per un mese. Era però rimasto nel mio cuore. Ed ebbi molta paura. Avevo 28 anni. Era lui il ragazzo della capanna. Era lui che aspettava la sua sposa nella castità, che voleva la missione, la famiglia aperta. Avevo paura di non essere all’altezza. Paura di ferirlo. Paura di me stessa. Avevo paura che avrei trasmesso anche a lui quel senso di schifo che mi sentivo addosso, come un virus. Avevo paura che dopo il matrimonio non sarei mai stata capace di donarmi completamente. Conoscevo la sua “fama” di grande ragazzo lavoratore, di sincero amico, sapevo che era stato in missione, che aveva passato metà della sua vita in Comunità Cenacolo per scelta di vita.

Negli anni avevo seguito il suo percorso tramite i passaparola, ma mai avrei pensato che il mio ragazzo della capanna fosse proprio lui. Cercai in ogni modo di allontanarlo, spaventandolo con le mie storie, con il mio passato, cercando di essere fredda, distaccata. Volgare. Nulla. Lui era lì. Aveva capito il mio gioco. Ed io ero senza più riserve davanti a lui che mi amava così come ero. A Medjugorje ebbi la risposta dalla Mamma che più mi conosce. “Questa è la strada, Percorrila.” Dissi il mio “Eccomi” e fu solo una grande gioia e una grande pace. Il giorno delle nostre nozze fu il giorno più bello della nostra vita. Come tutti i giorni a seguire.

Nel Sacramento del Matrimonio il Signore ha guarito ogni ferita inferta quella brutta sera di 14 anni prima, e anche tutte quelle che io stessa mi ero inferta da sola negli anni successivi per punirmi. Ogni volta che mio marito ed io entriamo in paradiso, vivendo la nostra intimità in modo pieno, tenero, nel dono reciproco, è come un balsamo che chiude sempre più quegli squarci. Il Signore è stato crocifisso, ed io con lui. Nella sua Risurrezione i buchi dei chiodi sono rimasti ma non c’è più sangue ma Luce, Vita, Perdono, Grazia, Salvezza come nelle mie ferite. Lui passa attraverso mio marito ed io guarisco, mi salvo, trovo pace. Spero davvero che ogni coppia di sposi capisca il dono che hanno nelle mani e nella loro relazione. Nella loro intimità. Che grande vocazione! Che grande avventura! Questa vita va celebrata. Una Chiesa che si muove, una Chiesa che crea vita. E voi giovani abbiate il coraggio di non accontentarvi, ma seguite quella voce. C’è solo questa vita per trasmettere, a chiunque ci conosca, che in Lui tutto è possibile se lo lasciamo agire su di noi. È già un piccolo anticipo di Paradiso. Vi saluto di grande cuore. Mio marito ed io siamo prossimi alla partenza per la tanto sudata Missione in Brasile e la nostra amata capanna tra i bambini. Pregate per noi. Noi pregheremo per voi.

Maria e Silvio

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Il piccolo Pietro: un altro grande dono del Padre!

(Alessandra) Ciao a tutti oggi vi parleremo un pò di noi, della nostra famiglia, per portarvi la nostra testimonianza di fede. Alcuni di voi magari già un po’ ci conoscono perché avranno letto dei nostri articoli pubblicati in passato su questo stesso blog. Per chi di voi non ci conoscesse vi facciamo un breve riassunto: ci siamo incontrati circa 5 anni fa, io facevo l’assistente di volo, mio marito faceva il militare volontario nel corpo degli alpini, entrambi eravamo molto presi dal nostro lavoro e da noi stessi. Nelle nostre vite c’era poco spazio per la vita spirituale, seppur entrambi cattolici battezzati.

(Riccardo) Passato del tempo insieme abbiamo capito che i nostri lavori ci allontanavano sempre di più, quindi abbiamo preso la decisione di iniziare a convivere. Dopo pochi mesi abbiamo scoperto di aspettare un figlio, la nostra bambina Olga è nata molto prematura l’otto aprile del 2018 per gravi complicanze insorte durante la gestazione e non ce l’ha fatta a sopravvivere. É stata per noi mezzo di salvezza, un dono enorme del Padre che ha portato con sè un altro grande dono, quello della nostra conversione alla vera fede. A causa di questo lutto, all’inizio eravamo profondamente sconvolti ed arrabbiati con il mondo, abbiamo poi capito, tramite quel filo sottile di Olga che ci legava al cielo, che potevamo farcela solo abbandonandoci tra le braccia di Dio Padre misericordioso. Olga è nata proprio il giorno della divina misericordia (primo segno di Dio nella nostra vita di coppia)

(A) Abbiamo iniziato un cammino di fede che ci ha portati al matrimonio religioso avvenuto nella chiesa di Santa Margherita di Scozia a Cameri il 15 luglio del 2018. Qualche mese dopo abbiamo scoperto casualmente il libro di Antonio e Luisa De Rosa: “L’ecologia del amore: intimità e spiritualità di coppia”, siamo entrati a contatto con l’associazione Intercomunione Famiglie che ci ha aiutati, e ci aiuta tutt’ora, a scoprire sempre più il significato profondo del matrimonio cristiano, che non avevamo compreso appieno. A dicembre dello stesso anno della salita al cielo di Olga, c’è stata un’altra dura prova. Dopo tante preghiere pensavo di essere rimasta incinta, in realtà abbiamo poi scoperto che avevo il sacco gestazionale senza embrione. Ci siamo sentiti molto scoraggiati, un altro sogno che veniva stroncato sul nascere, abbiamo pensato che forse non era nei piani di Dio donarci un figlio, ma mai disperare. Mi sono sempre detta che fin da bambina sentivo di essere chiamata a fare la moglie e la mamma e anche se non fossi stata mamma nella carne, lo sarei stata in altri modi, anche se non sapevo quali non sentendo la chiamata all’adozione. Mi permetto di aprire una parentesi su un argomento che ritengo vada affrontato: per maternità o paternità non nella carne non necessariamente si deve intendere l’adozione. L’adozione è una chiamata che non è per tutti, è una strada tortuosa, non facile, fatta di avvocati per i minori, assistenti sociali, pratiche e anni di attesa. Lo so perché sono figlia di una mamma adottiva che ha anche lavorato per una associazione che si occupa di adozioni e ho seguito il processo di adozione dei miei genitori per mio fratello minore. Quindi mi rivolgo col cuore in mano alle coppie che si trovano nel desiderio di un figlio, in tanti vi diranno di adottare in maniera molto semplicistica, ma ricordate che ci sono altre forme di maternità e paternità ad esempio il volontariato. Io mi sono sentita mamma oltre che di Olga anche di tanti bambini prematuri in terapia intensiva neonatale che con il mio operato per la associazione di volontariato mani di mamma indossavano piccoli capi in lana realizzati da me.

(R) Gesù ci insegna a non chiedere continuamente segni perché il segno più grande ce lo ha dato morendo sulla croce, eppure nella sua infinita bontà a noi ne ha dati tanti. Lo scorso anno siamo stati in pellegrinaggio alla Basilica di Sant’Antonio da Padova a cui mia moglie è molto devota, essendo la nonna, che l’ha cresciuta, di origini padovane. Recandoci alla basilica in pellegrinaggio avevamo deciso di confessarci, comunicarci e recitare il Santo Rosario in basilica. Ci siamo confessati e il sacerdote ci ha data la preghiera dei genitori che avevano perso un figlio, nel leggere la preghiera ci siamo accorti con stupore che era stata scritta proprio l’8 aprile 2018, il giorno della nascita della nostra Olga. Due anni fa siamo stati per il compleanno di mia moglie in vacanza in Trentino, abbiamo alloggiato in un residence e chiedendo alla proprietaria dei luoghi belli da visitare, la donna ci ha indicato la passeggiata tra i boschi che dal lago di Tovel porta al Santuario di San Romedio a cui, ci dice la signora, tante coppie si rivolgono nel desiderio di un figlio. Per fare la propria richiesta di intercessione al santo occorre percorrere tutta la scalinata del santuario, che è lunga, visto che il santuario è costituito da cinque  piccole chiesette costruite una sopra l’altra, e occorre chiaramente chiedere la sua intercessione con fede. Non conoscevamo questo santo, ne tanto meno eravamo a conoscenza che aiutasse coppie nel desiderio di diventare genitori, percorrendo la scalinata abbiamo visto appesi sulle mura tantissimi fiocchi nascita. Un altro santo che non abbiamo cercato, ma ci è venuto in aiuto come segno della presenza di Dio al nostro fianco.

(A) Ho ricevuto più volte risposte chiare dal Signore Gesù quando gli chiedevo se era sua intenzione donarci un altro figlio, ma ero talmente rinchiusa nella mia negatività che non me ne ero mai accorta. Il giorno che ho scoperto di essere incinta ho ricevuto per “coincidenza” divina, per così dire, il nastro benedetto sulle sacre mura della Santa Casa di Loreto. Lo avevo richiesto, nel mio desiderio di maternità, dopo aver letto un articolo che parlava di questa tradizione cristiana portata avanti dalle monache passioniste di Loreto. Il nastro arriva con una preghiera che gli sposi possono recitare insieme. La gravidanza di Pietro è stata una gravidanza altamente a rischio, sono stata costretta a letto fin dal iniziò della gestazione, ho avuto una minaccia di parto prematuro a 28 settimane e abbiamo rischiato che il piccolo venisse intubato e alimentato artificialmente in terapia intensiva neonatale. Mio marito, quando sono tornata a casa, è stato poi costretto a chiedere un’aspettativa dal lavoro, poiché avevo bisogno di qualcuno che potesse assistermi continuamente e non abbiamo parenti o familiari vicini, per altro, con la pandemia COVID era meglio non far entrare altre persone in casa nostra. Arrivata al terzo di mese di gravidanza, poco prima di andare a fare la visita con il chirurgo che avrebbe dovuto eseguire per me l’intervento di cerchiaggio (in via precauzionale), che serve a ridurre il rischio di parto prematuro, mi sono recata nella chiesetta della clinica Mangiagalli, per rivolgere a Gesù e Maria la mia preghiera. Ho visto che c’era un cestino dove si poteva pescare un bigliettino con un passo del Vangelo. Mentre pescavo il bigliettino ho pensato: ”quanto desidero questo figlio, ma ho veramente tanta paura di perderlo, fa Signore che possa nascere sano e forte”. Il passo del Vangelo era: ”se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò” (Gv. 14,14). Il giorno che sono stata ricoverata in ospedale per l’intervento di cerchiaggio mi sentivo sola, triste e preoccupata, eravamo in pieno lock down, non potevo vedere mio marito perché i familiari non entravano nei raparti, lo salutavo dalla finestra dell’ospedale, ma quanto avrei voluto un suo abbraccio…….. La prima sera di ricovero, mentre stavo recitando il Santo Rosario in diretta da Lourdes, allungo il braccio per accendere la luce sopra al letto e cade un Santino che era rimasto incastrato con una preghiera della mamma in attesa di un figlio e l’immagine di Maria bambina. Non so se era li perché il sacerdote che passava nelle stanze lo aveva dato a una mamma che non aveva fede e lo aveva lasciato lì, o se era di una mamma che lo aveva dimenticata tornando a casa, sta di fatto che sono stata immensamente grata a Maria Santissima di avermela fatta trovare. L’ho recitata tutti i giorni che sono stata ricoverata e andando via avrei voluto portare con me quel santino, ma ho pensato che non ne avevo il diritto, che un’altra mamma avrebbe potuto sentirsi sola, abbandonata e aver bisogno di recitare quella preghiera per mettersi nelle mani della nostra mamma celeste.

(R) Adesso guardiamo il nostro Pietro e pensiamo che Gesù veramente ci ama di un amore infinito perché ci ha fatti incontrare Lui, ci ha uniti nel matrimonio sacramento dopo averci donato una figlia che è, e sarà, sempre il nostro angelo in Cielo. Come ci hanno detto dei nostri amici, noi abbiamo partorito Olga nella carne e lei ci ha partorito nella fede. Prima  che Alessandra restasse incinta un amico ci invitò a pregare Giovanni Paolo II perché Padre Raimondo Bardelli invitava le coppie nel desiderio di un figlio a farlo. Ricordo che una sera abbiamo recitato una preghiera a questo grande papa e santo e nei giorni successivi mia moglie mi ha fatto leggere un articolo dove si parlava della mamma di Giovanni Paolo II, Emilia Kaczorowska, e che prima di mettere al mondo il nostro amato santo e papa aveva avuto una bambina di nome Olga, morta subito dopo il parto come la nostra e la gravidanza del suo secondogenito Karol Wojtyla era stata per lei una gravidanza a rischio che l’aveva costretta a letto. A nostro figlio Pietro insegneremo questo, che tutti i santi sono suoi amici e lo accompagneranno per tutta vita e che non bisogna pregare per chiedere segni, ma che comunque Gesù che ci ama immensamente e che ci conosce più di noi stessi, quando ci vede confusi e che brancoliamo nel buio ce li manda come se fossero dei cartelli stradali che ci indicano la direzione in mezzo alla nebbia.

Abbiamo imparato nel bene e nel male a iniziare sempre le nostre preghiere con grazie e quindi grazie a voi che avete dedicato qualche minuto delle vostre giornate a leggerci.

Riccardo e Alessandra

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Mi ha guardato e mi ha perdonato

Condivido la testimonianza di un lettore che vuole restare anonimo. E’ molto bella perchè mette in evidenza il potere redentivo dell’amore sponsale quando vissuto fino in fondo.

Ho tradito mia moglie e ho un matrimonio fantastico. Sento già il brusio scandalizzato. E’ così, ma va spiegata. Mi sono sposato ormai 25 anni fa. Mi sono sposato per amore. Volevo davvero bene a quella ragazza tanto solare e dolce. Con una fede grande in Gesù, a differenza mia che vivevo la fede in modo superficiale e immaturo. Mi piaceva e sinceramente volevo esserle fedele, amarla ed onorarla ogni giorno della mia vita. La mia promessa matrimoniale era sincera. Poi le cose cambiarono. Il lavoro, poi un bambino. Mi sentivo sempre preso da altro. Non c’era più tempo per mia moglie. Parlavamo poco, di solito per confrontarci su questioni pratiche di gestione familiare. Passi tu a prendere il bambino all’asilo? Vai a fare la spesa? Cose di questo tipo. Piano piano ho smesso di essere attratto da mia moglie. La vedevo più come una socia in affari. Non avevo tempo per guardarla. E poi litigavamo spesso. Non ero più capace di vedere quanto fosse bella. Lì successe. Conobbi l’altra. Come capita a tanti. Uscii a pranzo con i colleghi, come tante altre volte,  e lei si è aggiunse al tavolo. Era un’amica di una mia collega. Iniziammo a parlare. Parlammo di tante cose, parlammo di noi. Come non mi capitava più da tempo con mia moglie. Ci salutammo, ma lei mi restò dentro. Mi sentii  bene con una donna per la prima volta dopo tanto tempo. Il mio tradimento iniziò così. Non con il sesso, quello arrivò dopo. Non sono quel genere di uomo. Non vado in cerca di avventure. Quando si arriva al sesso è già troppo tardi per fermarsi, almeno per me lo fu. Per farla breve avemmo  una storia di alcuni mesi. Poi successe quello che temevo. Mia moglie scoprì la mia relazione extraconiugale. Non ero abbastanza furbo per non farmi beccare. Non fece scenate. Mi guardò con uno sguardo che non dimenticherò mai. Un misto di sofferenza e delusione. Non disse nulla. Passarono i giorni. Io non sapevo cosa fare. Non riuscivo a dimenticare quello sguardo. Dormivamo in stanze diverse. Lei andò  a dormire nella camera di nostro figlio. Poi un giorno mi chiamò, aveva uno sguardo diverso. Non lo so spiegare. Era lo sguardo di chi sapeva cosa fare. Ricordo benissimo ciò che mi disse. Poche parole ma che ho scolpite nel cuore:

Non possiamo far finta che non sia successo nulla. Non è solo colpa tua. Anche io non ho saputo starti vicino. Abbiamo due possibilità. Lasciarci oppure fidarci di Gesù. Io ti ho perdonato, ci sto provando almeno. Ci vorrà tempo ma ti chiedo di credere ancora al nostro matrimonio. Mettiamocela tutta per essere felici insieme.

Decisi di troncare completamente con l’altra e di riprovare con mia moglie. Perchè? Quello sguardo mi ha toccato dentro. Ho intravisto di nuovo quanto lei fosse bella e preziosa. E quanto io le stessi facendo male. Iniziarono mesi non facili. Era difficile per lei ritrovare intimità e fiducia in me, e anche per me non fu semplice. Da soli non ce l’avremmo mai fatta. Fortunatamente Gesù non ci abbandonò mai. Trovammo sacerdoti e percorsi di coppia che ci fecero pian piano riavvicinare. Così accadde il miracolo. Non riesco a definirlo in altro modo. Con il tempo e l’impegno recuperammo un desiderio l’uno verso l’altra che non avevamo da molti anni, che forse non avevamo mai avuto. Rividi la donna meravigliosa che avevo sposato. Molto più bella di quando la sposai. Anche sessualmente piano piano ci ritrovammo. E’ stato molto difficile all’inizio ma ne è valsa la pena. Anche il rapporto fisico è tornato ad essere un’esperienza meravigliosa dove posso abbracciare la mia sposa e donarmi a lei con la gratitudine di chi ha ricevuto tanto amore, di chi è stato perdonato quando non lo meritava.  Anche la mia fede è cresciuta e maturata. Finalmente ho incontrato anche io Gesù. L’ho incontrato quel giorno in cui la mia sposa mi ha guardato e mi ha perdonato. Lì ho fatto per la prima volta l’esperienza dell’amore misericordioso di Dio. Questo è l’amore che salva. Non riesco ancora a ricordare questa esperienza senza che una lacrima mi scenda dal volto.

Lode a Dio

Antonio e Luisa

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Decisi di fidarmi un’ultima volta di Gesù

Di seguito potete trovare una testimonianza molto bella. Non solo bella, ma utile a tanti che non credono più nel matrimonio. A volte mollare sembra la soluzione più sensata e corretta, ma se siamo sposi in Cristo non dobbiamo mai dimenticarci che Lui è con noi e portare in salvo il nostro matrimonio è la Sua priorità. Per questo non si tirerà indietro e ci riempirà della Sua Grazia che è forza, speranza e vita. Ci chiede solo di fidarci, di impegnarci a fondo e di abbandonarci a Lui. Lui trasforma l’acqua in vino ma la fatica di riempire le giare dobbiamo farla noi (cit. Chiara Corbella). Giuseppina l’ha fatta!! Per lei e suo marito è avvenuta una resurrezione. Vi lascio alla testimonianza.

Buonasera, mi chiamo Giuseppina. Vorrei testimoniare anch’io la presenza di Cristo nella mia vita. Ho 46 anni, mi sono sposata giovanissima, a 20 anni, contro il volere di mio padre. Ho lasciato la mia terra, la mia famiglia e il mio lavoro per seguire mio marito. Siamo stati fidanzati cinque anni e per questo credevo di conoscere l’uomo che sposavo. Non era così. La nostra prima bambina è arrivata subito e con lei tante difficoltà che si sono aggiunte a quelle che una relazione matrimoniale comporta. Non accettavo la mia situazione, mi mancava la mia terra. In più ero sempre sola perché mio marito lavorava in un’altra città. Partiva la mattina e rientrava la sera. Non mi sentivo più amata e il nostro matrimonio stava velocemente naufragando. Ho trovato la forza per non arrendermi solo grazie alla messa domenicale dove potevo attingere alla sorgente della vita: l’Eucarestia. Quando avevo 26 anni nacque il nostro secondogenito, ma il matrimonio non migliorò, al contrario peggiorava sempre di più. Non volevo separarmi anche se la tentazione era forte. Ciò che mi legava era il voler restare fedele alla promessa che avevo fatto a Dio il giorno delle nozze. Sono andata avanti vent’anni così, non ce la facevo più, volevo gettare la spugna, volevo arrendermi! Avevo deciso: mi separavo da mio marito. Ormai non c’era più nulla in comune tra di noi, non avevamo nemmeno più neanche rapporti intimi. Più nulla! Io continuavo comunque ad amarlo nel mio cuore anche se non ero ricambiata. Un pomeriggio mi recai alla mia chiesetta, mi inginocchiai davanti al tabernacolo e piangendo chiesi perdono al Signore per quello che avevo deciso di fare. Decisi di fidarmi un’ultima volta di Gesù e di credere ancora nel mio natrimonio. In quel sacramento dove Gesù era presente tra noi. Ho messo ancora una volta tutto nelle mani del Signore. Quella sera io e mio marito, non so perchè, decidemmo di avere un ultimo rapporto intimo. Era forse un modo di dirci addio. Ovviamente prendemmo precauzioni e usammo un profilattico. Dopo 20 giorni scoprii di essere incinta. Non riuscivo a spiegarmi come fosse possibile concepire un figlio usando un profilattico, in un giorno che non doveva essere fertile, in una donna di 39 anni. Sono certa che è stato un dono di Dio, un’opera del Signore. E’ stato il modo che ha avuto di dirci che Lui credeva ancora in noi. In quel periodo, oltretutto, lavoravo solo io, mio marito era disoccupato da due anni. Sapevo benissimo che il mio titolare mi avrebbe licenziata non appena avesse saputo della gravidanza. Cosi fu, ma mi sono fidata del Signore, Lui avrebbe provveduto a far crescere questa bambina, non le sarebbe mancato nulla! Il Signore è fedele. Oggi lavoriamo entrambi, non ci manca nulla, ma il dono più bello che Dio ci ha fatto è la nostra conversione, ci ha donato un cammino neocatecumenale e siamo entrambi risorti. Lo scorso anno abbiamo festeggiato 25 anni di matrimonio ed è solo la Grazia di Dio che fa nuove tutte le cose, che ha trasformato il mio matrimonio da acqua (poca) in vino, il più delizioso. Amen!

Giuseppina.

