Oggi vorrei tornare sul Vangelo di ieri, in particolare su un versetto: Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero.
Gesù offre un giogo, un giogo che non è qualcosa di bello, ricorda qualcosa che non ci permette di muoverci liberamente e di fare ciò che vogliamo come vogliamo. Perché dovremmo dire sì alla proposta di Gesù? Perché il giogo che ci offre è leggero. Non abbiamo la possibilità di scegliere se avere o meno un giogo. Possiamo scegliere se averlo leggero o pesante. Così la proposta di Cristo diviene affascinante, solo se si comprende che senza di Lui non siamo liberi, ma siamo legati a un giogo molto più pesante. La nostra vita è il giogo pesante da portare ogni giorno. La stanchezza, l’ordinarietà, la mancanza di senso, le malattie, la sofferenza, la solitudine e tutto ciò che può caratterizzare la nostra vita, senza di Lui diventano un giogo insopportabile e insostenibile alle nostre forze. Ciò che fa la differenza è la Grazia, lo Spirito Santo che dona forza, fede, sopportazione, senso, amore e ancora tante altre cose. Gesù, nella sua infinita misericordia, offre a ciascuno di noi il dono di un giogo. Ciò che spesso dimentichiamo è che tale giogo, a differenza di quello portato dai buoi, non ci proibisce di muoverci liberamente o di perseguire ciò che desideriamo. La sua presenza ha il potere di illuminare la nostra strada.
Sacerdozio e matrimonio sono vocazioni complementari e accomunate entrambe dal giogo. Il sacerdote durante la vestizione segue tutto un rito particolare. Quando indossa la casula, la veste propria di chi celebra la Santa Messa, dice sempre la stessa formula: “Domine, qui dixisti: Iugum meum suave est, et onus meum leve: fac, ut istud portare sic valeam, quod consequar tuam gratiam. Amen.” (O Signore, che hai detto: Il mio giogo è soave e il mio carico è leggero: fa’ che io possa portare questo indumento sacerdotale in modo da conseguire la tua grazia. Amen). Questa preghiera riflette la profonda connessione tra il sacerdozio e il matrimonio. Non posso fare a meno di pensare al momento del mio matrimonio, quando la mia sposa ha infilato l’anello al mio dito. Non avrei trovato parole migliori per sigillare quel momento di unione e impegno reciproco. Il gesto di indossare la casula da parte del sacerdote è un modo per prepararsi interiormente a rinnovare il sacrificio di Cristo sul Calvario. In un certo senso, anche noi sposi facciamo la stessa cosa. Indossando quell’anello con il nome della mia sposa inciso all’interno, ho promesso di donarle tutto me stesso. Quell’anello è un simbolo tangibile del mio impegno a darle il mio cuore e a mettere le sue necessità al centro della mia vita. Quando sposiamo qualcuno, diventiamo una parte l’uno dell’altro: i suoi bisogni diventano i miei bisogni, i suoi desideri i miei, le sue preoccupazioni diventano le mie e la sua gioia diventa la mia gioia. Proprio come dice San Paolo nella sua lettera ai Galati: «Io vivo, ma non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me» (GaI. 2,20)
Antonio e Luisa
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