«La forza della vita ci sorprende»: 46ª Giornata Nazionale per la Vita

Domenica 4 febbraio si celebrerà la 46ª Giornata Nazionale per la Vita, avente quest’anno come tema «La forza della vita ci sorprende». Nata come risposta alla terribile legge che legalizzò l’aborto, questa giornata si pone come obiettivo quello di riflettere sul valore della vita e sulle conseguenze che possiede quell’atto violento.

Le considerazioni che potremmo fare sono davvero notevoli ma proviamo a concentrarci sul valore della Vita con la “v” maiuscola ossia su quell’anelito di eternità che ciascun uomo e ciascuna donna, di tutti i tempi, porta con sé in quanto sigillo del Creatore, che ci ha desiderati e amati per primi. Leggiamo nel Salmo 139: “Sei tu che hai formato i miei reni e mi hai tessuto nel grembo di mia madre. Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda; meravigliose sono le tue opere, le riconosce pienamente l’anima mia. Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, ricamato nelle profondità della terra. Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi; erano tutti scritti nel tuo libro i giorni che furono fissati quando ancora non ne esisteva uno (Sal 139, 13-16).  Non credo possano essere scritte parole più belle, più vere e più profonde di queste per esprimere non solo la gratitudine a Dio per il dono della vita ma per ribadire che tutto è nelle Sue mani e che nulla è lasciato al caso: non può esserci notizia più bella di questa!

«La forza della vita ci sorprende», dunque, si configura non come uno slogan pubblicitario ma come esito della simbiosi di considerazioni e preghiere al cospetto del mistero dell’esistenza che, per quanto studiato, sviscerato e pure abusato dalla scienza, rimane permeato di una grandezza che trascende la natura dell’uomo e richiama direttamente a quel Dio della Vita che tiene nelle mani le sorti del mondo ed è l’unico a poterci giudicare nel decisivo momento del trapasso.

Se la vita fosse qualcosa di esclusivamente materiale o biologico non si potrebbero spiegare tutti quegli eventi miracolosi che continuamente la costellano, regalandoci gioie e felicità insperate, ma non troverebbe ragione d’essere nemmeno la capacità di reagire agli eventi più tristi e dolorosi che ne fanno parte; se oltre al corpo ci fosse solamente l’intelligenza, come si potrebbe giustificare la fede? Se fossimo il risultato di un’evoluzione unicamente naturale, come potremmo spiegare il desiderio di bene, di vero e di eterno che ha sempre distinto il genere umano da quello animale?

«La forza della vita ci sorprende» perché è il Padre ad avercela regalata e a rinnovarla in noi anche quando siamo deboli, senza forza e senza fiducia, schiacciati dal peso delle difficoltà e delle fatiche anzi, a volte, queste sono proprio il mezzo attraverso cui Egli ci parla, costringendoci a fermare il turbinio vorticoso delle nostre giornate sempre di corsa e imponendoci una sosta qualora non fossimo in grado di stabilirla da soli. “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà. Infatti quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita? Che cosa potrebbe dare un uomo in cambio della propria vita?” (Mc 8, 34-37).

La vita non si perde solo da un punto di vista fisico ma anche, se non soprattutto, morale: ecco perché la Giornata che vivremo domenica non è il traguardo ma la partenza di un percorso che deve portarci ad aprire gli occhi, innanzitutto quelli del cuore, per comprendere che non siamo padroni dell’esistenza ma ospiti, invitati a trascorrere gli anni in questo mondo come figli e non come automi o, peggio, come distruttori di noi stessi, degli altri e del pianeta. “Fatti non foste a viver come bruti” ci ricorda Dante nella Divina Commedia, nel XXVI canto dell’Inferno, all’interno del discorso proclamato da Ulisse; questo è esattamente il senso con cui dovremmo assaporare il dono che Dio ci ha fatto, spendendoci affinché quante più persone possibili possano capire che tutto ha un senso, tutto un fine, tutto uno scopo: la salvezza eterna.

Amare la vita non significa solo essere contrari all’aborto ma essere in disaccordo con tutte le ideologie e i proclami che la vogliono distruggere, da cui purtroppo siamo minacciosamente circondati; amare la vita vuol dire avere il desiderio che vengano seppelliti tutti i bambini non nati perché, essendo persone, hanno la stessa dignità di qualsiasi altro essere umano; amare la vita si traduce in tante azioni concrete a difesa  e sostegno della famiglia naturale ossia quella costituita da un uomo e da una donna come unico nucleo avente potenziale generativo; amare la vita significa rispettarla dal suo inizio al suo compimento naturale perché le malattie non sono portatrici solo di croci ma anche di salvezza; amare la vita altro non è che amare Colui che ce l’ha donata, senza che avessimo alcun merito.

Fabrizia Perrachon

Il significato del battesimo: da quello di Gesù a quello dei bambini non nati

Domenica scorsa la liturgia ha celebrato il battesimo di Gesù ad opera di Giovanni Battista, invitandoci nello stesso momento a ricordare il nostro, riscoprendone valore e significato.

Come possiamo leggere nel Catechismo della Chiesa Cattolica al punto 1213: “Il santo Battesimo è il fondamento di tutta la vita cristiana, il vestibolo d’ingresso alla vita nello Spirito (« vitae spiritualis ianua »), e la porta che apre l’accesso agli altri sacramenti. Mediante il Battesimo siamo liberati dal peccato e rigenerati come figli di Dio, diventiamo membra di Cristo; siamo incorporati alla Chiesa e resi partecipi della sua missione: « Baptismus est sacramentum regenerationis per aquam in verbo – Il Battesimo può definirsi il sacramento della rigenerazione cristiana mediante l’acqua e la parola ».1

Il ricordo del battesimo non è un semplice “fare memoria” quanto riscoprire, riattualizzare e rigenerare ciò che abbiamo ricevuto un giorno lontano o ciò che abbiamo donato ai nostri figli così come interrogarci sui motivi che hanno spinto i nostri genitori o noi stessi a decidere per questo sacramento. Già perché, se ci pensiamo bene, il battesimo – almeno per come è attualmente strutturato in ambito cattolico  – è un sacramento che solitamente il soggetto non sceglie perché c’è chi ha deciso per lui/lei. Che dono e che responsabilità allo stesso momento! Come regalo ha un valore immenso, la cui vera portata si scopre in seguito, magari dopo averlo ignorato, trascurato o banalizzato; ed è una responsabilità a doppio senso perché non solo è un qualcosa che altri hanno scelto ma è un sacramento che richiede poi una partecipazione attiva, personale e consapevole per essere autenticamente vissuto e non soltanto passivamente ricevuto.

