Sosteniamoci l’un l’altra

Se vogliamo essere capaci di amare davvero la persona che abbiamo accanto, l’ho scritto innumerevoli volte negli del blog o nei libri che Luisa ed io abbiamo pubblicato, bisogna trovare la fonte inesauribile dell’amore ed abbeverarsi a quella. Mi riferisco naturalmente alla nostra fede e alla nostra relazione con Dio, in particolare con la Persona della Trinità Gesù, che si è fatto uomo come noi. Però, c’è un però! Quando ci sposiamo incominciamo un percorso a due dove non sempre, anzi quasi mai, siamo davvero capaci di amare così. Luisa ed io viviamo momenti di alti, dove ci sentiamo forti e pieni dell’amore di Dio, e altri dove invece facciamo più fatica a sentirci amati da Gesù, e quindi facciamo più fatica anche ad amare l’altro gratuitamente. Non riusciamo più ad attingere alla sorgente dell’amore inesauribile e ci ritroviamo ad essere di nuovo un po’ mendicanti e finiamo con cercare nell’altro quell’amore che ci manca. C’è una riflessione scritta da Etty Hillesumnel suo diario che mi ha colpito moltissimo. L’ho trovata profondamente vera e saggia. Etty, una ragazza ebrea olandese morta nel campo di sterminio di Auschwitz nel 1943 a 29 anni, scrisse sul suo diario: Quando s’investono tutte le proprie energie nel desiderio della persona amata, in fondo le si fa torto: perché allora non rimangono più forze per essere veramente con lei. Parole bellissime. Per stare con lei, con la mia sposa davvero, devo liberarmi di lei, del bisogno di lei. Cosa fare quindi?

C’è un racconto tratto dalle Fonti Francescane relativo al santo di Assisi che ci può aiutare a capire.

Una volta il Santo rimproverò uno dei compagni che aveva un’aria triste e una faccia mesta: «Perché mostri così la tristezza e l’angoscia dei tuoi peccati? E’ una questione privata tra te e Dio. Pregalo che nella sua misericordia ti doni la gioia della salvezza. Ma alla presenza mia e degli altri procura di mantenerti lieto. Non conviene che il servo di Dio si mostri depresso e con la faccia dolente al suo fratello o ad altra persona». Diceva altresì: «So che i demoni mi sono invidiosi per i benefici concessimi dal Signore per sua bontà. E siccome non possono danneggiare me, si sforzano di insidiarmi e nuocermi attraverso i miei compagni. Se poi non riescono a colpire né me né i compagni, allora si ritirano scornati. Quando mi trovo in un momento di tentazione e di avvilimento, mi basta guardare la gioia del mio compagno per riavermi dalla crisi di abbattimento e riconquistare la gioia interiore».

Come ho già scritto anche io sono soggetto a momenti in cui lo spirito vola, di grande spinta e forza, alternati però ad altri dove vedo nero e faccio fatica a mostrarmi gioioso. Credo che sia una questione di carattere e delle mie ferite che sto ancora cercando di curare. Anche per Luisa è così. E’ una fatica credo che faccia un po’ parte della nostra umanità ferita dal peccato. La fede è un dono che a volte facciamo fatica a sentire. Le parole di San Francesco hanno colpito nel segno. Quello che dice San Francesco è vero. L’ho sperimentato. Ho sperimentato l’importanza di avere accanto, nei momenti spiritualmente più difficili, una compagna di vita, la mia sposa, che mi mostrasse la gioia della fede, la gioia di essere vicina a Gesù. Questa prossimità è stata davvero una medicina molto efficace. In quei momenti non riuscivo a sentire la presenza di Gesù, lo sentivo lontano da me. Avere accanto lei, che invece sentiva Gesù nel suo cuore, mi ha permesso di riavvicinarmi a Lui. Per questo ho imparato a fare altrettanto. Quando vedo lei in difficoltà cerco di farle sentire Gesù attraverso il mio amore e la mia pace del cuore. Credo che questo sia uno dei segreti di una coppia di sposi che vive da alcuni anni insieme. All’inizio la sua difficoltà era anche la mia. Mi poggiavo sulla sua forza e sentirla più debole mi faceva paura. Ora non è più così. Ora, quando la sento debole, ho capito che posso aiutarla, mostrando gioia e pace. E’ stato un percorso graduale, non è stato per nulla facile, ma Gesù ci ha aiutato anche in questo. Gesù ci ha donato l’un l’altra perchè potessimo aiutarci ad arrivare a Lui, a non mollare mai. C’è versetto del Cantico dei Cantici che esprime benissimo questa dinamica di coppia. Si trova all’inizio dell’Epilogo. Un versetto che ho avuto modo di approfondire nel libro che ho scritto con Luisa Sposi, sacerdoti dell’amore.