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Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente… ma non me ne sono accorto subito!

Dopotutto sono tutt’altro che immacolato, e sono pure condizionato dal quel cinismo necessario che fa andare avanti nel mondo ma che mi costringe a soffocare la parte più autentica di me, quindi quando qualcuno mi ha ricordato quali potevano essere queste cose grandi non gli ho creduto.

Quando ho frequentato le settimane di ritiro con Padre Raimondo Bardelli ho ricordato tante cose che avevo soffocato, ma grazie agli insegnamenti i valori importanti che avevo reso lontani e indefiniti sono tornati a fuoco e sono diventati basi solide sulle quali abbiamo costruito il nostro matrimonio. La natura dell’amore e le sue dinamiche, la vera sessualità, la castità nella sessualità, sono state bellissime riscoperte, sono diventate per me esigenze profonde e vive, avevo finalmente una consapevolezza nuova, ma non su tutto quanto. Gli argomenti più spirituali erano nuovi e non mi furono chiari; certo, erano spiegati in modo impeccabile, il loro significato era veramente qualcosa di affascinante e desiderabile, ma mentre quelli più materiali mi facevano esclamare “Wow! Ecco com’era! Così ho sempre desiderato amare!” questi altri mi lasciavano perplesso e non credevo davvero che fossero autentici. Era dura accettare il fatto che Dio agisse spiritualmente in me e che questo cambiasse la mia vita, non lo sentivo a livello di intuito. Il problema non è che non capissi o che mi venisse spiegato male, quando si parla di trascendente e non si hanno esperienze già fatte puoi essere anche Stephen Hawking e il tuo maestro potrebbe avere le capacità di Maria Montessori, di Don Lorenzo Milani e del prof. Keating de “L’attimo fuggente” messi insieme, ma non puoi capire, puoi solo accettare o no, quindi come prima reazione, non accettai.

Dopotutto si parlava di cose davvero incredibili, una in particolare era stupefacente e mi sembrò quasi un superpotere ( l’argomento è ad altissimo contenuto teologico, materia a me per lo più sconosciuta, quindi perdonatemi, la spiego “con parole mie”): con il sacramento del matrimonio, grazie all’azione trasformante dello Spirito Santo, gli sposi ricevono molti doni meravigliosi, che tutti insieme provocano un perfezionamento ed un aumento della capacità di amare così grande… da farla somigliare a quella di Dio!

Ecco, come avrei potuto crederci davvero? Cosa mi sarebbe mai successo se questo fosse stato vero? Avrei potuto superare le correnti gravitazionali, il tempo e lo spazio per non farci invecchiare? Avrei potuto scacciare tutte le inquietudini della mia sposa semplicemente con uno sguardo amorevole? (magari!!) Avrei addirittura avuto la facoltà di CAPIRE le donne? (questo sì che sarebbe incredibile!). Non ci credevo, io mi sentivo già al massimo: ero innamorato perso, capivo e sentivo mia ogni esigenza dell’amore autentico, compresa la castità prematrimoniale, volevo sposarmi con tutto il cuore, il corpo e l’anima ed ero certo che Dio ci avrebbe uniti grazie alla nostra scelta libera per vivere insieme tutta la vita qualunque cosa fosse successa. Non potevo concepire di amare più di così! … mi sbagliavo, e l’ho capito molto tempo dopo.

L’episodio: Valeria, a seguito di esami standard di prevenzione del tumore al seno, dovette fare una biopsia e nel periodo che passò tra le prime notizie preoccupanti ed il momento di ricevere i risultati entrò in una comprensibile angoscia; in questo tempo, diverse settimane, feci del mio meglio per consolarla. Dal punto di vista razionale avevo statistiche ci davano un quadro piuttosto confortante per casi come il suo e questo a parer mio avrebbe dovuto tranquillizzarla ma non era così, quindi aggiungevo tutto l’amorevole supporto che potevo, con tanti piccoli gesti e atteggiamenti, cercando di calibrare con delicatezza ogni parola, sguardo, gesto. Non potevo fare di più e mi struggevo vedendo che tutto questo non bastava.

Il giorno dei risultati andammo all’ospedale, attraversammo il giardino pieno di magnolie fiorite in un bel giorno di sole ma quando entrammo in sala d’aspetto trovammo l’ambiente freddo, asettico e silenzioso. Intorno c’erano altre donne, ferme e con lo sguardo basso, era chiaro che tutte quante stavano aspettando con lo stesso stato d’animo di Valeria, quello di chi aspetta una sentenza. Mi accorsi ancora che non contavano tutte le mie imperfette attenzioni, in quel momento sembrava che fossimo divisi e che una tragedia incombesse su di noi. Guardai fuori attraverso una finestra alta, si vedeva il giardino, illuminato dal sole, una bellissima magnolia con le foglie scure e lucidissime e in quel momento si attivò un “superpotere”: guardando al di là della finestra ebbi la netta sensazione che quella scena piena di vita fosse appunto “al di là”, io invece ero qui, in questa sala d’aspetto che sembrava l’anticamera della morte e capii che forse non avrei più rivisto una magnolia in fiore. Non “Valeria non avrebbe…” ma me stesso, Ranieri; tutto ciò che ero stato fino a quel momento avrebbe potuto morire lì, forse io non sarei uscito davvero da quella stanza.

Non mi resi conto subito che quello era un dono: avevo ricevuto la capacità di vivere la stessa identica angoscia della mia sposa, ben diversa da quella del marito angosciato all’idea di affrontare la tragica scomparsa della moglie, tutt’altro: la mia vita era quella della mia sposa e in quel momento condividevo tutto con lei, fino alla mia stessa vita. Avevo la prova che la mia capacità d’amare era stata trasformata ed elevata, ciò che sperimentavo era certo più grande di me, era inimmaginabile, era vera compassione, cioè partecipazione diretta alla passione della persona amata, e somigliava, in modo piccolo e imperfetto a quell’amore che ci ha creati e redenti tutti quanti.

È stato solo dopo aver riflettuto su questo episodio che ho compreso quanto fossero veri gli insegnamenti ricevuti, ed inoltre ho imparato che questo super dono, che ci consente di partecipare ai momenti di angoscia, ci permette ancor di più di partecipare ai momenti di gioia del nostro coniuge, in modo diretto e vivo. La cosa però che ho capito con maggior meraviglia è quanto siano meravigliosi e straordinari quei momenti in cui gli sposi, preparandosi con impegno, si ritirano nella loro intimità e con cura e tenerezza fanno a gara a donarsi gioia l’un l’altra, straordinari davvero, perché partecipando direttamente a ciò che donano moltiplicano la gioia del corpo e del cuore. Sono momenti preziosi, donati, in cui si può toccare per un attimo una scintilla di paradiso.

Per la cronaca: siamo tornati a passeggiare sotto le magnolie in fiore, vivi; in seguito ne abbiamo passate molte altre, altrettanto angoscianti e anche di più, ma la nostra vita continua ad essere partecipazione diretta alla vita dell’altro, e insieme, anche se in piccolo ed in modo imperfetto, a quella dell’Onnipotente.

Ranieri e Valeria

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Don Alfonsino, tu che sei vicino alla Mamma Celeste, ascolta questa mamma che ti chiede aiuto per Antonio

L’ESPERIENZA DELL’AMORE DI GESU’ E MARIA PER ME, ANTONIO FRIGIERI, TRA MARZO E APRILE 2004

Trascrivo prima la testimonianza di Giovanna Gazzadi, mia madre, dalla quale ho attinto fin dal grembo, con la felice vicinanza di Carlo, suo marito e mio padre, buona parte dei semi di Fede, Speranza e Carità che ci possono alimentare davvero e in eterno.

Abbiamo contemplato, o Dio, le meraviglie del Tuo Amore

Il 13 Marzo 2004, ore 9,30, telefona Giovanna Santini, mia cognata, comunicando ad Aldo, l’altro nostro figlio maschio, di un incidente sul lavoro ad Antonio. Occorre raggiungerla presso l’ospedale di Carpi, Modena: è avvenuto un trauma cranico commotivo. Verso le 14 riceviamo la telefonata di Marina nostra figlia, secondogenita. Antonio è elitrasportato d’urgenza a Parma per cercare di operare l’ematoma al cervello, come già rilevato dalle TAC. Si trova in condizioni gravissime.

Ho subito telefonato a don Erio Bertolotti, in parrocchia di San Giorgio martire in Sassuolo, per chiedere la supplica al Santissimo Tronco (crocifisso di pluricentenaria assistenza in casi ‘impossibili’), fissata per le 15,30. Ho poi telefonato al vicino monastero del Carmelo per chiedere preghiere. Con mio fratello Giuseppe e famiglia, alle 15,30, dinanzi al Santissimo Tronco, abbiamo pregato. Assieme a noi c’erano una cinquantina di persone. Lì, ho vissuto la stessa situazione di sei anni prima per mio marito, assieme a don Alfonso Ugolini, passato alla Beatitudine Eterna nel 1999 (per coloro che l’hanno potuto avvicinare è don Alfonsino, ad oggi Servo di Dio).

Tornati a casa, ho preso la fotografia di don Alfonso con le braccia aperte, l’ho posta vicino a quella di Antonio e della moglie nel giorno del loro matrimonio, e ho fatto questa preghiera: “Don Alfonsino, tu che sei vicino alla Mamma Celeste, ascolta questa mamma che ti chiede aiuto per Antonio, il suo figliolo in pericolo di vita. Prega per noi, te lo metto fra le braccia”. Marina verso le 16,30 mi ritelefona: i medici tentano l’intervento per togliere l’ematoma. Riuscirà perfettamente. Avevamo pregato tutto il pomeriggio, io e mio marito, dopo aver telefonato a vari amici che pure credono nella forza della preghiera.

Le condizioni di Antonio restano comunque gravissime: c’è un edema, interno al cervello, prodotto dal contraccolpo, un grande rischio di vita. Si attende l’evoluzione nei giorni successivi, di grande dolore e di Speranza. Una persona cara ci presta una piccola stola con crocifisso e medaglia della Vergine Miracolosa, lasciatale da don Alfonsino. Il giorno successivo la porto con me a Parma e durante i 10 minuti di visita la metto sul cuore di Antonio, pregando con Giovanna, e così per altri 4 giorni. Nel frattempo Antonio ha ricevuto l’Unzione degli Infermi, per sostegno innanzitutto fisico.

I medici decidono di non operare l’edema, che ha troppo elevato la pressione cranica. Decidono di introdurre nel cervello una sonda per togliere gocce di liquido e lasciare spazio all’edema. Non si conosce il possibile risultato. Il fisico di Antonio regge questa operazione, durata alcuni giorni. Le settimane di Passione sono passate e sta arrivando la Pasqua, mai così bella! Riceviamo tanti messaggi di persone vicine e lontane: comunicano di preghiere, veglie, Sante Messe. Quanto aiuto!

Ora, Aprile 2004, Antonio è fuori pericolo e si trova a Correggio, Reggio Emilia, in Riabilitazione Intensiva. I medici dicono di progressi straordinari e con tempi ben più brevi del previsto. Mentalmente ha riacquistato al 100 % e fisicamente potrebbe avvicinarsi allo stesso traguardo (un recupero simile avviene in pochissimi casi su mille)..

Il Signore della Vita, con Maria Santissima, ha aiutato noi e in particolare Antonio! Lode!!!

La mamma ha poi consegnato la sua testimonianza in diocesi, all’apertura del Processo di Beatificazione di don Alfonsino. Secondo Fede e scienza, il vescovo Adriano Caprioli e la commissione diocesana hanno verificato che è avvenuto un fatto prodigioso. Non un miracolo vero e proprio. Alcuni dei medici, a Parma, mi hanno attestato che sono stati necessari ma non sufficienti: le mani dell’intera equipe sono state guidate dalla Vergine per intercessione, tra i Santi invocati, proprio di don Alfonsino. Anche i loro colleghi non credenti hanno detto che il mio caso rimanda a un Mistero che non si può negare.

Ora, il mio percorso nel Centro ospedaliero di Correggio si è rivelato faticoso, e rimane tale per certi versi ancora oggi, al di là delle aspettative ottimistiche dei sanitari. Sono stato dimesso in tempo per una vacanza al mare di Pinarella di Cervia, Ravenna, con tre problemi non risolti: 1) mal di testa; 2) male al collo; 3) braccio sinistro che non ha recuperato molti dei movimenti suoi propri.

Riguardo al terzo problema, arrivato in spiaggia dico a mia moglie che desidero fare una nuotata. Il mondo è degli incoscienti e anche Giovanna lo sa. Mi lancio dopo una preghiera e le braccia si alternano subito a stile libero. E’ stata la ‘molla’ di un’attività per me tanto connaturata a sbloccare il braccio? Al mio cuore piace pensare che il Maestro Gesù abbia, come minimo, suggerito il modo di avvalermi della natura intorno. E crescere un altro po’ anche nella Fede.

Il mal di testa, acquietatosi durante l’estate, riemerge. Io e mia moglie prendiamo contatto con il padre della dr.a Saginario, Manfredi. Entro fine Agosto ci riceve, potendo accertare, con esami qualificati, che ho due focolai epilettogeni. Pur disponendo una terapia resa via via più efficace, nel quotidiano mi devo accontentare di non potere più compiere determinate operazioni fisiche. Una stimmata lasciatami dall’incidente.

Il male al collo, emerso nel 2006, ha trovato spiegazione ancora in un esame ad hoc fatto disporre dal prof. Saginario. Fino ad allora nessuno si era accorto della causa: eppure ero passato tra le mani di medici, tecnici, fisioterapisti, con la rottura di due vertebre cervicali, in più punti ciascuna! Come non si sia rotto il midollo spinale, lo sa solo Dio. Così ci dicevamo con il prof. Saginario, ridendoci su. Bene, dal 2006 al 2009 sono stato sottoposto con successo a trattamento al collo con neurotossina botulinica.

Infine ringrazio gli amici preziosi Antonio e Luisa De Rosa, coniugi.

Antonio e Giovanna Frigieri

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Signore, aiutami a vivere la tua volontà!

Mi chiamo Federica e vorrei raccontare una storia che parla d’amore. Ma non dell’amore che provo per mio marito, che è immenso, senza ombra di dubbio. Voglio parlare di quell’amore profondo, disumano, misericordioso e umanamente incomprensibile che solo Dio Padre può donare. Sì, perché io e mio marito Marco abbiamo ricevuto la grazia di vivere una grande prova, che nascondeva un dono prezioso: in un periodo di grandissima sofferenza Dio ci ha insegnato ad amare donandoci.

Io e Marco ci siamo conosciuti nel 2015 in un ambiente di volontariato a favore dei senza fissa dimora delle stazioni di Roma. Quello che mi colpì di Marco fin da subito fu il suo modo di fare: un ragazzo semplice, pacato, e un volto molto luminoso. Con il tempo capii che quella luce che aveva negli occhi era espressione del suo immenso amore per Dio. In quel periodo non ero vicina alla chiesa, ma grazie a lui, che mi aveva preso per mano, ho iniziato un cammino di fede che mi ha portato a conoscere la misericordia di Dio. Fin da subito mi sono resa conto che la nostra storia d’amore era speciale, diversa da altre storie che avevo avuto in passato: il nostro non era un rapporto a due, ma un rapporto a tre perché c’era Gesù Cristo in mezzo a noi.

Siamo cresciuti pregando insieme e ringraziando ogni giorno il Signore per tutti i suoi doni, ignari che il nostro Padre Celeste ce ne stava preparando uno ancor più grande.

Il 14 febbraio 2017 fissammo la data delle nozze. Quel giorno avevamo finalmente trovato e fermato la casa che tanto desideravamo e la sera, davanti a un bicchiere di vino, decidemmo di sposarci il 7 ottobre dello stesso anno, giorno dedicato alla Madonna del Rosario. Iniziò quindi un periodo all’insegna dell’organizzazione del matrimonio e dell’arredamento della nostra casa. Eravamo colmi di gioia: finalmente il nostro sogno di vivere la nostra vita insieme si stava per realizzare.

Tutto andava per il meglio, fino a quando, dopo una serie di indagini approfondite, il 4 luglio Marco scoprì di avere un brutto carcinoma alla lingua. Il tumore sembrava piccolo, ma i medici preferirono operarlo d’urgenza. Subì così il 13 luglio un lungo intervento che lo costrinse a 5 giorni di terapia intensiva e a 15 giorni di ricovero. Per rimuovere il tumore dovettero esportare mezza lingua e ricostruirla con un innesto di tessuto venoso preso dal braccio e dall’inguine. Quanto dolore… Ma Marco è un angelo, e stringendo i denti affrontò ogni prova con il suo immenso sorriso che lo caratterizza.

Ricordo quei giorni come tra i più lunghi, i più frenetici e i più brutti della mia vita. Per la prima volta ho scoperto e ho vissuto le debolezze di Marco; l’ho visto soffrire, piangere; ho visto il suo corpo inerme, gonfio, pieno di punti, di aghi, di fasciature, di tubi… Quello era Marco. Il mio Marco.

Ciò che provai in quei momenti è indescrivibile. La sofferenza era enorme, ma c’era una forza ancora più grande che mi teneva in piedi per affrontare ogni cosa. Una forza disumana che mi permise di pensare a tutto: di uscire di casa all’alba per passare in ospedale prima di andare al lavoro; di tornare in reparto nel pomeriggio e di rimanere a volte anche la notte per assisterlo. E il giorno dopo si ricominciava. Questa forza di certo non era mia. Me l’ha donata il Signore, con l’intercessione di Maria che invocavo continuamente. E per la prima volta nella mia vita capii quanto fosse efficace e potente la preghiera comunitaria: tante erano le persone che ci furono vicine e che soffrirono insieme a noi.

Il giorno della preospedalizzazione il chirurgo disse: come mai un ragazzo di 34 anni, che non ha mai fumato in vita sua e che non ha casi di tumore nella sua famiglia si ritrova con un carcinoma alla lingua? Ma perché? Ecco, io quel perché non me lo sono mai chiesta. Durante una catechesi il nostro parroco don Cristian spiegò che gli uomini si ostinano a voler capire ogni cosa e a voler sempre mangiare dell’albero della Conoscenza, l’albero che Dio ci ha proibito. Quello che il Signore desidera invece è che ci nutriamo dell’albero della Vita. Vuole che viviamo. Vuole che andiamo avanti. Ed è così che vissi quei giorni. Nella stanchezza, nella rabbia, nella sofferenza, ma chiedendo ogni giorno al Signore di aiutarmi a vivere la Sua Volontà. Non è stato facile. Di certo non immaginavo tutto questo. Io mi stavo per sposare e desideravo vivere questo periodo nella gioia, nella spensieratezza, e soprattutto con il mio sposo. In effetti forse avrei avuto tutto il diritto di chiedermi perché. Perché proprio adesso? Perché mi ritrovo a vivere la formula “in salute e in malattia” prima ancora di essere pronunciata? In realtà quello che ho sempre fatto è stato ringraziare il Signore di questa prova, perché mi ha fatto conoscere a fondo la persona che ho scelto di avere accanto per tutta la vita e mi ha permesso di essere più consapevole del passo che stavo per compiere.

Io e Marco, fin da subito, decidemmo di andare avanti con i nostri progetti di vita. Il 7 ottobre era sempre più vicino e noi più che mai volevamo sposarci. Nei momenti di maggiore difficoltà, quando ogni cosa ci remava contro, non facemmo altro che ripeterci che il nostro giorno sarebbe stato un dono del Cielo. Tante cose andarono storte: i mobili che non arrivavano o erano sbagliati; la cucina appena montata rovinata per una perdita al piano di sopra; il viaggio di nozze che dovemmo disdire; le fedi che non erano mai quelle giuste… e tanto altro. Ci arrabbiammo in quei momenti, è normale, ma nel profondo del nostro cuore sapevamo che sarebbe andato tutto bene e che il Signore ci avrebbe aiutato a raggiungere il nostro traguardo.

Dopo il ricovero in ospedale Marco riprese a parlare, a mangiare e a respirare autonomamente. I medici però gli prescrivettero dei cicli di radio e di chemioterapia. A fine agosto iniziarono così sei settimane di terapie, cinque giorni su sette. Facemmo i nostri calcoli: l’ultima chemio sarebbe stata il 5 ottobre, due giorni prima del matrimonio. Ma ce la faremo? Mi sentii in dovere di chiedere a Marco: te la senti? Sei sicuro di voler andare avanti? Lui con le lacrime agli occhi mi rispose che ciò che voleva di più era sposarmi. E quindi affrontammo l’ennesimo ostacolo, chiedendo sempre aiuto al Signore, di starci vicino e di darci la forza.

Iniziarono le terapie. I medici dissero che avrebbe avuto i primi dolori a partire dalla terza settimana. Ebbene, Marco dopo la prima settimana già non parlava più e aveva difficoltà a mangiare. I giorni dopo la chemio furono i più difficili perché le nausee erano forti e lui era piuttosto debole. Signore, ma come faremo il giorno delle nozze se l’ultima chemio sarà solo due giorni prima?

La paura a volte prende il sopravvento. Marco stava sempre peggio. Non parlava. Aveva troppo dolore, e io con lui…

Ma questa è una storia che parla d’amore: il Signore non ci ha mai abbandonato. Ci ama profondamente e ha esaudito le nostre preghiere: permise che Marco saltasse la chemio del 5 ottobre e, nonostante stesse male fino al giorno prima delle nozze e non riuscisse a parlare, permise che arrivasse all’altare e pronunciasse il suo “Sì”. Il Signore ci ha donato una giornata indimenticabile, piena di gioia che illuminava i nostri volti e quelli di tutte le persone che erano lì con noi e per noi.

Il cammino verso la guarigione è stato molto lungo e non esente da difficoltà, ma anche se provati dalla stanchezza e il peso di quel periodo, avevamo la certezza che quella croce era un dono che il Signore faceva a me e a Marco e che noi anche oggi possiamo a nostra volta donare al prossimo. Fin da subito ho capito che questa non sarebbe stata una sofferenza gratuita, ma avrebbe portato tanto frutto, magari non a me, magari non a Marco, ma sicuramente a tante persone e noi ringraziamo sempre Dio per averci benedetto con un dono così prezioso.