Gesù ha deciso di farsi battezzare anche se non ne aveva bisogno, noi ne abbiamo un gran bisogno ma non sempre ce ne rendiamo pienamente conto, soprattutto da neonati; non si tratta di una contrapposizione insanabile ma di un mistero divino da accogliere con semplicità di cuore non tanto e non solo per sentirci a pieno titolo figli di Dio quanto soprattutto per scoprirci – o riscoprirci – figli amati, come la voce che accompagna la discesa dello Spirito Santo su Gesù nel Giordano: “Tu sei il Figlio mio, l’amato” (Mc 1, 11).

È proprio sulla scia del gesto di Cristo che assume un significato ancor più profondo una tipologia specialissima di battesimo, quello di desiderio; non si tratta del consueto sacramento che si impartisce a persone – grandi o piccole che siano – ma dell’intenzione, del desiderio appunto, che si ha di donare una preghiera specialissima, un battesimo particolare, a tutte quelle creature che non sono potute nascere, perché perse spontaneamente oppure abortire volontariamente.

Come amo sempre sottolineare, anch’esse sono state create ad “immagine e somiglianza” del Padre e, se per un mistero insondabile oppure per cieca violenza non hanno avuto la possibilità di nascere a questo mondo, questo non significa che abbiano meno dignità anzi, nella loro totale purezza sicuramente appartengono alla schiera dei martiri innocenti che – a cominciare dalla furia di Erode – sono vittime dell’odio, la peggior faccia dell’uomo. Sono già sicuramente nel cuore e nelle mani di Dio ma far celebrare per loro il battesimo di desiderio possiede significati imprescindibili: innanzitutto è un profondo atto di umiltà e di amore nei confronti del Signore, a cui si rimettono queste anime ed il loro destino eterno e, in secondo luogo, è qualcosa che fa bene al cuore ferito dei genitori, abbiano o non abbiano voluto l’accaduto.

In caso di aborto spontaneo, è una grande consolazione interiore sapere di aver donato alla propria creatura una consacrazione in più, non avendo potuto sottrarla ad una dipartita così precoce, inaspettata e dolorosa. Nei casi di aborto volontario, anche se non richiesto dai genitori ma dalla pietà di altri, il battesimo di desiderio ricuce una ferita che non lacera soltanto i diretti interessati ma la società intera perché ben sappiamo – anche se troppo volte giochiamo a nascondino – che la fine di questi “miei piccoli”, come direbbe Gesù, è qualcosa che va contro ogni logica, umanità e civiltà.

Il battesimo, insomma, ha un inizio ma non ha una fine o meglio, il suo compimento è in Cielo. Il battesimo è Spirito, è balsamo, è Grazia: che gioia sapere che il Padre ci ama e ci aspetta tutti nella Sua casa.

1 disponibile al link: https://www.vatican.va/archive/catechism_it/p2s2c1a1_it.htm

Fabrizia Perrachon

Quella tomba che non c’è e la potenza del perdono cristiano

Novembre è il mese dedicato al ricordo e alla preghiera dei defunti: i campisanti si riempiono di fiori, candele e persone che, sfidando il freddo dell’autunno che rapidamente porterà all’inverno, si ritrovano al cospetto di lapidi in grado di far ricordare chi siamo e da dove veniamo; c’è una categoria, però, alla quale tutto questo è, troppe volte, reso impossibile: i genitori di bambini non nati.

In Italia, infatti, purtroppo ancora non esiste una legge nazionale in merito al seppellimento di queste creature; ci sono delle norme regionali che dovrebbero disciplinare la materia ma sono poco conosciute e, soprattutto, poco applicate. Ecco allora che, nella quasi totalità dei casi, le coppie devono affrontare un dramma nel dramma: oltre ad aver perso un figlio si ritrovano senza possibilità di un luogo fisico in cui poterlo visitare, piangere o pregare.

Parlo per esperienza diretta perché mio marito ed io abbiamo attraversato il dramma dell’aborto spontaneo nel 2012; allora non sapevano tutto quello che in seguito abbiamo appreso dolore dopo dolore, conoscenza dopo conoscenza, aiuto dopo aiuto, vivendo sulla nostra pelle e nel nostro cuore ogni sfaccettatura di questa problematica aperta e particolarmente dolorosa, specchio di quanto accade alla maggior parte delle coppie: o si è in già qualche modo informati su quello che è a tutti gli effetti un diritto, anche se quasi sconosciuto, o si rischia di essere risucchiati in questo vortice di mancanza di notizie, empatia e sensibilità. Il risultato è che ci si trova non solo ad affrontare una morte improvvisa e dolorosissima – quella del frutto del proprio amore e dono di Dio – ma non di non vedersi restituire neanche quel corpicino che, per piccolo o piccolissimo che sia, non solo è tuo figlio ma è un figlio di Dio e, come tale, merita tutta la dignità possibile, al pari di qualsiasi altro essere umano.

Avere la certezza di un posto nel quale riposa un parente o un amico defunto, infatti, non è solo una pratica di pietà – sociale e cristiana – ma un’esigenza insita nella nostra stessa natura umana nonché una delle tappe fondamentali per l’elaborazione del lutto. In quest’ottica ben capiamo che negare il seppellimento dei bambini non nati si configura non solo come una mancanza civile ma come una vera e propria cattiveria inflitta con una superficialità che lascia davvero sgomenti e soli davanti ad un gigantesco punto interrogativo.

Umanamente tutto ciò è avvilente perché va a scontrarsi contro ogni logica ed ogni buon senso, rischiando di aprire ulteriori lacerazioni nei cuori di quelle persone che si vedono privati di tutto nel giro di poche ore o pochi giorni: vita e corpo del figlio. Risulta, dunque, comprensibile perché questo “lutto invisibile” – così come l’ho definito nel mio libro “Se il Chicco di frumento – storia vera di speranza oltre la morte prenatale” – sia così duro da accettare ed affrontare e perché possano essere soltanto la forza della fede e della preghiera a permettere di offrire una sofferenza così acuta a Dio, nella certezza di Bene maggiore.

