24000 baci!

La figlia più piccola, Dio la benedica, è quella che fa più domande, a volte facili a volte difficili come ogni figlia, ma più di ogni figlia si aspetta che le risposte siano affidabili, precise e circostanziate. Ragion per cui quando l’altro giorno mi ha chiesto: Babbo! Ma tu e mamma esattamente quanti baci vi siete dati da quando vi conoscete? Sapevo che non sarebbe stata soddisfatta di una risposta generica e mi sono messo per quanto possibile a fare due calcoli.

Detto così sembra anche stupido, è così infatti che mi sono sentito sul momento, chi mai si mette a calcolare quanti baci si è scambiato con la moglie? Mica è un bilancio aziendale, né tanto meno una gara con chissà chi. Però dovevo dare una risposta e, al di là del metodo di calcolo a dir poco discutibile (aspetto taciuto alla figlia) e anche della cifra che mi ha ricordato molto quella del titolo di questo post, la cosa ha stimolato una riflessione su quanto i baci che ci siamo dati io mia moglie siano stati preziosi, tutti quanti.

Prima della filiale domanda ero convinto che ci fossero baci con più valore degli altri, secondo una specie di scala di importanza, dove il bacio appassionato scambiato nei momenti più intimi della coppia valesse più di tutti gli altri, quello romantico da film (ma con i vestiti addosso) un po’ meno ma comunque tanto e così via fino ad arrivare al bacetto al volo che ci si scambia prima di andare a lavoro. Non è una logica sbagliata, dopotutto la profondità e il coinvolgimento sono diversi, il primo ad esempio incarna anche molto bene l’unione fisica, segno del dono totale e reciproco degli sposi, insieme al resto del corpo naturalmente.

Pensando però alla nostra vita quotidiana mi sono accorto di quanto siano sempre stati importanti anche i “bacetti” per noi. Io e Valeria sappiamo, anche perché ci è stato insegnato e raccomandato, quanto sia importante mantenere un corteggiamento continuo tra gli sposi, con impegno e costanza in modo reciproco. Abbiamo imparato sulla nostra pelle quanto questa raccomandazione fosse veramente importante, nei momenti in cui è mancato il corteggiamento il nostro amore si è affievolito, si è inaridito, anche quando i motivi non erano gravi e magari ci si sentiva giustificati se eravamo meno romantici perché ad esempio c’erano difficoltà sul lavoro, preoccupazioni economiche o per l’educazione dei figli.

Accorgersi di quanto è importante corteggiarsi e cercare volontariamente di porvi rimedio è stata per noi una grazia e tra i rimedi ci sono i nostri “bacetti”, diventati poco a poco rituali, almeno quelli prima di andare a lavoro e la sera prima di addormentarsi. Questi hanno un significato, sono un modo per dirsi col cuore “ci sono, sono con te, mi piaci e ti amo”. Si potrebbe pensare che farne un rituale possa sminuirne il significato, che se questo gesto diventa un’abitudine possa perdere poco a poco bellezza ma non è così, un bacio, anche se piccolo non è mai scontato perché è un gesto che ti mette sempre un po’ a nudo, è davvero difficile mentire baciando e se lo fai tanto per fare l’altro se ne accorge subito.

Questo gesto tra noi è diventato un piccolo momento speciale, lo aspettiamo e ci rimaniamo male se non avviene, ad esempio un paio di settimane fa è capitato che nella fretta Valeria uscisse di casa al volo con la testa già piena di problemi, era giustificatissima ma francamente mi aspettavo un bacetto al volo e la mia mattinata, solo per questo motivo, è iniziata un po’ peggio del solito. Dopo un paio d’ore lei mi ha chiamato per un motivo che non ricordo e scherzando le ho detto che era stata crudele per avermi lasciato a secco. Ci siamo fatti una risata ed è stato bellissimo, soprattutto perché anche quello è stato un modo per dirsi ti amo, da quel momento la mattinata è migliorata moltissimo.

Ogni gesto che costruisce un vissuto di corteggiamento continuo è linfa vitale per l’amore tra gli sposi, ricevere questi gesti è certezza che si è amati dal proprio coniuge, farli è un piccolo dono che permette alla persona amata di sentire che tu l’ami davvero. A volte fare un gesto d’amore anche piccolo può essere difficile, è quindi una grazia avere dei piccoli rituali, dei momenti che si possono quasi pretendere con dolcezza e continuare a tener vivo l’amore.

