La comunione è un traguardo da raggiungere

Il matrimonio, questa sacra unione che ci invita a maturare e crescere nell’amore, è davvero una relazione privilegiata. È un’opportunità unica per scoprire la nostra vera vocazione e per diventare una comunione d’amore. Tuttavia, dobbiamo comprendere che non è sufficiente essere generosi con il nostro coniuge, offrendo tempo, azioni e doni. Non è solo una questione di unilaterale apertura verso di lei o verso di lui. Per provare una vera intimità, è necessario essere completamente aperti e vulnerabili. Solo così si creerà una vera comunione. Quando il dono si trasforma in comunione, il rischio di creare una relazione che porta l’altro a dipendere da noi o a essere subordinato sparisce. Non vogliamo che il nostro partner si senta come un tappetino, che teme di perdere il nostro sostegno. Non vogliamo alimentare la nostra vanità, l’egoismo o il desiderio di possesso, perché queste non sono manifestazioni d’amore autentico. Scegliere di vivere l’amore con piena consapevolezza richiede coraggio e impegno, ma è solo attraverso questa apertura profonda che potremo comprendere appieno la bellezza e la potenza dell’amore coniugale. Che sia la reciproca donazione, il reciproco supporto o la condivisione delle gioie e delle fatiche della vita, tutto ciò contribuirà a radicare il nostro amore e farlo crescere sempre di più. E così il matrimonio diventerà il luogo in cui la nostra anima può fiorire e il nostro amore può raggiungere livelli di profondità e gioia che mai avremmo immaginato.

La comunione è un traguardo da raggiungere, un obiettivo da perseguire con determinazione e impegno costante. Questo traguardo implica la creazione di una relazione profonda e significativa, basata sulla parità e sulla reciprocità. Significa essere pronti ad ammettere di avere bisogno dell’altro, di donarsi e riceversi a vicenda. Inoltre, la comunione implica anche la capacità di riconoscere e accettare le proprie ferite e fragilità, di abbracciare la propria povertà. È un atto di umiltà e di consapevolezza che ci rende più umani, più vicini agli altri e a noi stessi. Entrare in comunione richiede di abbattere le barriere emotive e le maschere che indossiamo, anche quelle della generosità che possono limitare la nostra autenticità. Significa mostrarsi così come siamo, senza filtri o artifici, accogliendo e accettando noi stessi e gli altri nella loro interezza. Per me, la consapevolezza di queste verità non è stata immediata. Mi ci sono voluti anni per imparare, per superare i blocchi emotivi e rompere i legami che mi tenevano prigioniero. Ma oggi posso dire che è meraviglioso, tutto va sempre meglio. Ho conquistato una libertà nel modo di amare, di accogliere, di ricevere, di donare e di incontrare la mia sposa, che non credevo di poter raggiungere. La comunione si traduce in un’apertura sincera del cuore, senza paura di essere giudicati, con la volontà di essere veramente uniti a livello profondo. È un’esperienza che richiama alla mente anche la comunione che viviamo con Cristo nell’Eucaristia. Jean Vanier scrive nel suo libro “Lettera della tenerezza di Dio“:

Entrare in comunione è riconoscere che si ha bisogno dell’altro, come Gesù, stanco, che chiede alla samaritana di dargli da bere. Gesù non le chiede di cambiare, le dice semplicemente che ha bisogno di lei, la incontra in profondità, entra in comunione con lei, entra in una relazione dove si dà e si riceve, dove ci si ferma e si ascolta. È più facile dare che fermarsi, soprattutto quando si è angosciati. […] È richiesto l’essenziale: il cuore. La via discendente è la via della risurrezione ma è molto pericolosa perché ci fa perdere qualcosa. Implica anche di scendere dentro di noi stessi ed è ancora più difficile scoprire le proprie ferite e le proprie fragilità. La via discendente ci fa scoprire progressivamente, vivendo con il povero, la nostra povertà, questo mondo di angoscia che abbiamo dentro, la nostra durezza, la nostra capacità di fare anche del male. Io stesso ho sperimentato davanti a certe persone quest’ondata di potenze violente, nascoste nel più profondo di me ma molto presenti. Davanti all’intollerabile mi sono sentito capace di far male, di ferire il povero. So bene che c’è un lupo alla porta della mia ferita e che può risvegliarsi. (…) Questa via discendente allora è dolorosa, ma è la via della salvezza e della guarigione profonda.