Chi è colei che sale dal deserto,
appoggiata al suo diletto

Lei è appoggiata a lui, è sostenuta dal suo sposo. Salire dal deserto significa camminare verso Gerusalemme. Gerusalemme è posta in alto e tutto intorno è circondata da un ambiente desertico. Non è chiaramente detto, ma gli esegeti sono concordi su questo. L’immagine è molto bella: i due sposi si incamminano insieme verso Gerusalemme, la città di Dio. Lui la sostiene nel percorso. Non è più sola. Il deserto è luogo di solitudine, di aridità, di sofferenza e anche di morte. I due stanno uscendo dal deserto, stanno andando verso la Città Santa, verso un luogo pieno di vita. Stanno andando verso il luogo che è dimora di Dio stesso. Ci vanno insieme. Lei è appoggiata a lui, ma anche lui è appoggiato a lei. Stanno uscendo dalla solitudine in cui si trovavano, lo fanno insieme, abbracciati, per dirigersi verso la pienezza.

Per riflettere su quello che concretamente possiamo fare nella nostra relazione sponsale, ci lasceremo guidare da un passo evangelico molto conosciuto:

Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. (Matteo 25, 35-40)

Nei prossimi articoli rifletteremo su ognuna di queste opere di misericordia corporali.

Per acquistare i nostri libri Influencer dell’amore – L’ecologia dell’amore – Sposi sacerdoti dell’amore – Sposi profeti dell’amore

Sposi re e regine 5) Il corpo esprime l’amore.

Entriamo ancora più nel concreto. In che modo si esercita la castità coniugale? In due modi specifici. Il primo è attraverso il dominio di sè. Esercitando tutte quelle capacità umane per impedire che la parte negativa di me stesso prenda il sopravvento sulle mie azioni,  e che quindi io non riesca a vivere l’amore in pienezza e come vorrei. Frenando e contrastando in sintesi tutte le pulsioni negative contrarie all’amore. Se io sono una persona tendenzialmente irosa e non mi applico a frenare la lingua e magari anche le mani, non posso essere casto nella mia relazione. Non sto vivendo l’amore, ma sto seguendo una pulsione che è contraria all’amore. Se sono una persona particolarmente sensibile al richiamo sessuale e vedo passare una donna particolarmente scoperta, non posso essere casto se comincio a fantasticare e protraggo lo sguardo su quella donna. Anche in questo caso mi sto abbandonando ad una pulsione contraria all’amore verso la mia sposa. E’ importante capire che non è la pulsione in se stessa ad essere un male. Il male è assecondare quella pulsione e non metterle un freno con la forza di volontà che abbiamo e che dobbiamo usare. Questo è il primo aspetto della castità, l’aspetto negativo. Ci viene chiesto di mettere un freno a qualcosa. C’è un secondo aspetto. Questa volta positivo. Un aspetto propositivo che ci vede impegnati a far crescere l’amore. Dobbiamo impegnarci fattivamente e quotidianamente ad esprimere con il corpo (in modo che sia trasmesso e manifestato all’altro/a) l’amore che è presente nel nostro cuore. Il corpo è il mezzo espressivo dell’amore. Molti non hanno ben chiara l’importanza del corpo e pensano all’amore più bello e puro come qualcosa di prevalentemente spirituale. Non è così. Nel matrimonio lo è ancora meno. Vi porto un semplice esempio. Se siete una coppia mettetevi in piedi vicini e di spalle, ma senza toccarvi ed ora senza parlare provate ad esprimervi amore. Riuscite a trasmettere amore all’altro e a sentire l’amore dell’altro? Sicuramente no. Il corpo è importante tanto quanto lo spirito. L’amare certamente prende energia dal cuore, nel nostro mondo interiore, negli affetti e nella volontà, ma se poi non è manifestato attraverso un corpo, rimane lettera morta, rimane desiderio di amore, ma non amore. E’ un’illusione.Un amore senza il corpo non è un amore che si possa dimostrare e rendere concreto. La castità non è altro che l’armonia che costruiamo tra il nostro cuore e il nostro corpo per esprimere in maniera autentica, bella e convincente l’amore all’altro/a.