È solo l’insegnamento di Gesù, inoltre, che ci rende capaci di compiere un passo umanamente impossibile ma fondamentale nel percorso di guarigione interiore e di superamento del lutto prenatale: il perdono. Quanta forza si sprigiona quando riusciamo ad essere indulgenti con chi ci ha fatto del male! Che azione di Grazia avvolge noi e i nostri ex-nemici quando siamo in grado di dire: “Sì, mi hai fatto soffrire ma desidero essere indulgente con te a modello di Nostro Signore, che dalla croce ha perdonato i suoi uccisori”. Pur non essendo scontato è stato bellissimo, per me, offrire il perdono a chi non mi aveva proposto il seppellimento della creaturina, sicuramente non per cattiveria ma per una specie di “abitudine”, sulla scia del pensiero dominante che si allinea al meccanismo del “si è sempre fatto in certo modo, perché fare un’eccezione proprio per te e proprio adesso?”.

La tomba che non c’è, da evidenza allucinante e straziante, si trasforma nel mezzo più evidente che la via del perdono cristiano – pur non essendo né automatica né immediata – è possibile non se ci si crede i più forti e i più bravi ma se si mette tutto nelle mani di Gesù: perdonare è difficile quanto straordinario, impegnativo quanto liberatorio, costa fatica ma ci avvolge con un senso di amore e liberazione che possono venire solo dal Cielo.

Fabrizia Perrachon

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La compagnia del cigno: temi grandi risposte piccole

Eccomi di nuovo a commentare la serie televisiva “La Compagnia del Cigno”. Perchè perdere tanto tempo ad analizzare una fiction TV? Me l’avete chiesto in tanti. Semplicemente perchè i nostri ragazzi si nutrono di queste cose e le serie TV sono, in certo senso, lo specchio della nostra società. Possiamo davvero comprendere tanto. Nel primo articolo mi ero soffermata sulla morale sessuale, figlia della rivoluzione del ’68 e avevo accennato al fatto che i rapporti fuori del matrimonio sono all’origine dell’instabilità delle relazioni uomo-donna. Da questa instabilità: separazioni, divorzi, contraccezione, aborti. Tutto questo si vede nella Compagnia del Cigno, la cui mentalità è quella fluida che nasce proprio dal ’68. Fluidità che doveva garantire libertà e invece porta solo precarietà. Cominciamo dall’aborto.

Nella prima stagione, il maestro Luca Marioni e sua moglie Irene sono in crisi a causa della morte della figlia, a seguito di un incidente. Dopo un periodo di separazione, tornano insieme e lei resta incinta. In un primo momento Irene decide di abortire, perché ha troppa paura, non riesce a credere di nuovo alla felicità. Luca reagisce molto male (anzi molto bene, dimostrando di essere un vero uomo): prima l’accusa di ignorare il fatto che lui è il padre; poi le intima di andarsene da casa, se non cambierà idea. Irene non cambia idea e va a stare da un’amica.

Il colloquio tra lei e il ginecologo è un capolavoro di politicamente corretto. Lui vorrebbe parlarle, ma lei si irrigidisce subito, teme di avere davanti un obiettore con scrupoli di coscienza e afferma che abortire è un suo diritto, che esiste una legge dello stato italiano. Lui la rassicura: non è un obiettore, l’aborto è garantito per legge, lui ha praticato tante “interruzioni di gravidanza” proprio per garantire questo diritto (sic!) Ciononostante, vuole essere sicuro che lei faccia la scelta giusta per lei (non per il bambino!). Sapendo che lei ha perso una figlia e temendo che lei voglia abortire per paura, le dice che non si rinuncia a un figlio per paura (ma, io mi chiedo, chi abortisce, non lo fa sempre per paura?). Irene gli conferma che, se facesse nascere suo figlio, avrebbe paura di tutto e non sarebbe una buona madre. Lui le chiede scusa e lei, offesa, lo accusa di avere approfittato della sua solitudine e fragilità per farle la morale (una critica agli operatori dei centri di aiuto alla vita?). Quella sera Luca, sconvolto, tenta ancora di fermare la moglie: “Da fidanzati mi avevi promesso che non mi avresti mai fatto soffrire e ti avevo creduto: un coglione, un vero coglione!”. Finalmente, Irene decide di non abortire, ma da Luca vuole rassicurazioni che tutto andrà bene. Lui saggiamente le dice che non può, che bisogna rischiare, che lui vuole questo bambino, ma si rende conto che la decisione spetta anche a lei.

Nella seconda stagione, Matteo e Sofia per una volta non usano il profilattico e lei resta incinta. Segue una riunione di famiglie, quella di Matteo e quella di Sofia, durante la quale la madre di lei chiede ai due giovani di pensarci bene, prima di scegliere di tenere il bambino (sic!). Già, il problema della scelta, della decisione della donna, che continuamente ritorna in queste due vicende. Ho pensato subito alle parole della serva di Dio Chiara Corbella Petrillo a proposito dell’aborto (che le avevano prospettato dal momento che la sua bambina non sarebbe sopravvissuta fuori dall’utero materno): Alla base della decisione di abortire c’è una menzogna tanto forte ed efficace quanto più nascosta ed inespressa. La menzogna dell’alternativa. Se aspetto un figlio, sono sua madre, non posso più scegliere, sono sua madre anche se una legge dello stato mi permette di ucciderlo. Posso solo scegliere di essere madre di un figlio vivo o di un figlio morto, ma sarò sua madre per sempre.

Altro argomento trattato in modo politicamente corretto è la separazione dei genitori. Robbo e la sorellina ne sono le vittime. La loro madre piange tanto, perché i suoi figli soffrono e Robbo ingenuamente le chiede come mai non si possa tornare alla vita di prima. Lei risponde che non è più possibile, perché ormai è irreversibilmente innamorata di un altro uomo. Love is love! In seguito, si scopre che il primo a tradire era stato il padre. Come reagiscono i due ragazzini? Con filosofia: abbiamo scoperto che anche i nostri genitori commettono errori, che non sono perfetti. Questa saggia reazione non mi sembra realistica, piuttosto mi sembra quella che qualunque genitore separato si auspicherebbe da parte dei figli.