Ed ora, a due anni dal quel 7 ottobre in cui ci siamo sposati, il buon Dio ci ha ricolmato con un’altra benedizione celeste: un figlio, nato il 13 aprile 2019, a cui abbiamo dato il nome di Francesco.

Siamo pieni di gioia per il frutto di questo nostro amore nato e cresciuto nella Grazia di Dio.

Federica

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Un angelo di nome Olga

Carissimi,

oggi condividiamo la storia di Alessandra e Riccardo.

Buona lettura in loro compagnia!

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Ciao siamo Alessandra e Riccardo, rispettivamente di 23 e 29 anni.
Ci siamo sposati il 15 luglio del 2018 a Cameri (Novara) nella chiesa di Santa Margherita di Scozia.

Riccardo:

Tutti e due siamo cresciuti con insegnamenti cristiani, ma nel periodo in cui ci siamo innamorati eravamo lontani dalla Fede.

Non abbiamo vissuto il fidanzamento nella maniera più consona, infatti inizialmente volevamo sposarci in comune; mia moglie faceva la hostess di volo e aveva girato il mondo, iniziando la sua carriera a soli 19 anni e io il militare.

Lei ha lasciato il lavoro che ha sempre amato e siamo andati a vivere insieme per poter avere la possibilità di stare più vicini, cosa che con i nostri lavori era assai complicata e quel lavoro che Alessandra aveva sempre fatto per passione ha iniziato a pesarle perché la portava sempre più lontana da me.

Dopo 6 mesi di convivenza mia moglie è rimasta incinta e siamo stati molto felici perché le avevano detto che non sarebbe stato facile concepire.

Alessandra:

La gravidanza procedeva bene e a me sembrava impossibile che nella mia pancia ci fosse una nuova vita perché era troppo bello per essere vero.
Ricordo che quando ho scoperto di essere incinta la prima cosa mi sono detta è stata: “è il più bel dono che la vita mi abbia fatto”.

Allo stesso momento ero terrorizzata dall’idea di poterlo perdere così, anche se la mia fede non era viva all’epoca, ho fatto quello che mi avevano insegnato: sono andata in chiesa e ho pregato con sincerità chiedendo a Dio di far nascere il/ la piccolo/a perché ancora non sapevo se sarebbe stato maschio o femmina.

All’inizio del settimo mese di gravidanza però gravi problemi hanno portato al mio ricovero. La diagnosi era tutt’altro che buona. I medici vedevano la mia bambina già morta, ma lei era lì nella mia pancia, scalciava ed era il mio miracolo come la chiamavo.

Sono stata immobile a letto per 10 giorni con la nostra piccola tra la vita e la morte mentre mio marito mi è sempre stato accanto giorno e notte. Mi imboccava perché avevo la flebo nel braccio destro ed ero costretta a stare completamente sdraiata e con le gambe alzate per contrastare la forza di gravità ed evitare che la piccola Olga scendesse sempre più in giù (ero infatti già dilatata di 5 cm e i suoi piedini erano già nel canale del parto).

Riccardo si è sempre preso cura di me…mi ha anche lavata come una bambina nel mio letto perché se non potevo mettermi seduta figuriamoci alzarmi dal letto.

Riccardo:

Il 6/04/18 il sindaco di Pinerolo (dove abitavamo e dove prestavo servizio militare) ci ha sposati con rito civile in reparto.

Solo due giorni dopo, l’8 aprile alle 3:15 di notte è nata Olga, dopo 5 ore di parto ma troppo prematura per sopravvivere ed è subito salita al cielo.

Abbiamo deciso di seppellirla insieme al nonno di Alessandra con cui lei aveva un rapporto speciale, infatti è stato per lei un secondo padre.

Da lì è nato il nostro percorso di conversione. Il seme della fede che era in noi ha iniziato a germogliare e dopo un lungo percorso abbiamo compreso che Olga era un angelo di Dio mandato a salvarci.

Pochi mesi dopo ci siamo sposati in chiesa e abbiamo pregato anche per la nostra Olga.

Il nostro matrimonio è ora più saldo grazie all’esserci aperti alla forza operante dello Spirito Santo.

Ci siamo trasferiti in provincia di Milano, in una villetta di proprietà della famiglia di Alessandra. Ho cambiato lavoro per dedicarmi maggiormente alla mia famiglia.
Alessandra invece è entrata in un’ associazione di volontariato che realizza vestiti ai ferri per i bimbi prematuri nelle terapie intensive.

I suoi Sacchi nanna, cappellini e scarpette sono un abbraccio per quei meravigliosi piccoli miracoli della vita in cui rivediamo la nostra Olga.
La associazione ha anche creato un schema di un sacco nanna a forma di pacchetto regalo che lo scorso Dicembre è stato distribuito nelle terapie intensive neonatali con una poesia dedicata ad Olga e questo sacco nanna è stato chiamato: “il regalo di Olga” così che lei recitando la poesia sarà sempre: “Olga che abbraccia, che scalda e consola i bambini che dal cielo arrivano fino alla terra”.

Questo poter donare questi piccoli manufatti è un modo meraviglioso con cui Gesù ci ha dato modo di ricordarla facendo qualcosa per questi piccini.

(Qui trovi il LINK dell’associazione “Mani di mamma”)

Alessandra:

Sono grata al Signore perché quanto abbiamo vissuto ed il “come” lo abbiamo vissuto è un suo dono.

Olga è stata il dono più grande che lui mi abbia fatto.

Alessandra e Riccardo:

Gli siamo grati per il nostro amore perché a un anno di matrimonio abbiamo vissuto esperienze di vita molto profonde. Tutto questo poteva distruggerci, poteva distruggere il nostro matrimonio e noi come persone, invece per Grazia possiamo dire che questo ci ha portati ad essere veramente una sola carne.

Gli siamo grati perché essere testimoni del suo amore nel mondo è un altro dono bellissimo.
Questa è la nostra storia fino adesso, ci affidiamo al Signore nella speranza di ricevere in dono altri suoi figli.

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Grazie, “Il Signore ti dia Pace!”

Mio marito è capace di accogliermi sempre!

Il nostro libro sul Cantico dei Cantici procede bene. Il Cantico è la storia di tutti noi sposi. Per questo ho chiesto ad alcuni amici di scrivere una testimonianza personale. Simone e Gilda sono due amici brianzoli. Li conosco da tantissimi anni e sono tra le coppie che hanno avviato con noi il cammino dell’Intercomunione delle famiglie. Ho chiesto loro di raccontare dell’essere amabili. Ecco quello che hanno scritto.

Mi capita spesso di tornare a casa arrabbiata per il lavoro, delusa per alcuni atteggiamenti dei colleghi e oppressa da certe situazioni. Ebbene quando non riesco a “scaricare questa tensione”, comincio a rispondere a qualsiasi domanda senza “grazia” e mantengo un dialogo dai toni alti, che in realtà è un monologo dai toni “elettrizzanti”: basta dire qualcosa fuori posto o toccare certi “argomenti pericolosi” che è facile prendere subito la “scossa”!

Non credo sia facile per Simone contenere questa energia, anche se finora è sempre sopravvissuto! La sua bravura consiste innanzitutto nell’aver tanta pazienza, ma proprio tanta con me, e a farmi da “specchio”, così che io possa vedere e riconoscere da sola quanto mi rendo antipatica e poco amabile comportandomi così. Lui riesce a mantenere la calma, invocando lo Spirito Santo, e si chiede: “quali emozioni vuole comunicarmi? Perché questo suo atteggiamento così aggressivo? Come posso aiutarla? In tal modo entra in empatia con me.

Il segreto è proprio questo: essere disponibile ad accogliere la persona amata “mettendola al centro” e aiutandola a far luce sui suoi punti bui (modo di agire, di parlare, di affrontare la vita) per far pulizia, togliere l’opaco e lo sporco e tornare a brillare! Il matrimonio sacramento è il luogo privilegiato in cui lo Spirito Santo ci parla attraverso l’altro/a, ci plasma, ci perfeziona, ci apre sempre più all’Amore, ma per riceverlo occorre svuotarsi di sé! Per alimentare la purezza interiore occorre abbeverarsi alla fonte di acqua viva che lava e purifica. Infatti sono molto preziosi per noi, speciali, i momenti di adorazione eucaristica che viviamo insieme, una volta al mese, in occasione dell’incontro del gruppo Brianza dell’Intercomunione delle Famiglie.

È qui che mettiamo a nudo i nostri sentimenti, perché non possiamo fingere davanti a Gesù! Noi siamo stati creati per amare ed essere amati e ciò non è possibile se non ci rendiamo “amabili”, cioè capaci di amare! Immaginiamo che ciascuno di noi sia una torcia contenente la batteria che se un po’ scarica emette luce fioca, mentre quando è carica lascia trasparire tutta la sua luminosità e diventa punto di riferimento per gli altri. A tal proposito mi viene in mente questa frase che avevo letto nel libro “Illusioni” di Richard Bach:

“… siamo ferro con un avvolgimento di filo di rame e ogni volta che vogliamo magnetizzarci, possiamo farlo. Lasciamo passare il nostro voltaggio interiore nell’avvolgimento e riusciamo ad attrarre qualsiasi cosa vogliamo”.

Infine ecco qualche suggerimento che possiamo dare per non tornare a casa arrabbiati:

  • fare un salto in chiesa da Gesù, affidando a Lui la giornata in modo che possa trasformarla
  • fare un giro dell’isolato a piedi/in bici per scaricare le tensioni

• fare un salto al supermercato … ma attenzione ad entrare con un elenco della spesa ben preciso, altrimenti si rischia di prendere cose inutili e di spendere troppo!

Simone e Gilda

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L’amore nei posti strani: il frigo!

Ok lo ammetto, il titolo suona buffo a dir poco, ma non voglio scrivere un elogio dell’erotismo gastronomico o una retrospettiva su 9 settimane e ½, piuttosto testimoniare che la nostra quotidianità può essere piena di piccoli gesti d’amore e che questi di solito, chissà perché, avvengono in posti particolari. Posti diversi, come diversi sono i tipi di amore: amicizia, filiale, genitoriale, fraterno, sponsale e se ci sono posti in cui si può trovare un solo tipo di amore, come può essere un banco di scuola o il talamo nuziale, ce ne sono altri meno “specializzati”, nei quali l’amore trova più di un’espressione. Che ci si creda o no il frigorifero è un posto in cui si trovano tantissimi tipi d’amore.

L’amore genitoriale e filiale

Nella mia esperienza gli esempi di amore attorno al frigo vengono da lontano: mi tornano a mente i miei genitori negli anni in cui io e i miei fratelli eravamo adolescenti e con un appetito da lupi, loro erano orgogliosi nel vederci mangiare e insieme preoccupati di sfamarci. Già allora vedevo in questa premura un chiarissimo esempio di amore da parte dei miei ed il frigorifero era il luogo in cui passava sia il loro amore di genitori che la nostra gratitudine filiale; questo scambio avveniva con un ritmo scandito dall’arrivo della spesa: il frigo si riempiva e ben presto si svuotava, con una specie di alternanza tra abbondanza e carestia che somigliava alle stagioni. Poco a poco diventò una specie di punto nevralgico della casa: non si passava lì davanti senza una “consultazione”: si apriva, si contemplava il contenuto e si calcolava cosa era più opportuno mangiare a quell’ora (naturalmente non c’erano ore in cui non fosse opportuno mangiare qualcosa). Era anche una specie di cartina tornasole di come andavano le cose in casa, si poteva infatti capire dal contenuto se qualcuno non stava bene, se avevamo bisogno di metterci un po’ a dieta, o se le cose andavano a meraviglia. Era diventato un luogo di scambio amorevole tra genitori e figli, quindi un luogo importante e degno di rispetto (forse non ce ne siamo mai accorti ma quando si diceva “Frigo” si sentiva quasi la lettera maiuscola!).

L’amore tra fidanzati

Questo processo di elezione del frigo a luogo importante avvenne da sé, senza che ne avessi una chiara coscienza, me ne accorsi solo più tardi, quando vidi per la prima volta in TV una serie americana in cui un ospite viene invitato in casa, entra in cucina e senza neanche chiedere il permesso apre il frigo e si prende da bere! Rimasi a bocca aperta, per me era la violazione di uno spazio riservato, quasi intimo, l’accesso al frigo era una concessione riservata a pochi! Concessione che ho ottenuto in un altro importante episodio: il fidanzamento con Valeria, provvidenza e grazia che ha permesso alla mia vita di realizzarsi appieno. Tutto avvenne il 12 aprile del 2001, Giovedì Santo e fu un giorno speciale sotto tanti punti di vista, per me fu anche l’inizio di un riavvicinamento alla fede vissuta e oltre ai dettagli di cronaca più importanti, avvenne un fatto secondario che riguarda un frigo, il suo frigo: dopo il primo bacio l’accompagnai a casa sua, dove lei viveva da sola, comprammo qualcosa per la cena e mi fece accomodare in cucina. Si doveva cucinare per il nostro primo tête-à-tête e chiesi il permesso di aprire il frigo per prendere il necessario, al che mi rispose: <Fai pure ma non c’è niente>, ed io, felicissimo del grande privilegio accordato, aprii il frigo e con enorme stupore vidi che lì non c’era niente davvero! In quel momento le farfalle che avevo nello stomaco si fermarono un attimo… e poi ripresero a volare e a ridere tutte assieme! Ero troppo felice e innamorato, neanche un frigo vuoto poteva farmi scendere dal paradiso, anzi, avevo trovato anche un modo in cui potevo esprimere il mio amore, un vuoto da riempire!

L’amicizia

Nove anni fa una signora della parrocchia, di nome Maria, affrontò una terribile malattia che la portò presto tra le braccia del Padre. Non ho avuto modo di conoscerla bene ma ha lasciato a tutti una testimonianza travolgente: un libretto in cui ha messo citazioni della Scrittura, fotografie candide e intense, il tutto arricchito con parole di una profondità e serenità meravigliose, insomma una piccola opera d’arte dalla quale è emersa una fede incrollabile, una ricchezza di spirito da regina e una leggerezza soave come la coscienza pulita. In questo libretto lei stessa ripercorreva la storia della sua malattia, dando valore ad ogni piccolo gesto concreto d’amore che vedeva intorno a sé. Tra le tante frasi del libretto eccone una che mi rimase impressa: “cortei di amici si presentano con pasti pronti con cui riempono il frigo per alleggerire la logistica familiare: mai frigorifero emanò più calore!”

L’amore sponsale

Sono passati anni di matrimonio e in casa adesso c’è una nuova cucciolata di lupetti affamati e il frigo ne sa qualcosa, anzi, il frigo ne sa abbastanza di tutta la famiglia: all’esterno è pieno di calamite sulle quali si può leggere tanto di noi: viaggi, bollette, preghiere, disegni, un grafico con l’indicazione di quanto è stato “buono” ogni membro della famiglia e altri magneti di cui non ricordo niente. Anche all’interno continua a passare tanto amore, tra genitori e figli in primo luogo ma anche tra moglie e marito. Un piccolo aneddoto di pochi giorni fa all’ora di cena: Valeria doveva accompagnare la primogenita al saggio di ginnastica ritmica, era già un po’ tardi perciò apparecchia a corsa e va al frigo per prendere qualcosa da consumare in poco tempo. Nella fretta le si rovescia il contenitore in cui produce lo yogurt e il latte si sparge per tutto il “f.r.i.g.o.r.i.f.e.r.o.” (in certi momenti, chissà perché, anche l’amichevole “Frigo” torna ad essere un oggetto freddo…), naturalmente i vicini hanno improvvisamente udito una rapida e accorata catechesi su quanto possono essere fastidiose le coincidenze della vita ma dopo qualche istante è cambiato tutto: io le dico <Non ti preoccupare, ci penso io> e lei, calmandosi, va a tavola e me lo lascia fare!

Non conoscendoci devo spiegare perché questo gesto ha una portata storica: la produzione dello yogurt è una cosa sua, personalissima, dalla quale trae soddisfazione e gratificazione, quindi c’è come un confine invisibile ed invalicabile tra il resto del frigo e l’angolo in cui si trova lo yogurt, inoltre nella cura e nella produzione di qualunque alimento vivo, ad esempio anche il pane fatto con il lievito madre, lei torna a rendere vivo e attuale il suo ruolo di madre e custode della vita, quindi è normale che gli oggetti e gli spazi dedicati a queste cose vengano considerati importanti ed personali. Il fatto che mi abbia permesso di rimediare non è stato solo un atto premuroso da parte mia, ma soprattutto un gesto magnifico da parte sua, perché che con questo solo gesto si è nuovamente rivelata nella sua femminilità, che è tenerezza accogliente e contemporaneamente ha confermato il suo sì a me nella mia mascolinità, che è sentimento e trasporto verso di lei. In piccolo, nei gesti quotidiani, si è ricreata la dinamica naturale dell’amore sponsale.

Questo piccolo avvenimento è stato importante, come tanti nella nostra vita insieme, perché ha celebrato il nostro amore e insieme lo ha alimentato. È importante sapere che si possono trovare tante occasioni e tanti posti dove possiamo fare piccoli, meravigliosi gesti d’amore e se certi posti sembrano strani, come un frigo, questo non ci impedisca di farli, nessuno ha mai rischiato di farsi male trasformando un posto strano in un luogo d’amore.

Ranieri e Valeria

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Le parole del satiro giullare ovvero: come trovare un insegnamento nelle situazioni più improbabili

L’aneddoto

Una bella domenica di maggio (naturalmente non era il 2019) partimmo con gli amici per una gita fuori porta: arrivammo a Siena e da lì iniziammo un tragitto con destinazione Castel del Piano, sul Monte Amiata, che percorremmo in gran parte con un caratteristico treno a vapore; arrivati a destinazione trovammo il paese addobbato a festa e noi eravamo pronti a goderci tutto quanto: la gastronomia, l’aria fresca, la splendida giornata di sole (che in quel maggio lì c’era veramente) e i mercatini pieni di curiosità locali.

Lungo le stradine del borgo si susseguivano un’infinità di bancarelle colorate, piene di luccicanti oggetti di artigianato, di salumi, formaggi e di vino locale; da parte nostra non vedevamo l’ora di assaggiare e comprare un po’ tutto quindi eravamo sparpagliati in giro come a caccia, ignorando volontariamente il fatto che quando si gira tra le bancarelle più che cacciatori si è prede.

Valeria camminava curiosando avanti a me di qualche metro, se non ricordo male ero rimasto indietro assaggiando un bel cacio stagionato, quando ecco che da dietro un banco di ninnoli e gingilli spunta uno tipo assurdo: come se Rovazzi si fosse vestito un po’ da Jack Sparrow e un po’ da Bob Marley, impettito come un galletto e sorridente come Pulcinella, reduce probabilmente da un generoso assaggio di vino e chissà che altro. Il fenomeno dunque si porta in mezzo alla strada, si guarda intorno e volgendosi verso Valeria, che sembrava camminare da sola, esclama «Lo sai che hai degli occhi bellissimi?»

Nei sei secondi successivi sono successe un po’ di cose: ho inspirato e irrigidito ogni muscolo, guardando la schiena di Jack-Rovazzi-Marley come un boscaiolo guarda un pioppo secco, Valeria si volta e vede il mezz’uomo in primo piano e me sullo sfondo, considerando che sono 1,90 per 110 Kg direi che è come se sullo sfondo avesse visto Bud Spencer arrabbiato, quindi sorride pensando “Voglio proprio vedere come te la cavi adesso…”. Al che il giullare capisce chissà come che qualcosa non va, si volta lentamente, mi vede, spalanca gli occhi e con una vocina stridula esclama: «Anche tu hai degli occhi bellissimi!!!» e scappa come un ladro. Poi ho espirato, fine dei sei secondi.

La reazione dei primi minuti

Naturalmente ero arrabbiato, anche un po’ con me: avevo quel sentimento infantile che spinge a dimostrare tutta la virilità possibile umiliando l’avversario con una dimostrazione di forza, ma non avevo compiuto nessun “gesto eroico”. Con lui ero arrabbiatissimo e ogni minuto che passava lo ero ancor di più, ripetevo tra me e me: “Ha osato apprezzare gli occhi della mia sposa! Gli occhi!” Pensavo agli occhi di Valeria, così straordinariamente belli, una vera e propria opera d’arte, anzi la più bella di tutte le opere d’arte. Dopotutto l’autore, nostro Signore, non si può superare, hai voglia a disegnare, scolpire o dipingere, i suoi occhi non si possono copiare. Ma la cosa peggiore è che il balordo si era permesso di apprezzarli senza conoscerli, non li aveva mai visti addormentarsi, desiderare, pregare, ridere o piangere, non li aveva visti quando lei era diventata madre, non c’era quando in quegli occhi ho visto spegnersi l’amore per me (Dio non voglia che li riveda mai più così) e quando di nuovo mi dicevano “ti amo!”, ma soprattutto solo io al mondo avevo visto quegli occhi quando, un passo prima di entrare in chiesa, lei mi ha detto «Eccomi, sei davvero sicuro?» e prendendo tutta sé stessa, si donava a me. Una cosa è certa: in quel momento ho visto l’orizzonte più vasto e meraviglioso che un uomo possa vedere, pensare che un pagliaccio qualunque avesse solo pensato di affacciarsi a sbirciare mi mandava in bestia. Dopo un po’ mi era montata una rabbia tale che ero sul punto di tornare indietro, grazie a Dio invece non ho fatto nulla e in fin dei conti la fuga era stata un’umiliazione sufficiente.

Cosa ho capito dopo mooolto tempo

Quando qualcosa ti tocca nell’orgoglio ci ripensi tante volte, anche a distanza di tempo e se la rabbia dei primi minuti non c’è più continui lo stesso a ripensare all’episodio che ti ha dato tanto fastidio, così anch’io ho avuto tante occasioni per pensare a quello che era successo e mano a mano è venuta fuori una cosa del tutto inaspettata: ho capito che dietro a quelle parole c’era una lezione per me, o meglio, una spiegazione pratica, “basic”, di una lezione che non avevo capito bene.