Antonio e Luisa

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Introduzione  Gesù ci rende liberi e degni Avevi fame e ti ho sfamato

Per gli sposi la castità non è astinenza

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Sposi re e regine 4) Per gli sposi la castità non è astinenza

Dopo tre articoli introduttivi e generali possiamo ora cominciare ad entrare maggiormente in profondità nel significato della nostra regalità all’interno del matrimonio. Iniziamo a trattare la dimensione regale del sacramento del matrimonio. Abbiamo visto che regnare al modo di Gesù è principalmente servire. Nel matrimonio questo si concretizza nel servire l’amore sponsale. Tanto più noi sposi saremo capaci di amarci l’un l’altra come Gesù ci ama tanto più saremo re e regina del nostro matrimonio, della nostra famiglia e della nostra casa. A questo riguardo è giunto il momento di dare una prima concretezza alla nostra regalità nel matrimonio. Possiamo essere re e regina della nostra unione se siamo casti. Solo la castità vissuta può renderci liberi e degni nella nostra relazione e quindi rivestirci di regalità. La castità non è nulla di castrante o frustrante e nel matrimonio non si traduce nell’astinenza. La castità è tutt’altro.  La castità è crescere nell’amore in una relazione che sia sempre più vera, in una relazione dove le espressioni del corpo siano sempre più aderenti e rappresentanti quello che è lo stato del cuore. Nel matrimonio, per essere più chiari, significa non astenersi dall’amplesso fisico, ma al contrario impegnarsi a fondo perchè questo gesto diventi sempre più espressione d’amore. Cercherò di spiegarmi meglio. Quali sono le caratteristiche specifiche dell’amore coniugale che lo rendono diverso da ogni altro tipo di relazione e rendono l’amplesso fisico un gesto vero e casto? L’amore sponsale è un amore definitivo (dura per sempre), esclusivo (un uomo e una donna, tutti gli altri sono esclusi), totale (non coinvolge solo una parte di me, ma coinvolge tutta la mia persona in anima e corpo e tutta la mia vita) ed è fecondo (genera nuovo amore e nuova vita). Per me sposo, vivere in modo casto non significa altro che perfezionare sempre più queste caratteristiche. Significa quindi rinnovare la mia promessa ogni giorno (amore definitivo), significa non spostare il centro delle mie attenzioni da lei ad altra o ad altro (esclusivo), significa liberarmi dall’egoismo e dal peccato per donarmi sempre più completamente a lei in anima e corpo (totale) e significa avere uno sguardo, verso di lei e verso la relazione, aperto alla vita (fecondo). Essere casti non significa quindi rinunciare a qualcosa, ma al contrario significa vivere pienamente e in modo vero l’amore nella sua integrità e purezza. Tirando le conclusioni comprendete bene come la castità nel matrimonio non possa concretizzarsi con l’astinenza. E’ nell’amplesso fisico che gli sposi possono vivere in verità e in modo casto la loro relazione. L’amplesso è infatti espressione corporea di un dono totale, esclusivo, definitivo e fecondo.

Antonio e Luisa

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Introduzione  Gesù ci rende liberi e degni Avevi fame e ti ho sfamato

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Sposi re e regina. 3) Avevi fame e ti ho sfamato.

Proseguiamo con l’introduzione alla dimensione regale del matrimonio. Gesù ci insegna che regnare significa servire. Gesù non è venuto per essere servito, ma per servire. Servire Dio è regnare. Lo dicevano già i padri della Chiesa. Come si serve Dio? Servendo i fratelli, servendo i poveri e i piccoli. Servendo il prossimo. Servendo il più prossimo di tutti:il nostro sposo o la nostra sposa. Noi sposi non ci sposiamo per essere serviti, ma per servire. Non ci sposiamo per prendere dall’altro/a ma per donarci all’altro/a. Non ci sposiamo per essere felici, ma per rendere felice l’altro e da questa consapevolezza trarremo anche la nostra gioia e la nostra pace. Essere re e regina  significa compiere nel nostro matrimonio le opere di misericordia. Significa trasformare il nostro matrimonio nel luogo privilegiato dove amare Dio nell’altro/a:

Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me.

Matteo 25, 35-40

 

Non era forse lei affamata? Affamata di tenerezza, di intimità, di essere amata, curata e ascoltata. Tutte le volte che mi sono accorto di questa sua fame e l’ho sfamata, sfamavo Gesù in lei e in noi.

