Quante volte si è sentita forestiera.

Dal Vangelo di oggi: Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me.

Forse lei si sentiva affamata, affamata di amore, di intimità, di essere compresa e ascoltata. Ogni volta che ho notato questa sua fame e l’ho placata, nutrivo lo spirito di Gesù in lei e in noi.

Forse lei si sentiva assetata, come molti di noi si sentono a volte. Assetata di significato e di una vita piena. Una vita che non sembrasse sprecata. Insieme abbiamo cercato di costruire una famiglia unita, dove si potesse trovare un amore che desse significato e che ci avvicinasse alla sua fonte. Un amore che ci aprisse a Dio. Solo così si può placare la sete.

Quante volte si è sentita forestiera. Incompresa. Quasi parlasse una lingua straniera. Quante volte l’ho vista tornare a casa abbattuta e scoraggiata. Quante volte ho sentito le stesse storie, le stesse lamentele. La tentazione da parte mia è sempre quella di interromperla o di far solo finta di ascoltarla. Tanto dice sempre le stesse cose. Ma lei ha bisogno di dire quelle cose e di essere ascoltata e compresa. Ha bisogno di condividere e di trovare empatia e sostegno. Ha bisogno di sapere che almeno io desidero ascoltarla.

Quando l’ho rivestita? È difficile rispondere a questa domanda. L’ho rivestita di meraviglia. A volte, forse più volte di quanto sperassi, sono riuscito a restituire la sua bellezza, la sua unicità, la sua femminilità attraverso il mio sguardo. Uno sguardo che non si affievolisce con gli anni, ma al contrario diventa più intenso. Uno sguardo pieno di desiderio, gratitudine e appunto meraviglia. L’ho rivestita con il mio sguardo.

Malata e carcerata? Chi non porta con sé ferite e fragilità che rendono difficile instaurare una relazione autentica con gli altri. Ognuno di noi ha i propri pesi e i lacci che imprigionano e impediscono di aprirsi agli altri. Le sofferenze, le esperienze, i pregiudizi e persino il peccato, che fa parte della nostra esistenza, rischiano di ostacolare la possibilità di aprirsi a un amore autentico. Solo in una relazione libera, in cui ci si sente sostenuti dalla persona amata anziché giudicati e puntati sulle proprie debolezze, possiamo sperare di guarire le nostre ferite e spezzare le sbarre della prigione in cui ci siamo rinchiusi.

Solo vivendo la mia relazione in questo modo starò onorando la mia sposa e, attraverso di lei, anche Dio.

Antonio e Luisa

Egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì

In quel tempo, Gesù vide un pubblicano di nome Levi seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi!». Egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì.

Queste profonde righe tratte dal Vangelo della liturgia odierna catturano davvero l’animo. È affascinante notare come Gesù veda oltre le apparenze. Egli non giudica Levi soltanto per il suo ruolo e le sue azioni. Gesù guarda il cuore. Matteo (Levi) era un esattore delle tasse, un individuo disprezzato dalla comunità, considerato un mafioso e un avido sfruttatore, un collaborazionista degli oppressori. Tuttavia, c’è un lato di lui che non possiamo trascurare. Il suo cuore non era ancora interamente corrotto. Forse era tormentato, infelice, eppure non privo di bontà. Pur nascondendo il suo tormento interiore, il suo cuore sanguinava per il male che commetteva. Se non fosse stato così, neppure lo sguardo di Gesù avrebbe potuto toccarlo.

Era una persona triste. Faceva ciò che tutti si aspettavano da lui. Tutti lo consideravano un poco di buono e lui stesso era convinto di esserlo. Il giudizio delle persone può causare tanto male. Gesù si ferma e lo osserva. Lo osserva mentre è immerso nei suoi traffici. Lo osserva in tutta la sua miseria e desolazione in quel momento. Lo osserva mentre sottrae alla gente bisognosa. Lo osserva e vede un miserabile? No, vede una meraviglia. Scruta dentro di lui, come solo lui sa fare, e percepisce quell’inquietudine di un cuore che non si è arreso al male. Lo osserva e vede un uomo alla ricerca, un uomo privo di pace, un uomo infelice, perché nel suo intimo sa che la bellezza della vita è qualcosa di diverso. Sente che la bellezza proviene da un’altra parte, non certo da denaro o beni materiali. Lo osserva e lo chiama.

Matteo aveva davvero bisogno di quello sguardo. Si è visto riflesso negli occhi di Gesù e ha visto ciò che avrebbe potuto diventare. Ha visto il suo potenziale. Non era la persona che stava vivendo. Era una meravigliosa creatura amata dal suo Dio. Forse in Gesù ha riscoperto ciò che sapeva già nel profondo. Seguirlo è stata semplicemente l’ovvia conseguenza. Finalmente si è sentito bello e desiderato. Ha trovato qualcuno che lo guardava con meraviglia. Chiami me? Sei sicuro? Capisci chi sono? Capisci cosa faccio?

Gesù è straordinario per questo. Nel nostro matrimonio può e deve essere così. C’è una forza salvifica che viene dallo sguardo dell’altra persona. Dalla sua fiducia che non cessa mai. Per chi ne ha fatto esperienza sa cosa significa. Ricordo che nel matrimonio l’altro è mediatore tra noi è Dio. Lo sguardo del nostro coniuge  può davvero essere lo sguardo di Dio su di noi. Tutte quelle volte che ho sbagliato, che mi sono comportato male, che non sono stato  capace di mostrare amore, che sono stato egoista. Tutte quelle volte ho trovato lo sguardo della mia sposa che non ha mai smesso di amarmi. Ha sempre continuato a credere in me anche quando mi sentivo povero in canna. Questo suo amore mi ha dato una forza incredibile. Lei aveva due possibilità. Poteva considerarmi come il mondo. Poteva distruggermi con le sue parole e il suo giudizio. Oppure poteva scegliere di prestare i suoi occhi a Gesù. Mi ha guardato con un amore che andava oltre il mio comportamento.

Quello sguardo ha continuato a dirmi So che sei bellissimo. Hai sbagliato, ma so che tu non sei quell’errore. E’ uno sguardo che fa davvero miracoli e che ti provoca il desiderio fortissimo  di essere ciò che l’altro vede in te. Di essere completamente uomo per lei. Di essere completamente donna per lui. Allora fare esperienza di questo amore può davvero cambiare la vita. Può davvero dare una svolta, una conversione. Come disse Papa Benedetto:

Nella figura di Matteo i Vangeli ci propongono un vero e proprio paradosso: chi è apparentemente più lontano dalla santità può diventare persino un modello di accoglienza della misericordia di Dio e lasciarne intravedere i meravigliosi effetti nella propria esistenza.

L’amore della persona che hai accanto può darti la motivazione che ti mancava per diventare finalmente ciò per cui sei stato creato. Una persona capace di dare e accogliere amore. Don Giussani spiegava bene questo concetto con una frase molto semplice, ma illuminante: Sposarsi significa assumere la vocazione dell’altro come propria.

Lo sguardo di Luisa mi ha aiutato a incamminarmi verso la mia vocazione personale all’amore.

Antonio e Luisa

Vivere il lutto insieme a Dio: la storia di una vedova

La morte genera un dolore assordante, soprattutto se a lasciarci è una persona che abbiamo tanto amato. E quando a lasciarci è la persona con cui si è diventati realmente una sola carne?

Anche se crediamo nella Resurrezione, il vuoto resta: è proprio la mancanza che sentiamo a ricordarci quanto bene abbiamo ricevuto. Eppure, da quel pianto, possono nascere fiori bellissimi.

Mi ha raccontato qualcosa di simile una vedova, Elisabetta, che ho avuto il dono di conoscere – seppure solo virtualmente, ancora – perché aveva letto un mio romanzo. Mi ha scritto, mi ha raccontato un po’ di sé, mi ha toccato il cuore.

Aveva perso il marito a causa di un tumore al cervello e in quella prova si è sentita stretta così forte da Dio che un peso opprimente, insopportabile, è diventato sostenibile. Non solo, ha dato frutti di vita. Elisabetta attualmente gestisce una pagina sui social dal titolo Con cuore di vedova, per condividere la sua esperienza e aiutare altri vedovi e vedove a vivere quella particolare condizione.

Ciò che scrive è di ispirazione per tanti e a colpire è la sua fede incrollabile in un Dio che l’ha sostenuta sia nel tempo della malattia del coniuge, sia dopo averlo dovuto salutare.

Non nasconde le lacrime versate e la fatica che ha vissuto: “La morte di Francesco è stata una prova difficilissima da affrontare perché il nostro matrimonio cristiano era davvero come una centrale atomica d’amore. La morte, purtroppo, ne ha intaccato il reattore”.

Sa bene che “perdere il proprio coniuge fa cessare il vincolo coniugale (almeno “sulla carta”, poi quel che accade nei cuori è tutto un altro paio di maniche) e chi resta da solo deve affrontare una grande crisi d’identità perché si ritrova da solo, senza l’altro della relazione, che fino a un attimo prima era il pilastro sul quale aveva costruito la famiglia”.

Dio, però, non l’ha abbandonata, anzi, riconosce che le ha dato “la grazia di accogliere la malattia di Francesco”. Non l’avrebbe mai voluta né immaginata, ma “una volta diagnosticata ho ricevuto dall’alto la forza di andare avanti. L’ho semplicemente accettata come avrebbe fatto Maria”. E aggiunge: “Dio mi ha dato tanto negli anni e ora sto imparando a restituire”.

Se le si chiede: “Dio è buono?”, lei risponde prontamente di sì. “Non ho mai dubitato della bontà di Dio e so che è una grazia. Nel mio animo Dio risuona come il Dio della vita, della speranza. Dio non è Dio dei morti, ma dei viventi: perché tutti vivono per lui.” (Lc 20, 40).

Riconosce che questa fede non è “merito” suo, non è il frutto di uno sforzo, ma un “dono”.

Se le si chiede come sopravvivere alla morte del coniuge, lei spiega che quel passaggio è senza dubbio uno “spartiacque”: sia che arrivi presto, a metà della vita coniugale (come nel suo caso) o avanti negli anni, segna sempre una frattura. C’è un prima e un dopo. E qualcosa si rompe dentro.

Fa notare: “Gli studi psicologici sulla vedovanza affermano che questa è la prima causa di stress in assoluto. Restare vedove è un trauma enorme che può durare anche a lungo nel tempo, dipende da diversi fattori: se la morte è stata improvvisa o no, da come ognuna elabora il lutto e dalle risorse che si hanno a disposizione”.

Proprio sapendo quale immensa prova possa essere la vedovanza per tante altre persone, ha deciso di creare la sua pagina “Con cuore di vedova” e ciò che ha capito, dialogando con altri coniugi rimasti soli, è che c’è Qualcuno che di gran lunga può fare la differenza in questa condizione ed è, per l’appunto, Gesù.

È Lui che dà la forza per andare avanti, – testimonia – che dà la consolazione e la speranza di ritrovare i nostri cari in Paradiso. L’attesa è faticosa, ma in certi momenti ha un che di gioioso come quando si aspetta qualcosa di importante e ci si prepara nell’attesa”.

Al tempo stesso, mentre attende di abbracciare di nuovo colui che ha amato in vita, lei già ha una forte esperienza di comunione con il coniuge che è in Cielo: “La comunione con il proprio sposo prosegue oltre la morte, su questo non ho dubbi.” Anche se, a livello “canonico” si interrompe il vincolo nuziale e ci si può risposare lei continua a sentirsi legata al marito: “Continuo ad amarlo e sono certa che anche lui, da lassù, fa altrettanto”. È convinta inoltre che le anime “si parlino anche a distanze enormi”.

Elisabetta è consapevole che alle vedove è affidato un compito, che hanno una vocazione chiara e spiega: “Noi vedove diventiamo esperte di relazioni a distanza, veramente si apre un mondo nuovo sconosciuto alla maggior parte delle persone e persino alla predicazione della Chiesa, oserei dire. Mi sono resa conto, infatti, che le vedove cristiane serbano nel loro cuore un’enorme ricchezza in termini di fede nella risurrezione, di carità, di spirito di preghiera”.

Tuttavia, ciò di cui oggi davvero non può fare a meno è la preghiera assidua, la lettura della Parola, di ricevere la comunione: “il momento più intimo e fondante di questa comunione con il proprio sposo resta l’Eucarestia. Lì si tocca con mano il cielo sulla terra e sempre lì, quando il sacerdote eleva l’Ostia Santa, gli angeli fanno festa e le anime sante dei nostri cari vedono il volto splendente di Gesù. È il mistero della comunione dei santi che ognuno di noi può sperimentare quotidianamente nella preghiera”.

Per leggere la storia di Elisabetta nella versione integrale, accanto ad altre testimonianze di lutto vissuto nel Signore, ecco il libro: Vivere il lutto insieme a Dio per ritrovare la pace. Dieci storie vere (Cecilia Galatolo, Mimep Docete).

Cecilia Galatolo

 

Come le onde o no?

Dalla lettera di san Giacomo apostolo (Gc 1, 1-11) Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo, alle dodici tribù che sono nella diaspora, salute. Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la vostra fede, messa alla prova, produce pazienza. E la pazienza completi l’opera sua in voi, perché siate perfetti e integri, senza mancare di nulla. Se qualcuno di voi è privo di sapienza, la domandi a Dio, che dona a tutti con semplicità e senza condizioni, e gli sarà data. La domandi però con fede, senza esitare, perché chi esita somiglia all’onda del mare, mossa e agitata dal vento. Un uomo così non pensi di ricevere qualcosa dal Signore: è un indeciso, instabile in tutte le sue azioni. Il fratello di umile condizione sia fiero di essere innalzato, il ricco, invece, di essere abbassato, perché come fiore d’erba passerà. Si leva il sole col suo ardore e fa seccare l’erba e il suo fiore cade, e la bellezza del suo aspetto svanisce. Così anche il ricco nelle sue imprese appassirà.

Questa lettura che ieri la divina liturgia ci ha proposto è un grande aiuto per preparare il cuore alla ormai imminente Quaresima. E’ un brano che richiederebbe assai più che le nostre povere parole in un articolo, ma cercheremo comunque di aiutare la meditazione sostando per qualche momento su uno tra i tanti passaggi : “La domandi però con fede, senza esitare, perché chi esita somiglia all’onda del mare, mossa e agitata dal vento. Un uomo così non pensi di ricevere qualcosa dal Signore: è un indeciso, instabile in tutte le sue azioni.

In questo brano si nota come diverse virtù e doni divini siano interconnessi tra loro, si parla di perfetta letizia, di sapienza, di fede, di umiltà, di semplicità e di altre ancora. E’ normale che si affronti il discorso su di una virtù cercando di isolarla dalle altre, perché la conoscenza umana ha bisogno di catalogare e dividere per meglio conoscere, ma non dobbiamo mai dimenticare che così come la persona umana è un mix inscindibile tra cuore, corpo, anima/spirito e io personale così anche in Dio queste virtù e questi doni sono un tutt’uno, in Lui non c’è divisione.

E più una persona progredisce nella santità e più le virtù e i doni si mescolano tra loro in un perfetto connubio incarnandosi però ora in una personalità ora in un’altra. Non troveremo mai un santo che non sia stato umile oppure un altro che non abbia esercitato la pazienza, non è possibile che un santo sia stato temperante e non abbia esercitato la giustizia. Certamente ogni santità si incarna in una personalità con la propria sessualità per cui un santo mette in luce una virtù più delle altre, un aspetto della vita di Grazia più di un altro… solo per fare un esempio: la santità di San Tommaso d’Acquino splende per la purezza/castità ma non possiamo pensare che San Giovanni Bosco non sia stato casto seppur la sua santità splenda per le virtù della giustizia e della carità.

A questo punto del nostro semplice approfondimento si capisce perché San Giacomo ci esorti a chiedere la sapienza con la fede ferma, decisa e risoluta.