Per essere politicamente corretta, la serie televisiva non poteva tralasciare omosessualità, transessualità e bisessualità, nonché l’omofobia. Ne scriverò in un altro articolo.

Luisa

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Aurora: un angelo che ha sfiorato la terra per raggiungere il paradiso

Mi chiamo Maria Paola, sono una mamma di 39 anni, sono sposata da quasi due anni con mio marito Marino. In questa testimonianza vi racconterò l’incredibile storia d’amore che abbiamo vissuto grazie a nostra figlia Aurora, nata il 14 gennaio di quest’anno. Aurora è stata concepita nel mese di maggio a Medjugorie, io e mio marito avevamo chiesto alla Madonna di donarci la pace e di farci accettare la perdita dei nostri due figli, avvenuta nei primi mesi di gravidanza.
Tornati a casa però la nostra gioia fu grande perché ero di nuovo incinta e nel mio cuore
ho ringraziato Maria per avermi fatto questo dono immenso, chiedendole la sua materna
protezione su questa nuova gravidanza. Nei primi mesi, come era già successo in precedenza, ho avuto qualche problema e sono rimasta a letto per varie settimane, ma questa volta il cuore del mio bambino ha continuato a battere e, quasi incredula, sono arrivata alla fine del quarto mese, il tempo della prima ecografia morfologica. Appena il ginecologo ha posizionato lo strumento ecografico sulla mia pancia però ci ha  comunicato che nostra figlia aveva gli arti corti ma, dopo pochi istanti, si è accorto che la
diagnosi era ben più grave di una disabilità: le ossa del costato non crescevano e ciò rivelava una malattia incompatibile con la vita, chiamata displasia tanatofora, con una prognosi infausta, la nostra bambina sarebbe morta soffocata alla nascita perché i polmoni non si sarebbero potuti espandere. La dottoressa genetista, dalla quale ci siamo recati il giorno successivo, mi ha riferito che la situazione era molto grave e che in questi casi si poteva interrompere la gravidanza con un aborto terapeutico. Io le ho risposto che qualunque fosse stata la diagnosi non avrei abortito, umanamente non sapevo come avrei fatto ad andare avanti ma nel mio cuore sentivo chiaramente che non potevo interrompere volontariamente la vita di mia figlia. I primi periodi sono stati i più difficili, mio marito non era convinto della mia decisione riguardo all’aborto però mi ha rispettata, pur non capendo in profondità, mi è stato vicino con tutto l’amore, cercando di farmi forza, spesso nascondendo le lacrime…io sono stata sempre sostenuta dalla fede, ma lui ha maturato questa decisione di apertura alla vita provando un senso profondo e umano verso ciò che stava accadendo.
Entrambi eravamo consapevoli di accompagnare la nostra bambina fin dove avremmo potuto perché lei in pancia stava benissimo, “eliminare” quello che per la maggior parte delle persone costituiva un problema sarebbe stato solo un atto egoistico che apparentemente ci avrebbe fatto soffrire di meno ma che in realtà non sarebbe stato così. La strada non era facile ma il Signore ci è stato sempre vicino, attraverso il supporto di tante persone: primo fra tutti il nostro ginecologo, il Dott. Alessandro Cecchi e la sua fantastica èquipe, il gruppo del Rinnovamento dello Spirito e tante altre persone venute a conoscenza di questa storia inoltre ci hanno supportati con la preghiera e con la loro vicinanza. Ma la forza più grande l’ho sperimentata grazie alla presenza di mia figlia nel grembo, quando sentivo che si muoveva e che mi dava tanti calcetti, come per dimostrarmi che c’era e che io ero la sua mamma.
Aurora è stata sempre in posizione podalica, con la testa sotto al mio cuore, strette in un
grande abbraccio fino alla sua nascita, io la accarezzavo e le parlavo, provando una grande tenerezza e cercando di vivere in pienezza ogni momento che mi era concesso di stare con lei, Aurora, in cambio, mi donava tanta pace e sicurezza: avevo il privilegio di accompagnare questo angelo che avrebbe sfiorato la terra in Paradiso. Verso gli ultimi mesi di gravidanza ho scritto una lettera a Papa Francesco e la sua risposta è arrivata poco prima del parto, dandomi conforto e speranza Poi è avvenuto molto più di quello che potevamo immaginarci: il miracolo della sua nascita. Quando Marino ha visto per la prima volta sua figlia mi ha subito detto che era bellissima e si è sciolto del tutto, manifestando in modo pieno i sentimenti di un padre, innamorato della sua bambina, inondato di gioia e di emozione e trafitto dal dolore nel doverla lasciare così presto. Io ero completamente persa. Appena Aurora è venuta alla luce ha emanato un gemito e poi ha aperto i suoi occhi azzurri fissando la sua mamma: un attimo di eternità, un soffio di vita che ci ha ripagato di tutte le sofferenze provate. In quel momento ho potuto sperimentare cosa significa l’amore vero, incondizionato, infinito: l’amore di una madre verso sua figlia. Poi i medici l’ hanno battezzata e questo per noi genitori è stato un dono immenso, sapere che veniva accolta tra le braccia di Gesù pura, piena di Spirito Santo. Staccato il cordone ombelicale non ha più potuto respirare ma il tuo cuoricino ha continuato a battere per più di un’ora. In questo tempo l’ho tenuta sempre fra le mie braccia, scaldandola con il mio corpo e coprendola con la copertina regalata dalla nonna dove era stata ricamata la scritta: “Aurora ti voglio bene”.
La mia bambina è rimasta attaccata alla vita più che ha potuto, non voleva lasciarci. Quando è arrivato il momento della separazione il mio cuore si è spezzato, Aurora è stata vestita con l’abitino rosa che le avevo preparato e avvolta con tanta cura in un telo di plastica bianco; Marino l’ha presa in braccio accompagnandola all’obitorio dove è stata lasciata sola; il suo corpicino al quale sarebbe dovuto spettare una calda culla ora stava su un tavolo freddo, lontano dalla mamma e dal papà. Quando mio marito è tornato però ha detto una frase bellissima: “Non piangere Maria Paola perché Aurora è qui con noi, il suo corpo è un involucro”. Infatti il mio amore era già in Paradiso, fra le braccia del vero Padre e della Mamma Celeste, insieme ai suoi fratellini Maurizio e Margherita. Un genitore vuole il meglio per i suoi figli e sicuramente Aurora stava già in quel luogo a cui tutti siamo destinati, quindi eravamo felici per lei pur nel dolore immenso di non poterla abbracciare, di non poter più sentire tutti i calci nel pancione, di non poter più pregare insieme mentre era con noi e la presentavo tutte le volte a Gesù , chiedendogli la forza di accettare la Sua Volontà o il miracolo della guarigione.
Di miracoli però ce ne sono stati perché la sera dopo il parto sentivamo una pace particolare e un’unione profonda con mio marito che non avevamo mai provato prima. Al funerale la chiesa era piena e si respirava un’atmosfera celestiale: la piccola bara bianca, circondata da un giardino di fiori, sulla quale era appeso il fiocco rosa della nascita con il suo nome, emanava purezza e faceva percepire un contatto con il cielo. È stata celebrata la liturgia degli angeli, le campane suonavano a festa, il gruppo del Rinnovamento nello Spirito ha animato la Messa con i canti, io e Marino alla fine abbiamo salutato Aurora con una testimonianza e tutti i presenti si sono commossi e ci sono venuti a ringraziare invece di farci le condoglianze.  Quando abbiamo accompagnato Aurora al cimitero e la sua bara è stata coperta di terra io e mio marito abbiamo percepito chiaramente un senso di resurrezione. L’ultime parole di questa esperienza tanto meravigliosa quanto dolorosa sono dedicate a te cara Aurora, amore della mamma e del papà, figlia tanto attesa e desiderata, che in poco tempo hai fatto così tanto, hai smosso le coscienze e sciolto molti cuori, abbiamo avuto il dono di poterti vedere e abbracciare per pochi istanti, attimi di eternità, che rimarranno impressi per sempre dentro di noi. Ti ho nutrito con il mio cordone ombelicale ora sarai te a nutrirci con il cordone spirituale che neanche la morte può spezzare. Ci rivedremo in Paradiso!

