Siamo ad un passo dalla prima festa di San Carlo Acutis e non potevo non ritornare alla scrittura su questo blog senza partire dalle origini. L’inizio di questa avventura, nata quasi per caso, ha preso forma proprio anni fa, sostando in silenzio davanti al corpo di San Carlo Acutis ad Assisi. In quella cappella, immersa nella luce e nel profumo d’incenso, tutto è iniziato: una preghiera semplice, un desiderio di rinascita, una scintilla di fede che non si è più spenta.
Carlo è stato per me la direzione da prendere per tornare a sperare. Non una speranza vaga o illusoria, ma una Speranza concreta, viva, incarnata nella quotidianità. Uscire dal limbo del dolore di non essere madre è stata una vera e propria rinascita, un passaggio dal buio alla luce, dal vuoto alla pienezza. La Speranza, come la Fede, è un dono che va chiesto, invocato, custodito. Non nasce dall’orgoglio o dalla forza personale, ma dalla fiducia: quella fiducia che nasce quando smetti di chiederti “perché?” e inizi a dire “eccomi”.
La Speranza ti aiuta a vedere ciò che non riesci più a scorgere quando il cuore è ferito. Ti apre gli occhi sulle piccole cose che danno senso ai giorni: un caffè con un’amica, una parola gentile, un abbraccio improvviso, una pacca sulla spalla, uno sguardo che ti comprende anche senza parole. Ti accorgi che anche nei gesti più semplici abita Dio. C’è Dio nel profumo che riporta alla memoria un giorno felice, nelle risate che scoppiano all’improvviso, nei giochi al biliardino con gli amici, nelle canzoni attorno a un falò estivo. C’è Dio nelle pizzate improvvisate, nei sogni raccontati a mezza voce, nei momenti in cui la vita sembra farti un dono senza motivo.
La Speranza è come l’estate: è quel calore che senti addosso anche quando fuori piove, è la luce che non ti lascia, è la carezza di Dio nei giorni più faticosi. È la gioia contagiosa dell’accoglienza, la pace che nasce dall’amore gratuito. È amare senza misura, amare fino alla fine, amare anche quando non ricevi nulla in cambio. È continuare ad amare quando tutto sembra perduto, quando la notte si fa lunga e il silenzio pesa. È allora che la Speranza si trasforma in una preghiera che sale dal cuore e dice: “So che Tu ci sei”.
E poi c’è la luna. Sorella luna, compagna delle notti insonni, delle veglie silenziose, delle preghiere sussurrate. La luna che veglia, che illumina anche il buio più profondo, che ricorda che dietro ogni oscurità si nasconde una luce che non si spegne. Le notti in cui non vuoi dormire per ammirarla diventano notti di adorazione, di attesa dell’aurora. E quando arriva l’alba, tutto cambia: il primo chiarore del giorno diventa una lode spontanea al Signore, un grazie per la vita, per le persone amate, per le meraviglie del creato che ogni giorno si rinnovano davanti ai nostri occhi.
Siamo quasi all’ultima tappa di questo Giubileo, un tempo che ci ha educati alla Speranza. Un anno che ci ha insegnato a perdonarci, a lasciare andare ciò che non riusciamo a sopportare di noi stessi o degli altri. Ci ha insegnato ad alzare lo sguardo da terra e a riconoscere chi cammina accanto a noi, spesso in silenzio, portando croci che non vediamo. Ci ha ricordato che non possiamo vivere da soli, che la vita cristiana è un cammino condiviso, fatto di soste, di attese e di mani che si tendono.
Questo tempo di grazia ci ha insegnato a fermarci, a guardare indietro non per rimpiangere ma per accorgersi di chi è rimasto indietro e tendere una mano. Ci ha insegnato a tessere relazioni vere, autentiche, a non avere paura di amare anche quando costa. Ci ha insegnato che l’amore è l’unica via che conduce alla Speranza e che ogni passo, se fatto nella fiducia, diventa già un frammento di eternità.
Perché amare, in fondo, è credere che la luce tornerà. Sempre.
Simona Arcidiacono
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