Una delle lezioni più difficili e affascinanti di padre Raimondo Bardelli sul matrimonio prende a modello le parole di San Paolo per descrivere il sommo vertice dell’amore coniugale nel sacramento: “Non sono più io che vivo, ma tu vivi in me!” e devo dire che sebbene affascinato da quest’immagine ho sempre pensato di non avere abbastanza amore per raggiungere questa incredibile comunione d’amore. Non ho mai dubitato dell’opera che Dio ha compiuto nella nostra vita, regalandoci tutti gli aiuti e le qualità soprannaturali adatte a raggiungere il più perfetto amore sponsale, però di fronte a quell’immagine mi son sempre chiesto “ma come ci posso arrivare?”.

Ed ecco una spiegazione, che era arrivata nel modo più improbabile: un giorno mi son chiesto: “Come ha fatto a capire che ero dietro di lui? Non era neanche lucido, si è girato e mi ha riconosciuto come marito, poi quella battuta sui miei occhi… ma come ha fatto?, vuoi vedere che l’amore che lega me e Valeria, che ci fa sentire tanto uniti e vicini, è talmente forte che si vede da fuori? Che basta guardare negli occhi dell’uno per riconoscere lo sguardo dell’altra? E come se ognuno fosse un po’ nell’altro!” Allora ho capito e ho ringraziato il Signore perché è certo grazie a Lui che si stava e si sta tuttora realizzando questa fusione d’amore, certo, è un percorso, non ho ancora raggiunto la meta ma se anche un satiro giullare un po’ brillo riesce ad accorgersi di questo vuol dire che sono sulla buona strada e spero che mi sia concesso ancora di accorgermi di quanto l’amore sta realizzandosi in noi.

Mi han tolto il mantello: la nostra testimonianza

Mi han trovato le guardie che perlustrano la città;
mi han percosso, mi hanno ferito,
mi han tolto il mantello
le guardie delle mura.
Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,
se trovate il mio diletto,
che cosa gli racconterete?
Che sono malata d’amore!

Noi abbiamo avuto, a differenza di molti, la possibilità di iniziare il matrimonio con una preparazione solida; entrambi avevamo alle spalle un lungo fidanzamento finito, che ci aveva fatto maturare, entrambi avevamo fatto chiarezza sul fatto che intimamente desideravamo una storia d’amore per tutta la vita, inoltre innamorati persi come eravamo l’uno dell’altra, avevamo capito che volevamo fare il grande passo. A tutto ciò aggiungiamo l’aiuto di padre Raimondo Bardelli, una persona con un’incredibile preparazione e vastissima esperienza, che bilanciando un’indomita volontà e una delicatezza amorevole, seppe mettere in luce le nostre debolezze nascoste e ci permise di confrontarci profondamente su tutto, ma proprio tutto ciò che deve esser chiaro prima del matrimonio, ogni aspetto.

In pratica, facendo il parallelo con il capitolo del cantico, assoldammo molte guardie, ben addestrate e dotate delle armi migliori, il nostro matrimonio, costruito come una fortezza inespugnabile, splendida e luminosa, era in grado di farci sentire sicuri e sereni, non si poteva immaginare che qualcosa potesse minacciarlo.

Forti di questa sicurezza iniziammo la nostra vita insieme con la fresca gioia degli sposini e incontrammo i primi ostacoli solo dopo un paio di anni, cercando di diventare genitori. La nostra prima figlia arrivò dopo molto tempo e nell’attesa fummo messi alla prova. Il fatto che non arrivavano figli semplicemente quando lo si desiderava ci feriva, ci scoprimmo un po’ meno sicuri già in quel momento, ma la conferma del test di gravidanza fu un momento liberatorio, su di noi tornava a splendere il sole e vivemmo la nascita e i primi mesi come ogni coppia: travolti dalla gioia, allarmati di tutto e perennemente assonnati.

L’arrivo del secondo, dopo due anni, ci trovava già più preparati, non avevamo tutte le ansie dei genitori senza esperienza, ma dovevamo gestire la casa, il lavoro, il neonato e far da guida all’altra permettendole di affrontare la sua prima rivoluzione diventando sorella; insomma, gli impegni crescevano e noi facevamo molta fatica (avevamo scoperto un nuovo livello di “perennemente assonnati”) ma la fortezza del nostro matrimonio, nonostante tutto continuava ad essere fieramente solida e, grazie all’arrivo dei figli, ancor più ricca.

Fu l’anno successivo che arrivò la tempesta, quando Valeria, dando concretezza a quelle che per settimane erano stati solo suggerimenti e battute casuali, mi disse di volere un altro figlio, disse che era un desiderio ardente nel suo cuore ma che non poteva realizzarlo se anch’io non provavo lo stesso identico desiderio. La mia risposta fu che avevamo stabilito di avere almeno due figli e ci si era arrivati, che le difficoltà erano molte, che non ero certo di farcela economicamente e altre scuse del genere, in pratica che non avevo lo stesso desiderio. Questo fu il momento in cui si consumò la frattura tra di noi: lei vide trasformarsi il suo sposo in un uno sconosciuto che le mostrava indifferenza, si sentiva tradita dalla persona che fino ad allora l’aveva amata più di ogni altra perché io avevo ucciso quell’ardente desiderio di avere un altro bambino, l’avevo pugnalata al cuore.

Così a causa di quella ferita che le era arrivata tanto in profondità, il suo cuore ferito reagì e come strategia di sopravvivenza si chiuse diventando freddo, molto freddo. Lei cambiò così tanto che non la riconoscevo più, così come io ero cambiato per lei, lei lo era per me e anch’io vidi lei trasformarsi in una sconosciuta.

Ci trovammo all’improvviso fuori dalla fortezza, soli e disorientati, scoprimmo molto dolorosamente quanto ci mancasse ogni gesto d’affetto, imparammo che anche il più semplice e banale “ciao” detto nella fretta quotidiana, se chi lo dice ti ama, è un tesoro. Noi non avevamo più neanche quello, eravamo mendicanti, continuavamo la vita di tutti giorni nascondendo tutto ai bambini e questo ci feriva ancor di più perché i gesti affettuosi verso i figli erano in bella mostra davanti ai nostri cuori assetati. Le guardie stavano facendo il loro lavoro.

L’aiuto arrivò all’improvviso e dall’alto, quando una sera Valeria chiese agli amici del gruppo di Rinnovamento di pregare su di lei per tutta questa situazione angosciosa che ormai ci tormentava da settimane. Uno dei fratelli lesse un passo tratto dal Vangelo di Matteo “Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me” e qui non esagero se dico che in lei avvenne un miracolo: ispirata da queste parole di Gesù capì, anzi ricordò che se vuoi veramente essere seguace del Cristo il suo amore per lui deve essere più grande di ogni altro, anche dell’ardente desiderio di avere un figlio e non solo capì questo, ma ricordò che Dio ha creato per gli sposi una via riservata ed esclusiva per realizzare questo amore: farsi amare attraverso il coniuge! Quindi in quel momento specialissimo donato a lei (e a me) Valeria visse un vero rinnovamento nello Spirito e sanata dal soccorso divino della Grazia sacramentale rinacque come sposa e il suo cuore si riaccese d’amore.

Quando tornò a casa mi bastò sentire il saluto per capire, quel semplice, banale ma benedettissimo “ciao” che detto così mi sembrò un coro angelico, così corsi ai suoi occhi dove trovai la più dolce conferma, ci abbracciammo stretti piangendo e dicendoci “Ti amo!” come meglio non si può dire. Quella notte ci addormentammo con una profonda pace nel cuore, un nuovo dono che arricchiva ancor di più il nostro matrimonio.

Successivamente la nostra vita è proseguita incontrando molti altri ostacoli, come tutti abbiamo avuto periodi sereni e felici alternati a momenti di angoscia e difficoltà, ma non siamo più stati così lontani tra di noi. Il Signore ci ha sempre amati e condotti ad amarlo attraverso il nostro coniuge in ogni momento, buono o cattivo, anzi, è stato nei momenti peggiori che ci siamo stretti ancor di più l’uno all’altra.

Ah! Dimenticavo: la nuova effusione d’amore di quel momento era troppo forte perché prima o poi non desse nuovi frutti, così dopo un po’ è arrivata un’altra piccola ospite, un’altra volta ci era stato fatto dono di una vita da custodire e poco importò che dovessimo tornare al “perennemente assonnati”, la nostra fortezza era solida, splendida e una volta ancora più ricca di gioia.

Ranieri e Valeria

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Avevamo eliminato Dio dalla nostra intimità

Quando mi sono sposata 26 anni fa, pensavo che fosse l’occasione per fare qualcosa di grande per Dio. Voglio dire, stavo per sposare un uomo davvero carino e speravamo di costruire una grande famiglia insieme. Saremmo stati una grande squadra!

Quindi mi sono immediatamente data da fare per creare un ambiente accogliente per la famiglia, trovare un nuovo lavoro, imparare a fare i lavori di casa, per non parlare di cucinare, e oh! sì c’era anche il sesso, che purtroppo per me era diventato l’atto finale da compiere prima di stramazzare sul letto, per raggiungere il vero obiettivo della giornata: dormire a sufficienza. Tuttavia, con l’aggiunta al cocktail di tre figli nello spazio di quattro anni, ne avevo spesso abbastanza con il sesso ed ero pronta a trovare una soluzione per gestirlo e ridurlo al minimo. A causa di una combinazione di stanchezza e paura di rimanere di nuovo incinta, non stavo più al gioco. In realtà l’unica soluzione per tenere buono mio marito era  rinunciare al mio piacere e usare gli anticoncezionali ad ogni costo. Avevo provato i metodi naturali nei primi anni, ma mio marito non era molto coinvolto, anzi non lo era per niente. Era roba da donne! Da parte mia, non ero in grado di fare nemmeno una lista della spesa in maniere costante e precisa, figuriamoci tenere conto dei giorni fertili! Un vero disastro. Così sono iniziati dieci anni di vita sessuale tecnicamente assistita: avevamo finalmente trovato il kit di sopravvivenza.

Sebbene avessimo eliminato Dio dal letto matrimoniale, non lo avevamo eliminato dalle nostre vite. Guardando indietro, vedo chiaramente come il Suo amore per noi sia rimasto fedele. Fin dal mio primo figlio avevo desiderato una femmina e con tre energici maschietti mi ero sentita abbandonata e sola. Tanti mi consolavano dicendomi “la prossima sarà una bimba”. Eppure, tra le quattro mura della nostra vita familiare, i nostri tre ragazzi cominciarono ad essere anzi divennero gli occhi teneri di Dio su di noi. Il mio cuore si stava allargando piano piano. Quando é arrivato il quarto maschio, abbiamo pianto tutti e cinque di gioia. La guarigione era iniziata.

Qui voglio essere brutalmente onesta, essere intima con mio marito fino a quel punto è stato per lo più un dovere coniugale. L’atto in sé creava un legame tra noi, una specie di complicità nella vita, confortante e solidale. Tuttavia ero ancora sicura che il piacere sessuale fosse prevalentemente una cosa da maschi. Ma… il sesso non doveva essere fantastico? Nemmeno  mio marito era felice in quel periodo, che durò ben più di dieci anni. Vedeva che non ero coinvolta e questo non aggiungeva nulla alla sua virilità. Quindi dove stavamo sbagliando? La verità era che non avevamo invitato Dio a fare parte della nostra vita intima. Il giorno del nostro matrimonio l’atto sessuale é stato il Suo regalo di nozze  e l’avevamo aperto senza chiedere il Suo consiglio. Quando un uomo ama una donna, non può essere soddisfatto del proprio piacere, come se fosse un ladro nella notte. Dopo quel lungo periodo di stagnazione, avvenne – dapprima in mio marito e poi anche in me – un imprevisto risveglio spirituale e della vita di preghiera che ci travolse. E poi un seminario di una intera settimana sulla Teologia del Corpo di Giovanni Paolo II fu l’inizio di un meraviglioso percorso di scoperta.

Ricordo che un giorno prendendo tra le mie mani quelle di mio marito, cominciavo a rendermi conto che le differenze tra noi erano la chiave per la nostra connessione. Così invece di lamentarmi di tutti i suoi limiti, contemplavo tutto ciò che quelle mani avevano fatto per il nostro matrimonio, lanciando i bambini in aria e afferrandoli ogni volta, grazie a Dio!; quanti risotti di qualità preparati in grande quantità, quante volte avevano tenuto il volante durante quei 1800 km di guida attraverso l’Europa, in Irlanda, anno dopo anno, senza mai stancarsi… tutto questo per me e per noi. E ho pianto. Lentamente tutto è diventato intimo e pieno di significato. Un nostro amico una volta ci ha detto “la parola salva la famiglia”, quindi affinché la parola ci salvasse, dovevamo condividere quelle parole, confidando che l’altro coniuge le avrebbe accolte, facendone tesoro e, se necessario, perdonando ciò che stava accadendo tra noi. E quelle parole avrebbero collegato le nostre menti, le nostre anime e i nostri corpi. A volte quelle parole erano una semplice lode a Dio, l’uno per l’altro. Avere una buona vita sessuale, sarebbe stata la conseguenza del conoscere l’altro e dell’invitare Dio a benedire quella conoscenza, senza  la quale qualsiasi sforzo sessuale e ogni piacere sarebbero stati di breve durata.

All’improvviso ho iniziato a capire per la prima volta quanto la Chiesa ama le donne, e che Dio vuole che facciamo completamente parte del dono dell’intimità e del piacere. Dopotutto, siamo i principali collaboratori nella procreazione e non possiamo venire dopo nell’atto sessuale. Al contrario, mentre nel rapporto abbiamo la possibilità di più momenti di piacere, gli uomini ne hanno solo uno. A volte considero questo una sorta di compensazione per il dolori del parto. È come arrivare a toccare le stelle più spesso, spinte in un soffio nell’eternità.

Allora, dove avevamo sbagliato? Se l’atto sessuale è un dare e un ricevere parte di noi stessi, allora tutto il nostro giorno diventa un atto sessuale. Tutta la nostra giornata diventa una canto, un Cantico dei Cantici, un tango di passi guidati in armonia. Ma mentre durante il giorno una donna troverà molti momenti in cui le viene chiesto di dare, è durante il momento dell’intimità che all’uomo viene chiesto di essere un eroe di generosità. La sessualità pura è come raggiungere la vetta della montagna e vedere tutta la creazione nella sua gloria. È l’uomo che deve condurre la donna in alto e non lasciarla ai piedi della montagna. La donna, una volta che sa di potersi fidare dell’uomo può finalmente lasciarsi portare. Quel lasciarsi portare é frutto d’una fiducia costruita nei pazienti gesti quotidiani d’amore. Tenendoci per mano in cima a quella montagna, abbiamo aperto il nostro regalo di nozze ed era molto più bello di quanto si potesse immaginare. Più e più volte. Era la sorpresa che Dio aveva preparato il giorno delle nozze, ed è tutto merito suo: è Lui che fa grandi cose in noi.

Michelle

Articolo gentilmente concesso dal blog montedivenere.org  Qui l’articolo originale

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Vogliamo sposarci per essere pane per il prossimo

Ciao! vi ricordate di noi?! Siamo Federica e Alessandro. Vi avevamo raccontato la nostra storia qualche anno fa.. Ecco un veloce riepilogo! Io ho 36 anni e sto con Alessandro, 44, da tre anni. Quando io e Alessandro ci siamo conosciuti io vivevo a Firenze, e lui a Novara.
All’inizio dell’anno scorso abbiamo capito che era arrivato il momento di pensare a mettere su famiglia, così abbiamo valutato che fosse più opportuno che fossi io a trasferirmi a Novara, anche se avrei dovuto lasciare la mia casa e cambiare lavoro. Così, anche contro il parere di qualcuno, ho iniziato a fare colloqui per il trasferimento tra Pubbliche Amministrazioni, fino a che sono stata assunta in un Comune vicino a quello in cui vive Alessandro, e mi sono trasferita.Viviamo insieme, mantenendo la castità.
Prima di conoscere Alessandro, pregando davanti al Crocifisso del Santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza, avevo promesso al Signore che se mi avesse fatto trovare la persona giusta, lo avrei ringraziato celebrando lì il matrimonio. Questo avverrà il prossimo 31 agosto, e a celebrare il rito ci saranno i nostri due direttori spirituali, don Silvio e don Giuseppe (che avevamo conosciuto a Collevalenza e che ci disse subito che secondo lui eravamo fatti l’uno per l’altra e che è volontà del Signore che stiamo insieme).
I preparativi del matrimonio sono già nel vivo, e da poco abbiamo concluso il corso prematrimoniale. L’ultimo incontro del corso, con la celebrazione della Santa Messa, si è svolto proprio la IV domenica di Quaresima, domenica nella quale il Vangelo ci parla della parabola del Figliol Prodigo (o Padre Misericordioso).
Noi siamo molto legati a questo brano del Vangelo, e vorremmo che fosse proclamato il giorno del nostro matrimonio, proprio perchè è al centro del messaggio della Beata Madre Speranza, e fondante sia per il Santuario dell’Amore misericordioso che per la nostra famiglia, che vogliamo consacrare a Collevalenza.
Ma la cosa più importante è che quel fine settimana sono accadute due cose che ci hanno molrto colpito.
Sabato pomeriggio, arrivati in chiesa per la Messa conclusiva del corso prematrimoniale, ci è stato chiesto se volessimo partecipare alla processione offertoriale, e noi abbiamo accettato subito.
Andando a prendere posto insieme agli altri fidanzati prima dell’inizio della Messa, avevo chiesto al Signore che io e Alessandro potessimo offrirgli il Pane, perchè possiamo anche noi farci Pane per gli altri, così come aveva fatto la Beata Madre Speranza,su richiesta del Signore stesso. Così è successo: io e Ale abbiamo offerto il Pane.
Poco prima di andare a Messa quel sabato, mi chiamò don Silvio, uno dei nostri due direttori spirituali (che vive a Novara ed insegna in seminario) dicendomi che avrebbe celebrato la messa nella nostra parrocchia sia alle 18 che l’indomani alle 10.30. Prima di quella telefonata io e Ale avevamo pensato di non andare a messa alle 10.30 dato che avremmo partecipato a quella prefestiva, ma se il direttore spirituale ti chiama non puoi dirgli di no!
Così siamo andati a Messa e ci ha colpito molto l’omelia di don Silvio. Lui ha parlato della figura del vitello grasso, che viene sempre tralasciata. E’ invece fondamentale, in quanto la traduzione del termine greco, che indica l’aggettivo grasso, è in realtà “di grano”, per cui la traduzione letterale è “vitello di grano”. A cosa serve il grano? a fare il pane… e chi si è fatto Pane per noi? Gesù, che oltre a farsi Pane si è immolato come Agnello. Così ci è tornata alla mente la Madre e ciò che era accaduto il giorno prima, dandoci ancora una volta la conferma di quello in cui crediamo, e che non a caso ci sono accaduti episodi che ci hanno spinti verso il Santuario dell’Amore Misericordioso e Verso la devozione alla Beata Madre Speranza. Da lì cominceremo il nostro cammino ed il nostro compito: portare l’Amore Misericordioso a quanti incontriamo sul nostro cammino.
Federica e Alessandro