Cari sposi, se vogliamo che il Signore elargisca le sue Grazie nel nostro matrimonio è necessario che chiediamo con fede ferma, senza esitare; dobbiamo vivere la nostra fede senza esitazioni, con delle decisioni risolute e stabili. Non possiamo alzarci un giorno col fervore di chissaché ed il giorno dopo non fare nemmeno il segno di croce appena svegli. Non possiamo percorrere in ginocchio tutte le scale sante di tutti i santuari per poi tornare a casa e cadere come sacchi di patate in un vizio capitale (scegliete voi quale). Questi atteggiamenti rivelano solo una fede basata sul sentimentalismo.

Non possiamo partecipare a ritiri per coppie consumando litri e litri in lacrime di commozione per poi, solo due giorni dopo il ritiro, incappare ancora nei meccanismi malati della nostra relazione malsana auto-assolvendoci con la solita frase “E’ più forte di me” oppure “Lui/lei non fa mai nulla per cambiare… tocca sempre a me“.

La vita di fede progredisce solo con l’obbedienza, la Parola di Dio (attraverso San Giacomo) ci ha detto cosa e come fare, basta obbedire e vedremo la Grazia in opera nel nostro matrimonio... Certo non è automatico. Siamo complessi ma prendiamo consapevolezza che noi siamo responsabili della nostra vita e delle nostre scelte. Non restiamo passivi.

Buona Quaresima.

Giorgio e Valentina.

Il tuo matrimonio è malato? Lasciatevi toccare da Cristo.

Oggi desidero riprendere il Vangelo di ieri perchè offre diverse chiavi di lettura anche un po’ diverse da quelle che ha già dato padre Luca.

In quel tempo, venne a Gesù un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi guarirmi!». 

Quante volte ci siamo sentiti dei lebbrosi. Lebbrosi nello spirito, nei sentimenti e nell’egoismo che più o meno si manifesta in tutti. Quante volte io mi sono sentito uno sposo incapace di amare davvero la mia sposa altre volte mi sono sentito impreparato non sapendo come farle starle vicino. Siamo piccoli e miseri. Quante miserie nella nostra famiglia che cerchiamo di nascondere come polvere sotto il tappeto. Litigi, incomprensioni, egoismo, nervosismo e anche inettitudine. Le altre famiglie ci sembrano più belle della nostra. Come vorremmo avere la serenità di quegli amici o l’unità di quella coppia tanto bella che incontriamo a Messa. Invece ci sentiamo lebbrosi e impuri. Eppure questa è la nostra salvezza. Solo riconoscendo la lebbra nella nostra relazione possiamo trovare l’umiltà di abbassarci e inginocchiarci davanti al Cristo ed invocare la Sua Presenza e la Sua guarigione. La nostra piccolezza può darci la spinta a tendere la mano verso Dio.

 Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.

Gesù ci guarda con compassione. Non prova disgusto per le miserie della nostra famiglia, ma il Suo sguardo va oltre e vede la nostra sofferenza e il nostro dolore. Soffre con noi come un innamorato per la sua amata. Il suo sguardo è già balsamo. La nostra famiglia è bella ai suoi occhi nonostante la povertà che la abita. Soffre  con noi e ci guarisce. Ci può guarire perchè abbiamo avuto la forza di domandare la sua Grazia. Abbiamo avuto il desiderio di alzare lo sguardo e specchiandoci in Lui – in una fede non fatta solo di riti e precetti ma fatta di relazione – ci vedremo belli e troveremo forza e sicurezza. Nel sacramento del matrimonio spesso non abbiamo l’umiltà di ammettere di non farcela e di aver bisogno di Gesù. Il nostro orgoglio ci fa credere che tutto dipende da noi, nel bene e nel male. Siamo sposati in Cristo, ma lui è, di fatto, sfrattato dalla nostra relazione.

E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

Come intendere questa parte. Mi era difficile. Mi è venuto in aiuto il mio sacerdote che ha commentato come sia inutile parlare della nostra conversione a chi non ha sperimentato l’incontro con Gesù. L’incontro è personale e la nostra storia, l’incontro che ci ha salvato non può convertire nessuno se non noi. Noi siamo stati sanati da Gesù e possiamo testimoniare la  sua potenza e la sua bellezza non tanto raccontando la nostra conversione, che resta fatto privato e non comprensibile agli altri. E’ molto più efficace mostrare i frutti. Mostrare quelle piaghe che caratterizzavano la nostra famiglia e mostrare la loro guarigione. Mostrare senza vergogna le nostre miserie e mostrare come Dio le ha trasformate in feritoie da cui fuoriesce la sua luce che illumina il mondo. La famiglia perfetta non è quella del mulino bianco. La famiglia perfetta è piena di imperfezioni. Imperfezioni che diventano luogo dell’amore, della pazienza, dell’accettazione, della prossimità e della gratuità.

Antonio e Luisa

Possedere vs amare: per un San Valentino consapevole

Il 14 febbraio, che automaticamente risuona dentro di noi come il giorno di San Valentino, si sta avvicinando con il suo carrozzone commerciale, le frasi romantiche, le dediche sdolcinate e la necessità di qualche riflessione in più. Ci siamo mai chiesti quale sia il vero significato non solo di questa festa ma il messaggio che porta con sé? Nell’ottica autenticamente cristiana a farla da padrone dovrebbe essere l’amore e non il possesso, al contrario di quanto ci propina il mondo, intendendo con esso non solo l’avere, il disporre di qualcosa di materiale ma anche la relazione che ci lega al nostro/a partner.

San Valentino è realmente esistito ed è stato un martire cristiano del V secolo; l’istituzione della sua memoria risale niente meno che a Papa Gelasio I il quale, nel 496 d.C., andò a sostituire una precedente festa pagana, quella detta dei Lupercalia, celebrata nel mezzo del mese di febbraio (tra il giorno 13 ed il 15), in onore del dio Fauno (detto anche Luperco), protettore del bestiame dalla furia dei lupi. Non solo: essa serviva come propiziazione della fertilità e della rinascita della natura, sancendo anche il passaggio all’età adulta. Ad un’idea arcaica, audace e sensuale della sessualità, la cultura cristiana impiantò una festa molto più pudica e rispettosa dell’amore; essa trae origine non solo dalla volontà di eliminare un rituale poco conforme alla moralità – quale poteva essere quello romano – ma dalla leggenda secondo cui Valentino aiutò una giovane fanciulla donandole una somma di denaro necessaria al suo matrimonio.

L’idea cristiana, dunque, si configura come un intramezzo sia dalle antiche festività pagane, troppo esplicite nell’esprimere un’idea di amore esclusivamente carnale, che alla morale contemporanea, in cui domina il concetto di possesso – fisico e materiale – piuttosto che quello di amore autentico, scambievole, maturo e duraturo nel tempo. Il cuore, insomma, più che la forma dei biglietti o dei più disparati gadget venduti ad hoc in questi giorni, dev’essere ciò che utilizziamo nella relazione amorosa, non tanto e non solo come muscolo cardiaco ma come centro spirituale del nostro coinvolgimento affettivo.

Il possedere è egoismo, l’amore è altruismo; il possedere inizialmente ti prende ma poi ti stufa, l’amore arriva per restare; il possesso chiude la porta dell’anima, l’amore la spalanca. Tutto questo come può conciliarsi con i modelli che ci vengono proposti continuamente, in un vortice di immagini e notizie in cui scartato un partner si approda subito al successivo, neanche fosse uno dei cioccolatini mangiati il 14 febbraio? La fede è sempre la risposta! Se nell’altro vediamo esclusivamente un oggetto di desiderio, da usare e consumare a nostro piacimento per poi abbandonarlo alla prima difficoltà o quando non ci soddisfa più, allora siamo distanti anni luce dall’atteggiamento di cui il nostro cuore, la nostra mente e la nostra anima sono capaci. L’amore esiste ed è possibile amare per sempre la stessa persona se ci mettiamo alla sequela di Gesù e vediamo nel marito o nella moglie non una cosa ma una persona, non un distributore di piacere ma una creatura con cui possiamo camminare insieme verso una meta comune.

Al di là delle pubblicità e delle trovate commerciali, dunque, il giorno di San Valentino può essere un’occasione propizia per fare ordine nella nostra relazione oppure per essere grati di quella che abbiamo, valorizzandola magari con un gesto inaspettato, non perché è la televisione a dircelo ma perché ci rendiamo conto che quella persona è un dono di Dio tanto quanto noi possiamo e dobbiamo esserlo a nostra volta.

Il bello dell’amore è proprio la sua reciprocità, di cui troppo spesso ci dimentichiamo. Gesù ci ha detto: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato” (Gv 15, 12). Pur esistendo diverse tipologie di amore, come per esempio tra fidanzati, tra coniugi o tra genitori e figli, è proprio lo scambio che caratterizza la relazione, basata su quella che non è la fantasia irrealizzabile delle fiabe da bambini ma l’anelito che ha del divino e a Lui, quindi, sempre deve guardare.

Siamo capaci di amare, insomma, perché il Signore ci ha amati per primi; sforziamoci, perciò, di apprezzare chi abbiamo al nostro fianco anche e nonostante i suoi difetti perché anche noi siamo così, non dimenticando che è la sua presenza a regalarci momenti di gioia che ci fanno pregustare quella vera ed infinita che un giorno speriamo di godere in Cielo.

Proviamo a esprimere i nostri sentimenti con maturità, senza scivolare nel banale di una macchina commerciale così come in un’idea triste e svuotata di amore, relegata unicamente all’aspetto fisico e sensuale; così facendo, saremo in grado di essere testimoni che l’amore vero, consapevole e cristiano è possibile anche se tutto e tutti sembrano strimpellare il contrario.

Fabrizia Perrachon

Sposi lebbrosi? Sì, siamo noi.

Cari sposi, in quattro e quattr’otto siamo giunti alle porte della Quaresima che avrà inizio proprio questo mercoledì e la Parola odierna sembra quasi anticipare lo spirito penitenziale dei 40 giorni di preparazione alla Pasqua.

La malattia sembra essere il fil rouge di ogni lettura, in particolar modo la lebbra. Meglio conosciuta come Morbo di Hansen essa consiste in un infezione della pelle e nervi periferici che porta alla perdita del tatto, forti dolori, debolezza muscolare ed anche deformità fisiche. Una bruttissima bestia, che 2000 anni fa veniva “curata” anzitutto con l’isolamento degli infetti.

Da qui che la malattia comporti anche un altro aspetto, latente nella mentalità biblica, ossia la sua connotazione spirituale. Dice il celebre biblista P. Silvano Fausti: “La lebbra è la morte visibile, e la morte è il nostro egoismo, il nostro non sapere amare che dà morte agli altri. Il lebbroso era il morto civile, escluso da tutti, perché era «morto» e la legge esclude ciò che è morto”.

Quindi la lebbra sta per peccato, morte, esclusione… ma anche inferno. Ecco allora che risuonano le parole di Dostoevskij: “Padri e maestri, io mi domando: «Che cos’è l’inferno?» E do la seguente risposta: «La sofferenza di non essere più capaci di amare»” (F. Dostoevskij, I Fratelli Karamazov). È un’esperienza che facciamo tutti, che la lebbra del peccato può generare davvero isolamenti mortali.

Se la lebbra-peccato genera segregazione, quindi distanziamento e morte, cosa non può originare tra sposi dove tutta la loro vita gira attorno a una relazione affettiva, santificata dal sacramento? Che succede quando la lebbra tocca il coniuge, o entrambi i coniugi nel loro rapporto? Ne consegue un legame malato, debole, fiacco, se non addirittura morto, sebbene mantenga una qualche apparenza di vita, forse più per i figli che per amore. Lebbra coniugale può darsi anche negli sposi che vivono al margine di una comunità, che hanno sotterrato il talento del sacramento per farne una cosa privata.

Gesù non è affatto estraneo a questi tipi di lebbra degli sposi e vorrebbe tanto guarirli. Gli basta una semplice richiesta sincera per entrare in azione, come accadde nella scena del Vangelo. È commovente vedere che la guarigione non è una qualcosa di astratto o da remoto ma passa dal tocco della sua mano. Una malattia corporea viene guarita proprio dal tocco del Corpo di Cristo.

Quanto è bello allora lasciarci toccare da Cristo nella preghiera, lasciarci toccare da Cristo nei sacramenti! E per voi sposi farvi toccare da Cristo anche tramite il coniuge per iniziare a guarire quella lebbra che paralizza il vostro matrimonio.

Constatare di essere lebbrosi può già essere il primo passo verso la vittoria. Così pare avvenne qualche secolo fa a un nobile giovanotto di Assisi, al secolo Giovanni di Pietro di Bernardone. È la Leggenda dei Tre Compagni a raccontarcela: “Un giorno che stava pregando fervidamente il Signore, sentì dirsi: «Francesco, se vuoi conoscere la mia volontà, devi disprezzare e odiare tutto quello che mondanamente amavi e bramavi possedere. Quando avrai cominciato a fare così, ti parrà insopportabile e amaro quanto per l’innanzi ti era attraente e dolce e dalle cose che una volta aborrivi, attingerai dolcezza grande e immensa soavità»”. Fu l’abbraccio di un lebbroso a mettere in atto un percorso di crescita verso la sua santità. Forse l’abbraccio della “lebbra” del tuo coniuge potrebbe essere nuovamente l’occasione per fare un salto in avanti come persona e come coppia.

Se vi scoprite lebbrosi, non è la fine del mondo! Non a caso nella Lettera agli Efesini S. Paolo non ci dice forse che lo sposo vuole purificare la sposa prima di unirla a sé nel matrimonio?

Perciò, in questa scena evangelica, come non vedervi un tratto nuziale? Ciascuno di voi siete quel lebbroso che significa la sposa di Cristo Sposo e che Lui vuole rendere partecipe del suo amore. Il tocco che lo guarisce è solo il primo passo di un rapporto che Gesù vorrebbe pienamente coinvolgente.

Ecco allora che questo Vangelo ci fa da preludio alla Quaresima, difatti nel messaggio del Papa vi è un chiaro riferimento sponsale:

La Quaresima è il tempo di grazia in cui il deserto torna a essere – come annuncia il profeta Osea – il luogo del primo amore (cfr. Os 2,16-17). Dio educa il suo popolo, perché esca dalle sue schiavitù e sperimenti il passaggio dalla morte alla vita. Come uno sposo ci attira nuovamente a sé e sussurra parole d’amore al nostro cuore” (Francesco, Messaggio per la Quaresima 2024).

Cari sposi, siete, siamo tutti lebbrosi, abbiamo bisogno assoluto della mano misericordiosa di Cristo che ci purifichi continuamente perché il nostro amore sia vero. Entriamo con Gesù, quindi, nei nostri deserti per essere guidati nel nostro cammino di conversione.

ANTONIO E LUISA

Che bello leggere la nostra storia attraverso il Vangelo e la bellissima spiegazione di padre Luca. Per me è stato davvero così. L’abbraccio di mia moglie che mi ha amato quando io non riuscivo a farlo è stato l’abbraccio di Cristo. Cristo mi ha sanato attraverso l’amore gratuito di una donna che ha scelto di starmi accanto sempre nella gioia e nel dolore.

Il matrimonio secondo Pinocchio / 22

Pinocchio, per non aver dato retta ai buoni consigli del Grillo-parlante, s’imbatté negli assassini.

Questo è il titolo del capitolo 14, nel quale viene descritta l’affannosa fuga di Pinocchio da due loschi individui, il Gatto e la Volpe, che lo inseguono senza mai mollare. Curiosamente, l’unico a non averli riconosciuti è lo stesso burattino, mentre anche il lettore più sprovveduto non ha difficoltà a riconoscerne i tratti. La descrizione di questa scena spettacolare è realizzata con grande maestria, lasciandoci intravedere ora la disperata fuga di Pinocchio ora la tenacia dei due assassini nell’inseguirlo.