Maria Paola Vecchione

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Sul comodino solo il rosario e la foto del mio scricciolo.

Oggi condivido una storia. Una di quelle che non possono lasciare indifferenti. Una di quelle dove l’amore si dimostra motore e forza per combattere la malattia. Una di quelle dove la forza di una mamma si dimostra più forte di ogni male. La mamma in questione è Raffaella e di seguito la sua breve, ma intensa testimonianza.
16 MARZO 2018. 11° piano del policlinico A. Gemelli.
Signora lei sa bene che durante l’intervento il cuore del suo piccolo potrebbe cessare di battere.. É un rischio ed è bene che lei ne sia al corrente
Queste furono le parole del giovane medico che mi visitò quella mattina. Ero incinta di 13 settimane.
Ora vada giù, faccia la linfoscintigrafia per individuare il linfonodo sentinella, poi eco mammaria ed eco ostetrica“. L’ intervento era fissato per le 14.30.
Quando mi fecero l’ ecografia ostetrica la ginecologa mi guardò, avevo gli occhi lucidi. Amavo alla follia quell’esserino millimetrico che cresceva dentro di me. Cresceva lui, ma cresceva pure un nemico silenzioso, che già stava mettendo per bene le sue radici. La dottoressa stampò la foto del mio piccolo e mi disse:”Questa sarà la tua forza. Tienilo con te sul comodino“. Così feci. Ero digiuna dal giorno prima e sul comodino avevo solo una Corona del Rosario e la foto del mio scricciolo. La mattinata trascorse tra messaggi su WhatsApp e preghiera. Tanta preghiera. Ringraziavo e lodavo Dio anche per quella situazione. Non avevo paura. Ero in buone mani. Dal momento del test di gravidanza positivo sapevo che Dio mi stava donando una seconda possibilità.
Ricordo perfettamente anche la sala operatoria. L’anestesista mi disse che la mia sarebbe stata un anestesia diversa. Un po’ meno “delicata”, c’ erano farmaci che in gravidanza sono controindicati e non poteva somministrarmeli. Gli risposi che ero nelle loro mani. Mi fidavo. Ero serena. Arrivò il prof. Franceschini. Una carezza sul viso e andò a prepararsi. Intanto chiacchieravo con il resto dell equipe. Erano due donne e un ragazzo. Fu lui a mettermi la mascherina. Mi girava la testa, ma in in attimo mi addormentai. L’intervento andò benissimo. Il post un po’ meno. Tornai in camera alle 20 circa. L’ ospite indesiderato era stato sfrattato. Lui e altri tre noduli. Carcinoma duttale infiltrante multifocale. Questa la sua carta d’identità. È trascorso esattamente un anno dalla mia rinascita. Fatta la radioterapia, continuo ora con “l’antipatica” terapia antiormonale.
Io e il gladiatore Pietro Maria siamo qua contro ogni pronostico. Contro tutti i medici che mi consigliavano l’ interruzione di gravidanza. Lui è un bambino fantastico, meraviglioso e soprattutto sta bene grazie a Dio.
Durante questo periodo, ho sperimentato più volte l’ immenso Amore del Signore  e l’ amore meraviglioso delle persone che mi sono rimaste vicine. Ho conosciuto l’ amore, il rispetto e la comprensione del personale medico, infermieristico, ausiliario e i volontari dell’associazione Susan G. Komen Italia, che operano all’interno del policlinico A. Gemelli di Roma. A loro dobbiamo la vita. Loro che con la mano di Dio si prendono cura di tutte le donne. Nessuna esclusa.  A chi mi chiede se sono guarita, rispondo: “no“. Ne avrò ancora per molto tempo. Ma le donne in rosa lo sanno che non possono abbassare mai la guardia. E amano la vita in modo esagerato. Il cancro non mi fa più paura. Davvero.
É un nemico che si nutre della paura e della tristezza. Non ho assolutamente nessuna intenzione di dargliela vinta. Qua si lotta senza nessuna riserva. Sono grata a Dio del dono della vita, oggi e sempre. ❤️
Ps. Guardate un po’ la perfezione del mio piccolo “grumo di cellule” a 13 settimane di gestazione. Sarei voluta morire io piuttosto che sacrificare la sua di vita.
Raffaella M.