Aurora: un angelo che ha sfiorato la terra per raggiungere il paradiso

Mi chiamo Maria Paola, sono una mamma di 39 anni, sono sposata da quasi due anni con mio marito Marino. In questa testimonianza vi racconterò l’incredibile storia d’amore che abbiamo vissuto grazie a nostra figlia Aurora, nata il 14 gennaio di quest’anno. Aurora è stata concepita nel mese di maggio a Medjugorie, io e mio marito avevamo chiesto alla Madonna di donarci la pace e di farci accettare la perdita dei nostri due figli, avvenuta nei primi mesi di gravidanza.
Tornati a casa però la nostra gioia fu grande perché ero di nuovo incinta e nel mio cuore
ho ringraziato Maria per avermi fatto questo dono immenso, chiedendole la sua materna
protezione su questa nuova gravidanza. Nei primi mesi, come era già successo in precedenza, ho avuto qualche problema e sono rimasta a letto per varie settimane, ma questa volta il cuore del mio bambino ha continuato a battere e, quasi incredula, sono arrivata alla fine del quarto mese, il tempo della prima ecografia morfologica. Appena il ginecologo ha posizionato lo strumento ecografico sulla mia pancia però ci ha  comunicato che nostra figlia aveva gli arti corti ma, dopo pochi istanti, si è accorto che la
diagnosi era ben più grave di una disabilità: le ossa del costato non crescevano e ciò rivelava una malattia incompatibile con la vita, chiamata displasia tanatofora, con una prognosi infausta, la nostra bambina sarebbe morta soffocata alla nascita perché i polmoni non si sarebbero potuti espandere. La dottoressa genetista, dalla quale ci siamo recati il giorno successivo, mi ha riferito che la situazione era molto grave e che in questi casi si poteva interrompere la gravidanza con un aborto terapeutico. Io le ho risposto che qualunque fosse stata la diagnosi non avrei abortito, umanamente non sapevo come avrei fatto ad andare avanti ma nel mio cuore sentivo chiaramente che non potevo interrompere volontariamente la vita di mia figlia. I primi periodi sono stati i più difficili, mio marito non era convinto della mia decisione riguardo all’aborto però mi ha rispettata, pur non capendo in profondità, mi è stato vicino con tutto l’amore, cercando di farmi forza, spesso nascondendo le lacrime…io sono stata sempre sostenuta dalla fede, ma lui ha maturato questa decisione di apertura alla vita provando un senso profondo e umano verso ciò che stava accadendo.
Entrambi eravamo consapevoli di accompagnare la nostra bambina fin dove avremmo potuto perché lei in pancia stava benissimo, “eliminare” quello che per la maggior parte delle persone costituiva un problema sarebbe stato solo un atto egoistico che apparentemente ci avrebbe fatto soffrire di meno ma che in realtà non sarebbe stato così. La strada non era facile ma il Signore ci è stato sempre vicino, attraverso il supporto di tante persone: primo fra tutti il nostro ginecologo, il Dott. Alessandro Cecchi e la sua fantastica èquipe, il gruppo del Rinnovamento dello Spirito e tante altre persone venute a conoscenza di questa storia inoltre ci hanno supportati con la preghiera e con la loro vicinanza. Ma la forza più grande l’ho sperimentata grazie alla presenza di mia figlia nel grembo, quando sentivo che si muoveva e che mi dava tanti calcetti, come per dimostrarmi che c’era e che io ero la sua mamma.
Aurora è stata sempre in posizione podalica, con la testa sotto al mio cuore, strette in un
grande abbraccio fino alla sua nascita, io la accarezzavo e le parlavo, provando una grande tenerezza e cercando di vivere in pienezza ogni momento che mi era concesso di stare con lei, Aurora, in cambio, mi donava tanta pace e sicurezza: avevo il privilegio di accompagnare questo angelo che avrebbe sfiorato la terra in Paradiso. Verso gli ultimi mesi di gravidanza ho scritto una lettera a Papa Francesco e la sua risposta è arrivata poco prima del parto, dandomi conforto e speranza Poi è avvenuto molto più di quello che potevamo immaginarci: il miracolo della sua nascita. Quando Marino ha visto per la prima volta sua figlia mi ha subito detto che era bellissima e si è sciolto del tutto, manifestando in modo pieno i sentimenti di un padre, innamorato della sua bambina, inondato di gioia e di emozione e trafitto dal dolore nel doverla lasciare così presto. Io ero completamente persa. Appena Aurora è venuta alla luce ha emanato un gemito e poi ha aperto i suoi occhi azzurri fissando la sua mamma: un attimo di eternità, un soffio di vita che ci ha ripagato di tutte le sofferenze provate. In quel momento ho potuto sperimentare cosa significa l’amore vero, incondizionato, infinito: l’amore di una madre verso sua figlia. Poi i medici l’ hanno battezzata e questo per noi genitori è stato un dono immenso, sapere che veniva accolta tra le braccia di Gesù pura, piena di Spirito Santo. Staccato il cordone ombelicale non ha più potuto respirare ma il tuo cuoricino ha continuato a battere per più di un’ora. In questo tempo l’ho tenuta sempre fra le mie braccia, scaldandola con il mio corpo e coprendola con la copertina regalata dalla nonna dove era stata ricamata la scritta: “Aurora ti voglio bene”.
La mia bambina è rimasta attaccata alla vita più che ha potuto, non voleva lasciarci. Quando è arrivato il momento della separazione il mio cuore si è spezzato, Aurora è stata vestita con l’abitino rosa che le avevo preparato e avvolta con tanta cura in un telo di plastica bianco; Marino l’ha presa in braccio accompagnandola all’obitorio dove è stata lasciata sola; il suo corpicino al quale sarebbe dovuto spettare una calda culla ora stava su un tavolo freddo, lontano dalla mamma e dal papà. Quando mio marito è tornato però ha detto una frase bellissima: “Non piangere Maria Paola perché Aurora è qui con noi, il suo corpo è un involucro”. Infatti il mio amore era già in Paradiso, fra le braccia del vero Padre e della Mamma Celeste, insieme ai suoi fratellini Maurizio e Margherita. Un genitore vuole il meglio per i suoi figli e sicuramente Aurora stava già in quel luogo a cui tutti siamo destinati, quindi eravamo felici per lei pur nel dolore immenso di non poterla abbracciare, di non poter più sentire tutti i calci nel pancione, di non poter più pregare insieme mentre era con noi e la presentavo tutte le volte a Gesù , chiedendogli la forza di accettare la Sua Volontà o il miracolo della guarigione.
Di miracoli però ce ne sono stati perché la sera dopo il parto sentivamo una pace particolare e un’unione profonda con mio marito che non avevamo mai provato prima. Al funerale la chiesa era piena e si respirava un’atmosfera celestiale: la piccola bara bianca, circondata da un giardino di fiori, sulla quale era appeso il fiocco rosa della nascita con il suo nome, emanava purezza e faceva percepire un contatto con il cielo. È stata celebrata la liturgia degli angeli, le campane suonavano a festa, il gruppo del Rinnovamento nello Spirito ha animato la Messa con i canti, io e Marino alla fine abbiamo salutato Aurora con una testimonianza e tutti i presenti si sono commossi e ci sono venuti a ringraziare invece di farci le condoglianze.  Quando abbiamo accompagnato Aurora al cimitero e la sua bara è stata coperta di terra io e mio marito abbiamo percepito chiaramente un senso di resurrezione. L’ultime parole di questa esperienza tanto meravigliosa quanto dolorosa sono dedicate a te cara Aurora, amore della mamma e del papà, figlia tanto attesa e desiderata, che in poco tempo hai fatto così tanto, hai smosso le coscienze e sciolto molti cuori, abbiamo avuto il dono di poterti vedere e abbracciare per pochi istanti, attimi di eternità, che rimarranno impressi per sempre dentro di noi. Ti ho nutrito con il mio cordone ombelicale ora sarai te a nutrirci con il cordone spirituale che neanche la morte può spezzare. Ci rivedremo in Paradiso!

Maria Paola Vecchione

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Abbracciare la croce è vivere l’avventura. La storia di Laura.

Questo blog mi costa impegno e fatica. Ci sono giorni che più di altri mi ripagano con il centuplo in gioia, gratitudine e speranza. Due giorni fa è stato uno di quelli. Ricevo una mail dove Guido mi propone un libro. Anzi mi racconta la storia che lo ha visto direttamente coinvolto. E’ una storia di circa trent’anni fa. E’ la storia di due fidanzati che vivono una relazione d’amore a distanza. Lui di Roma, lei di Ferrara. Si scrivono tante lettere (non c’erano ancora gli smartphone) dove raccontano di loro, di quello che accade nelle loro vite e di Dio. Lei si ammala. Lui l’accompagna nei suoi anni di malattia fino alla morte. Lei vive questi anni affidandosi completamente a Dio. Viene dichiarata Serva di Dio e viene aperta la causa di beatificazione. Guido ha raccolto le lettere che si sono scambiati e ne è nato un volume, Lettere di una fidanzata edito da Ave Editrice, che mostra tutta la bellezza e la profondità di questa ragazza. Io devo ancora leggerlo, ma ho chiesto a Guido di presentare questa opera, lui che ha vissuto direttamente, da fidanzato, questa bellissima storia d’amore e di santità.

Ho conosciuto Laura, in un ritiro a Spello. Ne è nata subito una simpatia istintiva, insieme ad un’intesa profonda sul modo di vedere la vita. Dopo Spello  abbiamo cominciato a scriverci, dal momento che abitavamo in città diverse. A un anno di distanza ci siamo rivisti a Spello e ci siamo messi insieme. È stato un fidanzamento un po’ particolare, fatto di incontri mensili, telefonate periodiche e soprattutto tante, tantissime lettere: almeno due a testa ogni settimana, oltre alle riflessioni sparse, raccolte in diari destinati alla reciproca lettura. In questo rapporto di amore Laura ha percepito fin dall’inizio la presenza di Dio. Una presenza amica, coinvolgente, capace di trarre da ognuno di noi risorse che neppure immaginavamo: pensieri, sentimenti, idee, determinazione, coraggio e fiducia. Risorse che ci sono servite quando Laura ha scoperto di essere gravemente malata. Detta così potrebbe sembrare una storia triste, ma chi avrà la curiosità di dare uno sguardo alle lettere e pagine di diario, recentemente pubblicate, vi troverà una molteplicità di riflessioni e sentimenti che non lasciano neutrali, l’entusiasmo di una persona giovane, il suo modo di affrontare la paura, il discernimento tra desideri, fede e vita reale. Soprattutto vi troverà un’esperienza di amore vissuto fino in fondo, come donazione sincera all’altro, quale vera esperienza del Dio Amore che ha guidato Laura in percorsi anche difficili, fino a desiderare di desiderare la volontà di Dio qualunque essa fosse, fino a riportare in un suo diario la scritta “abbracciare la croce = vivere l’avventura”.  Là dove l’amore si fonde con la fede. Oggi la gente non ama o ama poco perché ha paura di dover rinunciare a qualcosa. In questo senso Laura rappresenta un esempio emblematico di amore privato di tutte le sicurezze, che vive in piena generosità sincerità, fedeltà alle promesse, apertura e rispetto dell’altro, e supera condizioni veramente difficili. Alle prese con una malattia inesorabile siamo spesso tentati di pensare che nessuno possa mettersi nei nostri panni, e lo stesso Dio, che ci ha creato e sa come siamo fatti, sembra così lontano. Pensiamo ai nostri progetti, e siamo preoccupati che il male fisico ci possa far perdere tutto. Come ogni persona normale, Laura si è trovata alle prese con la paura, ma questo non ha influito sul convincimento  profondo che Dio non c’entrava niente con il suo male, e che anzi Dio era l’unica strada per dare una senso nuovo alla propria vita pur così insicura. La fiducia profonda nella capacità di Dio di trasformare il male in occasione di bene, la costante percezione dell’affetto di un Papà che non vediamo, ma di cui avvertiamo la continua vicinanza, anche quando non capiamo il motivo di certe sofferenze, il senso di responsabilità di voler corrispondere appieno alla volontà del Padre, danno contezza di una fede profondissima, che arriva a credere senza capire. Certo una ragazza di vent’anni, in quelle condizioni, che mette per iscritto, nero su bianco, la propria gratitudine a Dio, e afferma di sentirsi fortunata, amata in modo particolare, apre uno spiraglio sul mistero insondabile e trascendente che circonda la natura umana. La serena sopportazione di una grave e continuata sofferenza fisica e spirituale che, pur immeritata ed apparentemente ingiustificata, viene accolta con espresso convincimento che essa rappresenti una imperdibile occasione di Bene tangibile, costituisce, a mio parere, un’autentica virtù eroica. Il testamento spirituale di Laura, redatto nei giorni direttamente precedenti alla sua scomparsa, rappresenta la sintesi di tutto quello che Laura è stata e ha creduto.

Signore Dio

ti ringrazio dei doni bellissimi che mi hai fatto in questi quasi ventiquattro anni di vita: ti ringrazio prima di tutto della vita che mi hai donata e che io amo; ti ringrazio perché ti sei fatto conoscere a me e mi sei padre, un padre fedele che non mi abbandona; ti ringrazio per la famiglia in cui vivo dove si respira il tuo amore, ed infine ti ringrazio perché attraverso il bene del mio fidanzato mi fai sentire quanto mi ami. Signore, nella mia breve esistenza ho capito che la vita è un cammino duro, seminato di difficoltà, ma che tu non operi che il bene dell’uomo ed ho imparato anche che le situazioni apparentemente più critiche, la perdita di una gamba, due lunghe e pesanti chemioterapie, la perdita momentanea dei capelli…, colloqui duri con medici, se vissute con uno spirito di affidamento, possono trasformarsi in momenti di vera grazia, animati da quella libertà e da quella sicurezza di chi non ha più paura perché ha riposto tutta la sua fiducia in te. È così Signore che mi sei venuto incontro e mi aiuti da due anni a questa parte a convivere con una salute precaria; che hai raffinato l’amore tra me e il mio fidanzato in un crogiuolo di sofferenza fisica e spirituale… e continui a darmi, giorno dopo giorno, il sostentamento necessario e, nei momenti migliori, la speranza e la voglia di lottare e di sognare cose buone per la mia vita e per quella degli altri. Ti prego, Signore, aiutami ogni giorno a sorridere alla vita che mi viene donata, insegnami a sapermi sempre più distaccare da me, per accogliere con amore e delicatezza il dono degli altri che sono il riflesso della tua presenza. Aumenta Signore la mia fede, rafforzala, perché senza il tuo sostegno tutto è così difficile; conserva la mia serenità e il mio ottimismo naturale; aiutami Signore ad incarnare sempre più ogni giorno della mia vita la mia chiamata e la tua volontà, ma soprattutto Signore fa’ che i miei occhi rimangano sempre attratti da ciò che veramente conta, e che è la certezza del Regno, dell’eternità insieme a te, rispetto alla quale tutto ciò che è terreno è effimero ed è cosa di poco conto. Dona serenità e pace, Signore a chi mi vuole bene, in modo particolare al mio fidanzato, a coloro che io non amo abbastanza, a chi soffre nella malattia e nello spirito, a chi è dedito al tuo servizio nella Chiesa come ministro e battezzato, a chi ti cerca, a chi non ti ha ancora incontrato. Amen.

Il capolavoro conclusivo di Laura ci convince che è possibile vivere davvero ciò che si ama e si crede, che i santi sono come noi, provano le nostre paure, le nostre sofferenze, e si esercitano ogni giorno per trasformarle in occasioni di bene verso gli altri e verso Dio.

Guido Boffi

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Con Gesù, sulla strada.

..di Pietro Antonicelli e Filomena Scalise dal Blog “Sposi&Spose di Cristo”:

Oggi abbiamo pensato di raccontare ancora un po’ della nostra storia. Buona lettura:

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Salve a tutti, sono Pietro Antonicelli. 

Oggi mi racconto un po’.

La mia storia di vita – che si intreccia alla Fede in Gesù Cristo – mi ha visto nel 2012 approdare nelle strade di Roma.

Dopo una vita lontana da Dio, ho incontrato Gesù durante la Marcia Francescana nel 2007 e dopo varie vicende è nato in me il sogno di vivere radicalmente il Vangelo. Questo profondo desiderio mi ha portato nel 2010 ad iniziare un cammino di consacrazione con i Frati Minori (Francescani). Ma dopo due anni di vita in Convento mi sono ritrovato a desiderare di fare un passo oltre…

Il desiderio di una maggiore radicalità nella vita e nell’annuncio del Vangelo mi ha portato a scegliere di andare a vivere senza una fissa dimora per le strade di Roma, mettendomi alla pari dei barboni, dei punkabbestia, delle prostitute, dei tossici, dei malati psichiatrici, egli emigrati e di tutti quegli ultimi che popolano le strade della Capitale.

Desideravo vivere in mezzo a loro per testimoniare l’amore di Cristo per ogni uomo semplicemente con la mia presenza e con la presenza di Filomena, che oggi è mia moglie, ma all’epoca era consacrata laica ed aveva fatto la stessa mia scelta diversi anni prima.

Insieme a lei vivevamo per strada col desiderio di vivere questa piccola missione con gli ultimi.

Di seguito riporto un’intervista che mi fu rivolta durante il periodo in strada da un caro amico, oggi dottore in Psicologia.

Correva l’anno 2013, ed il 19 Marzo – Festa di San Giuseppe – il caro dr. Umberto Marrone che allora studiava Psicologia a Roma, volle incontrarmi per poter compilare una tesina che serviva per i suoi studi:

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“Sono Umberto e questa è una fredda serata invernale romana. Il vento soffia impetuoso e la pioggia bagna ogni sampietrino della capitale. Sono in marcia su via della Conciliazione, monumentale arteria che conduce sino al maestoso colonnato di San Pietro, fulcro e origine del mondo cattolico. Privo di ombrello ma difeso dallo sferzare dell’acqua dal cappuccio del mio pesante cappotto invernale, procedo spedito per il freddo, sperando che la fermata metro sia più vicina del solito, per potermi finalmente riparare dal gelo che m’invade.

L’aria che mi circonda ha qualcosa di surreale: la pioggia e il vento hanno scoraggiato anche i più temerari turisti che in genere colorano la zona e si respira un silenzio alto, profondissimo che, da queste parti, è di certo rarissima merce. Nel camminare sono combattuto tra il desiderio di correre al chiuso e quello di godermi quest’inaspettato angolo di pace. Nella “lotta”, per risparmiarmi seppur pochi metri di strada sotto la pioggia, decido di attraversare i portici che antistanno al colonnato della basilica, luogo di raduno per eccellenza di coloro che non hanno un letto e un tetto sotto cui passare la notte. Soffermando lo sguardo su questa sezione d’umanità ai miei occhi triste, rassegnata, vittima, il mio sguardo è attratto da una coppia di loro. Non so perché ma uno di loro ha un viso a me noto… ma certo: è Pietro!

Di origini pugliesi, come le mie, ha vissuto diversi anni in vari conventi dell’Ordine dei Frati Minori, in Puglia e nel Lazio, prima di intraprendere uno stile di vita diverso, inconsueto. Ha scelto di vivere in strada, qui nella capitale. La motivazione di una scelta tanto radicale è esclusivamente la Fede, ma la sua modalità di vita lo porta a stretto contatto con persone che, diversamente da lui, sono state costrette a vivere in strada o a condividere con lui aspetti della giornata a causa di ristrettezze economiche, sullo sfondo dell’attuale situazione di crisi planetaria.

È una vita ai margini quella che Pietro ha scelto. Ma nella sue giornate non è solo: le condivide con un’amica, Filomena, che, come lui, quella sera di pioggia era stupita dall’insistente, strano interesse che pareva mostrare quel passante col cappuccio.

Mi rendo conto di essere irriconoscibile, infagottato come sono. Allora tiro giù il cappuccio e quasi urlo: «Pietro!»

L’espressione di preoccupazione sul suo viso si trasforma in sorriso e la risposta quasi immediata mi rincuora: «Umberto!»

Ed ecco i consueti abbracci calorosi al ritrovamento di un amico di cui si erano perse le tracce da tempo. Pietro è quello di sempre: alto più o meno quanto me, bruno, magro, ma soprattutto con un largo e coinvolgente sorriso. Mi abbraccia e mi sfiora con la sua barba ormai lunga (in questo differisce sicuramente dal passato). Ma la forza e la gioia sono quelle di sempre. Subito mi presenta Filomena, sua compagna d’avventure, e chiacchieriamo, scherziamo e giochiamo come se il tempo non fosse passato, come se la vita non ci avesse cambiati.

Pietro è quello di sempre, ma ora vive in un modo nuovo, diverso. È felice, molto felice, glielo si legge negli occhi quando si ha il coraggio di fissarli, lì, sopra quel sorriso sempre raggiante e quella barba incolta.

Chi meglio di lui poteva essere per me testimone di una storia di rottura con il passato, di un potere insito in coloro che vivono ai margini della nostra società?

E Pietro, con l’aiuto di Filomena, qualche tempo dopo quell’incontro, non si è tirato indietro di fronte alla mia richiesta.

Intervista

Intervistatore: Pietro, quanti anni hai?

Pietro: 31.

Int.: Ci racconti un po’ liberamente come vivi?

 

Pietro: Beh, è più facile partire dal quotidiano, perché è quello che spiega a grandi linee quella che è la mia scelta.

Vivo in strada, condivido questa esperienza con Filomena, che ho conosciuto durante l’ultimo periodo di esperienza in convento, dai Francescani, dove ho vissuto nel complesso 2 anni e mezzo.  Lei già aveva vissuto per diversi anni in strada, come scelta di vita legata ad una vocazione particolare. Io, attratto dalla realtà della strada, uscendo dal convento ho pensato di iniziare subito questa esperienza.

La vita del convento non c’è più, ma vivo una vita da cattolico laico per strada.

La mia giornata ora è scandita dalla preghiera. La mattina, dopo la colazione e un saluto con Filomena che va a lavorare, io solitamente vado nella Cappella dell’Adorazione di piazza Venezia e sto lì fino alla chiusura, tra mezzogiorno e le 13.00; prego con la gente fino all’orario di chiusura. Poi cerco di mangiare qualcosa, per lo più arrangiandomi con un panino o qualcosa del genere. Poi resto in giro fino a che non riapre la cappella della Madonnella e torno lì a pregare fino alla Messa, alle 19 e 30.

Le varianti quotidiane sono diverse. Una giornata posso trascorrerla totalmente in giro, da una chiesa all’altra, mantenendo comunque un clima interiore di preghiera lungo la strada pregando il Santo Rosario e alternandolo con la “Preghiera del cuore” della tradizione ortodossa…

La giornata quindi è basata principalmente sulla preghiera: lodi al mattino, ora media, la sera i vespri. La giornata può svolgersi per lo più nello stesso luogo oppure come un pellegrinaggio da un santuario all’altro della città di Roma.

Quando c’è l’Adorazione il luogo fisico determina molto la preghiera: un luogo come una cappella permette una concentrazione maggiore, ma io do molto valore anche alla preghiera lungo la strada, che si arricchisce di tutto ciò che la strada contiene: i rumori, con la gente, gli odori, il clima, i luoghi. Roma offre panorami molto suggestivi e questo va a riempire, arricchire la preghiera e l’incontro col Signore.

È una vita per strada, ma ci sono delle particolarità: ad esempio stasera siamo in un pub. Con la mia amica Filomena non ci vergogniamo di prenderci dei momenti che la gente di strada solitamente non può vivere, perché pensiamo sia importante ritagliarci dei momenti più nostri per la condivisione perché forse una vita vissuta sempre e comunque sulla strada diventa deleteria, alienante e fiaccante fisicamente.

Ho visto che l’eccessiva stanchezza fisica non porta a niente, si prega peggio… la strada è stressante di per sé… perché si è sempre al centro. Sei ai margini della società, però nello stesso tempo sei costantemente al centro dell’attenzione della gente che passa. Qualcuno ti considera, altri meno, però sei un personaggio pubblico, costantemente, anche la notte, quando dormi. Sei incosciente ma c’è qualcuno che vede il tuo corpo lì, in un luogo pubblico. Per questo ci sono dei momenti che ci ritagliamo per la condivisione nostra. Cerchiamo di avere momenti per vivere insieme la preghiera, lo svago, tipo una passeggiata, molto importanti perché questo permette anche di vivere lo stare insieme, la condivisione che ci permette di poter vivere nella logica dell’incarnazione, dove l’altro esiste: quella cattolica non è solo una fede spirituale o spiritualistica ma è lo Spirito che si incarna e quindi da cristiano, da cattolico, da credente, ritengo molto importante confrontarmi, litigare…

È essenziale il rapporto semplicemente umano. Diversamente non si potrebbe realizzare il comandamento che Gesù ci lascia e che è quello di amare il nostro prossimo come Lui ci ha amati. L’altro diventa specchio del grado di crescita della fede, il metro: io posso amare teoricamente tutti ma poi nella concretezza, quanto riesco a prendermi cura di questa persona? E mi lascio curare anche da lei?