Questa è la via della salvezza. Solo entrando in comunione con l’altro, le sue fragilità non saranno motivo di distruzione della relazione, non faranno risvegliare il lupo che è alla porta della mia miseria. Entrando in comunione, le nostre fragilità riconosciute e accettate divengono luogo di incontro profondo e via di guarigione e salvezza.

Antonio e Luisa

Nel nostro nuovo libro affrontiamo questo tema e tanto altro. Potete visionare ed eventualmente acquistare il libro su Amazon o direttamente da noi qui.

Stare con il tuo sposo, stare con Gesù!

Con il passaggio delle reliquie di Carlo Acutis in parrocchia abbiamo avuto modo di conoscere di più la sua vita, il suo vissuto.

Sono tante le cose che ci hanno colpito, ma una più di tutte ha suscitato in noi stupore e bellezza: il suo stare con Gesù, il suo stare davanti all’Eucarestia come solo un ragazzino adolescente sa fare.

Quella sera anche noi siamo stati in adorazione con Carlo davanti al Santissimo. Come ogni volta, è stato un momento di intimità speciale. Nel rientrare a casa quella sera però, ci siamo accorti di quanto ci mancano momenti in cui assaporare quella relazione con Gesù, di quanta bellezza ci sia in quello stare di fronte a Lui. È stato e dev’essere un po’ come quando accogli in casa un amico che non vedi da tempo, uno stare che ridona gusto. È come quello stare con tuo marito una sera voi due, che da quando vivi insieme e hai dei figli è un tempo che ti sfugge e che non hai più tanto spesso. Quello stare che ti spinge a dire: “Che bello! Vediamoci ancora domani”. Un po’ come è successo a Pietro, Giacomo e Giovanni quando sul monte con Gesù, non vogliono più scendere. (Mc 9,2-8). È troppo bello stare lì, è troppo bello stare con le persone che ami.

E tu con Gesù, Riesci a percepire questa bellezza ? Riesci ad assaporare questo tuo stare con Lui?

Quanto manca spesso la relazione a “tu per tu”con Lui, una relazione profonda da amico, intima, da sposo. Quanto ci manca quel tempo di intimità per dialogare con Lui. Carlo, -raccontava l’allora cappellano dell’ospedale di Monza – parlava a Gesù delle sue giornate, come fa un ragazzino con il suo papà. In modo semplice e naturale. Che bellezza! È in questo tipo di relazione che rimane il gusto buono dell’intimità con Lui. Saper stare con Gesù e parlargli in semplicità del nostro ordinario. Carlo non ha fatto altro che dialogare con Gesù nel modo in cui era capace in quel momento della sua vita. Quanto ci insegnano i più piccoli. Ci insegnano la semplicità, la genuità dello stare con chi si ama. Spesso cadiamo nelle logiche complesse dell’età adulta, crediamo di non aver niente da dirGli o al contrario cominciamo a fare discorsoni manco fossimo Aristotele e lo bombardiamo di domande e richieste infinite. Che bello invece inginocchiarsi di fronte ad un papà, di fronte ad una mamma, di fronte al proprio sposo, alla propria sposa, e parlargli semplicemente condividendo e comunicando l’amore ordinario che viviamo.

Stare davanti all’Eucarestia è bellezza per il cuore. È parlare del nostro vivere l’amore giornaliero con Lui, Amore Totale!

Ma Come fare a stare con Lui per così tanto tempo, magari ogni giorno?

Il lavoro, la casa, gli impegni, la cura verso il nostro sposo, la famiglia, i figli, dove incastro Gesù nel mio vivere? Nella società di oggi dove tutto corre veloce, e sembra di essere sempre saturi di tanto e di troppo, è difficile. Verrebbe da scriverlo in agenda “STARE CON GESU’”, per fissare con Lui un appuntamento; ovviamente se troviamo spazio, sennò sarà per un’altra volta. Quanto sarebbe invece bello e genuino non scrivere nulla in agenda, e tenerci uno spazio libero, bianco per lasciare che nel riposo trovi spazio l’Amore.