La menzogna dell’alternativa

Oggi tanti quotidiani ricordano l’approvazione quarant’anni fa della legge 194. Una delle poche leggi che tutti conoscono. Quel 194 è divenuto simbolo di una vittoria di civiltà. Attraverso quella legge, finalmente, le donne sono state libere di uccidere il proprio bambino in tutta sicurezza. Non voglio entrare in polemiche sterili. Se avete letto i miei articoli passati saprete già che io credo nella vita e nella vita fin dal concepimento. Voglio soltanto aiutarvi a riflettere proponendo due diverse testimonianze. Una che ho raccolto direttamente e una che prendo dal bellissimo libro che racconta la vicenda di Chiara Corbella Siamo nati e non moriremo mai più.

Ce l’ho ancora impresso nella memoria. Quel viso mi è rimasto dentro. Era l’autunno di circa due anni fa. Suor Lella ci telefona. Suor Lella è una sorella della fraternità Tenda di Dio della diocesi di Brescia. Suor Lella si occupa di farsi prossima alle fragilità e alle periferie esistenziale come le ha ben definite Papa Francesco.  Quindi frequenta tossicodipendenti, carcerati e altre situazioni estreme. Ci telefona perchè una giovane donna albanese, che seguiva da alcuni anni, si era trasferita in un paese vicino casa nostra. Questa giovane donna aveva già due bimbe ed era in attesa della terza. Aveva un marito che entrava ed usciva dal carcere. Voleva abortire perchè credeva di non farcela. Aveva l’aborto già fissato per il giorno dopo. Naturalmente la legge 194 è applicata in modo molto incompleto e parziale. Lo stato e le sue agenzie locali non fanno mancare assistenza quando si decide di uccidere il bambino, ma lasciano le donne praticamente sole quando decidono di tenere quella piccola vita in grembo. Sono i cristiani che si fanno carico di questi problemi. Andiamo a parlare con lei e dopo poco prende fiducia e si apre. Ci racconta di aver già abortito in passato. Ci racconta che ha due bimbe bellissime, ma non riesce a non pensare a quel bambino che non ha voluto. Si chiede come sarebbe ora, se lo immagina a scuola e piange, piange amaramente. Per questo non vuole ripetere l’errore. Cerchiamo di consolarla e di farle capire che ci sono strutture che la potrebbero aiutare e seguire. La mettiamo in contatto con delle suore che possono accoglierla e con il CAV più vicino per poter avere un aiuto concreto. E’ sollevata, felice. Andiamo a casa. Rimaniamo d’accordo che ci sentiremo l’indomani per accompagnarla al CAV. L’indomani la chiamo, non risponde. Solo verso sera vengo a sapere che il marito è venuto a prenderla, l’ha caricata in macchina e l’ha condotta ad abortire. Quando ho parlato con lei ho avvertito completa apatia, era assente, distrutta. Una vita distrutta che non so come e quando si riprenderà.

Arriviamo ora alla seconda storia. Chiara Corbella è una giovane sposa. Ha poco più di 20 anni e resta incinta. Durante l’ecografia di routine scopre che la figlia, che sta crescendo in lei, non è compatibile con la vita. Ha una malformazione molto grave. E’ destinata a morire. Non potrà vivere che pochi minuti. Chiara decide di tenerla. Non ha dubbi. Non pensa ci sia un’alternativa. Padre Vito, padre spirituale di Chiara ed Enrico, dà un nome a questa presunta alternativa: la menzogna dell’alternativa. La nostra società ci ha educato a credere che una donna possa liberamente scegliere se tenere un bimbo o abortire. La legge 194 ha ridotto tutto a un problema di sicurezza medica. Non è così. Quel bambino c’è . Statisticamente non sono le ragazze giovani ad abortire, come siamo portati a credere. La donna che abortisce maggiormente è la donna matura, in una relazione stabile che uccide il terzo figlio. Quel bambino c’è, dicevo. Credere di poter cancellare questa realtà con l’aborto è una menzogna che distrugge tante donne. Padre Vito scrive:

Questa menzogna ti fa credere che uccidendo tuo figlio sarai felice. Ma non è vero, quel figlio esiste, esisterà sempre e se ti comprerai la casa con i soldi che hai risparmiato del fatto che hai ammazzato tuo figlio, quella casa puzzerà di sangue, non esiste quella casa, è maledetta quella casa.

Non esiste una scelta possibile. Non esiste nessun diritto alla scelta. C’è la cosa giusta da fare. Non si dovrebbe caricare sulle spalle della donna questo peso insostenibile. Non è un diritto poter scegliere di uccidire il proprio bambino, ma può essere solo l’inizio della fine. In quel momento non muore solo il bambino, ma si rompe anche qualcosa nel cuore della mamma. La madre si condanna a un dolore che si porterà dentro tutta la vita.

Chiara Corbella smaschera questa menzogna dicendo una frase semplice, ma lapidaria. La dice dopo la nascita della figlia Maria. Maria vissuta solo mezz’ora. Chiara dice:

Se avessi abortito, non penso che avrei ricordato quel giorno come giorno di festa. Invece ricordo la gioia di quel giorno quando è nata

Chiara ha detto tutto. La legge 194 ci consente di scegliere. Sia chiaro, però, che esiste una scelta giusta e una sbagliata.

Antonio e Luisa

 

Tutto quello che non sapete sulla “pillola dei 5 giorni dopo”

pubblicato su La Croce Quotidiano il 29/3/2017 e sul sito www.montedivenere.org  

scritto da Maria Dolores Agostini (moglie e mamma e insegnante di metodo Billings)

 

Pillola e aborto sono due termini che solitamente vengono separati. Invece io li unisco, li metto vicini vicini.

Avete diritto ad una spiegazione: tendenzialmente la classica pillola estro-progestinica viene considerata un contraccettivo ma, ve la butto là così, la verità nuda e cruda, Di Pietro e Minacori dai loro studi approfonditi hanno dedotto che si verificano 1,55 fecondazioni ogni 200 cicli di assunzione della pillola e questi embrioni vengono, di solito, eliminati senza che la donna ne sappia nulla.