Sicuramente questo capitolo ci pone davanti alla questione della violenza, ma prima di vederne alcuni tratti, vorremmo chiarire il fatto che il Gatto e la Volpe siano tornati alla carica per riuscire nel loro intento e prendersi ciò che non erano riusciti con l’astuzia e l’inganno.

Cari sposi, questa è la tattica del nostro nemico, il diavolo, il quale non si presenta subito a carte scoperte come un assassino, ma dapprima cerca in tutti i modi di raggirarci con l’astuzia di cui è maestro, ma dobbiamo porre attenzione poiché non si dà mai per vinto, e se non gli riesce di allontanarci da Dio con l’inganno, ecco che sfodera le sue armi di violenza inseguendoci senza tregua ovunque. Se ci fermiamo un attimo a pensare, constatiamo che nel nostro mondo moderno il nostro nemico ha cominciato proprio con l’astuzia e l’inganno: dapprima ha voluto modificare il modo di pensare con gli illuminati e dintorni, le coscienze così si sono affievolite su ciò che è bene e ciò che è male, poi ha cominciato a normalizzare stili di vita peccaminosi, dopodiché ha agito ancora con astuzia dando un nuovo significato alle parole, poi ha cominciato “l’inseguimento” stimolando leggi ingiuste ed inique, oggigiorno siamo di fronte ad un vero e proprio “inseguimento” degli ultimi che vogliono scappare dalle sue grinfie.

Care famiglie, non dobbiamo farci illusioni, siamo di fronte ad un inseguimento fino all’ultimo respiro, dobbiamo resistere, e se qualche volta il nemico scivola in qualche pozzanghera non dobbiamo rallentare come Pinocchio e consolarci pensando di averla fatta franca, questo inseguimento dura tutta la vita.

Non sono parole dure di Giorgio e Valentina, stiamo semplicemente raccontando la realtà della battaglia a cui siamo chiamati ogni giorno, e lo facciamo usando la metafora dell’inseguimento, se avessimo voluto usare parole più crude e spaventose avremmo usato le stesse di S.Pietro:

 (1 Pt 5,8) Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare.

Questo inseguimento affannoso tocca anche la questione della violenza, la quale ha fatto la sua comparsa nella vicenda umana subito dopo la rovina del peccato delle origini, scatenando in Caino la furia omicida. Senza fare i moralisti, vorremmo spronarvi a riflettere su quanto la violenza dimori in noi, nella nostra vita di tutti i giorni, nei gesti e nelle parole. Essa è un frutto del peccato perciò fare un esame di coscienza su quanto essa alberghi in noi (forse anche dentro la relazione sponsale) ci dà un indicatore di quanto il peccato alberghi ancora in noi… senza per questo farne un dramma da depressione poiché Gesù è il Salvatore ma senza neanche scusare i nostri atti violenti con spiegazioni di taglio psicologico che alla fine tentano di togliere la colpa personale lasciandoci ancorati al peccato.

Pinocchio non ha voluto dare ascolto alla vocina fioca del Grillo-parlante che lo aveva messo in guardia circa gli assassini ed ora si trova nei guai, cogliamo l’occasione per impararne la lezione.

Coraggio, non tutto è perduto!

Giorgio e Valentina.

Non sto perdendo niente di me stesso ma sto diventando me stesso

Oggi vorrei partire per la mia riflessione da una frase detta da don Luigi Epicoco. Ha detto una verità assoluta. Anche quando decido di sacrificare me stesso per l’altro non sto perdendo niente di me stesso ma sto diventando me stesso.

Questa frase è una bomba. Dovremmo appenderla in casa e leggerla ogni mattina. Noi sposi dobbiamo farla diventare stile di vita. Cosa significa?

Don Epicoco lo spiega nella stessa catechesi. Il Vangelo presenta tre amori. L’amore per Dio, l’amore per il prossimo ma poi ne aggiunge un terzo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. I primi due amori – quello per Dio e quello per il prossimo – sono autentici solo quando amiamo noi stessi.

Se non ci amiamo non saremo capaci di percepire l’amore del Padre e non saremo capaci di donarci a un tu! Certamente tutto parte da Dio e dal Suo amore ma se poi noi non riusciamo a sentirci belli non sapremo accogliere davvero l’amore di Dio e lo vedremo sempre come un padrone più che un Padre. Un po’ come il fratello del figliol prodigo. Uno che non pensava di essere amato per quello che era ma per come riusciva a compiacere il Padre. Per questo restò scioccato dall’atteggiamento del Padre verso quel fratello dissipatore.

Questo cambia tutto. Arriviamo ora al rapporto di coppia. Perchè chi non si ama solitamente troverà mogli o mariti che lo confermano che non merita di essere amato. Chi non si ama sarà attratto da relazioni che confermano che deve meritarsi quell’amore e che non sarà mai abbastanza. Relazioni di dipendenza e non di amore. Chi non si ama cerca in tutti i modo di tenersi l’altro legato in quella relazione scendendo a compromessi, accettando comportamenti e scelte che non vorrebbe accettare ma che non ha la forza di respingere. Capite che chi vive il matrimonio così sta perdendo la sua identità e sta diventando sempre meno quell’uomo o quella donna che potrebbe essere in potenza?

Chi si ama invece è capace di sacrificarsi! Di rendere sacro. Rendere di Dio la propria vita. Questo può voler dire essere capace di amare una persona che non restituisce tutto l’amore che riceve. Che magari non si comporta sempre bene. Ma una persona che si ama è capace di morire a se stessa per fare il centro dell’amore l’altro. Chi si ama muore a sè stesso per diventare ciò che Dio ha seminato il lui o in lei. Chi si ama può amare gratuitamente l’altro senza aspettarsi nulla in cambio perchè è libero e perchè si sente prezioso senza dover mendicare nulla da nessuno. Chi si ama proprio perché si riconosce prezioso è capaci di abbassarsi per aiutare l’altro a rialzarsi.

L’ndipendenza vera è questa. Quelle donne che combattono il patriarcato forse hanno una parte di verità ma è parziale, non sanno andare fino in fondo alla questione. Noi – e mi riferisco a uomini e donne – dobbiamo sì liberarci dalla dipendenza l’uno dell’altro, ma non per restare soli perchè non abbiamo bisogno di nessuno. Dobbiamo farlo per essere capaci di donarci all’altro gratuitamente senza aver bisogno di prendere per poter dare. Questo è l’amore che dovremmo cercare di vivere nel matrimonio.

Così quando io sono girato, sono nervoso, sono arrabbiato e magari mi comporto male trovo una moglie a casa che mi ama nonostante questa mia mancanza di amabilità. E viceversa. E’ così che un matrimonio funziona. E’ così che una mancanza di amore diventa occasione per amare di più e un male diventa bene.

Antonio e Luisa

Separazione e divorzio: differenza solo civile non cristiana.

Mi trovo ogni tanto a intervenire su discussioni inerenti alla differenza tra separazione e divorzio (ad esempio su domande del tipo: “È vero che un separato può fare la comunione, mentre un divorziato no?”) e vorrei chiarire un po’ come stanno le cose, per noi cristiani e non da un punto di vista legale, poiché non ho competenze in merito.

La separazione è una situazione permessa anche dalla Chiesa per situazioni gravi, in cui ad esempio è a rischio la vita e dovrebbe essere limitata al tempo necessario per risolvere i problemi (magari con l’aiuto di esperti) e tornare così a vivere insieme.

È in pratica un matrimonio che viene messo in pausa per un certo periodo, nel quale i coniugi sono chiamati a vivere in castità. Quando si decide, oltre alla separazione, di proseguire con il divorzio, le motivazioni sono essenzialmente due: contrarre un nuovo matrimonio civile o far cessare gli effetti ereditari. Infatti con il divorzio vengono sciolti gli effetti civili del matrimonio concordatario (nel diritto civile italiano, il matrimonio concordatario è un matrimonio che si celebra innanzi a un sacerdote, al quale lo Stato riconosce, a certe condizioni, effetti civili).

Per un cristiano l’accesso ai Sacramenti, in particolare la comunione, può avvenire solo se è in grazia di Dio, cioè se non ha commesso peccati gravi e questo non cambia se è solo separato o anche divorziato, perché davanti a Dio l’aver firmato un foglio, non vale assolutamente niente, è carta straccia.

Quindi una persona che sceglie di rimanere fedele a Dio (e conseguentemente alla promessa fatta e al coniuge), anche se divorziato può (anzi deve, perché è la sua sorgente di Forza e Grazia) accedere ai Sacramenti.

Se invece una persona chiede il divorzio per risposarsi civilmente, commette una colpa, come viene ben spiegato nel catechismo della chiesa cattolica (CCC), n° 1650:   “Oggi, in molti paesi, sono numerosi i cattolici che ricorrono al divorzio secondo le leggi civili e che contraggono civilmente una nuova unione. La Chiesa sostiene, per fedeltà alla parola di Gesù Cristo («Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio »: Mc 10,11-12), che non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la Legge di Dio. Perciò essi non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione”.

Aggiungo che se uno sposo, magari separato da diversi anni, chiede il divorzio non per sposarsi nuovamente, ma per tutelare il patrimonio e quindi i figli, non commette peccato (infatti, come ho spiegato sopra, con la sola separazione non cessa l’asse ereditario e pertanto ad esempio, in caso di morte, una parte di eredità andrebbe comunque al coniuge). In alcuni casi è addirittura consigliabile procedere con il divorzio, se c’è la possibilità che ai figli venga sottratta una parte dei soldi destinati, in particolare, allo studio e alla loro crescita/formazione.

Questo non lo dico io, ma sempre la Chiesa nei seguenti due articoli, CCC 2383: ”…Se il divorzio civile rimane l’unico modo possibile di assicurare certi diritti legittimi, quali la cura dei figli o la tutela del patrimonio, può essere tollerato, senza che costituisca una colpa morale”.

CCC 2386: “Può avvenire che uno dei coniugi sia vittima innocente del divorzio pronunciato dalla legge civile; questi allora non contravviene alla norma morale. C’è infatti una differenza notevole tra il coniuge che si è sinceramente sforzato di rimanere fedele al sacramento del Matrimonio e si vede ingiustamente abbandonato, e colui che, per sua grave colpa, distrugge un Matrimonio canonicamente valido”.

Quindi, ricapitolando, quello che conta nel nostro cammino di fede non è l’aver firmato la separazione o il divorzio, ma è il nostro rapporto con Gesù (e quindi con il nostro coniuge): Lui si fonde con gli sposi in maniera indissolubile, cioè non è solubile, non si può sciogliere e guarda il nostro cuore.

Il matrimonio, infatti, civilmente è soggetto a delle leggi umane, ma la cosa più importante è che è stato scritto in maniera indelebile in cielo, nel cuore di Dio e nessuna sentenza lo può modificare nella sostanza (se è valido, naturalmente).

Come Dio non ha mai abbandonato la Chiesa e come Cristo non ha mai abbandonato l’umanità, così gli sposi sono segno di questa Alleanza di salvezza: è qui che si gioca tutto, nel credere in quest’Amore così grande!

Per me non fa nessuna differenza separazione o divorzio, continuo e continuerò a portare la fede al dito, segno e testimonianza di quello che è avvenuto e che nessuna legge umana potrà mai modificare.

Ettore Leandri (Presidente Fraternità Sposi per Sempre)

Neanche i cieli dei cieli.

Dal primo libro dei Re (1Re 8,22-23.27-30) In quei giorni, Salomone si pose davanti all’altare del Signore, di fronte a tutta l’assemblea d’Israele e, stese le mani verso il cielo, disse: «Signore, Dio d’Israele, non c’è un Dio come te, né lassù nei cieli né quaggiù sulla terra! Tu mantieni l’alleanza e la fedeltà verso i tuoi servi che camminano davanti a te con tutto il loro cuore.  Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco, i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruito!  Volgiti alla preghiera del tuo servo e alla sua supplica, Signore, mio Dio, per ascoltare il grido e la preghiera che il tuo servo oggi innalza davanti a te! Siano aperti i tuoi occhi notte e giorno verso questa casa, verso il luogo di cui hai detto: “Lì porrò il mio nome!”. Ascolta la preghiera che il tuo servo innalza in questo luogo.  Ascolta la supplica del tuo servo e del tuo popolo Israele, quando pregheranno in questo luogo. Ascoltali nel luogo della tua dimora, in cielo; ascolta e perdona!».

Questi capitoli sono affascinanti perché ci testimoniano di quanto onore il popolo di Israele riservasse all’Arca dell’alleanza, prefigura dei nostri tabernacoli nei quali è contenuto non una o due tavole di pietra, ma il Signore stesso, nascosto ai nostri occhi sotto le specie eucaristiche. Già su questo aspetto dovremmo farci (noi come Chiesa del tempo presente) un serio esame di coscienza perché nella maggioranza delle nostre chiese il tabernacolo non solo non è trattato almeno quanto l’Arca dell’alleanza, che già sarebbe molto, ma spesso viene trattato alla stregua di un mobile della cucina da cui si prelevano e si rimettono sale, olio e pepe più volte mentre si prepara il pranzo.

La nostra attenzione maggiore però oggi vorremmo riservarla ad un passaggio della preghiera di Salomone : Ecco, i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruito. Questa frase rivela la fede di Salomone nella grandiosità dell’Altissimo, rivela la sua coscienza di essere creatura e non Creatore, rivela la sua incrollabile certezza che Dio è infinito ed eterno.

Certamente Salomone ci sta davanti come modello di atteggiamento nei confronti di Dio, ma l’Antico Testamento trova compimento nel Nuovo, e qual è questo compimento? Ce ne sono diversi, ma ne prendiamo solo un paio: i due sacramenti del Battesimo e del Matrimonio.

Vogliamo fare una catechesi su questi due sacramenti? No, solamente far emergere un aspetto che li accomuna.

Quando un bambino entra in chiesa per essere battezzato non è lo stesso di quando esce da battezzato. Con i nostri occhi vediamo ancora tutto come prima (similmente a ciò che avviene con l’Eucarestia), ma la sostanza sotto l’apparenza è radicalmente cambiata: è una creatura nuova, è una creatura marchiata con un sigillo di appartenenza eterno ed incancellabile, è divenuto figlio di Dio, coerede di Gesù Cristo, non è più sotto la schiavitù di Satana ma è diventato tempio dello Spirito Santo, la Trinità stessa inabita in quella creatura nuova.

Ma com’è possibile? Non è vera la frase di Salomone?

Quale realtà grande: quel Dio che neanche i cieli dei cieli possono contenere si fa piccolo piccolo per inabitare in noi, quale sublime atto di umiltà e grandezza nello stesso tempo. Quel tempio di Salomone era prefigura non solo dei nostri templi ma anche di noi battezzati, veramente il nuovo ha portato a compimento ciò che nel vecchio era solo prefigurato.

E questo aspetto del Battesimo ci fa capire perché esso sia necessario per il sacramento del Matrimonio, perché solo tra due persone (maschio e femmina) che sono tempio dello Spirito Santo può inabitare Gesù con la sua presenza reale.

A quale grandezza dunque siamo chiamati noi sposi che siamo tempio dello Spirito Santo e tra noi abita realmente Gesù Cristo, è certamente una grandezza che ci supera, non la meritiamo assolutamente, ma così è.

Quando dunque trattiamo il nostro coniuge con disprezzo, chi stiamo disprezzando in realtà, se dentro lui/lei inabita la Trinità stessa? Quando ci ostiniamo a non voler cambiare per amarlo/la meglio ma restiamo fermi sulle nostre false sicurezze di essere noi i perfetti, chi è che decidiamo di non amare meglio se in lui/lei inabita il Dio che neanche i cieli dei cieli possono contenere? Quando il nostro coniuge diventa solo l’oggetto delle nostre fantasie a luci rosse, non stiamo forse disonorando la reale presenza di Gesù tra noi? Quando trattiamo lui/lei come lo schiavo che ci deve servire e riverire in tutto e per tutto, chi stiamo schiavizzando se è tempio dello Spirito Santo?