Uno dei problemi della vita di strada può essere quello di diventare dei continui mendicanti, mendicare continuamente qualcosa, che sia il cibo, che a volte mi sono ritrovato con Filomena a mendicare; ma anche mendicanti di attenzioni; quindi essere sempre qualcuno che chiede e riceve, e mai qualcuno che dà. Io penso che la gente di strada soffra molto di questa realtà; ma secondo me la tristezza più grande di una persona, la cosa più faticosa e più brutta sia quella di essere dei semplici consumatori di un qualcosa, di un servizio, che può essere la mensa, la doccia, la colletta. Qualcuno che sempre usufruisce di qualcosa… Credo che si è realmente contenti quando si riesce a dare qualcosa, di materiale, di affetto. Questo lo vedo anche dal fatto che non di rado ci capita di ricevere qualcosa dalla gente di strada.

Con alcuni si è instaurata un’amicizia ed è bello vedere, ad esempio, una zingara che ti offre la pizza che le hanno regalato o un gruppo di barboni che la notte di Natale ti offre da bere un sorso di vino dall’unico bicchiere che gira per tutti.

Condividere, prendersi cura, questo vedo che rende felici le persone.

La mia modalità di vita mi permette di incontrare tanta gente qualora lo desidero, diversamente se ci si vuole ritagliare una giornata solo per se stessi lo si può fare.

Gli incontri con soltanto persone di passaggio rischiano di lasciare il tempo che trovano, perché non sono relazioni costanti, ma passeggere e superficiali. Si può anche trovare quello che ti consegna tutto ciò che ha vissuto nella sua vita perché sa che il giorno dopo non ti vedrà più, cosa che succede per strada. Ecco l’importanza della relazione con una persona che cammina al mio fianco.

Altra cosa che la mia esperienza mi ha fatto vedere è che quando sei per strada dai parecchia attenzione a tante cose, ti accorgi anche di molta gente attorno a te che sta nella tua stessa condizione, cose che prima non riuscivo a percepire. Si parla un linguaggio di strada, diverso, pian piano si incominciano a riconoscere le persone, perché magari con uno ci hai mangiato a cena, lo riconosci anche se non ci hai parlato… è come se c’è un mondo parallelo nella stessa città di Roma, coi suoi turisti, coi romani, c’è anche un mondo parallelo di vita di strada.

Per ciò che riguarda il rapporto con me stesso, per strada ha un sapore molto forte, perché c’è molto tempo in cui sono da solo, e sono quelle ore in cui la preghiera raggiunge quelle profondità che normalmente non riuscirebbe a raggiungere. Questo succede sia per strada che durante l’adorazione. Ciò succede perché ho tempo per farlo. Questo per me è importante: avere tempo per pregare in un certo modo; ma anche perché la situazione che vivo è una situazione di precarietà, che va a toccare le corde più profonde dell’esistenza umana: l’uomo, tutti quanti noi quotidianamente viviamo la precarietà. In una situazione “normale” la percezione di questo è molto bassa, a parte situazioni particolari quando accade un imprevisto che può magari risaltare più all’occhio di chi lo vive. Invece vivendo una dimensione in cui non c’è una casa propria, non c’è un luogo tuo, non hai mai un attimo di nido con te stesso, se non la preghiera, che può diventare la dimora in cui tu vai ad abitare, per forza di cose ti rifugi in Dio, attraverso la preghiera. L’essenza della creaturalità la sento, la vivo, e questo è faticoso da vivere perché anche il semplice renderti conto costantemente che sei molto vulnerabile ti pone di fronte a te, agli altri e a Dio in un modo nuovo, in un modo che non sempre è piacevole, a volte prende le forme di una preghiera sofferta perché mi vedo come si vede il salmista che cerca davvero rifugio sotto le ali di Dio.

Quindi, grazie al mio modo di vivere, la preghiera diventa concreta, esce dalla dimensione dell’astratto. Per me l’esperienza della precarietà che sto mi porta a quella dimensione interiore particolare che è proprio quella della creatura, che è propria della creatura. Cioè della creatura che si pone di fronte a questo Dio creatore con tutta la sua fragilità.

La strada mi pone di fronte anche alle mie mancanze, ai miei peccati in un modo totalmente nuovo rispetto a prima, perché non ci si può nascondere, a meno che uno fa finta di niente e si prende in giro, cosa che si può sempre fare, anche sulla strada.

Questa per me è un occasione di mettermi a nudo di fronte a me stesso, a Dio e agli altri. Dico anche agli altri perché ad esempio l’altro giorno mentre ero su un tram sono salite delle zingare. Quando le ho viste ho cambiato il lato della borsa. Io però non volevo ammettere a me stesso di aver fatto questo. Quando ho visto un’altra persona che si era tolta lo zaino dalle spalle e se lo era messo sulla pancia, interiormente l’ho criticata, l’ho giudicata: “Vedi i pregiudizi”. Però mi sono reso conto, oggi ho il coraggio di dire, che io l’ho pensato prima di quella persona. Quindi questo aiuta in un processo di umiliazione di sé. E penso che affidato a Dio poi possa produrre quanto meno un po’ di umiltà in più rispetto a prima.

Int.: Il motivo per cui hai scelto di intraprendere questa vita, è lo stesso che ti porta a continuarla oggi?

 

Pietro: Io sono partito dal convento sapendo cosa volevo fare per strada. Cioè con l’idea io vado lì e faccio questo. Oggi, a distanza di 9 mesi, dico che sono partito con un’idea e invece adesso mi trovo a vivere altro. Nel senso che prima ero partito con la presunzione tipica di quando si parte; oggi mi ritrovo scoperto, mi ritrovo innanzi a me stesso. Sto chiedendo anche alla mia guida spirituale di fare discernimento sulla mia vita, per capire come poterla spendere nel modo migliore, come poterla donare a Cristo e alla sua Chiesa. Se è possibile incastonarla in qualche modo nella Chiesa. Ora sono in una fase di discernimento: sto rileggendo un po’ il passato con le capacità che posso portare nel presente e nel futuro. Un vero e proprio discernimento vocazionale per capire dove il Signore mi chiama, a cosa mi chiama e con chi mi chiama. Tutto questo lo sto vedendo attualmente e sono contento di come stia andando.

In questi giorni sto riflettendo sulla condizione del roveto ardente, luogo in cui Mosè trova Dio. Ascoltando un omelia del mio padre spirituale, mi si spiegava che noi tendiamo ad immaginare in modo fiabesco questo roveto. In realtà lui tagliando i rovi nel bosco del convento, si rede conto che si tratta di una pianta selvatica, piena di spine, che se la tagli ti si attorciglia al collo, ti strozza. E non è neppure una pianta bella: rientra tra le piante infestanti, non considerata buona dall’uomo.

Però è ardente nel senso che lì, in quella pianta così poco pregiata e pericolosa nel trattarla, Mosè incontra Dio.

Sto rileggendo la mia vita alla luce anche di questo. Riconoscere quelli che sono i roveti ardenti e le difficoltà in cui io posso dire oggi che nella mia vita passa davvero la grazia di Dio, luogo in cui io ho incontrato Dio; Dio ha detto qualcosa alla mia vita attraverso quella situazione. Il roveto nel senso che è stato faticoso; ma nello stesso tempo è un dono, fonte di vita.

Questo lo dico adesso perché si lega alla dimensione della strada, perché io con la precarietà ho un rapporto di odio e amore; nel senso che la precarietà l’ho scoperta da un po’ di anni tramite un evento molto intimo, e mi ha spaventato molto. Però è qualcosa che per me è un roveto perché è faticosa, mi mette a nudo, mi dice chi sono, mi dice che sono cenere, cosa che passa, passeggero, fragile, sono niente. Però nella dimensione della fede diventa l’unica possibilità dell’incontro con Dio, il Dio di Gesù Cristo: nella debolezza dell’uomo c’è la possibilità di incontrare la grandezza e la forza di Dio. Nella limitatezza dell’uomo ci può essere, si può manifestare l’illimitata potenza di Dio.

Anche la stanchezza fisica è vissuta in un modo particolare; ad esempio il fatto che la notte si è indifesi: quando chiudi gli occhi qualcuno potrebbe passare e per capriccio darti un calcio e tu non ci puoi fare niente. La precarietà tocca quindi profondamente il tuo corpo, la tua dimensione spirituale. Tutto ciò in un rapporto di odio e amore. Odio perché è difficile accettarlo; è difficile accettare di non essere in qualche modo Dio, soprattutto oggi, in cui il mondo ti tartassa e ti dice che tu devi essere Dio, che tu puoi decidere, tu puoi sfruttare tutte le situazioni, mangiare tutto ciò che il mondo ti offre, ti puoi nutrire di cose che ti fanno male, perché sei libero e per questo devi farlo. Invece il rapporto con Dio dice tutta un’altra cosa. A me dice: riconosci la tua fragilità ma non come nichilismo, annientamento, perché Dio secondo me non annichilisce nessuno. Quello però è il punto di partenza per me per fare spazio all’infinito. Ed io la sento molto sulla carne questa cosa, non è una cosa spirituale; anzi è una cosa molto spirituale perché è vissuta nella carne: il cristianesimo è Dio che si incarna.

Int.: Nella relazione con le persone esterne, c’è un’attrazione da parte loro quando vedono una persona vivere sulla strada, un giaciglio fatto di cartone, che vive una vita completamente diversa da quella definita “normale”? C’è interesse da parte della gente? Ti capita che qualcuno si fermi per parlare e chiederti perché fai questa vita, come fai a sopravvivere col freddo dell’inverno, il caldo dell’estate, indifeso, in mezzo alla gente, ai turisti che hanno tutt’altro da fare e ti vedono lì sotto il colonnato di san Pietro? Oppure per la maggior parte sei insignificante?

 

Pietro: Più che interesse io parlerei di curiosità da parte delle persone. Non da parte di tutti, alcuni sono abbastanza indifferenti. Altri invece ti guardano con l’occhio curioso, soprattutto la sera in cui è più visibile che sei per strada, in quanto durante il giorno, tranne la barba e un abbigliamento abbastanza semplice e pratico, passi piuttosto inosservato. È la sera il momento in cui ti spogli delle apparenze e qualcuno si accorge che vivi per strada. La curiosità, a volte indiscreta di qualcuno. Magari c’è quello che passa guardandoti, si fa la risatina con l’amico. Oppure la gente che vuole aiutare, vista con gli occhi di chi riceve, tradisce spesso molta autoreferenzialità nel gesto. Cioè è come se dicessero: “io ti aiuto come dico io; guarda come  sono bravo”. E questo è amaro quando lo ricevi. Soprattutto alcune persone durante il periodo di Natale si sono fatte vedere più spesso sotto i portici (durante il periodo di Natale non sai più dove mettere quello che mangi, le coperte abbondano e non sai nemmeno che farne), e poi dopo Natale non si è visto più nessuno.

Poi ci sono anche le associazioni, che immagino vivano disagi a livello organizzativo: ad esempio la domenica e il sabato non passa la ronda a portare il cibo. Il sabato c’è solo la comunità di Sant’Egidio a Trastevere, la domenica  le Missionarie della Carità in zona san Pietro alle 5, o alle 6 di sera, aprono le porte e solo agli uomini. Per le donne non fanno questo tipo di servizio mensa: quelle che sono ospitate mangiano lì, ma quelle esterne non possono mangiare. Queste per esempio sono molte regole che, soprattutto le congregazioni religiose, hanno al loro interno; e su questo potremmo parlare a lungo.

Nella gente che passa qui a Roma trovi un po’ di tutto: quello che prova compassione, quello che si disinteressa, quello curioso, quello che ti insulta.

Ad esempio c’è una persona che apre al mattino presto un negozio nei pressi dove ci fermiamo per la notte per fare le pulizie, e puntualmente ci riempie di insulti e parolacce perché ritiene che stiamo lì perché non abbiamo voglia di fare niente. Lo vedi che si arrabbia e io penso che forse in lei come in tanti ci sia un sentimento che forse può essere invidia. Si, la gente di strada fa anche questo strano effetto. Da fuori alcuni pensano che i barboni se la spassino, si godano la vita perché non hanno impegni, scadenze di bollette, tasse, ecc…ignorando completamente la realtà di questa situazione).

Int.: Il modo in cui la gente si relaziona a te può essere condizionato dallo stato di cose del mondo, ad esempio la crisi, il momento particolarmente difficile?

Dicevi prima che la modalità di relazione che ha la gente nel periodo natalizio è diversa da quella di altri periodi. E questo è chiaramente dovuto al luogo comune che a Natale siamo tutti più buoni.. Però può essere anche condizionato anche da altri fattori tipo la crisi?

 

Pietro: Si. Certo la crisi impaurisce le persone: la gente è meno generosa per paura del futuro; e qui torniamo alla precarietà. C’è un forte ripiegamento su di sé: uno magari pensa “se non provvedo io a me stesso chi provvederà?”. C’è un forte ateismo sotto questo punto di vista, la paura nel domani, l’incapacità di affidarsi alla Provvidenza di Dio. Vince la legge del più forte e ne rimette la relazione. Io penso che questo non tocchi solo la gente di strada ma valga per tutti. Forse la crisi giustifica un po’ questo atteggiamento, che però secondo me rimane rischioso per l’uomo in generale. Uno si sente giustificato ad essere egoista perché c’è la crisi, nonostante sia innegabile che ci siano anche fattori contingenti, ad esempio la pochezza dello stipendio.

Filomena: Secondo me sulla crisi forse in questo momento ci sono mondi che si avvicinano: il pensionato che non arriva a fine mese si ritrova a mangiare alla mensa dei poveri esattamente come il punkabbestia o il barbone, oppure le persone divorziate, uomini soprattutto, spesso siedono allo stesso tavolo con noi o con altri che vivono per strada. O anche le badanti, donne che spesso risentono della condizione economica: mondi che si avvicinano paradossalmente. Alcuni si allontanano e altri si avvicinano: è un fenomeno sociale particolare.

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Grazie 🙂

Un san Valentino speciale.

Voglio condividere una testimonianza che mi è arrivata come commento ad un mio post il giorno di San Valentino. Una testimonianza molto bella che desidero condividere con tutti voi.

Era il 14 febbraio 2007. Giorno di San Valentino.  Mi trovavo a Loreto, con i miei genitori ed uno dei miei fratelli (ne ho 4) perché mia madre si doveva sottoporre ad un intervento di protesi al ginocchio. La mattina, prima di andare in ospedale, con mio padre e mio fratello, mi recai alla basilica a salutare la Madonna. All’uscita trovai un messaggio di mio fratello maggiore: “ricordatevi che vi ho sempre voluto bene”. Non capii il senso, perché non siamo mai stati espansivi tra di noi; provai a chiamarlo, ma non rispose. Allora pensai: “stat cacchj che vc truann mo” (tipico da parte mia). Scorsero i giorni, ma nessuna visita da parte di mio fratello. Seppur viveva a Bologna con la famiglia. Finalmente la moglie ci disse che era ricoverato per bronchite. Mah! Strano. Dopo circa un mese, mia madre rientrò a Foggia dopo la riabilitazione ed in quell’occasione venimmo a sapere che mio fratello, senza dirci nulla, per non farci preoccupare e sapendo che altrimenti mamma non si sarebbe più operata, il 14 febbraio si operò di urgenza per un tumore allo stomaco. Stesso giorno in cui si operò mia madre. Io all’epoca non sapevo nulla “della vita religiosa”,  non sapevo neanche pregare, dissi solo: “prendi me, lascia stare mio fratello, lui ha una famiglia, un figlio da vedere realizzare, una moglie, lascialo stare, io non ho nessuno”. Ma ero ancora sorda e cieca, poi il 21 febbraio del 2011 anche il terzo dei miei fratelli ebbe lo stesso problema, ma fu preso in tempo. Questa volta ci fui io con lui. La mia delusione andava avanti. Non capivo. Ma poi, finalmente ho visto la luce. Grazie a Dio per mezzo di Maria i miei fratelli sono vivi e nella mia casa è entrata la salvezza perché il Signore ha accolto la mia preghiera, non solo ha salvato i miei fratelli, ma ha preso pure me. Questo è il mio san Valentino dal 2007 ad oggi ed oggi in particolare andrò a ringraziare Gesù per questo regalo e non solo, ma perché sta compiendo miracoli uno dopo l’altro nella mia vita ❤️ la consacrazione alla S.S. Trinità per Maria ed il mio matrimonio…. Scusate se è poco.

Antonella

Pietro+Filomena

Carissimi amici, il Signore vi dia Pace!

Siamo Pietro e Filomena, autori del Blog “Sposi&Spose di Cristo”

Purtroppo per voi, Antonio e Luisa ci hanno chiesto di scrivere qualcosa per il loro bellissimo Blog “Matrimonio Cristiano”, ed ora eccoci qui a fare le presentazioni 🙂

Io e Filomena ci siamo sposati il 4 Ottobre del 2013 e al momento del matrimonio eravamo entrambi, per motivi diversi, senza lavoro; ma non abbiamo voluto ipotecare e rinviare a “chissaquando” la nostra vocazione, la nostra chiamata cioè ad essere uniti in Cristo che abbiamo sentito e compreso…e dunque…abbiamo pronunciato il nostro “SI” all’altro coniuge ed al Signore confidando nella certezza che Lui non ci lascia mai soli.

La Grazia dei Sacramenti -come ad esempio il Sacramento della Riconciliazione- davvero ci ha aiutato a fare chiarezza per capire chi siamo e cosa può desiderare da noi il Signore. Siamo stati aiutati a fare memoria anche di tutti i doni ricevuti, delle Sue prove d’amore nei nostri confronti ed è così che siamo partiti alla volta di questa grande avventura che si chiama Matrimonio!!!

Pur avendo entrambi origini del Sud-Italia (Pietro dalla Puglia e Filomena dalla Calabria) ci siamo sposati in Umbria, a Gualdo Tadino (Perugia), vivendo proprio in questo piccolo e grazioso paesino (che vi consigliamo di visitare!!!) per i primi mesi da sposi novelli. Speravamo di trovare occupazione negli ambiti per cui siamo specializzati (…la Sociologia di Pietro e la Teologia di Filomena) ma come tutti viviamo e sappiamo, la crisi economica ha chiuso tante possibilità ai giovani formati…ma abbiamo continuato a sapere che il Signore “che nutre gli uccelli del cielo e veste i gigli dei campi” non sarebbe venuto meno nel suo affetto e nella sua cura per noi!

Poche settimane dopo esserci sposati abbiamo scoperto di essere già in attesa della nostra prima figlia (CHE GIOIA!!!) e la necessità di trovare presto un lavoro aumentava esponenzialmente. Tutti i nostri curriculum inviati dappertutto non hanno ricevuto risposta…

Nei primi giorni di Febbraio del 2014, Filomena (…….le donne hanno una marcia in più…c’è poco da fare!!!) mi parla di un desiderio che le sarebbe piaciuto realizzare: “Sarebbe bello aprire un negozio per vendere i prodotti provenienti dai Monasteri!”…mi disse.

L’idea è bella, ma come realizzarla? …Beh…innanzitutto abbiamo messo davanti al Signore questo progetto…senza davvero sapere da dove avremmo dovuto iniziare.

Qualche giorno dopo, ovvero il 14 Febbraio 2014, mentre il pancione di Filomena cresceva, abbiamo fatto una passeggiata per le vie di Assisi ed è così che abbiamo notato che diversi locali commerciali erano liberi per essere affittati. Abbiamo preso un po’ di numeri telefonici ed abbiamo trovato il locale adatto alla nostra attività commerciale.Abbiamo iniziato a parlare del nostro progetto a diversi Monasteri con cui da tempo eravamo in contatto e grazie anche alla fiducia che loro ci hanno dato, abbiamo iniziato a credere sempre di più che si poteva partire con questo nuovo lavoro.

Il 5 aprile del 2014 abbiamo aperto “La Bottega del Monastero – Assisi”! Nel giro di un mese e mezzo ci siamo ritrovati a portare avanti un negozio unico in Assisi e unico in Italia. Siamo infatti il primo negozio che propone esclusivamente Artigianato dai Monasteri gestito interamente da laici.

A giugno è nata la nostra prima figlia…Unica, irripetibile opera d’arte del Creatore!!!

Ed ecco l’abbondanza della Provvidenza per noi: due persone che non hanno niente si affidano e ricevono tantissimo, eccoci qui: possiamo testimoniare che il Signore ha cura di chi spera nel suo amore.

Nel nostro negozio abbiamo avuto la grazia di fare molti incontri bellissimi! Quanti volti abbiamo incontrato tra quelle mura! Quante storie ci sono state affidate e quanti accenti diversi abbiamo ascoltato! Un feedback che moltissimi clienti ci hanno spesso rimandato era questo: “Qui c’è un clima di preghiera!”…e di questo siamo grati al Signore!!! Ed è per questo che molta della gente che ha acquistato da noi, è poi tornata a trovarci ancora e con molti di loro è nato anche un legame (con alcuni una vera amicizia) che ancora oggi va avanti…unita in Cristo!

A luglio del 2016 è nata la nostra secondogenita…unica, irripetibile meraviglia di Dio e del Suo immenso Amore!!!

Dopo un nostro discernimento familiare, dovuto anche al fatto che ad ottobre 2016 l’Umbria è stata colpita da una serie di terremoti molto forti, abbiamo deciso di lasciare Assisi per trasferirci altrove. Da Novembre 2016 ad Aprile del 2017 abbiamo vissuto in un  Convento di Frati Minori (Francescani), dove ci siamo presi un tempo per riflettere e capire cosa il Signore ci stesse dicendo. Alla fine, accompagnati dal nostro direttore spirituale, oggi viviamo in Calabria ed è da qui che siamo ripartiti con una nuova vita.