Ma andiamo per ordine, la classica pillolina, quella che ci propinano travestita d’innocenza, assunta quotidianamente, agisce su più livelli: uno, blocca l’ovulazione; due, modifica la motilità tubarica; tre, atrofizza l’endometrio; quattro, modifica le caratteristiche del muco cervicale.

Voglio parlare a tutti, anche a chi è inesperto, così vi dico semplicemente che quando la pillola provoca il blocco dell’ovulazione allora si comporterà da contraccettivo, e così pure quando, modificando il muco, si impedisce la risalita degli spermatozoi all’interno del corpo della donna e la capacitazione degli stessi; sempre di contraccezione si parla se la pillola agisce rallentando la discesa dell’ovulo che quindi non verrà raggiunto dagli spermatozoi ma… se ad esempio il movimento della tuba viene accelerato, allora la fecondazione avviene e l’embrione, che solitamente necessita di circa cinque giorni per raggiungere l’utero dove annidarsi, arriva troppo presto in utero e viene quindi espulso perché l’utero non è recettivo, non è pronto. Piccola parentesi: proprio per questo meccanismo di non recettività dell’utero in anticipo, è quello che rende scadente la fecondazione artificiale, in cui si immette l’embrione in utero dopo 72 ore, altrimenti in vitro crescerebbe troppo e, non tenendo conto dell’implantation window, attecchisce in un 20% dei casi per errore.

Ma torniamo a noi, c’è un ultimo livello da analizzare, il discorso atrofizzazione dell’endometrio: altro meccanismo abortivo della classica pillola: se avviene una fecondazione imprevista visto che il corpo non è una macchina e visto che essendo ognuno diverso dall’altro quello che funziona per te potrebbe essere imperfetto per me, niente paura il piccolo embrione che arriverà in utero al quinto giorno, tempo giusto giusto per attecchire in utero, non lo farà e verrà abortito perché il nutrimento costituito dall’endometrio è, come dire, “secco”, senza che la mamma sappia di essere “mamma”, seppur per poco, circa una settimana. Giudicate dunque voi: l’effetto non è solo contracettivo, bensì intercettivo e abortivo. Procediamo nell’analisi pillola-aborto: la minipillola, solo progestinica, ha un effetto abortivo ancora più marcato.

Quindi la letteratura scientifica sull’azione dei contraccettivi ormonali è incentrata sugli effetti collaterali, sulla valutazione dell’inibizione dell’ovulazione e sull’incidenza di gravidanze, quando sarebbe opportuno la valutare i marcatori precoci della gravidanza.

In altre parole la notizia bomba che annunciavo in apertura è che una donna che utilizza la pillola estroprogestinica, deve aspettarsi di distruggere un embrione ogni 10 anni d’uso!

Veniamo alla così (mal) denominata contraccezione di emergenza, “mal” perché trae in inganno: qui non siamo quasi mai di fronte a meccanismi di natura contraccettiva, quanto preminentemente di tipo abortivo. Guardandoci indietro vediamo questo: prima della legge, si davano 4,5 pillole classiche al giorno, per 4 giorni e si otteneva l’effetto che oggi abbiamo con una pillola del giorno dopo, che si trova in commercio ora: quindi oggi è come prendere 400 pillole di 20 anni fa! Per non parlare del fatto che le giovani poco informate andavano dalla guardia medica il sabato sera a farsela prescrivere e poi magari ci riandavano anche il mercoledì successivo, tanto la guardia medica di turno era un’altra. Così si rovinano le ragazze, a suon di botte ormonali.

La pillola dei cinque giorni dopo che vogliono svenderci come contraccettivo, contiene la stessa molecola della RU486 in diverso dosaggio, compete con il progesterone che invece lotta per portare avanti la gravidanza. La Brache ha fatto un articolo contraddittorio: se si assume in un certo particolare momento del ciclo, può spostare l’ovulazione, rimandare lo scoppio del follicolo e la fuoriuscita dell’ovulo che quindi teoricamente potrà evitare la fecondazione giocando sul tempo di sopravvivenza degli spermatozoi.

Altrimenti ferma lo sviluppo dell’endometrio e siamo da capo a piedi. Gli studi fatti, se si va a leggere tra le righe, senza fermarsi alle belle ridondanti percentuali dell’abstract, sono pochi, pochissimi, solo su 35 donne! Azzeccare il minuto giusto in cui il meccanismo d’azione sarebbe contraccettivo credo che sia così improbabile da rendere meno inopportuno sperare di andare tutti sulla luna per un caffè a capodanno 2018.

Quindi care signore che intendete prendere la pillola dei cinque giorni dopo o vi rassegnate ad abortire seduta stante, o decidete di avere un rapporto completo non protetto proprio mentre siete attaccate alle macchine del monitoraggio per indovinare il momento perfetto per prendere la pillola dei 5 giorni dopo con effetto contraccettivo, o pensate di passare alla RU486 tanto siamo là, ma attente a non farvi infinocchiare: perché insomma qua si “gioca” a mirare chi deve morire, e il clostridium sordelli, se non lo sapete è un batterio che uccide chi la assume, ne sanno qualcosa le donne nei paesi in cui i morti non vengono censiti.

Caro Saviano…cercati un cuore.

L’aborto non è omicidio. Abortire è un diritto spesso negato in Italia e alcune forze politiche si pongono il problema di garantirlo.
La direzione di strutture sanitarie, di dipartimenti o la presiedenza di policlinici sono ruoli incompatibili con l’obiezione di coscienza. Altrove in Europa, gli obiettori non possono essere ginecologi, ma dentisti, cardiologi, ortopedici.
Eppure, quello che mi colpisce ogni volta che affronto sui social questo argomento, è la violenza dei tanti che non comprendono che l’aborto è un diritto acquisito da difendere a tutti i costi. Non si è obbligati a praticarlo, non è un incentivo a concepire per poi pentirsene. Vi invito a studiare cosa accade in Brasile, alle morti dovute agli aborti clandestini, dal momento che è illegale se non in casi rari e difficili da dimostrare.
E la mia speranza è che in questo luogo si possa ragionare insieme, andare oltre le proprie personalissime convinzioni per provare a capire cosa sia più giusto per tutti.
E infine quello scarto, quella crescita individuale, che poi diventa collettiva, nel mette da parte non ciò che pensiamo e in cui crediamo, ma le nostre esperienze personali (“se accadesse a me…”, “io non permetterei che…”) a vantaggio di ciò che ci rende davvero consapevoli.