Da sposi, non è sempre facile però trovare questi momenti silenziosi e fermare il tempo. Ma forse il bello sta proprio qui: non possiamo non guardare al nostro vivere l’amore per il nostro sposo, per la nostra famiglia e non accorgerci che in ogni cosa che facciamo, in ogni attività o gesto di cura, lasciamo un’impronta indelebile d’amore. Anche quando ci sembra di compiere il gesto più piccolo e insignificante, stiamo invece mostrando Gesù sposo, Gesù che si fa padre, madre, misericordioso, Gesù che si prende cura, che ci accompagna, che fa festa per noi…

La relazione con Gesù la coltivo, la vivo ogni giorno celebrando i gesti d’amore che la mia vocazione mi chiama a vivere. Così tutto diventa sicuramente più bello e ha un senso!

Ci sono momenti però che tutto questo sembra non bastare.. . E qui veniamo forse al passo in più, all’andare oltre questi primi spunti, al centro del nostro articolo… e Carlo ci ha aiutati a riscoprire ancora una volta qual’è la relazione intima che salva.

Non fermiamoci a un gesto d’amore. Pretendiamo di più ancora.

Il nostro stare con la persona che si ama ci insegna che amare è anche quello stare a contatto, quel baciarsi, toccarsi, abbracciarsi che se è fondamentale in un amore sponsale, dev’essere fondamentale anche nel rapporto con Gesù. Questo rapporto è il centro di tutte le vocazioni.

A volte non basta vivere dei gesti d’amore quale preparare tutti i giorni il pranzo per il marito, o portare la moglie fuori a cena, o regalarle dei fiori, gesti bellissimi dove c’è amore, dove incontri l’Amore. Ma tuo marito, alla sera, lo vuoi anche abbracciare, toccare, salutare con un bacio. È un contatto che ti fa stare bene, che traduce in concretezza l’Amore sponsale. D’altronde qual’è il gesto più alto di Amore per gli sposi? Non risiede forse nel rapporto intimo, sessuale?

Lo stesso è con Gesù, puoi vivere tanti gesti d’amore ma lo vorrai poi Abbracciare, Accogliere, sentire la sua carne viva su di te, stare in intimità con Lui?

Ecco l’adorazione Eucaristica, ecco la sua presenza fisica, ecco quel contatto di cui ci nutriamo e di cui dobbiamo aver bisogno. Un contatto fisico, un contatto visivo, una presenza che ci invade.

Per riassumere, un po’ come per il mio sposo, del quale ho bisogno di perdermi fa le sue braccia e nutrirmi di quel contatto fisico che mi dona pace, mi rassicura, mi fa sentire protetta, accolta, desiderata, così anche con Gesù, ho bisogno di tornare a quel contatto e perdermi in un suo abbraccio. Perdermi in un incontro come la Comunione Eucaristica, come l’adorazione, che è esplosione di Luce, percezione di santità.

Quando ti comunichi a volte sembra di non avere le parole. Voglio parlargli e lo faccio a mio modo, ma mi rendo conto che quelle parole non bastano, e allora resto lì, semplicemente lì, davanti a Lui ad assaporare la sua presenza di cui in quel momento i miei sensi si nutrono.

Che cosa rende così speciale quel rapporto intimo con Gesù?

Concludiamo con un ultimo spunto:

Gesù è Unione sempre!

Stare davanti a Gesù eucarestia ti restituisce una viva percezione di quanto Lui non ti lasci mai solo. E lo faccia mettendoti in intima unione anche con le persone che oggi non sono presenti fisicamente accanto a te. Ti accorgi così di come Lui sia il collante, sia Unione e in quel momento li rende presenti accanto a me, accanto a te, come in un abbraccio. Rende presenti i nostri figli saliti al cielo, la mamma, i nonni Santi Angeli custodi, e gli stessi cari Santi che pur non avendo conosciuto di persona sono entrati a far parte delle nostre amicizie del Cielo, proprio come Carlo Acutis, che è venuto come un amico e ci ha portato questi nuovi spunti di bellezza.

Per altre info su come stare davanti all’Eucarestia, chiedete a lui, maestro a 15 anni di Adorazione! Che bellezza!

Dagli spunti-appunti di Anna

Anna e Ste

Cercatori di bellezza


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Mio marito mi fa sentire usata.

Alcune settimane fa abbiamo letto un commento sotto un nostro articolo pubblicato su facebook. Ce lo siamo appuntato perchè crediamo che sia un problema sommerso che riguarda molte coppie. La domanda, formulata da una donna sposata, era esattamente questa:

In una coppia, se il marito lascia vincere l’istinto e finisce per usare la moglie, e di conseguenza la fa sentire usata, cosa si deve fare? Se non c’è il desiderio di entrambi ma solo l’istinto di uno, mi chiedo se devo usare misericordia.