Pian piano ci stiamo inserendo nel tessuto locale e ci siamo reinventati (per grazia) un nuovo lavoro: il nuovo progetto è oggi un Sito Web  “www.artigianatodaimonasteri.it”  un modo per continuare ad essere presenti con la nostra seppur piccola e misera testimonianza, ma per offrire (ora senza più confini territoriali) la possibilità a tutti di poter acquistare i nostri prodotti realizzati a mano e nella Preghiera in molti Monasteri d’Italia. Come recita il nostro motto: “Solo da noi…la Preghiera si fa Arte!!!”

Filomena invece insegna Religione cattolica a scuola e sempre con l’aiuto di Dio portiamo avanti la nostra famiglia cercando uno stile di vita sobrio e gioioso.

A Gennaio del 2018 abbiamo purtroppo, a poche settimane dall’inizio della gravidanza, perso il nostro terzogenito. E’ stata un’esperienza molto dolorosa e la consolazione viene dalla certezza che lui (o lei) ora è nelle mani di Dio…e certamente prega per i suoi genitori e per le sue sorelle. ❤

Nel 2018 abbiamo creato questo piccolo Blog “Sposi&Spose di Cristo”, un Blog “artigianale” per assecondare il nostro desiderio di condividere la nostra storia di vita matrimoniale cristiana e alcune riflessioni sulla vita da Sposi e dare la possibilità anche a chi lo desideri di raccontare la propria esperienza.
Vorremmo creare una sorta di bagaglio da mettere a disposizione di tutti…affinché chi vuole possa trarne beneficio per la propria vita.

Siamo molto attratti dalla riflessione teologica sul Sacramento del Matrimonio, siamo innamorati della Famiglia e dalla scorsa estate ci stiamo formando seguendo il Corso di Alta Formazione in consulenza familiare con specializzazione pastorale; si tratta di un bellissimo Master voluto dalla Conferenza Episcopale Italiana in collaborazione con la Pontificia Università Lateranense.

Ci fermiamo qui, sperando di non avervi annoiato 🙂

Vi chiediamo di ricordarvi di noi nelle vostre preghiere. Grazie e il Signore ci doni la Sua Pace!!!

Pietro Antonicelli e Filomena Scalise, 28 Dicembre 2018

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L’Amore che rischia rimane per sempre

Eravamo insieme e stavamo pranzando; ed era davvero un giorno come un altro, non ricordo quale. Era Agosto. Venne fuori un argomento che, oggi, è visto quasi come un tabù: il matrimonio. Ma non era la prima volta. In realtà, noi avevamo cominciato a parlarne circa tre anni prima, cioè quando ci siamo conosciuti. Anzi, è bene che faccia un appunto: io mi presentai a Michele (questo è il suo nome) e poi usai, più o meno, queste parole: “Se stiamo insieme dovremo avere un fine per cui stare insieme”. E non intendevo certo un “obiettivo per arrivare a”, ma piuttosto un “obiettivo da cui partire per”.

Che poi certamente non mi riferivo, nel senso pratico, al matrimonio (ci eravamo conosciuti da circa dieci minuti, pensate quel poveretto -voglio sottolineare, di 23 anni- che cosa ha potuto pensare).  Mi riferivo al vivere una relazione di coppia non in base ad una sensazione, al “stiamo insieme finché dura”, ma di viverla con un fine inteso come PROGETTO.

E siamo partiti. E abbiamo continuato; ma non è stato per niente facile. Perché, diciamocelo chiaramente, non è mai facile scegliere tutti i giorni -e dico tutti i giorni- la stessa persona. Non è facile quando in quella persona, ai tuoi occhi i difetti prevalgono sui pregi, quando ti lasci sopraffare da ciò che senti o non senti, da ciò che ti piace o non ti piace.

L’errore sta nel credere che essere innamorati ed amare coincidano. Da una parte c’è l’emozione della conoscenza di quella persona, di tutte le sensazioni che si provano in sua presenza, e anche in sua assenza; dall’altra c’è la capacità di guardarlo e volerlo aldilà di ciò che mi dà, di ciò che ha…

E viene da sé capire che l’uno si basa su una sensazione, l’altro si basa su una scelta.

E quando ci siamo trovati di fronte all’incapacità di amarci per quelli che eravamo, che siamo, siamo rimasti insieme -nella Fedeltà- per imparare a farlo.  Ed eccoci, alla fine è andata, e siamo arrivati al giorno in cui abbiamo deciso la data del nostro matrimonio. E non tanto come “giorno in cui sposarci”, ma come data entro cui domandarci in quale direzione portare il nostro fidanzamento.  Ed è qui che, quando mi chiedono la data del nostro matrimonio, la risposta -quasi sempre- è: “Da qui ad un anno fate in tempo a lasciarvi, siete innamorati!”.
Io faccio le cosiddette “spallucce”; le motivazioni che ci hanno spinti a decidere di sposarci, sono state proprio i dubbi che nutrivamo l’uno per l’altra, e verso noi stessi. È stato il non sapere di voler continuare la nostra vita insieme, che ci ha fatto decidere di continuarla.  È un paradosso, ma tutto in questo lo è stato: la scelta di una data più di due anni prima e senza una proposta vera e propria, l’uno a qualche mese dalla laurea, l’altra all’inizio del percorso universitario, entrambi senza lavoro; la scelta di un abito 400 giorni prima…

Quando si è di fronte a dei dubbi esistenziali, c’è da chiedersi se si è disposti a fare -INSIEME- un salto nel vuoto. C’è da chiedersi se si è disposti a volere di più, a volere “ […] la parte destra della barca” (Gv 21,6), ma anche a dare di più; se si è disposti ad andare oltre a tutto ciò che ci sembra di sentire o non sentire.

Perché le sensazioni vanno e vengono ma l’Amore, quello fatto di scelte, anche rischiose, quello resta.

Per sempre.

Vittoria Epicoco

Una continua scelta tra ciò che è giusto e ciò che è bene.

Ho ricevuto e pubblico volentieri questa lettera. Una lettera che vuole essere una  risposta alla precedente testimonianza di una sposa abbandonata che ho pubblicato alcuni giorni fa (per leggerla cliccate qui)
Cara Sorella (si proprio Sorella perché capisco e vivo la tua stessa esperienza), ho 33 anni, sposata da 6 e separata da 9 mesi.
Capisco in profondità e in radicalità ciò che stai vivendo:  il giorno in cui l’uomo che hai sposato consapevolmente ti dice: “amo un’altra donna, me ne vado di casa” il mondo ti crolla addosso nel vero senso della parola. In tutta la mia vita non ho mai provato un dolore così grande e così lacerante come questo: tutti i miei sogni di famiglia felice, di “amore per sempre” distrutti e calpestati in una frazione di secondo, ma la cosa peggiore è che l’autore di tutto questo è stato l’uomo (e forse lo è ancora) che amo più della mia stessa vita. Per settimane ho pianto tutte le lacrime che avevo, sono arrivata al punto di piangere senza lacrime, sì le avevo finite.
Ma arriva un giorno che devi fare i conti con tutto questo dolore, in qualche modo lo devi “esorcizzare”, non ti può fagocitare, hai una vita meravigliosa da mandare avanti, e aspetta solo te per essere vissuta.
Io da subito ho avuto chiara la scelta di rimanere fedele al mio Sacramento, è stata così forte e così chiara che non ha mai (per ora) vacillato. Per me sono state importanti le parole sentite da un Santo Sacerdote: “Quando celebrate il vostro Sacramento siete sempre in 3: sposo, sposa e Cristo. E anche se entrambi gli sposi vanno in direzioni opposte, Lui resta, resta fedele PER SEMPRE”. Gesù avrebbe potuto scendere dalla Croce, ma non l’ha fatto, ha scelto di morire PER ME, per il mio Matrimonio, per la mia Salvezza, e quindi, chi sono io per scendere dalla mia croce?
Questo non vuol dire che io sono felice di stare sulla croce o che gioisco di questa sofferenza, ma se portata PER Cristo, CON Cristo e IN Cristo davvero la sua promessa del “giogo dolce e il peso leggero” si concretizza. Che cosa voglio dire: nell’ottica della mia resurrezione e della resurrezione del mio matrimonio io sono chiamata a restare su questa croce (STACCE! come dice Costanza Miriano), con i miei limiti, le mie cadute, le mie arrabbiature con Dio (si, cara sorella è “terapeutico” anche arrabbiarsi con Dio).
Il dolore con il tempo cambia colore. La sofferenza rimane, chiaro, ma assume contorni diversi, diventa parte di te, ma no ti sovrasta, non ti “guida”, diventa offerta per gli altri (per la malattia di qualche persona, per i sacerdoti in crisi, per le altre coppie in crisi, per chiunque si affida alla tua preghiera). Il tuo dolore rimane, non te lo toglie nessuno, ma vissuto nella prospettiva della resurrezione (si torniamo sempre lì) anche questa cosa così disumana diventa vivibile.
Ovvio i momenti di sconforto ci sono, sono molti e fanno male e anche dentro di me risuona quel desiderio di “sentirmi amata e rispettata da un uomo” ed è lì e rimane anche quando incontri qualcuno di “interessante”, qualcuno che ti fa dire “però dai, non male questo ragazzo”, ed è lì che inizia la battaglia, il vero discernimento tra ciò che è giusto e sacrosanto (sentirsi amata) e ciò che è bene (amare fino a dare la vita per il mio sposo, anche se lui non mi ama, anzi mi odia con tutto se stesso).
Oggi la strada della fedeltà non è una strada semplice, non è una strada “del mondo”: quante amiche che mi dicono: “ma si sei giovane, trovati un ragazzo che ti ami e che ti rispetti”, ma io in questo non mi ci sento, non mi ci vedo, mi sento di mancarmi di rispetto e se non mi amo e mi rispetto io, come posso pretenderlo dagli altri?
Non ho la ricetta per come rimanere fedeli, io so solo che ogni giorno all’Eucarestia chiedo di rinnovare la mia fedeltà al mio Sacramento, e, per ora, funziona.
Tutto quello che vivo è solo per Grazia di Dio. Io so che Gesù sta soffrendo con e più di me per questa situazione, ma Lui mi ci fa stare perché deve insegnarmi qualcosa, deve guidarmi verso quel progetto meraviglioso che Lui ha su di me e sulla mia vita.
Mio marito tornerà? Nessuno può rispondere a questa domanda. Forse non tornerà mai ma io sento forte che sono chiamata a pregare per lui e per la sua salvezza.
Io non sono una santa, non sono illuminata, sono solo una povera donna peccatrice che vuole fidarsi del suo Signore, di Colui che tutto può.
Grazie
G.M.

Mi strapperei la pelle. Non mi appartiene più.

Un commento ad un mio precedente articolo mi ha colpito dritto al cuore. Parla anche di noi. Anche di noi che siamo lacerate dal desiderio di essere amate da un uomo che ci voglia davvero bene e ci faccia assaporare il calore dell’amore e la volontà di restare fedeli al matrimonio.

Ho contattato l’autrice del commento e le ho chiesto di provare a raccontare le sue emozioni, il suo dolore, le sue difficoltà e la sua fede. Lei lo ha fatto. Condivido la sua lettera perchè penso possa essere utile per riflettere su come sia importante avvicinarsi con tanto rispetto alle persone che vivono situazioni dolorose e di separazione. Che non serve gettare il peso della legge sulle spalle di queste persone, ma bisogna avere la sensibilità e la capacità di portarle e accompagnarle alla verità, di condividere il loro dolore e non farle sentire sole. Solo così potranno trovare la forza di aggrapparsi a Gesù e di accettare il loro martirio.  Sono persone che stanno portando una croce pesantissima e non siamo sicuri che noi stessi, nella medesima situazione, saremmo capaci di fare altrettanto.

Ciao Antonio, ti avevo promesso di scriverti la mia esperienza del matrimonio e di come ci si sente in un incubo quando finisce e soprattutto di come, nonostante la vita vada avanti, ti senti sempre fermo nello stesso punto con mille dubbi, pensieri, desideri, voglia di amare ed essere amati. Ti risparmio gli anni di fidanzamento, diciamo che ci siamo sposati nel 1996, il 27 luglio. Abbiamo detto un si senza costrizioni, credo (almeno da parte mia), ma con qualche restrizione(su questo mi soffermare dopo). Da subito ne fui felice, credevo di essere finalmente libera di ‘amare’ quest’uomo. La routine familiare arriva ben presto, le paure che avevo sentito prima di sposarmi, arrivano subito, però pensando che fosse normale, ho continuato questo cammino. Il nostro matrimonio è durato circa 17 anni, con alti e bassi, mancanze gravi e meno gravi… Ad un certo punto ho capito che la ‘frittata’, era stata fatta, forse lui non era l’uomo giusto per me, ma ormai c”era. Avevo detto “si’, a Dio, e mi dovevo tenere quest’uomo difficile da amare. Senza avere un’idea ben precisa di Dio, mi sono seduta un giorno su una sedia, le mani fra i capelli e Gli ho detto che visto che lo avevo sposato, me lo dovevo tenere e che lo dovevo amare… Per cui, ho chiuso gli occhi, ho mandato via i pensieri strani e mi sono adattata alla situazione. Mi sono adattata così bene che ho amato per due, senza rendermene conto. Tutti ci dicevano che eravamo la coppia più bella del mondo… Abbiamo (ho) superato mille difficoltà, ma il mio impegno non è bastato. Quando la sua nuova compagna è entrata nella sua vita, per me è stato uno sconvolgimento totale. Lui non mi ha dato grosse spiegazioni, ha preso la palla al balzo per rivoltare alcune situazioni, ma è andato via. Lui era un uomo che non sapeva fare sorprese, non era capace di parlare, teneva sempre tutto dentro… Ma la ‘sorpresa’ me l’ha fatta subito, appena è andato via. Li ho cominciato a sentirmi vecchia, brutta, inutile, incapace di amare, impossibilitata ad essere amata, fragile. Piangevo sempre, ero io che lo dovevo lasciare, non lui. Io che avevo preso con serietà il matrimonio e mi ero impegnata ad amarlo. Ho iniziato un cammino con il ‘rinnovamento’, ho messo tutte le mie energie affinché si potesse salvare questo matrimonio, ho cominciato un poco a conoscere Dio, ho iniziato piano piano a vedere le sue meraviglie, ma…

Ma… Dopo circa 4 anni di preghiere intense per il recupero di questo matrimonio, messe quotidiane, lacrime, sorrisi, gioie, ferite… all’improvviso, il dolore per il fallimento del mio matrimonio è sparito. Mio marito non era più il centro della mia attenzione, delle mie preghiere ecc ecc. Ho continuato e continuo a pregare per lui, ma non con la stessa intensità. Credo che se una cosa deve essere lo sarà. E poi non lo sento più mio marito. In questi 4 anni, adesso 5, sono cambiate alcune cose. Ho preso consapevolezza dei miei errori e forse anche dei suoi. Ho chiesto la separazione e adesso siamo in fase di divorzio.

Se qualcuno mi prospetta un suo ritorno, vengo presa dalla sensazione che vorrei strapparmi la pelle di sopra. Non mi appartiene. Credo che mio marito non mi abbia mai ‘amata’ e credo che questo matrimonio sia stato un grosso errore. Però… Che si fa? Qualche sacerdote mi ha detto di intraprendere la strada della nullità ed è quello che sto cercando di fare. Nel mio cuore sento il vuoto, la mancanza, l’abbandono e sento anche il desiderio di essere amata, non da mio marito, ma da qualcuno che mi ‘ami’ davvero, qualcuno che si preoccupi per me, che mi curi, che mi tenga in considerazione per quella che sono… Per cui sento il peso del ‘peccato’ sia se faccio dei semplici pensieri su un uomo (considerando la possibilità di iniziare una storia) sia se per caso me ne innamoro, come è successo. A quel punto entro in un turbine di sensi di colpa che non mi fanno vivere più serenamente. Per cui se non c’è nessuno sto male perché vorrei essere amata, se c’è qualcuno sto male perché non vorrei mancare di rispetto a Dio. Tutto questo mi lacera giorno dopo giorno e se faccio qualche piccolo passo in avanti nel mio cammino, altre volte mi ritrovo persa in queste considerazioni e in questo stati d’animo. Per cui, nonostante le mille gioie, i sorrisi, le belle azioni, le bellissime parole, i dolori sono forti e le lacrime scendono lo stesso.

Anonima

 

La grammatica della sessualità

Dopo dodici anni di matrimonio crediamo fermamente che la sessualità e l’amore sono un cammino nel quale occorre procedere lentamente, che richiede volontà, pazienza e libertà. Sentiamo che è un edificio che costruiamo giorno per giorno, mattone su mattone.

Abbiamo compreso che i Metodi Naturali sono la GRAMMATICA della sessualità: quando apprendiamo la grammatica di un linguaggio, ci educhiamo a comunicare, ad esprimere ad un altro che non è in noi  ciò che è dentro di noi. In questi anni abbiamo sperimentato che nel dialogo ci apriamo all’ altro e accogliendoci reciprocamente scopriamo chi siamo veramente. Se questo è vero in ogni tipo di comunicazione che è sempre in qualche modo una condivisione, cosa succede quando il tema del discorso è l’Amore e l’organo con cui lo si parla è il sesso che condensa in sé il tutto della persona e manifesta ciò che è più celato e intimo in lei?

Prima di conoscerci io, Raffaella, grazie ad un corso che mi ha offerto un Gruppo Missionario ho potuto sin da giovane conoscere e apprezzare la bellezza di questo metodo e attraverso di esso ho conosciuto meglio me stessa.

Ancora single, in seguito ho approfondito i metodi naturali iniziando a vivere da sola questo stile di vita col desiderio di prepararmi per lo sposo a cui mi sentivo chiamata.

La bellezza del metodo mi ha aiutato a capire per poter dire all’uomo della mia vita chi sono, così che mi potesse comprendere ed accogliere più consapevolmente e trovare anche in questo un punto d’incontro.

Ciro, invece, da adolescente e giovane, non ha conosciuto una realtà che aprisse a questa conoscenza e consapevolezza. In casa non se ne è mai parlato e la sua conoscenza sull’argomento “sessualità” si è formata attraverso le chiacchiere tra coetanei e ciò che ha potuto comprendere dalla tv o dalla scuola. Dice infatti: “la mia educazione come quella di tanti si può definire così:  io, speriamo che me la cavo”.

Da fidanzati insieme abbiamo scelto il valore della Castità e volendoci preparare per un possibile matrimonio, Ciro ha recuperato leggendo i libri sui Metodi Naturali e confrontandoci con coppie formatrici del metodo.

Da sposi poi abbiamo sentito, per noi sacro e indispensabile, vivere il primo periodo di matrimonio nella conoscenza reciproca così da poter preparare tra noi un nido accogliente per le vite che il Signore avrebbe potuto affidarci. Vivevamo i nostri amplessi nel periodo non fertile astenendoci da quelli fertili. Dopo poco abbiamo cominciato a vivere nei periodi fertili per accogliere il dono di un figlio. Sia nel periodo fertile che in quello infertile si sperimenta una pienezza perché ci si dona in una totalità tale che nell’estasi culminante, anima, psiche e corpo si riempiono e si rigenerano.

Nel corso degli anni e ancora oggi per noi i metodi naturali hanno arricchito il nostro amarci riempiendo del nostro appartenerci tutta la nostra esistenza.

Le bellezze del metodo che abbiamo riscontrato sono tante…

“Nel rispetto della ciclicità, della fertilità della donna, i metodi naturali ci permettono di essere liberi.” dice Ciro, ” Tra di noi non è necessario nessuno strumento o barriera esterna che si frapponga. Sentiamo di vivere la vera spontaneità nel rispetto dell’armonia del nostro corpo. Non come ci vorrebbe far credere la cultura del fast food che dimentica che il corpo della donna ha i suoi tempi e non può essere sempre pronta, e soprattutto, ha bisogno di tempo e spazio per esprimere la sua sensualità per raggiungere un atto soddisfacente e…scusatemi il termine “non cosificante”. Quando ho scelto di mettere le briglie al mio desiderio sessuale ho scoperto che i nostri corpi seguono delle regole, e riconoscendole, abbiamo potuto sfruttarle per lasciare agire l’attrazione sessuale che abita la nostra relazione portandoci senza fatica, il più delle volte a trovare l’incontro sessuale più spontaneo, propizio e ottimale nei momenti opportuni.”

Imparare insieme a Ciro i metodi naturali mi ha fa sentire sempre rispettata da lui e accolta nella mia ciclicità, nel mio essere veramente donna con i miei periodi mensili euforici pieni di estrogeni e i miei periodi in cui vorrei piangere, mi sento giù, in cui cerco solo le carezze delicate, non solo il rapporto intimo. Perché parliamoci chiaro: noi donne non siamo sempre pronte ad un rapporto sessuale, ma se non glielo insegniamo noi agli uomini chi glielo insegna? Se noi donne cominciamo a conoscerci meglio ci rispettiamo per prime. Mi spiace dover dire che noi donne il più delle volte non ci conosciamo affatto. Con questi contraccettivi propinati sin dall’ adolescenza non ci permettono di conoscere la bellezza del nostro corpo e ci fanno sentire quasi un impiccio. Pensiamo di essere sempre fertili e invece lo siamo solo per pochissimi giorni. Pensiamo che sia una colpa essere cicliche e invece non possiamo non esserlo, visto che sono gli ormoni che ci trapassano, a volerlo. I metodi naturali ti danno un NUOVO STILE DI VITA, lo danno prima a me donna e poi io posso trasmetterlo al mio amato. Uno stile di vita che dà pienezza non solo nel rapporto sessuale, ma in tutta la vita sponsale. Ti insegna quanto è bello attendersi nei periodi in cui vuoi o non vuoi un figlio. Ti insegna a dare un nome a quelle emozioni e a quei sentimenti che prima non sapevi. Ti insegna che frapporre tra te e lui qualcosa come un contraccettivo è “separare”, è  creare una barriera, che certamente ora non la vedi, ma con il passare del tempo mostrerà il suo peso perché con il ripetersi di amori “blindati” la barriera diventa sempre più spessa. I metodi naturali non mettono nessuna barriera. Ho compreso e vorrei dire a tutte le donne quanto è importante per un uomo dare il suo seme! E’ Tutto il suo essere, è tutta la sua mascolinità e per questo che dopo il rapporto ha bisogno di assopirsi… ha dato tutto! E per la donna? Quanto è necessario per la donna riceverlo, perché quella è vita, anche in un periodo non fertile, significa rigenerarsi.