La Quaresima è ormai alle porte, chi ha orecchi per intendere, intenda.

Giorgio e Valentina.

Abbiamo la febbre anche noi?

Il Vangelo di ieri è molto significativo. Perché è così importante scrivere della febbre della suocera di Pietro? Che miracolo è? Uno si aspetta che Gesù cominci con il botto e invece cura una semplice febbre. Dai ci saremmo aspettati di più. Non dico subito di resuscitare un morto ma almeno un lebbroso o un paralitico. E invece la febbre. Ma vediamo cosa c’è dietro.

Gesù era di ritorno dalla sinagoga dove aveva predicato ed aveva liberato l’indemoniato. Ricordate il Vangelo di domenica scorsa? La suocera di Pietro non c’è potuta andare. Aveva la febbre. La febbre rappresenta tutti quei mali che abbiamo dentro e che non si vedono. Rappresentano le nostre ferite, la nostra incredulità, il nostro egoismo, la nostra durezza di cuore. Tutto quello che ci impedisce di andare incontro a Gesù. Di andarlo a cercare a casa sua. Nella Chiesa.

Allora è Gesù che viene da noi. Nella nostra casa. Mi rivolgo in particolare a tutte quelle persone che lamentano un marito – o una moglie – duro di cuore che non crede e che non si comporta neanche così bene con loro. Chi ha la febbre non riesce a fare nulla. Ha bisogno di essere servito. Il centro di tutto è solo lui, le sue esigenze, i suoi bisogni e il suo umore. L’altro diventa un mezzo, uno strumento. Una cosa da usare. Ma poi avviene il miracolo. Ok non sempre avviene ma voi siete l’unica occasione che l’altro avrà di fare esperienza di Dio. Di fare esperienza dell’amore di Dio. E non dovete farlo per forza. Come accade nella prima lettura sempre di ieri tratta dal libro di Giobbe. Non ha forse un duro lavoro l’uomo sulla terra e i suoi giorni non sono come quelli d’un mercenario? Come lo schiavo sospira l’ombra e come il mercenario aspetta il suo salario, così a me son toccati mesi d’illusione e notti di dolore mi sono state assegnate.

Se lo fate per forza diventa un peso insostenibile alla lunga. Amate gratuitamente quella persona febbricitante che avete accanto perché lo scegliete e perché è una necessità. La necessità di chi ha incontrato Gesù e desidera restituire tutto quell’amore che ha ricevuto. Solo così funziona e solo così il vostro servire diventerà lo stimolo per permettere alla persona che avete accanto di alzarsi. Nel Vangelo è usato lo stesso verbo usato per la resurrezione. Attraverso l’incontro con Gesù quella persona incredula e dura di cuore risorgerà. E da cosa lo capite che è risorta? Si metterà a sua volta a servire. Perché chi incontra Gesù ha bisogno di amare, non ce la fa a tenersi dentro tutto e sente il bisogno di condividere l’amore, di far sentire a sua volta chi ha intorno come persone amate. Questo significa essere cristiani!

Antonio e Luisa

Salvati & Salvanti

Cari sposi, seguendo una persona su Instagram, ho notato un bel post in cui appariva un semplice foglietto su cui era scritto, con una grafia disarmonica e scombinata, “il miglior momento della tua vita è adesso”. A prima vista nulla di ché se non fosse per trattarsi dell’ultimo messaggio di un papà, gravemente affetto dalla SLA, al suo unico figlio.

E così, il tema della malattia sembra pervadere ogni lettura, dal libro di Giobbe fino alla suocera del Vangelo. C’è tuttavia una bella differenza tra come è vissuta in ciascuna delle scene. Che significato sottendono questi due modi di essere malati – leggasi anche afflitti, turbati, angosciati, scoraggiati, disperati… – e che hanno da dire agli sposi?

C’è un modo di affrontare e vivere ciascuna delle suddette circostanze come viene descritto da Giobbe: “Come lo schiavo sospira l’ombra e come il mercenario aspetta il suo salario”. Che vuol dire? Nel senso che sopporti e carichi i pesi, magari con estrema eleganza e nonchalance, che nemmeno chi ti è vicino si accorge di nulla, ma in fin dei conti non vedi l’ora che finisca. Per chi affronta la vita così il meglio, il bello, il buono…arriva sempre dopo la situazione attuale: si finisce così per vivere alienati nel futuro e scollegati dal presente.

Invece il quadro evangelico mostra come le prove della vita non esimono dal diventare comunque portatori di bene. La suocera, non appena rimessasi in piedi – e nel Vangelo ciò è simbolo di resurrezione – si mise a servire i commensali. La malattia, quindi, riporta comunque al presente e non permette fughe in un passato idealizzato e nemmeno in un futuro inesistente.

Cosicché, Gesù in questa scena è medico, sia delle anime che dei corpi. La sua missione è di guarire e di sanare chiunque abbia un problema, di qualsiasi ordine esso sia.

Il bello è che voi sposi questo stesso Gesù lo portate con voi ogni giorno. Lui in voi e tramite voi può compiere guarigioni perché “a sua volta la famiglia cristiana è inserita a tal punto nel mistero della Chiesa da diventare partecipe, a suo modo, della missione di salvezza propria di questa: i coniugi e i genitori cristiani, in virtù del sacramento, «hanno nel loro stato di vita e nella loro funzione, il proprio dono in mezzo al Popolo di Dio». Perciò non solo «ricevono» l’amore di Cristo diventando comunità «salvata», ma sono anche chiamati a «trasmettere» ai fratelli il medesimo amore di Cristo, diventando così comunità «salvante»” (Familiaris Consortio 49).

Sarebbe bello che questo Vangelo vi portasse a domandarvi se le croci quotidiane sono un anelito verso Cristo Salvatore o un incentivo a ripiegarvi su sé stessi e in quale misura le difficoltà possono essere luogo per sperimentare la Presenza dello Sposo in voi.

Vi auguro di saper trarre con pazienza le lezioni che il Signore Gesù vuole consegnarvi in quelle circostanze e di essere portatori per altri di salvezza e guarigione.

ANTONIO E LUISA

La domanda che ci pone padre Luca è decisiva. Come affrontiamo le nostre croci, anche quelle piccole? Fuggendo nel passato o sperando nel futuro non vivendo il presente? Oppure immergendoci nell’oggi, nella quotidianità? Solo se saremo capaci di vivere il nostro matrimonio nella quotidianità, anche quando non è facile, decidendo di starci e di donarci completamente allora staremo vivendo un matrimonio vero. Io ero proprio quello che si rifugiava in un futuro ipotetico ed ideale. Ero quello del sabato del villaggio. Il matrimonio mi ha insegnato ad essere presente nel presente.

San Giuseppe: padre del Redentore, perché sposo di Maria

Introducendo l’esortazione Redemptoris Custos, abbiamo detto che Giovanni Paolo II chiama san Giuseppe “Ministro della salvezza”, facendo sua un’espressione di san Giovanni Crisostomo. Questo titolo, assieme a quello di “Custode del Redentore”, delinea chiaramente la missione di san Giuseppe nella vita di Cristo e della Chiesa, quindi, nel piano divino dell’Incarnazione e della Redenzione. San Giuseppe è ministro della Redenzione in qualità di custode di Gesù, è al servizio di Dio mediante la sua paternità. Vi è qui una meravigliosa valorizzazione della paternità umana! 

Essa si approfondisce nell’esortazione di Giovanni Paolo II mediante uno sguardo ancora più ampio e profondo al numero 7, dove si legge: «la paternità di Giuseppe […] passa attraverso il matrimonio con Maria, cioè attraverso la famiglia». Perché questo dato è così importante? Proprio per il fatto che non viene dalla generazione naturale, la paternità di Giuseppe è possibile solo in virtù del matrimonio con la Vergine e rivela chiaramente come la paternità umana si esprima in pienezza nel contesto della famiglia. «Come si deduce dai testi evangelici, il matrimonio con Maria è il fondamento giuridico della paternità di Giuseppe. È per assicurare la protezione paterna a Gesù che Dio sceglie Giuseppe come sposo di Maria». Infatti, il Vangelo ci racconta che al momento dell’Annunciazione a Maria e del sogno di Giuseppe era già in atto il loro matrimonio, ossia la prima fase dello sposalizio, secondo l’usanza semitica. 

Tutto ciò rivela il matrimonio come vera vocazione, e ci permette di comprendere come l’esercizio della paternità di Giuseppe non possa essere disgiunto dalla maternità di Maria. Se questo è vero per la Sacra Famiglia, deve essere vero anche per ogni famiglia, di cui Gesù, Maria e Giuseppe ne sono il modello supremo.

Al contempo, non va dimenticato che la risposta fedele di Giuseppe alla sua chiamata di vergine, sposo e padre permette a Maria di vivere in pienezza la sua chiamata di vergine, sposa e madre! Vi è un reciproco sostegno tra le due vocazioni! Non può pensarsi l’una senza l’altra. Non a caso, quindi, nella Redemptoris Custos, Giuseppe è sempre considerato «insieme con Maria», mentre Gesù è posto al centro di questa relazione, che sussiste proprio in ragione di Lui. 

Attraverso il loro matrimonio, Maria e Giuseppe si donano totalmente a Dio, in un amore verginale e fecondo, facendo convergere tutti i loro interessi e il loro reciproco amore su Gesù. Essi, pertanto, sono il modello di ogni vocazione cristiana, e dimostrano che la vita si realizza nel modo più autentico solo quando è “persa” per Cristo, ossia donata interamente a Lui per amore. Ed è così che il loro matrimonio può essere contemplato quale simbolo della Chiesa, vergine e sposa di Cristo (cf. Redemptoris Custos n. 20). Come scrive san Josemaria Escrivà in una sua meditazione: «San Giuseppe doveva essere giovane quando sposò la Vergine Santissima, una donna che allora era appena uscita dall’adolescenza. Essendo giovane, era puro, limpido, castissimo. E lo era, giustamente, per amore. Solo riempiendo d’amore il cuore possiamo essere certi che non si risentirà né devierà, ma rimarrà fedele all’amore purissimo di Dio».

Nella vicenda di Giuseppe e Maria, dunque, incontriamo la prima coppia di sposi cristiani, guidati dallo Spirito a vivere il Vangelo prima ancora che Gesù lo predicasse. Illuminanti le parole di Paolo VI pronunciate nel 1970: «ecco che alle soglie del Nuovo Testamento, come già all’inizio dell’Antico, c’è una coppia. Ma, mentre quella di Adamo ed Eva era stata sorgente del male che ha inondato il mondo, quella di Giuseppe e di Maria costituisce il vertice, dal quale la santità si espande su tutta la terra. Il Salvatore ha iniziato l’opera della salvezza con questa unione verginale e santa, nella quale si manifesta la sua onnipotente volontà di purificare e santificare la famiglia, questo santuario dell’amore e questa culla della vita» (Paolo VI, Allocutio ad Motum “Equipes Notre-Dame, 4.5.1970). 

Certamente anche l’aspetto giuridico di questo matrimonio è importante per la Storia della salvezza. Infatti, Gesù appartiene alla discendenza di Davide, realizzando così le profezie sul Messia, proprio perché inserito legalmente in questa discendenza da Giuseppe, che gli dà il nome e lo fa iscrivere come suo vero figlio nel catalogo dei censiti a Betlemme. Tuttavia, ciò è possibile per Giuseppe solo in virtù del matrimonio con Maria, madre naturale del Figlio dell’eterno Padre.

Scrive il Papa Leone XIII, nell’enciclica Quamquam pluries al n. 3, che «poiché il matrimonio costituisce la società e il vincolo superiore a ogni altro, che per sua natura prevede la comunione dei beni dell’uno con l’altro, se Dio ha dato alla Vergine in sposo Giuseppe, glielo ha dato pure a compagno della vita, testimone della verginità, tutore dell’onestà, ma anche perché partecipasse, mercé il patto coniugale, all’eccelsa grandezza di lei». Tra i beni del matrimonio vi è anche il “bene della prole”, sebbene generata verginalmente, pertanto, Giuseppe può essere considerato, a ragione, il «custode legittimo e naturale della Sacra Famiglia».

Pamela Salvatori

Mio marito è geloso di Gesù. Cosa fare?

In un articolo di qualche giorno fa – in realtà in più di un articolo negli ultimi giorni – ho scritto dell’importanza di mettere Cristo al primo posto. Ho ricevuto un commento interessante da parte di una lettrice che vi riporto: Mettere Dio al primo posto, rende geloso l’altra metà…e allora cosa fare?

Sembra quasi che esista un conflitto tra l’amore verso Dio e l’amore verso il coniuge. Sembra che dedicarsi a uno significa togliere tempo e qualità all’altro. In realtà non dovrebbe essere così. Probabilmente è la modalità in cui si cerca di trovare il modo e i tempi per curare la relazione con Gesù che va rivista. Perché non c’è nessun conflitto tra Gesù e il coniuge. Anzi l’amore per l’uno dovrebbe nutrire quello per l’altro.

Mi sento di dare alcuni consigli che poi sono gli stessi atteggiamenti che Luisa ha messo in atto con me. Infatti all’inizio della nostra relazione non ero ostile certamente verso la fede ma percepivo quella di Luisa un po’ troppo fanatica per i miei gusti. Stava troppo dietro a quel Gesù. Questo è quello che pensavo salvo poi ricredermi nel tempo.

Non fate pesare la vostra fede. La fede va vissuta per servire meglio nel matrimonio. Dio vuole essere amato nella persona che ci ha posto accanto ancor prima che nel tabernacolo. Ricordate che Lui e vivo e presente anche nella relazione sponsale non solo nel tabernacolo. Se iniziate a frequentare quel gruppo di preghiera e poi quel servizio in parrocchia e poi la lectio divina alla sera e non state mai in casa, come potrà vostro marito o vostra moglie amare il vostro Dio? Lo vedrà come una distrazione, come qualcuno che si intromette e che toglie tempo a lui o a lei. Faccio due esempi concreti di persone che conosco. Lei raccontava di avere un marito poco credente che non la lasciava libera di vivere la fede. Lei aveva bisogno tutte le sere alle 18.30 di andare a recitare il rosario in chiesa con la comunità. Lui tornava a casa dal lavoro e non la trovava mai. Non c’era pronto nulla da mangiare. Capite che così non si fa un buon servizio neanche a Dio. Questo marito si è sempre più irritato e ha provato sempre più fastidio per la fede della moglie. Che testimonianza ha dato la moglie?

Altro caso di due amici. Entrambi nel Rinnovamento nello Spirito. Lui andava al gruppo di preghiera una sera a settimana. Tornava tutto gioioso con la faccia di quello che vuole annunciare al mondo quanto Dio ci ami. Lei era invece esaurita dopo una giornata di lavoro e una sera sola a stare dietro a tre figli piccoli. Vedere quella faccia del marito sorridente e gioiosa le provocava istinti omicidi (esagero naturalmente) e finivano immancabilmente per litigare. Lui ha capito e per un po’ non è più andato.

Rendete il vostro servire una preghiera. Non siamo sacerdoti, non siamo frati e non siamo suore. Loro hanno la giornata scandita dalla preghiera e dagli impegni pastorali. Noi non possiamo pensare di vivere la fede allo stesso modo. Ci viene incontro la testimonianza di Chiara Corbella. Qualcuno ha dubbi sulla santità di questa moglie e mamma? Credo proprio di no. Ecco cosa possiamo imparare da lei. Vi riporto alcune righe tratte dal libro “Siamo nati e non moriremo mai più”

Le giornate volavano via senza riuscire a pregare molto; in generale sembrava di combinare poco. (…) Un giorno Cristiana trovò su una rivista cattolica un articolo intitolato Il cantico della cucina. Vi lesse che il matrimonio consacra tutto nell’amore e che ogni cosa che si fa per amore dello sposo è dono di sé, più importante di mille preghiere. “Pulisco per terra in ringraziamento di…. Rifaccio il letto in offerta per questa situazione….” e cose così. Lo girò immediatamente a Chiara, a cui piacque molto. Da quel giorno occuparsi della casa diventò preghiera. Incredibilmente questo tipo di preghiera funzionava.