(Roberto Saviano)

Caro Saviano…hai mai visto il risultato di un aborto?

Hai mai visto le immagini di quella poltiglia di braccia spezzate piedi tagliati piccole teste schiacciate ?

O giri la testa quando ti capitano certe immagini perché tanto non sono cose che ti riguardano?

E allora partiamo da quella poltiglia e parliamo di aborto. Ci sono medici obiettori, e alcuni di loro, un tempo, sono stati medici abortisti, medici che hanno odiato tutta la vita il ritrovarsi tra le mani quella poltiglia di membra umane, ci sono infermieri che hanno pianto ogni giorno mentre gettavano nei rifiuti quello che restava di quei bambini. E ci sono donne che si sono disperate, annientate, pentite tutta la vita di quel maledetto giorno nel quale, per convinzione di altri, per ideali vuoti, per mancanza di coraggio hanno ucciso i propri figli.

L’aborto non è un problema politico, l’aborto è un problema di cuore. E un cuore o ce l’hai o non ce l’hai. E le mamme un cuore ce l’hanno sempre, e se non l’hanno avuto prima lo hanno ritrovato il giorno dell’aborto del proprio figlio.

Ti parlo da ragazza madre, piccola, abbandonata, che ha accolto una figlia stupenda che ogni giorno parla, cammina, corre e sorride ed è la luce della mia vita e di tutti quelli che la incontrano.

Oggi sono un’operatrice volontaria del CAV, i Centri Aiuto alla Vita, e spesso sono negli ospedali la mattina presto a parlare con le donne, disperate, che aspettano l’appuntamento per abortire. E ti posso dire che ho visto solo lacrime, dolore e disperazione, e tanti motivi e tante ragioni suggerite da altri.

L’aborto non paga mai, sicuramente non paga la donna, né il bambino e mi sconvolge che un uomo come te possa parlare di questo. Esistono famiglie che non aiutano, esistono uomini che scappano, esiste una società che condanna.
Ma esistono i Centri aiuti alla Vita che aiutano la donna, durante tutta la gravidanza con sostegno economico e morale, poi fino al compimento dei due anni del bambino, esistono incentivi statali per le nascite, esistono incentivi comunali che aiutano le ragazze madri.

Esiste tanto, e poi esistono le persone senza un cuore che, come te, che parlano e giudicano e convincono le persone che ridurre in poltiglia un bambino è giusto.

Magari cercalo in questa poltiglia un cuore…..ti farà bene.

B.

fonte http://www.stelledivita.org/2017/01/11/caro-saviano-cercati-un-cuore1/

Scegliere la vita!

Oggi condivido un post che ho letto su facebook. Mi ha molto colpito. Ringrazio Valentina (l’autrice) che mi ha permesso di pubblicarlo.

Ci ho messo 8 mesi per decidermi a scrivere questo post. A dire il vero non so nemmeno da dove cominciare…. ah, forse si!
Il 14 giugno del 2015 alle 6 di mattina scopro di essere in dolce attesa, e da quel giorno la mia vita è cambiata per sempre! Una gravidanza meravigliosa, niente nausee, niente complicazioni. Il 5 ottobre 2015 prendo appuntamento in una nota clinica romana per fare la morfologica. Mentre mi visitano per esattamente 6 volte in una mattinata, mi dicono di tornare il 12, perché le misure della bambina sono state prese tutte ma quella dietro al cervelletto non si riesce a prendere perché la bambina non è in posizione. Torno il 12 e di nuovo la stessa storia. La bambina non è in posizione e mi visitano 5 volte finché non mi richiamano per farmi visitare dal padrone della struttura, il top del top. In un nano secondo mette l’ecografo sulla mia pancia e mi dice “signora c’è un problemino”. Da li a sentirmi morire è stato un secondo. Ci fanno mettere seduti e ci spiegano che la mia bambina è affetta da Dandy Walker Variant. Una malformazione (un caso su 100.000), che fa vivere il bambino si e no fino al sesto anno di età. Poi aggiungono di esserne assolutamente certi e di non proseguire con gli accertamenti perché essendo al sesto mese avevo solo una settimana di tempo per decidere di interrompere la gravidanza e il massimo che potevamo fare era un’amniocentesi li da loro (che costa solamente più di 2000 euro). Ci mandano a parlare con il genetista che con molta delicatezza dice “se decidete di interrompere, diteci in che struttura perché se fate un’eventuale autopsia noi ci studiamo”. Usciamo da li che non capiamo più nulla. Chiamo la mia dottoressa e mi dice che sono bravi si, ma non invincibili. E scopro che l’amniocentesi non vede quel tipo di malformazione. E da li a 2 giorni mi ritrovo a prendere appuntamento in una clinica privata per fare una risonanza magnetica fetale con la dottoressa che ci ha ridato la vita. Mia figlia non aveva quello che avevano detto. Aveva solamente il verme cerebellare ruotato ma, non era detto che in quelle settimane non sarebbe tornato apposto. E dopo 4 morfologiche, e 2 risonanze magnetiche fetali, il 24 febbraio del 2016, con un parto meraviglioso è nata la mia gioia. Subito è stata fatta un’ecografia al cervelletto e la mia Greta è sana, bella e cresce meravigliosamente.
Vi chiedete il perché ho voluto raccontare l’esperienza più brutta della mia vita? Per dare una speranza a quelle mamme che credono in una struttura perché rinomata e decidono di interrompere una gravidanza. Solo perché a questo mondo interessano solo i soldi e non la vita di una creatura. Lo so, è dura, ma affidatevi a Dio… non smettete di credere e andate fino in fondo. Se io non avessi avuto mio marito accanto, le nostre famiglie, la mia santa dottoressa e soprattutto la mia fede, ora forse sarei stata una donna distrutta dal dolore. Ma sono qui, ricca come nessun altro, a guardare mia figlia mentre dorme!

Se volete potete condividere la mia storia, affinché arrivi a qualche donna che purtroppo sta vivendo quello che ho vissuto io.
Forza Mamme!

Valentina.

Spero vi abbia toccato come ha toccato me. Scegliere la vita è sempre la scelta giusta.

Antonio e Luisa