Ciro invece racconta: “educandoci all’amore e rispettando i tempi dell’amore che i metodi naturali contemplano, abbiamo scoperto che questo ci allontana dal rischio di cercare l’atto solo come un piacere egoistico. Questo ti da la possibilità di comprendere ancora meglio l’amore che l’altro ha per te nel dono di sé e nell’astinenza intesa come attesa per amore. I metodi ti aiutano anche a distribuire le forze: ti ami a 360°, e nei momenti di attesa oltre ad amarti nella tenerezza (come fidanzati), ami insieme l’umanità che Dio ti pone davanti (figli). A noi ha fatto bene da innamorati provare l’attesa dell’atto sessuale; quest’attesa non è stata vana perché lungo il cammino del matrimonio arrivano sempre dei periodi di astinenza voluti o dovuti. L’allenamento vissuto prima ti permette di affrontare con meno frustrazione questo tempo di attesa e nell’ astenersi ciclico previsto nel metodo, ti aiuta a recuperare quel periodo mai finito di corteggiamento.

Nel cammino della conoscenza del metodo, la temperatura ci ha aiutato a riconoscere i cambiamenti del muco. Le variazioni del muco ci hanno aiutato a conoscere i segnali periodici che il corpo di Raffaella vive quando cambia le varie fasi del ciclo. Sentiamo che tutto questo ci permettere di vivere l’amplesso sponsale come Dio l’ha pensato: una vera liturgia d’amore.

Ecco perché abbiamo desiderato scrivere un piccolo libretto che vi invitiamo a leggere e che si intitola:

“IL MANUALE DEL CORTEGGIAMENTO – ALLA SCOPERTA DI SE STESSI DELL’ALTRO E DELLA FELICITÀ” ed. Effatà

Ciro e Raffaella Piccolo

vedi articolo originale su montedivenere.org

L’amore mi aspettava a Lourdes

Oggi vi propongo un’altra testimonianza. Mi ha colpito perchè è una storia di guarigione. Tante persone sono malate, ferite e nella sofferenza. Francesca ha trovato consolazione, amore e guarigione in  Gesù, arrivando a Lui attraverso Maria. Francesca accompagnava i malati, ma era lei stessi ad essere malata nel cuore e nello spirito. Francesca, solo dopo essersi sentita amata e desiderata da Gesù, è riuscita ad aprirsi all’amore e al matrimonio. Penso che tanti di noi possano riconoscersi in questo.

Sono Francesca. Parto da lontano. All’età di 14 anni ho avuto una cotta per un ragazzo più grande di me, il più figo della comitiva. Uscendo insieme, lui mi dimostra interesse e così, tra uno scherzo ed un altro, ho il mio primo innamoramento. Lui ovviamente non provava interesse per me, per lui ero un gioco. Questo innamoramento dura ben 8 anni, fino al momento in cui ho capito che la storia era a senso unico. Presa dallo sconforto ho iniziato a trascurarmi e a diventare un mostro, perché non dovevo piacere a nessuno. Un giorno una mia amica,volontaria Unitalsi, mi chiede se voglio andare con lei a Lourdes. Rifiutai, ero presa da mille affanni, avevo l’università, e pensavo ancora alla prima cotta. Ho vissuto per diversi anni andando a messa, ma solo per inerzia Non pregavo mai per me, ma avevo un pensiero per gli ammalati, per i carcerati e per gli ultimi. Ho lasciato gli studi senza riuscire a laurearmi e iniziai a lavorare.  Nel frattempo mi si avvicinavano molti ragazzi, possibili matrimoni buoni, perché avevano professioni prestigiose e posizioni sociali ottimali, ma nessuno mai che riuscisse a sconvolgere il mio cuore. Oramai era divenuto di pietra. Il 29 gennaio 2012 la stessa amica unitalsiana mi ferma in chiesa e mi dice puntandomi il dito contro: Tu quest’anno vieni con me a Lourdes, non mi dire di no perché è tutto pagato.  Così, il primo maggio 2012 prendo l’aereo e vivo questa fantastica esperienza mistica. Ricordo che, quando mi sono trovata vestita in divisa davanti la grotta, ho pianto talmente tanto che non riuscivo a fermare i singhiozzi spezzati che uscivano dal mio corpo. Qualche giorno prima, mentre ero a fare il rosario, erano le 15, mi sento chiamare; una, due, tre volte. Girandomi non vedevo nessuno, ero sola, io con le mie preghiere, mi alzo e corro alle piscine. Entro mi spoglio e  faccio il bagno, una sensazione di ristoro e di pace è scesa immediatamente  su di me. Tornata a Palermo vedevo tutto in maniera diversa. Iniziai a pregare in maniera costante e incessante, finché mia madre entrò a far parte di una comunità carismatica di Rinnovamento nello Spirito Dopo la sua effusione (ndr preghiera sulla persona per chiedere un rinnovamento personale nello Spirito Santo), mi invita ad andare ad un incontro di preghiera. Certamente iniziai a ridere, stupidamente, perché mi sembravano tanti esaltati, e non faceva parte dalla mia idea di preghiera. Una ragazza si alzò e diede testimonianza della sua esperienza, come lo Spirito Santo l’aveva cambiata, mi feci una gran bella risata, ma dalla volta successiva volli partecipare alla preghiera. Io continuavo ad andare in pellegrinaggio a Lourdes, perché era diventato per me un momento necessario. Quando torno da Lourdes faccio il cammino di vita nuova prendendo l’effusione io stessa. Da quel momento la vecchia Francesca era morta e sepolta, e ne era nata una nuova, piena di fiducia e di amore per gli altri. Quell’anno, era il maggio 2014, fu per me un pellegrinaggio particolare, pieno di spiritualità, ma non era cambiata Lourdes, ero cambiata io. In quel pellegrinaggio conosco un ragazzone, Paolo. Inizio a parlare con lui e lui subito parla con me. A settembre dello stesso anno ho fatto un ritiro di giovani carismatici, e lì sono uscite un pò di “merde” (lasciatemi passare il termine) della mia vita passata, compreso un tentato suicidio. Dopo aver dato testimonianza della mia zavorra mi sentivo finalmente libera. Ad aprile 2015, Paolo, crea un gruppo Whatsapp di fratelli unitalsiani, dove tra i vari numeri c’era anche il numero di quello che diventerà mio marito. Da lì in poi ci sono stati diversi messaggi ,anche in privato, dovevamo incontrarci in varie occasioni ma sempre per un problema non era possibile. Quell’anno nel mese di maggio non sono potuta andare al pellegrinaggio, e così, partì nel mese di settembre,insieme ad Alessandro. Ci incontriamo alla stazione di Reggio Calabria e saliamo a Lourdes con il treno. Quel viaggio ha cambiato entrambi, perché Alessandro non entrava ad assistere alle cerimonie, e invece io ho gli imposto di seguirle. Un po’ sbuffava, ma alla fine pur di starmi vicino seguiva la messa. Un giorno il 29 settembre, mentre camminavamo, lui si ferma e mi dice quanto io  fossi una ragazza speciale, e che ero un dono del cielo.  Parlammo molto quel giorno. Il giorno seguente, mentre ero davanti la grotta da sola, iniziai a piangere, ma questa volta, un pianto di gioia, diverso dagli altri pianti. Giorno 3 ottobre 2015, Alessandro finalmente, sul traghetto per tornare in Sicilia alle nostre case, io a Palermo e lui a Marsala, mi fa la dichiarazione, usando parole che fino ad ora avevo solo letto sui romanzi d’amore. Certo, io un po’ stronza, non ho dato subito la risposta da lui desiderata, ma semplicemente detto: finalmente abbiamo partorito.  Vedevo lui titubante, non sapeva se dichiararsi.  Gli ho detto che avrei dovuto prendere le distanze da lui per qualche tempo per poter capire e decidere. A Lourdes eravamo stati dieci giorni 18 ore su 24  insieme. Quindi volevo capire se era una cosa per inerzia, oppure se era una cosa dettata dal cuore. Ebbene il 4 ottobre 2015 alle 00:17 ho dato la risposta che entrambi speravamo, e il 12 settembre 2017 siamo diventati marito e moglie Una cerimonia diversa dalle altre, dalle solite cerimonie nuziali. Prima di entrare in chiesa mi hanno preceduto i nostri amici unitalsiani vestiti da dame e barellieri. I fratelli e le sorelle della mia comunità carismatica, prima del rito del matrimonio, hanno invocato lo Spirito santo su di noi. Grazie all’opera dello Spirito Santo che ha cambiato me e il mio modo di pregare, e grazie alla Madonna di Lourdes che quando la andai a trovare mi pose davanti l’uomo della mia vita, come un suo dono.

Francesca

La Gospa ci ha fatto incontrare.

Oggi una testimonianza di due cari amici di Roma: Sergio e Lisa. Ho avuto poche occasioni di incontrarli. Sempre, però, occasioni molto belle e significative. Gli ho incontrati al family day di Roma nel 2016, al santuario di Ghiaie di Bonate e, in un’altra occasione, quando Sergio ci ha fatto un grande dono: ci ha portato a pregare sulla tomba di Chiara Corbella. Sergio, amico di tutti, accogliente, gentile e che si fa in quattro. Lisa, più introversa, ma forte e tenace. Una bellissima coppia. Ecco, di seguito, la loro testimonianza.
Ciao! Da dove iniziare? Era il lontano 2004, stavo preparandomi con un mio amico a partire per la GMG in Germania, non sapevo una parola di inglese figurarsi il tedesco. Il mio amico Massimo mi disse di non preoccuparmi, mi avrebbe aiutato lui a colloquiare. Un mese prima della partenza, che era programmata per il 15 agosto, una mia amica mi volle portare in un Santuario. Precisamente il Santuario delle Tre Fontane a Roma. Ricordo come fosse ieri quel posto che mi ha cambiato la vita, avevo fatto con Don Fabio Rosini i 10 Comandamenti, poi ero passato al Palatino nel gruppo dei Francescani dell’ OFS. Appena arrivato un pianto a dirotto mi fece capire che avevo avuto una chiamata. Anche la mia amica Enza aveva avuto lo stesso pensiero: mi disse che la Madre Celeste mi stava chiamando a lei. Ci volle un attimo, cambiai idea e chiamai il mio amico Massimo; gli dissi che mi dispiaceva, ma che non sarei più partito per la GMC in Germania e che, invece, sarei andato a Medjugorje. Nei giorni seguenti ricordo che non avevo il coraggio di partire da solo e chiesi a più amici, dei vari gruppi di preghiera che conoscevo, se c’era qualcuno disposto a venire con me. Ebbene, ad un certo punto, una mia amica mi rispose di si. Era Simona. Controllammo tramite il gruppo del Centro Maria, che organizza periodicamente i viaggi a Medjugorje, se c’era posto. Niente da fare,  ci eravamo mossi troppo tardi! Un bel giorno mi chiamarono dal Centro Maria e mi dissero che si, provvidenzialmente si erano liberati, all’ultimo momento, due posti per Medjugorje. Iniziò l’avventura; partimmo per la settimana della Gioventù Siamo venuti per adorarlo dal 1 al 6 Agosto 2005. I pullman, partiti da Santa Croce in Gerusalemme a Roma del Centro Maria, erano cinque. Un buon 85% dei pellegrini erano donne, noi uomini pochissimi. Viaggio bellissimo. Franco, l’organizzatore del pellegrinaggio, ci seguiva con le preghiere bellissime della Gospa, e con continui Rosari di avvicinamento a Medjugorje. Appena arrivati, prima tappa nella Chiesa di San Giacomo. Cosa mi accade? Pianto a dirotto, come era successo al Santuario delle Tre Fontane. Una cosa pazzesca, non riuscivo a fermare quel pianto, che ho sempre pensato fosse di liberazione. Maria mi stava preparando. Io ero andato lì, pur avendo 41 anni, non per cercare moglie, ma per chiedere che Maria mi desse la costanza nella preghiera, cosa che mi mancava e mi manca un po’ ancora oggi. Maria che ha fatto? Siccome conosce tutti noi, non ha fatto altro che donarmi una persona che prega molto, e l’ha fatta mia sposa.
Ho ancora le lacrime mentre scrivo. Ricordo che ero attorniato da donne in quel pellegrinaggio. Il mio problema era sempre lo stesso, era come vedere tante finestre che si aprivano e dietro ogni finestra c’era una ragazza, ero indeciso, mi piacevano tutte, in pratica non riuscivo a concentrarmi su una donna sola, anche perchè ero stato lasciato (anche e sopratutto per colpa mia) dopo quasi dieci anni di convivenza, ad un mese e mezzo dal matrimonio. Un giorno tra le tante ragazze che frequentavo in quel Paradiso terrestre noto una ragazza napoletana di nome Lisa. Allora lei aveva 30 anni ed io 41, era carina nei modi ed era molto bella (lo è ancora). Ci mettiamo a parlare per strada mentre ci avvicinavamo alla tomba di Padre Slavko, le chiedo: dove vai in vacanza quest’anno?  E lei: in Puglia. Io continuo: ahh! Pensa, anche io sono pugliese, i miei vivono ancora ad Ostuni, ma sono originario di Francavilla Fontana. Lei mi guarda, e mi dice: i miei hanno casa ad Ostuni da 15 anni! Allora io, marpione, le faccio: senti vuoi andare con me ad Ostuni quando torniamo a Roma? Lei accetta, ma poi, per vari motivi, non partiamo più insieme.
Torniamo a Roma e ci incontriamo prima in una pizzeria con amici. Io mi porto sette mie amiche e un amico. Lei arriva con la sua amica del cuore Daniela, che diventerà anche la nostra testimone di nozze. Non ti dico la faccia di Lisa quando ha visto il pavone Sergio con tutte quelle sue amiche. La serata finisce lì. Il giorno dopo, per un puro caso, lei non parte per Napoli, cosi ne approfitto e la invito a casa mia, nella tana del lupo. Lei accetta. La sua amica le dice che, secondo lei, si può fidare di me. Le preparo una bella cenetta con una mia specialità: gli schiaffoni al pomodoro con mozzarella filante. Un successone!
Mentre brindiamo accade la prima cosa strana: scoppia un porta candela di vetro per via del calore, lei si spaventa e mi abbraccia ed io faccio lo stesso. Lei mi dice: questo non è un abbraccio normale! Ed io: non so, volevo proteggerti.
Partiamo per le vacanze, entrambi con destinazione Ostuni. Ognuno per fatti propri. Una sera ci incontriamo lì, ad Ostuni. Facciamo una passeggiata lunghissima e, ad un certo punto, che faccio? Le chiedo se volesse venire a casa mia per presentarle mia mamma e lei accetta. Appena conosciute, praticamente mi mettono da parte, e cominciano a scambiarsi i Santini che avevano entrambe. Non vi dico la mia faccia!
Poi, dopo quelle vacanze, siamo tornati a Roma e ci siamo fidanzati. All’inizio avevamo pensato di trovare, per Lisa, una casa vicino alla mia, ma non si riusciva a trovare nulla. Cosi abbiamo deciso di vivere insieme e di sposarci al più presto.
Con la grazia di Dio e con la nostra grande forza d’animo, in quei sei mesi prima del matrimonio, siamo riusciti, sempre grazie a Dio, a rispettarci. Se me lo avessero detto 10 anni prima mi sarei messo a ridere. Non pensavo di farcela.
Un giorno vado a confessarmi e il prete non mi dà l’assoluzione perchè vivevamo insieme. Anche se ci rispettavamo. E’ stata la molla che ha smosso tutto. Quella sera stessa abbiamo deciso la data del nostro matrimonio. Io le dico primo settembre e lei, invece, il 25 Giugno 2006! Le dico: Emmhhh! Lisa quella era la data con cui dovevo sposarmi con l’altra ma se per te non ci sono problemi per me va benissimo.
Lei acconsente tranquillamente. Oggi facciamo parte della Comunità Maria di Roma e ricordo come fosse ieri il giorno in cui feci la testimonianza davanti a tutta la Comunità. Io per 5 anni dal 2000 al 2005 ogni volta il 25 Giugno piangevo pensando a quel matrimonio non andato a buon fine. Ebbene in quel momento mi resi conto come Dio aveva cambiato quel giorno dal più triste della mia vita al più bello della mia vita!
Abbiamo chiesto dei bambini a Maria e c’è li ha concessi: Gaia Maria 9 anni e Francesco 4 anni. Avevamo chiesto Francesco, essendo stato io francescano, e Gaia Maria, essendo Lisa da sempre facente parte della Comunità Maria.
Ci sono tante altre cose da dire ma non finirei più. L’ultima cosa: quando andammo a scegliere il ristorante ai Castelli al Domus Caesari il proprietario ci disse: troppo tardi, siamo già ad Aprile. Abbiamo tutto pieno fino a Settembre! Ho solo una data, se vi può interessare. Sapete qual’era la data? Il 25 Giugno!!!
Ricordo che gli dissi ”a malincuore”: va bene lo stesso l’importante e che ci fate un buono sconto tanto se non lo prendiamo noi ormai a due mesi da quella data chi si presenta per fermare il 25 Giugno.
E’ cosi fu un matrimonio bellissimo.
Grazie! Shalom
Sergio e Lisa

Un amore così grande

Oggi vi propongo una testimonianza molto forte. Una donna che è riuscita ad andare oltre gli errori. Una donna che non ha mai smesso di cercare tenacemente ciò che sentiva profondamente radicato dentro. Non sapeva cosa fosse, chi fosse, ma sentiva di doverlo cercare e trovare per essere felice. La verità esiste. La verità è Cristo. Lui ci salva, ci dona la vita, quella vera, ci dona un senso e una prospettiva eterna. Katia è andata oltre gli errori perchè l’amore è più forte di ogni male e quando lo incontri tutto trova senso. Katia ha trovato la strada.

A 17 anni, come tanti ragazzi di quell’età, non credevo in nessun Dio e non avrei mai immaginato che un giorno mi sarei ritrovata a parlare di fede in pubblico. Tutto ha avuto inizio quando, proprio a 17 anni, scoprii di essere incinta di un ragazzo con cui uscivo all’epoca. Mia madre decise che ero troppo piccola per mettere al mondo un figlio e abortii. Entrai però in un periodo di forte depressione, in cui mi sentivo in colpa per non essere riuscita a proteggere quella vita. Fu proprio in quel momento che iniziai a frequentare la parrocchia vicino casa, perché mi sentivo colpevole anche nei confronti di quel Dio in cui non avevo mai creduto prima. Tuttavia il mio cuore era ancora molto lontano da lui e lo immaginavo come un giustiziere, piuttosto che come un padre che mi amava. L’aborto aveva lasciato in me segni indelebili, la relazione con quel ragazzo si era conclusa e io avevo troppa paura di vivere altre relazioni. Fu in questo contesto che iniziai a uscire con delle ragazze e ad avere relazioni omosessuali. Per anni il mio rapporto tra fede e sessualità è stato tormentato, non mi sentivo libera, né accettata da Dio e dalla chiesa, nonostante in parrocchia avessi trovato supporto da parte delle persone. Mi avvicinai così al buddismo della Soka Gakkai, ma sentivo che non era quella la mia strada. In breve tempo abbandonai anche quella direzione. Un giorno scoprii “per caso” che alla mia parrocchia si svolgeva l’adorazione perpetua per un mese, così iniziai ad andarci ogni giorno e ripresi anche ad andare a messa. Un giorno, un gruppo di amici di fede evangelica pentecostale, mi ha invitato a un incontro di preghiera. Io stavo vivendo di nuovo un periodo di depressione, tristezza e mal di testa continui. Mi recai da loro solo per salutarli, non perché fossi davvero interessata. Quando però arrivai, mi sentii subito coinvolta in un clima di preghiera e di pace e finii per rimanere con loro tutto il giorno. Nel pomeriggio, un ragazzo che non conoscevo, salì sul palco e prese la parola. Disse che c’era una ragazza presente in sala e descrisse i sintomi che avevo.

“Vieni sul palco, perché oggi il Signore vuole guarirti!” Disse.

Io cercai di nascondermi tra la folla, mi dissi che forse non parlavano di me, però pensai che volevo accettare veramente Gesù nella mia vita, perché fino a quel momento lo avevo fatto in maniera molto superficiale. Il ragazzo riprese la parola, dicendo che sapeva che avevo appena pensato che volevo accettare Gesù e che, anche se mi vergognavo a salire sul palco, avrebbe pregato per me con tutta l’assemblea e ci invitò a ripetere tutti insieme: “Gesù, io ti accetto come mio Signore e Salvatore …” Avvertii una forte sensazione di calore e da quel giorno sono tornata a stare bene, senza più mal di testa … Iniziai anche a pregare Dio che mi facesse incontrare la persona giusta con cui costruire una relazione vera e poco dopo conobbi Francesco, con cui mi fidanzai pochi mesi più avanti. Francesco non era credente, ma io ho pregato molto per lui e, dopo circa quattro mesi che stavamo insieme, si è convertito. Il 30 settembre 2017 ci siamo sposati e oggi serviamo insieme Dio nel Rinnovamento nello Spirito, che è un movimento carismatico cattolico. Abbiamo deciso di dare lode a Dio e al suo “amore così grande”, scrivendo un libro testimonianza proprio dal titolo “Un amore così grande”. L’opera è in stampa proprio in questi giorni e il ricavato sarà devoluto a un’associazione pro-life.

 

Katia Pellegrinetti