Quindi fate in modo che la vostra relazione con Gesù non diventi un peso per l’altro ma che anzi voi possiate essere più capaci di amare, di accogliere, di servire, di perdonare e di prendervi cura dell’altro con tenerezza e pazienza in modo che lui o lei possa essere attratto dal vostro Dio che tanto belli vi fa. Per me è stato così. Ho voluto conoscere il Dio di Luisa per essere capace di amare come lei è stata capace di fare con me.

Antonio e Luisa

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Chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo

Ieri durante la Messa è stato proclamata una seconda lettura particolare. Ne riprendo una parte. Fratelli, vorrei che voi foste senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso!

La stessa cosa viene poi ripetuta in riferimento alla donna. Il mio parroco durante l’omelia ha affermato qualcosa che non mi trova d’accordo. Ha affermato che chi non è sposato può dedicarso con più profondità ed attenzione alla sua relazione con il Signore. Ha fatto l’esempio delle persone che vivono la vedovanza. Diventa – secondo il sacerdote – un’occasione per non avere delle distrazioni e dedicarsi completamente al Signore. Vale anche per la sua vocazione di sacerdote. Una moglie lo porterebbe a vivere in modo meno libero il suo apostolato e il suo ministero.

San Paolo voleva proprio affermare che solo nella verginità e nella consacrazione si può vivere una relazione piena con il Signore? Che il matrimonio diventa una distrazione che allontana? Una distrazione necessaria certamente, almeno per la maggior parte delle persone. Poi però ci sono dei privilegiati che vivono più intensamente il rapporto con il Signore scegliendo o trovandosi in uno stato di vita diverso dal matrimonio. Io non sono affatto d’accordo con questa idea di fondo molto clericale, troppo clericale.

Cosa mi dice questa Parola? Semplicemente che non dobbiamo essere divisi. Il rapporto con il Signore deve essere la sorgente e la bussola per ogni altra relazione. Se inizio a dividere la mia vita in rapporto con il Signore e rapporto con mia moglie o mio marito ecco che si insinua il diavolo e la tristezza. Ecco che le cose non funzionano e magari diamo anche la colpa a Dio. Infatti cosa abbiamo letto nel Vangelo? Cosa dice lo spirito immondo a Gesù? Che c’entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci! Io so chi tu sei: il santo di Dio»

Capite cosa dice lo spirito immondo? So che sei il santo di Dio ma non ti voglio nella mia vita. Stai lì. E’ quello che facciamo tante volte anche noi. Faccio un esempio personale. Da fidanzato ho cercato in tutti i modi di convincere la mia fidanzata – ora mia moglie – a fare l’amore con me. Lei, se avesse voluto piacere al marito – in questo caso fidanzato – più che a Dio, avrebbe ceduto alle mie insistenze. Invece ha sempre tenuto duro e così facendo mi ha amato davvero. Ho capito più della bellezza dell’intimità di coppia con il suo no di quanto avrei compreso se lei avesse accettato di fare sesso con me.

Nel matrimonio ci sono state tante altre occasioni dove il suo marito, testone e un po’ egoista, voleva da lei cose che non erano secondo la volontà di Dio. Lei ha sempre scelto di piacere a Dio e non a me. E io le sono molto grato di questo perchè poi ho capito quanto avesse ragione e io torto e la sua tenacia è stata la scelta migliore anche per me.

Questo significa vivere la Parola che ci ha lasciato San Paolo nella sua lettera. Questo significa vivere la relazione con Gesù anche nel matrimonio e non vale meno di una vita consacrata.

Antonio e Luisa

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Un uomo tutto d’un pezzo

Cari sposi, oggi Gesù parte con il botto nel suo ministero pubblico, da subito fa un esorcismo pubblico, che sicuramente ha fortemente scosso la sensibilità di chi l’ha visto. Tutto ciò è stato letto come segno di autorità che in greco si dice exousia.

La sua etimologia è, alla lettera, “avere un’esistenza che proviene dall’essere”. Gesù, quindi, era una persona che appoggiava le sue certezze non da fuori ma da dentro. Cioè, era uno ben fondato e sicuro di sé ed è per questo motivo che suscitava così tanta ammirazione in chi lo vedeva e ascoltava.

Ma come mai Gesù possedeva tale autorità? Evidentemente per la sua condizione divina; eppure, essa si sposava integramente con il suo modo umano di vivere. Gesù è il Verbo, la Parola che si è fatta Carne. Quindi il suo vivere, la sua esistenza era allineata con il suo essere Dio. Ma questo non è stato affatto semplice e facile, per nulla scontato! Diciamo che Gesù se l’è guadagnato con sudore e fatica e da lì il grande merito e fascino che emanava.

Dice il Papa che exousia si riferisce non a “qualcosa di esteriore o di forzato, dunque, ma di qualcosa che emana da dentro e che si impone da sé” (Papa Francesco, 10 settembre 2013).

È per questo allora che Gesù si scontra con il demonio, la creatura bugiarda e falsa per eccellenza. Il suo modo di agire non è altro che la menzogna, l’inganno, la confusione, la complicazione, l’ipocrisia. È chiaro che dinanzi a Uno così retto e integro egli salta su per avvertire sempre più vicina la sua rovina.

Che significato può avere per voi sposi quanto espresso finora? Partiamo dal fatto che voi sposi siete un prolungamento, una figura concreta dell’Incarnazione (cfr. Leone XIII, Arcanum). La vostra vocazione è di rendere visibile il dono di Amore di Cristo che ha posto la sua dimora in mezzo a noi e vuole renderlo il più possibile diffusivo.

Il demonio, invece, ha estremo interesse di farvi fallire. Non necessariamente a suon di divorzi e scandali pubblici ma piuttosto facendovi scivolare in un’anonima mediocrità, anestetizzando la vostra coscienza.

Se Gesù in questo brano viene a liberarci levandoci le maschere di dosso, il demonio invece è il maestro del camouflage, dell’apparenza di bene che nasconde tutt’altro.

Allora, ben vengano tutte quelle situazioni di vita o persone che ci aiutano e stimolano ad essere noi stessi, a vivere a fondo la nostra vocazione e ci riportano sul sentiero giusto! Chiediamo al Signore di farci uscire dalla finta pace dei compromessi con il male e il peccato, sebbene sia costoso e difficile, ma è l’unica strada verso la pienezza di vita.

ANTONIO E LUISA

Ho pensato a quanto scritto da padre Luca. Mi sento di dare un consiglio. Cercate di essere trasparenti l’uno con l’altra. Se tra voi c’è verità e non ci sono segreti, per il diavolo sarà molto più difficile trovare un varco per distruggere il vostro matrimonio. Io parlo sempre a Luisa delle mie tentazioni. Questo le depotenzia e mi permette di affrontarle con lei. Questo atteggiamento mi permette di disinnescare tanti pericoli già in partenza.

Il matrimonio secondo Pinocchio /21

Cap. XIII. L’osteria del Gambero rosso.

Entrati nell’osteria, si posero tutti e tre a tavola

Già durante la cena Pinocchio sembra intuire che qualcosa stia andando storto e non mangerà pressoché niente, al contrario del Gatto e della Volpe che si abbufferanno a sue spese per poi sparire nel nulla prima del risveglio del burattino; sicché da cinque ora si ritroverà con quattro zecchini d’oro.

E’ proprio così nella vita: quando ci sediamo a tavola col nemico (il diavolo e le sue tentazioni) cominciamo a perdere i nostri zecchini, ovvero i doni che il Signore ci ha elargito, cominciando da quelli naturali… ne abbiamo come una vaga intuizione ma continuiamo imperterriti; noi non mangiamo niente ma il nemico ci mangia tutto.

Ma la parte più brutta arriva dopo cena:

– E dove hanno detto di aspettarmi quei buoni amici? – Al campo dei miracoli, domattina allo spuntare del giorno. – Pinocchio pagò uno zecchino per la cena sua e per quella dei suoi compagni e dopo partì. Ma si può dire che partisse a tastoni, perché fuori dell’osteria c’era un buio così buio, che non ci si vedeva da qui a lì.

Il cardinal Biffi commenta : Pinocchio deve affrontare la sua seconda notte di viandante perduto, la seconda notte nell’assenza del padre. Le notti dello smarrimento non sono tutte uguali tra loro. Ma questa notte […] è ancora più spaventosa di quella del temporale.

Ogni notte che passiamo lontani dal Padre ci appare più buia della precedente, sembra non ci sia rimedio. Quando ci lasciamo avvinghiare da un vizio, esso ci trascina sempre più giù proprio come nei gironi danteschi, come quando ci si addentra in una galleria fino a non percepire più la luce né dell’entrata e tantomeno quella dell’uscita. Ma non tutto è perduto:

Intanto, mentre camminava, vide sul tronco un piccolo animaletto che riluceva di una luce pallida e opaca, come un lumino da notte dentro una lampada di porcellana trasparente. – Chi sei? – gli domandò Pinocchio. – Sono l’ombra del Grillo parlante – rispose l’animaletto con una vocina fioca fioca, che pareva venisse dal mondo di là.

Non è così facile spegnere la coscienza e zittirla una volta per tutte, anche se con una luce pallida ed una vocina fioca fioca essa si fa scorgere in mezzo a tanto buio. Così anche per noi, quando avvertiamo di essere lontani da Dio, è proprio questa sensazione di lontananza la prima vocina fioca della coscienza che ci richiama, è la misericordia del Padre che ci raggiunge cominciando a farci sentire la sua mancanza, è un inizio, è una lucina opaca ma pur sempre luce in mezzo al buio.

Cari sposi, quando avvertite che qualcosa nel vostro matrimonio non funziona a dovere, quando nonostante qualche sforzo la relazione non migliora, quando la pace non regna tra voi ma ha ceduto il posto all’inquietudine… tutti questi segnali forse sono quella luce pallida della seconda notte di Pinocchio… affrettatevi a chiedere aiuto e non spegnete questo lumicino.

Il problema non è tanto capire come siete finiti in quella situazione, ma come uscirne… non fate come il nostro burattino che rispose così all’incalzare della voce del Grillo parlante:

– Le solite storie. Buona notte, Grillo.

Coraggio, anche la notte più lunga ha un’alba che aspetta.

Giorgio e Valentina.

Corsi fidanzati: c’è davvero tutto ciò che si deve sapere?

Quest’anno stiamo frequentando il primo livello del corso per direttori spirituali per coppie sposate proposto dall’Ateneo pontificio Regina Apostolarum.

Questo corso, che si sviluppa in due livelli, è stato pensato da Don Renzo Bonetti – fondatore del progetto Mistero Grande – ed è un’ottima proposta per la varietà di argomenti trattati legati al sacramento del matrimonio e per la qualità dei relatori.

Abbiamo ascoltato insegnamenti legati al discernimento e alla coscienza di coppia, alla sessualità, alla spiritualità e alla dimensione sacramentale del matrimonio cristiano.

Durante l’ultima giornata di questo corso, il relatore è stato Don Salvatore Bucolo direttore della pastorale familiare della diocesi di Catania. Il tema da lui esposto era legato all’identità e missione della chiesa domestica. Una sua affermazione ci ha particolarmente colpiti: “nella diocesi di Catania abbiamo ormai la scuola per i lettori, per gli accoliti e per i catechisti, ma la scuola per ministero coniugale e familiare?…io per diventare sacerdote ho studiato sette anni e sono stato missionario”.

Quando ci siamo sposati avevamo da poco perso nostra figlia Olga, nata e subito salita al cielo al settimo mese di gravidanza. Come abbiamo scritto in altri nostri articoli è stata Olga con la sua breve vita terrena che ci ha “partoriti” nella fede come noi l’abbiamo generata nella carne. Olga ha suscitato in noi il forte desiderio del matrimonio sacramento (essendo noi allora sposati solo civilmente).

Ci siamo così presentati al sacerdote del paese nativo di mio marito, il quale non ci chiese di partecipare al corso fidanzati in quanto si rese conto che superare la morte di un figlio e restare uniti non è da poco. Subito dopo esserci uniti nel sacramento del matrimonio, quando ancora non avevamo una particolare relazione intima e personale con il Signore, sentivamo ancora una grande mancanza nella nostra vita e nella nostra coppia.

Quella sensazione che avevamo sperimentato prima di ricevere il matrimonio cristiano si è ripresentata, quella di non bastarci più ed era diventava ancora più forte. Eravamo alla ricerca di qualcosa di più, non avendo ancora compreso la centralità del Signore Gesù nella vita degli sposi.

Un libro ha scoperchiato il vaso di pandora spingendoci a iniziare, permetteteci la metafora, “la caccia al tesoro”, perché chi trova Lui trova il Re di tutti gli scrigni ed il titolo è: L’ecologia dell’amore: intimità e spiritualità di coppia dei nostri amici Antonio e Luisa De Rosa, che però ancora non conoscevamo.

Il libro aveva generato in noi una sete profonda che non veniva saziata dal solo nostro amore, così abbiamo recuperato quell’intimo dialogo col Padre, ma avevamo sempre più sete di sapere chi eravamo diventati con il sacramento del matrimonio e ciò che era cambiato in noi.

Dio incidenza ha voluto che su Facebook vedessimo la locandina di un week end organizzato dall’associazione Intercomunione delle Famiglie di cui sono cofondatori Antonio e Luisa, che in quell’occasione si teneva nelle vicinanze di Parma. Quei due giorni intensivi, alla scoperta della bellezza di noi sposi cristiani, ci hanno permesso finalmente di comprendere col cuore che eravamo tabernacolo di Cristo; che Gesù bambino viveva cullato nei nostri cuori uniti nell’amore sponsale. Mi ricordo che allora abbiamo pensato “magari averlo saputo prima!” e la gioia è stata talmente grande che ancora oggi quando ci ripensiamo sentiamo un nodo alla gola.

Vi abbiamo portato questa testimonianza per sottolineare come spesso il sacramento del matrimonio venga impartito senza che la coppia abbia la minima consapevolezza di entrare in un mistero veramente grande; senza voler attribuire alcuna colpa al sacerdote a cui ci siamo rivolti per celebrare il matrimonio sacramento, che come accennato prima ci ha accolti con grande bontà di cuore e attenzione alla nostra sofferenza.

Ci siamo poi resi conto, impegnandoci con i corsi fidanzati in diverse parrocchie, che spesso questi ultimi vengono affidati a coppie storiche della parrocchia con parecchi anni di matrimonio alle spalle che portano una forte testimonianza legata alla perseveranza e alla possibilità che, in un mondo fatto di tanti matrimoni che finiscono in divorzi, con la grazia di Cristo Signore è veramente possibile amarsi come Lui ci ama per tutta la vita; tuttavia queste coppie spesso e volentieri (parliamo secondo la nostra esperienza personale, senza voler generalizzare) non hanno alcuna formazione e preparazione in termini di teologia della famiglia. In fondo oggi giorno di corsi d’approfondimento ne vengono offerti una molteplicità.

Gli insegnamenti che Intercomunione delle Famiglie propone con molta semplicità e verità – affinché siano comprensibili a tutti – difficilmente si sentono nelle parrocchie, né in occasione dei corsi in preparazione al matrimonio né durante gli incontri dei gruppi famiglie delle stesse.

Ci è capitato, avvicinandoci ad alcuni gruppi famiglie parrocchiali, di ascoltare confronti legati alla lettera dell’arcivescovo, alla lettera ai Filippesi, ad un determinato libro biblico che più che essere insegnamenti legati alla dimensione sacramentale della coppia di sposi erano delle lectio divina adattate alla coppia.