Non abbiamo risposto subito a questa domanda. Non è facile rispondere quando abbiamo di fronte una persona che ci racconta la sua sofferenza, figuriamoci in un articolo dove forzatamente bisogna dare una risposta molto generale e generica. Si rischia così di renderla anche una risposta superficiale, perchè sappiamo tutti che ogni coppia ha una sua unicità e complessità.

Alla fine abbiamo comunque deciso di rispondere pubblicamente, attraverso un articolo, perchè sappiamo che queste sono domande che spesso le persone si tengono dentro e sappiamo anche che queste dinamiche malate nei rapporti di coppia possono dare tanta sofferenza. Crediamo che per una donna sentirsi usata e non amata dal proprio uomo sia una delle sensazioni più umilianti e che fanno più male. Daremo dei consigli che crediamo vadano bene per tutti. Sono, crediamo, aspetti necessari in ogni relazione sponsale.

Spesso l’uomo non è educato ad amare. Cosa vogliamo dire? Spesso l’uomo usa la moglie, ma non in modo consapevole. Crede sinceramente di amarla. In realtà l’uomo è diverso dalla donna anche in questo. L’uomo fatica a curare la relazione. Fatica a corteggiare la sua sposa durante la giornata. Si dimentica di tante cose, preso com’è dal lavoro o da altri interessi e incombenze. L’uomo vuole bene alla sua sposa e crede non serva continuare a mostrarlo. Se ne ricorda, guarda caso, quando desidera avere intimità con lei. Per l’uomo questa è la normalità. Per la donna è invece inconcepibile. Voi direte: sì ma da fidanzato e nei primi tempi di matrimonio non era così. E’ vero. C’era però quella fase dell’innamoramento che assolutizzava la relazione come la parte più importante della vita e gli impegni e le responsabilità erano indubbiamente minori. Non c’erano figli ad esempio. Cosa fare in questo caso? Dialogare tanto! Far capire a vostro marito come voi abbiate bisogno di sentirvi ancora al centro del suo amore attraverso gesti concreti. Piccoli gesti che piacciono a voi. Può essere la passeggiata da soli, un abbraccio la mattina, una telefonata, un piccolo regalo di tanto in tanto. Anche vostro marito, quando si accorgerà che fare l’amore diventerà più bello e coinvolgente anche per lui, sarà incentivato a corteggiarvi sempre di più e sempre meglio.

Attenzione alla pornografia. Guardando la pornografia avviene una trasformazione dell’approccio alla sessualità che è molto evidente. Il sesso diventa qualcosa che si può avere in qualsiasi momento e in qualsiasi modo, senza bisogno di relazione. E’ come far ginnastica. Qualcosa di piacevole da fare lì per lì e poi venirne fuori. Qualcosa da consumare. Si dice, non a caso, consumare pornografia. Qualcosa che provoca una tensione, una agitazione, che deve essere consumata nel più breve tempo possibile. Quello è ciò che conta. Non la relazione, non la tenerezza, non l’amore. Questo non accade solo tra i giovani, ma anche tra coppie mature, già formate da tempo. Coppie che hanno nel cuore il desiderio di avere una sessualità normale e bella. Questo però non accade. Nella sessualità non si può mentire. E’ dove il corpo si incontra con il cuore. Se la persona che hai di fronte la vedi come oggetto, si capisce da come la tratti.

Parlate con lui. Il rapporto fisico riguarda entrambi. E’ un argomento di cui parlare con l’altro/a. Dire cosa piace e cosa non piace del comportamento dell’altro/a. Dire cosa si desidera, cosa vorremmo che l’altro/a facesse o evitasse di fare. Il rapporto fisico non è il prodotto di tecniche da applicare. Non è qualcosa che si impara e che va bene per tutti. Il rapporto fisico è per l’appunto un rapporto cioè una relazione, dove attraverso il corpo si vive un’esperienza di comunione che investe tutta la persona fin nella parte più intima che è l’anima. Per questo è importante parlarne e far capire a vostro marito che se non cambia atteggiamento rischia di accontentarsi delle briciole di piacere, di un piacere che si ferma al corpo perchè non riesce ad entrare in vera comunione con voi. La bellezza dell’intimità è data dalla qualità della nostra unione e più saremo uniti e più sarà fonte di gioia e piacere. La novità non è data dal gesto, ma dall’amore che lo caratterizza e che gli dona significato e potenza. Più cresceremo in intimità ed unione nella nostra vita di coppia e nella nostra relazione sponsale e più la nostra unione fisica sarà ricca di gioia e piacere. Perchè in quell’amplesso non ci metteremo solo il nostro corpo ma tutto di noi, tutti i gesti di tenerezza che ci siamo scambiati, tutto i gesti di servizio che ci siamo donati, tutti gli sguardi e le parole di incoraggiamento. Tutti i perdoni e la misericordia che abbiamo ricevuto l’un l’altra. Capite bene come vivere l’amplesso in questo modo sia tutto un’altra cosa.