Non era forse lei assetata, come lo siamo tutti? Assetata di senso e di una vita piena. Una vita che non fosse buttata. Insieme abbiamo cercato di costruire una famiglia unita, dove si può trovare un amore che dà senso e che apre alla sua fonte. Un amore che apre a Dio. Solo così si può spegnere la sete.

Quante volte si è sentita forestiera. Incompresa. Quasi parlasse una lingua straniera. Quante volte l’ho vista tornare a casa abbattuta e scoraggiata. Quante volte ho sentito le stesse storie, le stesse lamentele. La tentazione da parte mia è sempre quella di interromperla o di far solo finta di ascoltarla. Tanto dice sempre le stesse cose. Ma lei ha bisogno di dire quelle cose e di essere ascoltata e compresa. Ha bisogno di condividere e di trovare compassione e sostegno. Ha bisogno di sapere che almeno io desidero ascoltarla.

Quando l’ho rivestita? Non è facile rispondere a questa domanda. L’ho rivestita di meraviglia. Qualche volta, anzi spero più di qualche volta, sono riuscito a ritornarle attraverso il mio sguardo la sua bellezza, la sua unicità, la sua femminilità. Uno sguardo che non passa con gli anni, ma al contrario si rinforza. Uno sguardo fatto di desiderio, di riconoscenza e di meraviglia per l’appunto. L’ho rivestita del mio sguardo.

Malata e carcerata. Chi non è malato e carcerato? Chi non ha ferite e fragilità che rendono difficile una relazione. Chi non ha i pesi e i lacci che imprigionano e non permettono di aprirsi all’altro. Sofferenze, esperienze, pregiudizi e il peccato che abita la nostra esistenza rischiano di impedire l’apertura a un amore vero. Solo una relazione libera e dove si trova nella persona amata un sostegno, e non un giudice sempre pronto a rinfacciare ed evidenziare errori e imperfezioni, può aiutarci a guarire le ferite e a rompere le sbarre della prigione in cui noi stessi ci siamo rinchiusi.

Essere re e regina per noi sposi è essenzialmente questo. Una strada semplice da comprendere, ma non facile da realizzare.

Antonio e Luisa

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Introduzione  Gesù ci rende liberi e degni

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Sposi re e regina. 2) Gesù ci rende liberi e degni.

Nel precedente articolo abbiamo visto come Gesù si svela come Re durante la passione, e come la croce sia l’immagine più alta e più forte della sua regalità. E’ il suo trono. Facciamo un passo avanti. Veniamo a noi. Noi siamo parte di un popolo sacerdotale, regale e profetico in virtù del nostro battesimo. Il popolo di Dio non appartiene ad uno stato particolare, non appartiene ad una etnia particolare, non ad una razza. Si entra a far parte di questo popolo non per sangue e per nascita, ma per fede e per il battesimo. Come dice San Paolo noi nasciamo a vita nuova, diventiamo parte del popolo di Dio. per mezzo dell’acqua e dello Spirito Santo. Cristo è l’unico e vero Re e attraverso il battesimo ciò che appartiene al capo (Gesù) passa al suo corpo (la Chiesa). Anche noi siamo resi capaci di essere re, sacerdoti e profeti. Questa appartenenza ci dona due caratteristiche molto importanti: la dignità e la libertà. Per essere re, come Gesù è re, devo recuperare, custodire e sviluppare questi due valori: la mia dignità e la mia libertà.  Solo così potremo accogliere il dono di Dio di essere re con Cristo. Il re ha una legge: la legge dell’amore. Il re ha una missione: essere sale e lievito. Essere quindi luce. Essere testimoni. Il re è capace di mostrare la bellezza di Dio e della sua Legge.  Il re  perdona non perchè sia debole e non sia capace di combattere e di lottare, ma perchè il perdono è uno dei gesti che più di tutti rappresentano la regalità. Il perdono è colmo di libertà e di dignità. La vendetta fa male a chi la perpetra e a chi la subisce. Per questo se mia moglie mi fa del male io resto re e la perdono continuando a farle del bene. Perchè sono libero da quel male che mi ha fatto. Perchè sono degno, nonostante ciò che lei può aver fatto o detto. La mia regalità viene da Dio. Nessuna persona, neanche mia moglie o mio marito può distruggerla. Questo significa essere davvero liberi e degni. La mia dignità viene da Dio e non da mia moglie o da mio marito. Attenzione! Riscoprire e riconoscere la mia dignità e la mia regalità non mi serve per innalzarmi sopra gli altri. Non mi serve per sentirmi meglio di mia moglie e di mio marito. Non mi serve per giudicarlo/a, per umiliarlo/a, per montare in superbia e sentire di meritare più di quell’uomo o quella donna. No! La consapevolezza del mio valore, della mia dignità, della mia regalità mi consente di servire meglio quella persona che ho sposato. Mi consente di liberare il mio amore dall’obbligo della reciprocità! Il re e la regina sono capaci di amare anche quando l’altro non dà o non dà abbastanza.