La nostra idea è che per fare un corso fidanzati, visto che spesso si hanno davanti coppie che sono completamente a “digiuno” a livello di vita di fede e che sono conviventi o hanno già figli, serva un lessico molto basilare, ma allo stesso tempo gli insegnamenti vanno portati con verità.

Non possiamo affermare che la convivenza non sia uno sbaglio perché il fidanzamento è il tempo della conoscenza e del discernimento per capire se c’è compatibilità e del discernimento, i rapporti fisici secondo la nostra storia personale – essendo un’esperienza totalizzante – sfalsano la percezione della realtà. Dobbiamo avere il coraggio e la carità di dirlo. Spesso non conosciamo la verità perchè non l’abbiamo mai ascoltata, come abbiamo sentito dire da Padre Raimondo Bardelli durante una registrazione di un suo insegnamento: è come se avessimo due belle fette di salame sugli occhi.

Una domanda interessante sulla brevità dei corsi fidanzati odierni è stata posta a Don Renzo Bonetti durante il corso per direttori spirituali per coppie sposate, il quale ha risposto che se chi frequenta i corsi fidanzati è convinto di dover imparare solo l’a,b,c – perché ignora quel mistero grande di cui parlavamo prima – non capirebbe e percepirebbe come “folle” un percorso lungo un anno o più in preparazione al matrimonio.

Di conseguenza la nostra riflessione è che essendo i corsi di preparazione al matrimonio estremamente corti sono importanti le coppie storiche con la loro testimonianza di un amore paziente, costante e mite, ma allo stesso tempo servono interventi da parte di sacerdoti o coppie che abbiano una determinata formazione perché si corre il rischio che questi fidanzati ricevono in dono un diamante dal Padre con il sacramento del matrimonio e lo scambino per un sasso. È bene far comprendere alle coppie che il matrimonio cristiano è dialogo, ascolto e perdono, ma da soli questi elementi non sono sufficienti affinché i fidanzati arrivino all’altare con cognizione di causa.

Alessandra e Riccardo

Tradire mia moglie? No grazie!

Questo è un articolo un po’ provocatorio, così tanto per favorire una riflessione personale o magari anche un confronto attraverso le vostre risposte o i vostri commenti sui vari social dove posterò questo articolo.

Ne stavo giusto parlando alcuni giorni fa con mia moglie. Alcuni si sorprendono della libertà con cui affrontiamo certi argomenti ma la trasparenza – sempre con carità e rispetto – resta la base di una relazione matrimoniale sana. Serve a disinnescare tante insidie perchè si affrontano insieme. Lei ha otto anni più di me ed ora che ha superato la cinquantina da un pezzo si ritrova un marito che non ha ancora cinquant’anni. Lei ha un po’ di timore. Se ne sentono tante. Un marito di 49 anni potrebbe tranquillamente trovare una donna con vent’anni meno di lei.

Io mi sento di rassicurarla. Non perchè io sia particolarmente virtuoso (ci provo ma non mi reputo forte e infallibile). Io posso serenamente affermare che sono più sicuro adesso che non tradirò mia moglie rispetto ai primi anni di matrimonio. E vi darò anche alcune motivazioni che per me sono chiare ed evidenti.

La relazione salda. È fondamentale quello che si è costruito. In questi ventuno anni ho costruito con Luisa una relazione per me meravigliosa e irrangiungibile con qualsiasi altra donna. Io amo mia moglie ma non è solo quello. È la mia migliore amica, è la mia consigliera, è la persona su cui posso contare sempre e mostrarmi senza difese per quello che sono. È l’amante che mi conosce e che sa come amarmi. Questo me la rende unica. E il corpo? Il corpo di Luisa è oggettivamente invecchiato. Eppure mi appare meraviglioso. Più di quando ci siamo sposati. Questo perchè noi tutti non abbiamo uno sguardo puramente superficiale e oggettivo. Il matrimonio permette di conoscere sempre meglio una persona. Di conoscerla in tutti gli aspetti. Conoscerla nel corpo, nello spirito, nella sensibilità, nei dolori e nelle gioie. Il matrimonio permette di condividere anni insieme in ogni situazione bella e brutta. Quanti abbracci, quanti perdoni, quante anche incomprensioni e musi lunghi. Questo modifica il nostro sguardo. Diventa – utilizzando le parole di papa Francesco – uno sguardo photoshoppato. Io non vedo il corpo di Luisa ma vedo Luisa fatta di tutta la sua persona ed è sempre più bella.

La fatica e l’ansia da prestazione. Dopo aver affermato che con Luisa sto bene come con nessun altra potrei esserlo, analizziamo un altro aspetto. Quello più basico e meno romantico. Esaminiamo l’animale che c’è in noi. La parte pulsionale e ormonale. Come ho scritto diverse volte ho un’età per la quale non ho ancora raggiunto la pace dei sensi. Sono attratto da tante donne, alcune delle quali sono anche raggiungibili in quanto amiche e colleghe. Con alcune ho anche intuito una certa simpatia reciproca. Allora perchè non è mai successo nulla? Oltre che per il motivo espresso prima che fa di Luisa la più bella per me c’è anche un aspetto meno nobile e più egoistico. Con un’altra donna dovrei far fatica, dovrei ricominciare da capo e non potrei certo mostrarmi liberamente in tutte le mie fragilità.

Tenete a mente che l’ansia da prestazione è presente soprattutto dove non c’è amore. Dove non c’è un amore solido e costruito nel tempo. Dove non c’è la sicurezza di essere amati gratuitamente. Due amanti non si amano gratuitamente ma cercano entrambi qualcosa nell’altro. Arriviamo quindi al rapporto fisico che è una sintesi rappresentativa di quello che è il rapporto affettivo a tutto tondo. Spesso le disfunzioni sessuali sono dovute non a cause organiche ma psicologiche. Le persone che soffrono meno di disfunzioni sessuali (eiaculazione precoce, perdita dell’erezione, vaginismo ecc ecc) sono proprio quelle che vivono una relazione stabile e ricca di amore autentico. Queste persone sanno di essere amate senza dover dimostrare nulla. Queste persone sanno di non dover dimostrare nulla e durante il rapporto pensano solo a donarsi l’uno all’altra e non alla performance. Sanno che non saranno giudicate per come fanno l’amore ma saranno accolte sempre e comunque perchè amate. Che bello imparare ad abbandonarsi nella fiducia e nell’amore l’uno all’altra. Ciò vale per l’incontro intimo ma vale anche per tutta la relazione in ogni momento della nostra vita. Non è quello che promettiamo il giorno del matrimonio? Capite perchè l’intimità nel matrimonio è più bella! Nessuna amante potrebbe rendermi l’intimità bella e in una profonda comunione di accoglienza e dono come riesco a avere con Luisa.

Tutto questo articolo per dire cosa? Se avete la tentazione di cercare altrove quello che non trovate nella coppia abbiate il coraggio e la libertà di parlarne con l’altro. Alla fine dipende da cosa cercate. Io non cerco del sesso e basta ma di vivere in pienezza il fine di quel gesto tanto coinvolgente: la comunione in anima e corpo. Esperienza che posso vivere solo con mia moglie. Per questo credo possa dormire sogni tranquilli. Non ho nessuna voglia di cercare fuori quello che posso avere all’ennesima potenza con lei! E voi?

Antonio e Luisa

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Resterà solo l’amore

Sono rimasto molto colpito dalla storia che mi ha raccontato una mia cara amica e per questo oggi voglio condividerla con voi, sintetizzandola: quello che dirò è tutto vero, ma, per ovvi motivi, chiamerò questa mia amica con un nome di fantasia, Marta.

Marta a un certo punto della sua vita si separa dal marito, ma sceglie di rimanere fedele a Gesù e conseguentemente rimane sola con i figli, senza “rifarsi una vita”.

Entra in contatto con la Fraternità Sposi per Sempre e capisce che è la sua strada: frequenta spesso, è una persona di grande fede, sempre sorridente, gioiosa e molto attiva nel volontariato e nella cura degli altri.

Intanto il tempo passa, i figli crescono e il marito addirittura si risposa civilmente, ma lei va avanti, nonostante le difficoltà e le persone che non capiscono la sua scelta (è fissata con la religione? E’ ancora innamorata? Illusa che tornerà o delusa dagli uomini?).

Dopo un po’ di anni il marito si ammala, lei da lontano prega per lui e chiede preghiere agli amici; i mesi passano e la situazione si aggrava, tanto che lui non può più nemmeno muoversi da casa: Marta chiede alla nuova moglie di poterlo andare a trovare, ma questo le viene negato.

Allora di nascosto, quando sa che lei non c’è, lo va a trovare: lui si meraviglia di questa visita, ma non la manda via; allora Marta con coraggio gli prende una mano e gli dice: “Lo sai, vero, che ti ho sempre voluto bene?”. E lui: “Sì, lo so” e si mette a piangere.

Dopo pochi giorni, lui viene a mancare e Marta con discrezione e stando in disparte, segue tutto, chiedendo anche di recitare lei una decina del rosario, prima del funerale. In seguito Marta viene a sapere dai figli che quando il marito stava male e delirava nel sonno, chiamava “Marta, Marta” e non la nuova moglie.

Ecco, quest’ultima confidenza mi ha fatto molto riflettere: innanzitutto a questi figli credo che nessuno dovrà loro spiegare come ama Dio, perché l’hanno visto e sperimentato in maniera indelebile nella propria famiglia, anche se ferita.

Io non posso che ringraziare questa sorella per la sua testimonianza che ha sicuramente colpito parenti, amici e conoscenti: in fondo lei avrebbe potuto farsi gli affari suoi, il marito l’aveva abbandonata, che prendesse le conseguenze delle sue azioni! Invece no, fino all’ultimo è rimasta, non ha amato secondo quello che ha ricevuto, è andata oltre, fino a perdonargli tutto il male fatto e a farlo così “andare” in pace.

Sicuramente il marito ha compreso chi davvero gli voleva bene, perché l’amore vero è nella verità e nella croce, in chi sacrifica la vita per gli altri, caratteristica unica dell’amore di Gesù: il chiamare “Marta” nella sofferenza ne è la riprova.

Per merito di Marta, che su questa terra è la persona che ha più potere su di lui (per grazia della relazione consacrata e benedetta da Dio il giorno delle nozze), io credo che quest’uomo sarà giudicato con particolare misericordia dal Creatore.

Infatti, su questa terra ci affanniamo tanto per guadagnare due soldi, avere potere, cose, prestigio, amicizie importanti, ma di tutto questo non rimarrà assolutamente niente: ci porteremo in Paradiso solo l’amore, quello vero, gratuito.

La vita solitaria di Marta, per il mondo “sprecata”, ha generato invece un tesoro invisibile, ma di grande valore, per se stessa e per le persone a lei legate, in primis il coniuge. È inutile mentire a noi stessi: un amore di convenienza (io faccio questo, tu fai quello), o di compagnia o di reciproca soddisfazione sessuale non ci basta e non ci fa stare tranquilli, anzi ci tiene sempre in uno stato di preoccupazione per mantenere costantemente un certo livello, una certa aspettativa, altrimenti si corre il rischio di essere lasciati per altre persone. Questo ci porta lontani dall’essere noi stessi e appena arriva una difficoltà seria, chi continuerà a starci vicino? Tutti lo desideriamo verso di noi, ma non è facile amare una persona “per sempre”, indipendentemente da quello che fa in positivo o in negativo; tuttavia con l’aiuto di Dio è possibile farlo, come Marta che l’ha saputo mettere in pratica con il marito. Grazie Marta

Ettore Leandri (Presidente Fraternità Sposi per Sempre)

Passa la scena di questo mondo!

Questo vi dico, fratelli: il tempo ormai si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; coloro che piangono, come se non piangessero e quelli che godono come se non godessero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo!

La seconda lettura di ieri è decisiva. Non ce ne sono di storie. Un cristiano autentico si riconosce in questa descrizione. Ma cosa significa? Che io posso vivere come se mia moglie non ci fosse? Posso fare i fatti miei e sentirmi libero di fare ciò che voglio senza curarmi di lei? A una lettura superficiale potrebbe sembrare davvero così. Ma chiaramente San Paolo intende dire altro.

La nostra vita ha un solo grande fine: incontrare l’Amore. Abbiamo tutta la vita per capire che l’unico che salva è Cristo. E’ Dio!

San Paolo ci sta chiedendo di mettere ordine nella nostra vita. Egli ci esorta a fare chiarezza. Non possiamo vivere appieno se non poniamo al centro di ogni cosa il nostro rapporto con Dio. Solo Lui può essere la nostra ragione di essere. Né il pianto e la sofferenza, altrimenti saremmo disperati. Né il godimento e la gioia del mondo, altrimenti saremmo illusi e destinati a crollare di fronte alla prima vera prova. Nemmeno i beni materiali possono colmare il vuoto che ci attanaglia, poiché tale vuoto nasce dalla mancanza di un significato profondo.

Non lo può essere neanche nostro marito o nostra moglie. Spesso due innamorati si scambiano frasi molto pericolose: sei il mio tutto! sei la mia vita! senza te non avrebbe senso nulla! Finchè è un modo per esprimere l’innamoramento che è un’emozione fortissima e assolutizzante va bene. Attenzione però che non diventi davvero così. L’altro diventerebbe il vostro dio. Il vostro vitello d’oro. Il vostro idolo. Se Gesù potesse parlarci, direbbe a noi sposi:

Non riesci a vedere la persona che ho messo al tuo fianco? È una creatura bellissima, ma piena di ferite, fragilità e incompiutezze proprio come te. Non illuderti pensando che possa colmare quel desiderio di completezza ed eternità che hai dentro di te. Solo io posso fare questo per te. Quello che desidero è solo questo. Tuttavia, devi fare la scelta giusta. Deve essere una tua libera scelta. Non posso forzarti perché sarebbe contrario all’amore. Non mettere la tua sposa o il tuo sposo al mio posto, prima di me. Non farne un idolo. Fallo per te e fallo per lui/lei. Se farai dell’altro il tuo idolo, gli metterai sulle spalle un peso enorme. Non riuscirà mai a darti tutto quello che cerchi, perché nessun essere umano può farlo. Vieni da me e poi con la mia forza, la mia presenza e la mia tenerezza, amalo. Solo allora l’amerai veramente, senza condizioni e senza pretese.

Antonio e Luisa

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Una sessualità redenta

Nella teologia del corpo di Giovanni Paolo II emerge un’importante prospettiva sul matrimonio come sacramento del corpo e della sua redenzione. Questa prospettiva non è solo di natura sacramentale, ma ha anche profonde implicazioni etiche e sostanziali che permeano le sue riflessioni. L’idea che il matrimonio sia non solo un sacramento del corpo, ma anche della redenzione del corpo stesso, sottolinea l’importanza e la santità dell’unione matrimoniale. Questa visione incarna il significato profondo dell’amore coniugale e della responsabilità reciproca tra i coniugi, offrendo una nuova luce sulla dimensione sacramentale della vita coniugale e della sessualità.

San Giovanni Paolo II ci insegna che non possiamo fare esperienza di Dio se il nostro cuore è chiuso. Se il nostro cuore è indurito dall’egoismo, dal peccato, dalla lussuria e da tutti quegli atteggiamenti che fanno dell’altro una persona da usare e sottomettere a noi, e non una persona da incontrare in una relazione d’amore.

Il sesso è spesso un terreno in cui emergono l’egoismo e il desiderio di possedere e usare l’altro a proprio piacimento. Chi è chiuso in se stesso non riesce a donarsi e a entrare in comunione veramente con l’altro. A volte si maschera di tenerezza e romanticismo, ma è solo un’apparenza falsa. Molte volte non è neanche consapevole della falsità dei propri sentimenti.