E se lui ancora non capisce? Se non vuole mettersi in discussione? E’ giusto accontentarlo così? Anche se vi sentite usate? Anche se per voi non è un momento bello ma qualcosa da sopportare? Torniamo quindi alla domanda iniziale ed io e Luisa proveremo a darvi una risposta. Verrebbe naturale dire di no. Non vi diciamo però nè sì nè no. Una risposta secca è possibile solo in un accompagnamento dove, conoscendo la situazione, si può anche consigliare un atteggiamento da seguire. Ci sentiamo di dire solo questo: se vi sentite come la sposa che ci ha scritto non sottovalutate la situazione. Vivere la sessualità in questo modo malato vi allontanerà sempre più da vostro marito e presto o tardi non sarà più un’eventualità ma una certezza. Non avrete più desiderio di fare l’amore con lui. Il deserto sessuale è alle porte e con esso tutta la vostra relazione sarà più povera ed incompleta.

Antonio e Luisa

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Le lettere dell’amore. La C.

Con la lettera C potrei scrivere tantissime riflessioni. Ci sono moltissime parole chiave. Comunione, castità, carezze, comunità, compassione, condivisione, complicità e tante altre. Molte di queste le ho già trattate in altre riflessioni. Oggi mi soffermo sulla comunione.  Comunione perchè spesso è una parola sottovalutata nella coppia e incompresa nel suo reale significato. Comunione: non è semplice generosità.

Il matrimonio è una relazione privilegiata per maturare e crescere nella nostra chiamata all’amore. E’ la nostra vocazione. Dobbiamo essere capaci di diventare una comunione d’amore. Cosa significa? Voglio dire che non basta che io sia generoso con la mia sposa. Per quello è sufficiente il mio tempo, il mio fare, il mio dare. Non mi richiede un’apertura totale all’altro/a. E’ sempre qualcosa di unidirezionale. Qualcosa che non implica una mia apertura completa, un mio essere disarmato ed inerme. No, è qualcosa che al contrario può rendere l’altro/a dipendente e in posizione subordinata nei miei confronti. Il cosiddetto tappetino, che ha paura di perdere il suo sostegno. Qualcosa che nutre la vanagloria, l’ego e il possesso, non è amore. Non a caso questo pericolo coinvolge maggiormente l’uomo. L’uomo è portato a possedere. Ce lo dice il nostro corpo, come siamo fatti. La donna è naturalmente propensa ad accogliere, anche nel rapporto fisico. La donna accoglie dentro di sè un’alterità. Molto più impegnativo e coinvolgente l’intera persona e richiede tanta fiducia nell’altro.

La comunione è tutta un’altra cosa. Implica che si instauri una relazione profonda, alla pari. Significa essere pronti ad ammettere di aver bisogno dell’altro, di un donarsi e riceversi vicendevole che entra nelle profondità della nostra umanità. Significa sapersi riconoscere feriti e poveri. Entrare in comunione significa far cadere le barriere e le maschere, compresa quella della generosità, e significa mostrarsi così come si è. Per me non è stata una consapevolezza immediata. Ci sono voluti anni per imparare. Mi è costato l’impegno di superare blocchi e di rompere i legacci. Oggi è però meraviglioso, va sempre meglio. Una libertà di amare, di accogliere, di ricevere, di dare e di incontrare la mia sposa che è pienezza. La comunione è aprire il cuore senza paura di giudizio e con la volontà di essere uno. Non è così, forse, anche la comunione che noi viviamo con Cristo nell’Eucarestia?  Con Gesù c’è solo la mia povertà. Lui è la pienezza, ma la mia predisposizione deve essere la medesima. Jean Vanier scrive nel suo libro “Lettera della tenerezza di Dio”:

Entrare in comunione è riconoscere che si ha bisogno dell’altro, come Gesù, stanco, che chiede alla samaritana di dargli da bere. Gesù non le chiede di cambiare, le dice semplicemente che ha bisogno di lei, la incontra in profondità, entra in comunione con lei, entra in una relazione dove si dà e si riceve, dove ci si ferma e si ascolta. E’ più facile dare che fermarsi, soprattutto quando si è angosciati.

scrive ancora:

E’ richiesto l’essenziale: il cuore. La via discendente è la via della risurrezione ma è molto pericolosa perché ci fa perdere qualcosa. Implica anche di scendere dentro noi stessi ed è ancora più difficile scoprire le proprie ferite e le proprie fragilità. La via discendente ci fa scoprire progressivamente, vivendo con il povero, la nostra povertà, questo mondo di angoscia che abbiamo dentro, la nostra durezza, la nostra capacità di fare anche del male. Io stesso ho sperimentato davanti a certe persone quest’ondata di potenze violente, nascoste nel più profondo di me ma molto presenti. Davanti all’intollerabile mi sono sentito capace di far male, di ferire il povero. So bene che c’è un lupo alla porta della mia ferita e che può risvegliarsi.(…) Questa via discendente allora è dolorosa, ma è la via della salvezza e della guarigione profonda.”

Questa è la via della salvezza. Solo entrando in comunione con l’altro le sue fragilità non saranno motivo di distruzione della relazione, non faranno risvegliare il lupo che è alla porta della mia miseria. Entrando in comunione le nostre fragilità riconosciute e accettate divengono luogo di incontro profondo e via di guarigione e salvezza.

Antonio e Luisa

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L’alfabeto degli sposi. La lettera C.

Con la lettera C potrei scrivere tantissime riflessioni. Ci sono moltissime parole chiave. Comunione, castità, carezze, comunità, compassione, condivisione, complicità e tante altre. Molte di queste le ho già trattate in altre riflessioni. Oggi mi soffermo su due: la comunione e la castità. Comunione perchè spesso è una parola sottovalutata nella coppia e incompresa nel suo reale significato. Castità perchè, seppur ne ho trattato diverse volte, è spesso associata ad una condizione prematrimoniale e a sentimenti negativi di frustrazione e divieto. Nulla di più sbagliato.

Comunione: non è semplice generosità.

Il matrimonio è una relazione privilegiata per maturare e crescere nella nostra chiamata all’amore. E’ la nostra vocazione. Dobbiamo essere capaci di diventare una comunione d’amore. Cosa significa? Voglio dire che non basta che io sia generoso con la mia sposa. Per quello è sufficiente il mio tempo, il mio fare, il mio dare. Non mi richiede un’apertura totale all’altro/a. E’ sempre qualcosa di unidirezionale. Qualcosa che non implica una mia apertura completa, un mio essere disarmato ed inerme. No, è qualcosa che al contrario può rendere l’altro/a dipendente e in posizione subordinata nei miei confronti. Il cosiddetto tappetino, che ha paura di perdere il suo sostegno. Qualcosa che nutre la vanagloria e l’ego e il possesso, non è amore. Non a caso questo pericolo coinvolge maggiormente l’uomo. L’uomo è portato a possedere. Ce lo dice il nostro corpo, come siamo fatti. La donna è naturalmente propensa ad accogliere, anche nel rapporto fisico. La donna accoglie dentro di sè un’alterità. Molto più impegnativo e coinvolgente l’intera persona e richiede tanta fiducia nell’altro.

La comunione è tutta un’altra cosa. Implica che si instauri una relazione profonda, alla pari. Significa essere pronti ad ammettere di aver bisogno dell’altro, di un donarsi e riceversi vicendevole che entra nelle profondità della nostra umanità. Significa sapersi riconoscere feriti e poveri. Entrare in comunione significa far cadere le barriere e le maschere, compresa quella della generosità, e significa mostrarsi così come si è. Per me non è stata una consapevolezza immediata. Ci sono voluti anni per essere capace di farlo fino in fondo. Mi è costato l’impegno di superare blocchi e di rompere i legacci. Oggi è però meraviglioso, va sempre meglio. Una libertà di amare, di accogliere, di ricevere, di dare e di incontrare la mia sposa che è pienezza. La comunione è aprire il cuore senza paura di giudizio e con la volontà di essere uno. Non è così, forse, anche la comunione che noi viviamo con Cristo nell’Eucarestia?  Con Gesù c’è solo la mia povertà. Lui è la pienezza, ma la mia predisposizione deve essere la medesima. Jean Vanier scrive nel suo libro “Lettera della tenerezza di Dio”:

Entrare in comunione è riconoscere che si ha bisogno dell’altro, come Gesù, stanco, che chiede alla samaritana di dargli da bere. Gesù non le chiede di cambiare, le dice semplicemente che ha bisogno di lei, la incontra in profondità, entra in comunione con lei, entra in una relazione dove si dà e si riceve, dove ci si ferma e si ascolta. E’ più facile dare che fermarsi, soprattutto quando si è angosciati.

scrive ancora:

E’ richiesto l’essenziale: il cuore. La via discendente è la via della risurrezione ma è molto pericolosa perché ci fa perdere qualcosa. Implica anche di scendere dentro noi stessi ed è ancora più difficile scoprire le proprie ferite e le proprie fragilità. La via discendente ci fa scoprire progressivamente, vivendo con il povero, la nostra povertà, questo mondo di angoscia che abbiamo dentro, la nostra durezza, la nostra capacità di fare anche del male. Io stesso ho sperimentato davanti a certe persone quest’ondata di potenze violente, nascoste nel più profondo di me ma molto presenti. Davanti all’intollerabile mi sono sentito capace di far male, di ferire il povero. So bene che c’è un lupo alla porta della mia ferita e che può risvegliarsi.(…) Questa via discendente allora è dolorosa, ma è la via della salvezza e della guarigione profonda.”

Questa è la via della salvezza. Solo entrando in comunione con l’altro le sue fragilità non saranno motivo di distruzione della relazione, non faranno risvegliare il lupo che è alla porta della mia miseria. Entrando in comunione le nostre fragilità riconosciute e accettate divengono luogo di incontro profondo e via di guarigione e salvezza.

Nel prossimo articolo approfondiremo la castità.

Antonio e Luisa

 

 

Figli non nostri ma di Dio

Oggi la nostra piccola Maria si è comunicata per la prima volta. E’ la nostra terza figlia che riceve la Prima Comunione ma ogni volta è diverso, ogni volta è più sentito e commovente.

Più il nostro cammino di fede procede e più questi sono momenti forti e di vera Grazia. E’ bellissimo pensare che Gesù ci ha donato la gioia di diventare genitori, di poter crescere delle sue creature per educarle alla vita buona. Oggi abbiamo avvertito forte la consapevolezza che stavamo riconsegnando a Lui, che è via, verità e vita, la nostra bimba, consapevoli che noi da soli non avremmo potuto donare la pienezza della vita alla nostra bambina e che solo mangiando Gesù, nutrendosi del nostro Dio, Maria potrà forse un giorno capire che questa vita è bella e non finisce perché Gesù ha sconfitto la morte e il peccato. Don Claudio durante l’omelia ha approfondito proprio questo. Il Vangelo non è una favola, non è qualcosa che ti rende felice, ti fa stare bene ma poi finisce. Quando Gesù predica a più di 5000 persone e giunge la sera non manda tutti a casa; non finisce tutto. La sera simboleggia la sofferenza e la morte e Gesù non ti lascia solo in quei momenti. Nutrirsi di Gesù significa non morire mai e affrontare le difficoltà e le sofferenze con tanta fatica ma con la certezza che Dio è al tuo fianco e ti ha già salvato.

Ecco quando Maria ha mangiato quella particola consacrata che in modo del tutto misterioso è diventata corpo reale di Cristo, abbiamo capito che Gesù abita potentemente la nostra famiglia e la nostra vita e Io e mia moglie ci siamo presi per mano per condividere quel momento commuovendoci per la grande gioia che entrambi provavamo.

Tutto questo è stato ancora più bello perché vissuto in una comunità parrocchiale costituita da persone magnifiche. Grazie ai sacerdoti, alle catechiste e a tutte le famiglie che hanno condiviso questo momento.

Un grazie particolare a Ruggero e Maria Teresa Badano che durante il nostro pellegrinaggio a Sassello hanno accettato di affidare tutti i nostri bambini a loro figlia, la Beata Chiara Luce Badano.

Antonio e Luisa