Antonio e Luisa

Introduzione

Sposi re e regina. Introduzione.

Abbiamo appena completato un percorso che, attraverso il Cantico dei Cantici, ci ha condotto ad approfondire la nostra dimensione sacerdotale di sposi. Rinfreschiamoci un attimo la memoria. Attraverso il battesimo noi diventiamo re, sacerdoti e profeti come Gesù. Gesù ci dona queste sue prerogative divine. Essere sacerdoti nel matrimonio, abbiamo visto, significa in sintesi che possiamo farci dono l’uno all’altro come Gesù si è donato alla sua Chiesa sulla croce. Dono fino a dare la vita. Essere profeti, vedremo con il prossimo percorso che concluderà la trilogia, significa mostrare l’amore di Dio al mondo. Essere Re? Cosa significa? Cercheremo di svelarlo pian piano in questa serie di articoli che comincia oggi. Chi è il re? Nel nostro comune intendere il re è colui che governa, colui al quale è riconosciuto onore. Andiamo oltre. La parola re diventa parte di altre parole come reggere, reggente, regista, gerente. Questa riflessione tornerà utile. Sono tutte parole che indicano qualcuno che ha la responsabilità e la gestione di qualcosa. Al tempo in cui la Bibbia fu scritta c’erano già i re. I re babilonesi e i faraoni erano conosciuti agli stessi ebrei. Il re era il mediatore tra gli uomini e Dio. Spesso era considerato lui stesso come dio. Non esisteva un solo dio e il re era dio insieme agli altri dei presenti. Gli ebrei erano un’eccezione in questo. Dall’uscita dall’Egitto e per circa 400 anni non ebbero nessun re. Perchè solo Dio poteva essere re. Anche quando gli Ebrei decisero di avvalersi di un re, fu sempre evidente e chiaro a tutti che quello era un uomo, non era Dio. Tutto questo è chiaramente dimostrato dal fatto che spesso in Israele i profeti sono presentati nelle scritture come messaggeri di Dio, persone che mettono in guardia e sgridano il re. Inconcepibile in altre culture. Questo è quanto l’antico testamento mette in evidenza. Veniamo ora al nuovo, veniamo a Gesù. Gesù è il re. Il re che regnerà per sempre. C’è un particolare non trascurabile che si comprende dal Vangelo: Gesù rifiuta di essere re alla maniera degli uomini. Quando Gesù accoglie la sua regalità? All’inizio della passione. Il primo episodio raccontato e pubblico in cui Gesù apertamente accoglie la sua regalità è l’ingresso a Gerusalemme il giorno delle palme. Un re mite. Non si presenta su uno stallone, ma cavalca un asino. E’ un re umile. E’ il re dei piccoli. Dichiara di essere re davanti a Pilato. La dichiarazione solenne della sua regalità avviene sulla croce. Avviene nelle tre lingue conosciute. Era rivolta a tutti. C’era il latino la lingua dei potenti e di chi governava, c’era il greco la lingua dei dotti e dei sapienti e c’era l’ebraico la lingua del popolo. Lì sulla croce Gesù è assiso sul suo trono. Un trono difficilmente comprensibile per il nostro modo di pensare, ma che invece viene sorprendentemente riconosciuto come re ben in due occasioni. Viene riconosciuto dal ladrone e viene riconosciuto dal centurione. Da cosa viene riconosciuto? Gesù si comporta da re. Perdona coloro che lo mettono in croce. E’ più forte di loro. Non solo perdona, ma chiede perdono al Padre per coloro che lo stanno uccidendo e lo fa con la forza di chi ha l’autorità di farlo. Gesù non si lascia spogliare della sua dignità. Gesù non si lascia vincere dalla rabbia, dalla disperazione e dallo scoraggiamento come invece capita spesso a noi. Per questo sulla croce Gesù ha la regalità del re. Non cede a quelle che sono le debolezze e le fragilità umane.

Si comincia a delineare l’atteggiamento che noi sposi dovremmo possedere per mostrare la nostra regalità. Alla prossima.

Antonio e Luisa

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