Giovanni Paolo ci insegna che il matrimonio può essere un sacramento di redenzione, anche in questo contesto. L’eros, canalizzato in una relazione oblativa (donativa), come è quella nuziale, diventa un vero desiderio di incontro. La vita di tutti i giorni, fatta di servizio, di cura reciproca e di gesti carichi di tenerezza e di riguardo, dovrebbe diventare educativa. Con il tempo e con la Grazia di Dio, noi sposi dovremmo riuscire ad eliminare l’egoismo che attanaglia il nostro cuore. Piano piano, il nostro sguardo dovrebbe spostarsi dall’io al tu. Dovremmo essere sempre più capaci di “guardare” l’altro e desiderare il suo bene prima del nostro. Uso il condizionale perché spesso non viviamo il nostro matrimonio dando tutto. Una relazione sponsale vissuta davvero fino in fondo non può che cambiarci in meglio e rendere noi sempre più capaci di donarci.

Tutto questo lo portiamo anche nell’incontro intimo. Saremo sempre più capaci di liberarci dall’egoismo e dalla lussuria e l’amplesso sarà sempre più un vero incontro tra noi sposi, e ci permetterà sempre più di fare esperienza di Dio. Per questo gli sposi che vivono l’amore sponsale in pienezza non si stancano di fare l’amore. Sarà ogni volta più bello perchè loro saranno sempre più capaci di amarsi.

Così, la vita di tutti i giorni fatta di tanti piccoli gesti nutre il desiderio erotico e l’eros vissuto come incontro profondo nutre il desiderio di amare il nostro coniuge nella vita di tutti i giorni. Un circolo che ci permette di perfezionare sempre più il nostro amore e ci avvicina sempre più a Gesù.

Antonio e Luisa

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“Faccio sesso con un amico, siamo ancora amici? Lui dice di sì”: domande che spezzano il cuore

Di recente, mi è capitata sotto agli occhi una rubrica – dai toni ironici – tenuta da una nota influencer e modella, sui temi dell’affettività e dell’amore di coppia.

La nota ragazza – che ha quasi tre milioni di followers – rispondeva, nelle sue storie di Instagram, a dei quesiti che le venivano posti dalle utenti.

Dalle domande che tante ragazze le indirizzavano, è apparsa in modo evidente la sete di verità e di bene di molti cuori smarriti. Al contempo esse ci parlano di una seria emergenza nell’ambito della sessualità e dell’educazione all’amore.

Una domanda, in particolare, ha catturato la mia attenzione: “Faccio sesso da un po’ di tempo con uno dei miei migliori amici, ma non so se ora siamo solo amici, lui dice di sì”.

La risposta dell’influencer è stata ironica, ma faceva capire che si trattava di un’amicizia inquinata. E questo non è poco, in un ambiente impastato di pornografia quale è quello dei social e dei media in generale. Eppure, non è sufficiente.

Ciò che ho pensato leggendo quelle parole da far stringere il cuore (avrei voluto averla davanti, la ragazza della domanda, e dirle che merita molto, molto di meglio!), mi sono detta che dobbiamo fare di più per i nostri giovani, per non lasciarli soli, in balia degli istinti, della pornografia, di relazioni non chiare e non mature. Dobbiamo davvero fare di più.

Non molto tempo fa ho scritto un libro: “Amore, sesso, verginità. Le risposte (e le domande) che cerchi” (Punto Famiglia Editore, 2022), con la speranza di offrire uno strumento utile a educatori, genitori, catechisti, insegnanti. So che è solo una goccia, gettata nell’oceano di una mentalità pornografica dilagante, che risucchia nel suo vortice tante anime, ma è una goccia che a tutti noi, se vogliamo bene ai giovani, viene chiesta.

Dobbiamo testimoniare con coraggio che esistono un momento e un contesto “giusti” per vivere l’intimità sessuale. Dobbiamo testimoniare la gioia che viene dalla tenerezza e mettere in guardia dal degrado del possesso. Non tutto è perduto, come il demonio tenta di farci credere. Negli adolescenti e preadolescenti – prima che il mondo li indottrini con le sue bugie – brucia dentro proprio questa domanda: “Quando e come devo vivere la mia sessualità? Con chi? Qual è il momento giusto?”. 

È in quella fase della vita, nella pubertà, che dobbiamo intercettarli, prima che il mondo inoculi il suo veleno. Non possiamo adeguarci anche noi cristiani al politicamente corretto, per cui nella consensualità si può fare di tutto: spieghiamolo presto ai ragazzi, quando sono ancora innocenti, che sono nati per amare ed essere amati.

Cerchiamo un dialogo con i giovanissimi, prima che il mondo li convinca di non poter sperare in qualcosa di grande, in un amore vero e duraturo. Intercettiamoli quando sono ancora timidi, impacciati, fragili e dunque teneri. Intercettiamoli prima che seguano la massa, solo per non restare indietro.

Spieghiamo loro che sperimentare il sesso non è una conquista personale (ce lo insegnano i film: perdere la verginità sembra il passaggio che ti rende finalmente “uomo” o “donna”), spieghiamo che è il gesto d’amore più grande e profondo che un uomo e una donna possano scambiarsi e non ha senso viverlo senza responsabilità e senza cura, magari per gioco, nel contesto di “amicizie” che non possono essere tali, se sporcate dal sesso senza impegno. (L’amicizia, per inciso, è una forma d’amore, ma ha per caratteristica la gratutià e la non esclusività. Non comprende vincoli sessuali, che sono propri di un amore sponsale. Confondere i due piani ci porta a perdere armonia nella vita e pace interiore).

Recuperiamo il concetto di “fidanzamento”, come tempo di grazia e di verifica. Parliamo di vocazione, discernimento, attesa: non sono delle torture o delle limitazioni della libertà. Al contrario delimitano i nostri rapporti, ci permettono di viverli nella limpidezza, nella purezza, nell’autenticità. Dobbiamo dirlo ai giovani, che castità non significa castigo.

Facciamo volare alto i ragazzi: diciamo loro, senza paura, che possono, anzi devono, chiedersi a quale progetto d’amore sono chiamati e che il premio sarà grande. Perché ai puri di cuore è concesso nientedimeno che vedere Dio.

Organizziamo incontri, momenti di lettura, visioni di film, recite… Pensiamo a qualunque cosa, pur di intercettare i ragazzi e far dischiudere dai loro animi i sogni più belli che hanno.

Il bene è già nel cuore umano, ma va tirato fuori, portato alla luce, come fa lo scultore con un’opera d’arte, che prima di prendere forma grazie ad uno scalpello era silenziosamente racchiusa nel marmo.

Non abbiamo timore, Dio si fida di noi. Prendiamo in mano ognuno il suo scalpello e diamoci da fare.

Cecilia Galatolo

La castità non è astinenza: la Chiesa lo dice da sempre!

E niente, ci risiamo! Il Papa ha parlato durante l’udienza del mercoledì, regalandoci delle riflessioni di una bellezza dirompente sulla sessualità e i nostri media non sono stati capaci – o non hanno voluto – di coglierne la profondità, limitandosi a una comprensione parziale e superficiale per non dire sbagliata.

Cosa ha detto papa Francesco? Sta proseguendo le sue catechesi su vizi e virtù e mercoledì è stato il turno della lussuria. Vi riporto uno stralcio della catechesi, ma leggetela tutta che è meravigliosa.

La castità: virtù che non va confusa con l’astinenza sessuale – la castità è più che l’astinenza sessuale –, bensì va connessa con la volontà di non possedere mai l’altro. Amare è rispettare l’altro, ricercare la sua felicità, coltivare empatia per i suoi sentimenti, disporsi nella conoscenza di un corpo, di una psicologia e di un’anima che non sono i nostri, e che devono essere contemplati per la bellezza di cui sono portatori. Amare è questo, e l’amore è bello. La lussuria, invece, si fa beffe di tutto questo: la lussuria depreda, rapina, consuma in tutta fretta, non vuole ascoltare l’altro ma solo il proprio bisogno e il proprio piacere; la lussuria giudica una noia ogni corteggiamento, non cerca quella sintesi tra ragione, pulsione e sentimento che ci aiuterebbe a condurre l’esistenza con saggezza. Il lussurioso cerca solo scorciatoie: non capisce che la strada dell’amore va percorsa con lentezza, e questa pazienza, lungi dall’essere sinonimo di noia, permette di rendere felici i nostri rapporti amorosi.

I giornalisti delle maggiori testate laiche hanno saputo sintetizzare tutto questo con il titolo: la castità non è astinenza. Come se Papa Francesco avesse affermato qualcosa di rivoluzionario. Ma quando mai! Il Papa ha ribadito semplicemente ciò che la morale cattolica afferma da sempre. La castità non è fare o non fare qualcosa, ma piuttosto un atteggiamento che abbraccia tutta la persona umana e le sue relazioni.

Quindi cosa intende dire il Papa quando ricorda che castità e astinenza non sono la stessa cosa? Il nostro corpo è un’opportunità straordinaria che noi abbiamo per fare un’esperienza unica nell’incontro profondo e completo con un’alterità. Attenzione però! C’è verità solo quando cuore e corpo esprimono entrambi lo stesso amore. Non basta sentire di amare l’altro per rendere puri e autentici gesti che non lo possono essere. Il sesso non è sempre buono, non è sempre amore, anche se desiderato da entrambi. Il cuore parla attraverso il corpo. Nel sesso dice sono tuo, siamo una cosa sola, tu sei l’unica per me, tu sei l’unico per me. Capite bene che il cuore sta dicendo la verità, attraverso quel gesto del corpo, solo se si tratta di un uomo e di una donna che si sono promessi amore per sempre nel matrimonio. Quindi la castità è solo per chi non è sposato? La castità è per tutti. Ciò che cambia è come viene vissuta. Ricordate che la castità non è altro che fare verità tra cuore e corpo. Quindi il rapporto fisico può essere casto in uno stato e non casto in un altro.

Gli sposi quando sono casti? Gli sposi sono davvero casti quando sanno vivere una intimità fisica bella e piena. Un’intimità fatta di dono e accoglienza reciproca. La castità non è castrazione o dogma morale per non finire all’inferno. C’è anche quella prospettiva ma non è quella che vogliamo e siamo in grado di affrontare noi. Lascio il giudizio a moralisti e sacerdoti. Bisogna cambiare prospettiva! Cercare la castità per essere più felici e per godere più anche del sesso. Cosa intendo? Vi faccio un esempio concreto prendendo spunto da un quesito che abbiamo ricevuto tempo fa.

È lecito fare l’amore con il proprio marito prendendo precauzioni per non rimanere incinta? Capite l’idea sbagliata di fondo? E’ lecito non è il termine esatto. Sembra davvero che si pensi a Dio come ad un giudice, a un tiranno che impone la propria legge e le proprie regole che noi – se desideriamo essere dei buoni sudditi – dobbiamo rispettare senza capirne il motivo. Comprendete che così è frustrante. Infatti non appena il controllo sociale della Chiesa è venuto meno sono crollate anche le persone che decidono di restare caste prima e dopo il matrimonio. Non ne comprendono il motivo. Fare l’amore è così bello. Perchè non posso usare un preservativo per evitare una gravidanza che in coscienza sento non essere giusta per tanti motivi?

Capite che così non funziona! Gesù è re della nostra vita ma è un re diverso. Un re che non impone ma che ci ama profondamente tanto da farsi come noi. Quindi quel è lecito va trasformato in: Cosa vuoi dalla tua vita? Vuoi accontentarti o vuoi la pienezza che io ti ho promesso con il sacramento del matrimonio? Io ci sono. Fidati di me.

Cambia tutto così. Non è più una questione legalistica ma diventa qualcosa di più profondo che ci tocca e ci cambia dentro. Quindi non rispondiamo semplicemente che il preservativo è un anticoncezionale e come tale il suo utilizzo è peccato. Non siamo sacerdoti e non è nostro compito quello di giudicare queste scelte da un punto di vista dottrinale. Rispondiamo da coppia. Rispondiamo con la nostra esperienza di coppia. L’anticoncezionale non permette di accogliere in pienezza l’altro. E’ un mezzo che esclude in modo artificioso la fertilità maschile o femminile. Non c’è dono e accoglienza totale. Senza dono totale l’amplesso perde non solo la sua apertura alla vita ma, almeno in parte, anche la sua forza unitiva, con la conseguenza di inquinare quel gesto d’amore tanto bello con l’egoismo e la ricerca del piacere personale. Una scelta casta è quindi la scelta dei matodi naturali. Una scelta è casta quando è vera, quando è piena, quando permette di sperimentare una gioia e un piacere più grandi. Questo intendeva dire il Papa quando ha affermato che la castità non è astinenza.

Antonio e Luisa

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Non cercate il colpevole! Avete il potere delle vostre scelte.

Spesso noi siamo portati ad affrontare la vita e le situazioni che ci accadono cercando un responsabile a cui dare la colpa. Responsabile che naturalmente spesso lo troviamo fuori di noi. Quando le cose non funzionano nella coppia di solito il colpevole è l’altro.

Quante volte riceviamo telefonate o email di persone – quasi sempre donne – che si lamentano di tutto ciò che non va nel proprio matrimonio. E quasi sempre quello che non va è il comportamento dell’altro. Lui quando torna dal lavoro si isola. Avrei voglia di parlare con lui ma vedo che non mi dà retta. È sempre stanco. Non mi riconosce tutto il lavoro che faccio in casa e dà tutto per scontato. Non mi sento desiderata. Queste sono le critiche che vanno per la maggiore.

Sapete che a ragionare in questo modo vi state gettando la zappa sui piedi? State entrando in un ciclo negativo, vi state annodando da soli il cappio al collo. Il vittimismo rende immobili e passivi. Non permette di agire e di cambiare le cose. Che non significa cambiare l’altro. Magari l’altro è vero che commette delle omissioni e non è sempre capace di dimostrare il suo amore nel modo giusto. Significa cambiare il mio modo di approcciarmi alla relazione. Significa rendermi parte attiva della relazione.

Significa essere consapevoli di essere responsabili della relazione. Già perché spesso cerchiamo un colpevole. Ma è sbagliato in partenza parlare di colpa. Non serve a nulla se non a giustificarci nella nostra continua lamentazione. Serve solo a nutrire il nostro vittimismo. Bisogna parlare di responsabilità. Io sono responsabile della mia relazione con mio marito o mia moglie. Io ho il potere di decidere della mia relazione.

Questo significa che io non sono un poveretto che subisce determinati atteggiamenti o comportamenti, ma io scelgo di restare in quella situazione. Noi abbiamo il potere delle nostre scelte. Ho scelto di stare con quell’uomo o con quella donna anche se non è perfetto! Significa altresì che è sbagliato dire che io non posso sopportare certi atteggiamenti di mio marito o di mia moglie. Non voglio più accettare certi comportamenti! Siamo noi che decidiamo. Siamo noi la parte attiva. Facciamo la nostra scelta.

Ecco perché non salva nessuno restare con un marito violento. Lì c’è solo dipendenza perché la donna non è che subisce una situazione da cui non può uscire, ma sceglie di restare in quella situazione per tanti motivi: spesso per fragilità e dipendenza. Ma questo non è il modo corretto di agire di un cristiano che vuole vivere fino in fondo l’amore nel dono. Spoiler: un marito violento va allontanato. Non esiste sacramento che tenga! Se il sacramento è valido resta indissolubile, ma nella separazione fisica.

Un cristiano libero si pone le domanda: Perché scelgo di restare? Se la risposta viene solo da un obbligo di rispettare una promessa di fedeltà e indissolubilità non pienamente compresa ed accettata, non ci siamo proprio. In questi casi spesso si entra in quel loop del vittimismo che non salva nessuno e che rende spesso la convivenza un inferno. Se invece la risposta è che così si vuole riamare Gesù e l’altro nel dono gratuito di noi, allora cambia tutto. In quella situazione intanto divento consapevole che voglio starci e poi metto in atto tutte quelle scelte quotidiane atte a dare senso e corpo alla mia scelta.

Quando Luisa si è trovata ad avere me come marito, nei mesi in cui stavo sbarellando, lei ha scelto di stare con me anche se ero così. Ho raccontato tante volte come con l’arrivo del secondo figlio io sia entrato in una crisi profonda e mi sia comportato con lei in modo freddo, distaccato e assente per non pochi mesi. Lei che nel frattempo doveva crescere due bimbi piccoli e sopportare il mio stato. Aveva tutti i motivi per lamentarsi. Invece lei ha scelto consapevolmente di starci perché voleva darsi tutta in quella relazione che era la sua vocazione. Così funziona davvero! Così ha lasciato che Dio salvasse lei e me attraverso di lei. Nel suo dono gratuito e libero io sono guarito da quel malessere che mi rattristava e mi legava.

Questo per dire cosa? Smettete di parlare di colpa e iniziate a parlare di responsabilità. Riprendete il potere delle vostre relazioni e delle vostre scelte. Se voi siete in una relazione l’avete scelto. Domandatevi perché avete scelto di restare.

Antonio e Luisa

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Testimoniare l’amore oggi!

Quando si percepisce un ostacolo, la famiglia si riunisce. Per confortare, sorreggere, aiutare o semplicemente testimoniare amore. È così, a maggior ragione, anche per la ‘famiglia delle famiglie‘, la nostra amata Chiesa. In un periodo sociale così disordinato, caratterizzato da tensioni umane, venti contrari, schizofrenie emotive, frutto di un evidente relativismo ideologico, c’è bisogno di fare memoria del senso, del significato profondo dell’esserci, in quanto testimoni di sacramenti.

Ognuno di noi, ogni famiglia credente, deve poter raccontare il proprio originale modo di vivere la missione ‘dell’amore che resiste’. Ci proveremo il 18 febbraio intorno alle 10; da Nord a Sud ma anche oltre le Alpi -grazie ai potenti mezzi tecnologici- ci incontreremo, fisicamente e virtualmente, per condividere il significato dell’essere famiglia e quindi Chiesa. L’appuntamento è presso l’Auditorium del Santuario di Caravaggio (BG). Ad accoglierci saranno i componenti della rete, simpaticamente battezzata ‘gli influencer di Dio‘ , organizzatori della giornata di comunione e verità, quella che sarà raccontata, a cuore aperto, da alcuni testimoni presenti, a seguito delle attese catechesi guidate da don Renzo Bonetti e padre Luca Frontali.

Vi aspettiamo. Per registrarsi all’evento https://forms.gle/1v1yBgeUvsjLDk6J8

Livia Carandente con tutti gli autori di matrimoniocristiano.org

Lo sguardo che salva

Domani, sabato, la liturgia ci propone la chiamata di Matteo secondo il vangelo di Marco. Un Vangelo che non può lasciare indifferenti. Tocca il messaggio più profondo della nostra fede. Gesù non si ferma alle apparenze. Gesù non si ferma al comportamento e alle azioni di Matteo. Gesù vede oltre.

Matteo era un esattore delle tasse. Era profondamente disprezzato dalla gente del suo popolo. Matteo era ciò che oggi chiameremmo un mafioso e un opportunista. Collaborava con gli oppressori, ricavandone una percentuale di profitto dalla coercizione fiscale. Un usuraio. Ma c’è un ma. Non aveva ancora perso del tutto il suo cuore. Forse era un cuore tormentato. Non era felice. Il suo cuore non era ancora corrotto dal male. Sanguinava per il male che faceva, anche se non lo mostrava esternamente. Se non fosse stato così, nemmeno lo sguardo di Gesù l’avrebbe raggiunto. Era una persona afflitta. Faceva ciò che tutti si aspettavano da lui. Tutti lo consideravano una persona squallida, e lui stesso si era convinto di esserlo. Quanto male può fare il giudizio della gente.

Gesù si ferma e lo guarda. Lo guarda con passione, mentre è intento nei suoi traffici. Lo osserva in tutta la miseria e lo squallore di quel momento. Lo guarda mentre ruba alla povera gente. Lo guarda e vede una meraviglia, non un miserabile. Lo guarda dentro, come solo lui sa fare, e coglie quell’inquietudine di un cuore che non si è arreso al male. Lo guarda e vede un uomo in ricerca, un uomo che non ha pace, un uomo che non è felice, perché nel suo profondo sa che la bellezza della vita è un’altra cosa. Sa che la bellezza è data da altro, non certo dai soldi e dai beni materiali. Lo guarda e lo chiama con ardore.

Matteo aveva bisogno di quello sguardo più di ogni altra cosa. Si è visto riflesso negli occhi di Gesù e ha visto ciò che avrebbe potuto diventare. Ha visto il suo potenziale. Non stava vivendo la vita che avrebbe dovuto condurre. Era una meravigliosa creatura amata dal suo Dio. Forse in Gesù, ha riscoperto ciò che sapeva già nel profondo. Seguirlo era semplicemente la conseguenza inevitabile. Finalmente si è sentito bello e desiderato. Ha trovato qualcuno che lo guardava con meraviglia. Come me? Sei sicuro? Capisci chi sono io? Capisci cosa faccio?

Gesù è straordinario per questo. Nel nostro matrimonio può e deve essere così. C’è una forza salvifica che viene dallo sguardo dell’altra persona. Dalla sua fiducia che non cessa mai. Per chi ne ha fatto esperienza sa cosa significa. Ricordo che nel matrimonio l’altro è mediatore tra noi è Dio. Il suo sguardo  può davvero essere lo sguardo di Dio su di noi.

Tutte le volte in cui ho commesso errori, mi sono comportato male, non sono riuscito a dimostrare amore, sono stato egoista… tutte queste volte ho visto lo sguardo di mia moglie, che non ha mai smesso di amarmi. Ha continuato a credere in me, anche quando mi sentivo inadeguato e non degno del suo amore. Il suo amore gratuito mi ha dato una forza incredibile.

Lei aveva due possibilità. Poteva considerarmi come il mondo. Poteva distruggermi con le sue parole e il suo giudizio. Oppure poteva scegliere di prestare i suoi occhi a Gesù. Mi ha guardato con un amore che andava oltre il mio comportamento. Quello sguardo ha continuato a dirmi So che sei bellissimo. Hai sbagliato, ma so che tu non sei quell’errore. È uno sguardo che fa davvero miracoli e che ti provoca il desiderio fortissimo di essere ciò che l’altro vede in te. Di essere completamente uomo per lei. Di essere completamente donna per lui. Allora fare esperienza di questo amore può davvero cambiare la vita.

Antonio e Luisa

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La mistica del sesso secondo il card. Fernandez

Oggi un articolo che in apparenza può sembrare polemico. Quindi metto le mani avanti e rinnovo la mia stima e il mio rispetto al cardinal Fernandez. Per chi non lo conoscesse si tratta dell’attuale prefetto del Dicastero per la dottrina della fede.

Ho letto diversi articoli riguardo le sue riflessioni espresse in un libro pubblicato diversi anni fa, in età giovanile, quindi non so se rispecchiano ancora il suo pensiero. Ho letto articoli entusiasti e altri meno. Testate come Messaggero, Repubblica e Corriere che ne esaltano la presunta apertura sessuale e altri siti come quello di Aldo Maria Valli e La Nuova Bussola che riducono i pensieri del porporato a mera pornografia. Dove sta la verità? Io non voglio schierarmi ma confrontarmi su alcune conclusioni.

Premetto che non ho letto il libro ma ho spulciato diversi paragrafi dello stesso. Il cardinale usa un linguaggio molto esplicito. Questo non mi dà fastidio. Anche io uso per i miei articoli e i libri un linguaggio molto esplicito. Il cardinale mette in evidenza l’importanza mistica della sessualità e dell’incontro intimo. Parla senza censura di orgasmo e di differenza maschile-femminile. Mette in evidenza come sia importante godere e vivere bene il sesso perchè è un dono del Creatore che ci ha voluto così. Anche su questo nulla da dire. Queste cose le ho scritte più volte senza aver letto prima il libro del cardinale. Mi ha solo dato una conferma. Allora dove sta quello che non mi piace? Vi riporto alcune righe del libro.

Così, il piacere dell’orgasmo diventa un’anticipazione del meraviglioso banchetto d’amore che è il cielo (p. 88).

E’ davvero così? L’orgasmo dà un’anticipo di paradiso? Quantomeno questa affermazione è lacunosa ed incompleta. Anche io ho fatto un articolo dove dico esattamente questo. Scrivo che l’intimità vissuta bene è un anticipo di paradiso. Ma non per il piacere dell’orgasmo!!!! Quello è bello e necessario che ci sia ma non è quello che fa la differenza! Il paradiso si realizza nella comunione profonda! Quando due sposi sono uniti sacramentalmente – bisogna dirlo non si può darlo per scontato – quindi vivono un’unione profonda dei loro cuori saldata dal fuoco dello Spirito Santo, e fanno esperienza di essere uno nella fusione dei corpi, allora fanno esperienza di paradiso. Per alcuni attimi ci si rende conto di avere tutto ciò di cui abbiamo bisogno in quell’abbraccio. Questo è il paradiso. Un abbraccio eterno con Cristo. E questo si sperimenta nell’intimità di due sposi. Ma non è l’orgasmo! Quello possono averlo tutti basta saper mettere in pratica delle tecniche. Invece la comunione perfetta è solo per gli sposi in Cristo.

Fare l’amore per noi sposi è un gesto ricreativo. Ma non inteso come ludico, tutt’altro. Per noi ricreazione significa esattamente ricreare. Creare attraverso il corpo qualcosa di molto più profondo e completo. Sempre in Familiaris Consortio possiamo leggere al paragrafo 11: Di conseguenza la sessualità, mediante la quale l’uomo e la donna si donano l’uno all’altra con gli atti propri ed esclusivi degli sposi, non è affatto qualcosa di puramente biologico, ma riguarda l’intimo nucleo della persona umana come tale. Essa si realizza in modo veramente umano, solo se è parte integrale dell’amore con cui l’uomo e la donna si impegnano totalmente l’uno verso l’altra fino alla morte. 

Comprendete la grandezza dell’intimità nel matrimonio? Stiamo ricreando la comunione d’amore tra le nostre due persone, che è immagine della comunione trinitaria. E il piacere viene da quella profondità e non solo da una stimolazione fisica. Nella nostra intimità possiamo davvero fare un’esperienza meravigliosa, sentendoci uno parte dell’altra. Dove la pentrazione dell’uomo che viene accolto dalla donna esprime una ricchezza che viviamo nel nostro cuore. Dio ci ha fatto sessuati per questo. Il sesso non è solo un’esigenza o un meccanismo biologico. Per noi uomini esprime molto di più. Esprime il desiderio del creatore di farci fare esperienza sensibile di ciò che siamo. Di ricreare nel corpo ciò che siamo.

Io credo che Fernandez non sia in malafede e condivido tante delle sue riflessioni. Semplicemente non conosce quello di cui parla. Solo chi ha fatto esperienza della comunione profonda capisce la differenza che passa tra fare avere un orgasmo facendo sesso e realizzare attraverso l’unione dei corpi una comunione sponsale che apre all’infinito di Dio.

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Ordo coniugatorum.

Oggi voglio brevemente parlare di un argomento che purtroppo ho scoperto tardi, alla soglia dei quarant’anni, dopo la separazione, cioè l’ordine degli sposi (ordo coniugatorum): il catechismo della Chiesa cattolica, al n. 1631, spiega che “….il Matrimonio introduce in un ordo – ordine – ecclesiale, crea diritti e doveri nella Chiesa, fra gli sposi e verso i figli”, in altre parole, il matrimonio introduce i coniugi in un’unità sacramentale tra tutti gli sposi cristiani nella Chiesa.

Nessuno me ne aveva parlato, nonostante avessi incontrato nella mia vita tanti santi sacerdoti. Non è colpa di nessuno, ognuno di noi vive in contesti storici, socio culturali diversi, dove anche chi insegna e predica, sceglie gli argomenti di conseguenza.

Eppure lo Spirito Santo ha sempre parlato negli ultimi duemila anni e nelle prime comunità cristiane era forte la sinergia tra i sacerdoti e gli sposi, basti pensare a Aquila e Priscilla con Paolo; successivamente nella Chiesa, dal medioevo fino al Vaticano II, si è formata una struttura piramidale, di cui risentiamo ancora oggi, in cui al vertice c’erano i sacerdoti, poi scendendo i religiosi e infine gli sposi e i laici, poiché la loro sequela era considerata di un valore inferiore a causa dell’aspetto sessuale, quindi una forma meno perfetta di seguire Cristo.

In realtà sacerdoti e sposi hanno missioni diverse e complementari, non c’è una via migliore, se ognuno segue la propria vocazione e la porta fino in fondo.

Come esiste un ordine dei sacerdoti, cioè ogni sacerdote, dovunque si trovi è in comunione con tutti gli altri, perché c’è un solo Gesù, un solo pastore, una sola guida, così anche per gli sposi c’è un Sacramento che li unisce per formare il corpo della Chiesa (quindi il sacerdote è come se fosse la testa del corpo e gli sposi le braccia che abbracciano l’umanità intera).

Il problema è che spesso noi sappiamo più dei preti che di noi sposi: provate ad andare fuori della chiesa dopo la messa di ordinazione di un sacerdote e intervistate le persone all’uscita, chiedendo cosa è successo poco prima. La maggioranza probabilmente direbbe che “è diventato sacerdote”, oppure “si è fatto prete”, quindi vuol dire che prima non lo era, poi lo è diventato, cioè è avvenuto un cambiamento profondo.

Provate a fare la stessa cosa dopo la celebrazione di un matrimonio, probabilmente la gente direbbe “si volevano bene e si sono sposati”, oppure “sono diventati marito e moglie” (cosa che avviene anche nel matrimonio civile), cioè manca la consapevolezza di essere diventati qualcosa di profondamente diverso: addirittura, anche se fisicamente continuiamo a vederli distinti, per fede sappiamo che la coppia si trasforma in una carne sola (l’ho detto altre volte, questo legame non può essere mai spezzato e anche una causa di nullità non divide proprio niente, va soltanto a dichiarare che questa fusione, come quando si fondono insieme due pezzi d’oro, non c’è mai stata, per vari motivi).

Quindi gli sposi entrano a fare parte di un ordine che li porta a essere in profonda comunione con tutte le altre coppie, anche se non lo sanno o ci credono poco, in forza della grazia sacramentale.

Si può infatti essere un’aquila e passare tutta la vita con le zampe per terra e lo sguardo rivolto verso il basso, come fa una gallina che becca tutto il giorno.

È il rischio di tante coppie che si sposano perché si vogliono bene e neanche intuiscono che quello è solo l’inizio, il primo gradino di un lungo cammino.

L’identità tra coppie di sposi non serve per vantarsi, ma al contrario per capire che siamo aquile e che siamo chiamati a volare, impegnandoci e rimboccandoci le mani. Nessuna coppia da sola può esprimere tutto l’amore di Dio, ma solamente tutte insieme possono farlo.

Faccio solo un esempio: quante volte andiamo alla messa parrocchiale e ci sediamo vicino a una coppia di cui sappiamo le difficoltà tra di loro, sul lavoro, con i figli, facciamo finta di non sapere niente e ci facciamo i cavoli nostri?

Le chiacchiere e le notizie della comunità in cui viviamo prima o poi le sanno tutti, quindi perché non tendere una mano, regalare un sorriso, un atto di gentilezza, fare un invito a prendere un caffè, una passeggiata insieme o un proposito di andare a trovarli? Perché io sposo (anche se separato, sono sposo al 100%, anche se non vivo più con mia moglie), sono Sacramento come la coppia accanto a me, anche se quest’ultima non ne ha la consapevolezza!

Per questo non esisterà mai un’associazione di sposi che unisca più del Sacramento del matrimonio, solo che in noi coppie non c’è questo senso si appartenenza, magari lo troviamo di più nelle squadre di calcio!

Ettore Leandri (Presidente Fraternità Sposi per Sempre)