Ranieri Gracci

Ricordarsi a quale bellezza siamo chiamati

Recentemente abbiamo trascorso una fantastica settimana in montagna con l’Intercomunione delle Famiglie, ogni volta che partecipiamo riceviamo tantissimo sotto ogni aspetto e per raccontare ogni bene ricevuto non sarebbe sufficiente un post, ci vorrebbero ore. Una cosa però merita la pena di esser messa in evidenza: in questi incontri intensissimi si riscopre ogni volta che nel matrimonio cristiano sono racchiuse bellezze stupefacenti. La cosa strana è che queste bellezze debbano essere ricordate, non basta scoprirle una volta e approfondirle, il ricordo non rimane vivo e c’è bisogno di dedicare periodicamente un giusto tempo a riscoprirle. Ci siamo accorti che è necessario avere un modo per ricordarsi ogni giorno di quanto siamo fortunati, e di come nonostante tutte le distrazioni e difficoltà della vita, siamo chiamati a vivere la vita sponsale nella bellezza. È utile avere un promemoria, che sia un luogo, un oggetto, una canzone, qualunque cosa anche piccola che ci faccia ricordare quanta grazia stupefacente ci è donata.

Io ho un modo mio: guardo un anello di Valeria, uno di quelli belli, di fattura fine e con la pietra, i gioielli sono piccoli oggetti raffinati, preziosi e ai quali valenti artigiani dedicano tutta la loro arte, è facile avere uno sguardo affascinato ammirandoli. Osservando in particolare un anello e meditandoci sopra ho trovato tante piccole metafore che calzano perfettamente con la nostra vita e il matrimonio, riportandomi alla mente tutte le meraviglie che sarebbe bene ricordare ogni giorno.

Innanzitutto la materia di cui è fatto; sempre di un metallo prezioso, non importa quale, immagino in questo una volontà del Padre buono di costruirci con il meglio che la sua fantasia creativa abbia immaginato, come atto d’amore già nella prima costituzione dell’essere umano, di solito già con questo mi sento grato.

Poi immagino che il cerchio sia costituito da due parti distinte e curve, che si toccano in basso ed in alto ma che siano distinte. Che siano fuse in basso, come in un’origine creativa e unite in alto perché dopo l’elegantissima curva che simboleggia la loro vita e la loro ricerca di una destinazione, siano state reciprocamente attratte l’una all’altra, e da Dio stesso, ad abbracciarsi nel matrimonio. È possibile trovare anelli di tanti tipi, con diverse forme, lisce, scanalate, ornate, come la varietà delle vite di ciascuno di noi, ma simili nella curva, come ognuno è simile nel protendersi alla ricerca dell’amore vero. In questa curva, cioè nell’allontanarsi e poi tornare al centro, vedo una riproduzione in piccolo del percorso di vita di ogni essere umano, che nella giovinezza della vita si allontana dalla famiglia e dai suoi valori, cercando di realizzare il suo unico e specialissimo modo di vivere, e che poi grazie al fascino dell’amore genuino, si curva in una sorta di ritorno ma non all’origine, bensì all’originale, ad abbracciare in modo nuovo ed inedito quegli stessi valori e quello stesso amore che lo ha generato.

E’ già bellissimo così ammirare questo cerchio e ricordare nuovamente questi significati, ma il bello sta alla sommità, nel punto che rappresenta propriamente l’abbraccio sponsale, dove quel delicato e meraviglioso intreccio di “griffe” che formano il castone, cioè l’alloggiamento della pietra, rappresenta perfettamente quel gioco di corteggiamento e di mille gesti quotidiani d’amore, cesellati con cura e attenzione per fondersi l’uno con l’altro. È qui che ogni coniuge, traendo dalla propria essenza, dal proprio metallo prezioso, si apre, per donarsi e riceversi reciprocamente. Com’è bello quando pur distratti dai mille problemi quotidiani, ci accorgiamo di ogni piccolo gesto dell’altro, sapendo che lo fa per noi solamente, perché sa che ci piace così, e com’è bello ricambiare vedendo che l’altro se ne accorge e ne gode, è una meraviglia, una delicata danza di corteggiamento che prelude all’incontro intimo degli sposi.

Infine la pietra, come non ammirarla in tutte la sua trama di limpide sfaccettature e di cristallina bellezza? In questa non posso che vedere l’incontro intimo degli sposi, dove ogni gesto è ancor più delicato, seducente e armonico l’uno con l’altro, alla ricerca di un’intimità sempre più perfetta. Questa, nella sua bellezza magnifica, è sia l’apice umano che l’inizio dell’incontro col divino nel sacramento. La parte umana è la perfezione della pietra ed una caratteristica speciale: la trasparenza. La sua limpida accoglienza della luce la trasforma davvero in una gemma preziosa, degna di esser posta in cima all’anello per essere ammirata, se non fosse così sarebbe solo un sasso squadrato e lucidato, a suo modo carino, ma non meraviglioso. La parte divina e la più importante è la luce. Questa, che penetra, illumina e scintilla riflessa tra le facce della pietra è la metafora perfetta dell’effusione dello Spirito Santo che si ha nell’incontro intimo degli sposi cristiani che ri-attualizzano il sacramento del matrimonio, è ineffabile ma è quella più importante, senza la luce non potremmo neanche vedere la pietra né alcun’altra parte dell’anello. Così come senza l’amore divino gli esseri umani non potrebbero vivere.

Il mio personale promemoria, l’anello, mi ricorda tutto questo: che tutti gli sposi cristiani sono originali e liberi, che sono chiamati all’amore, e si sono scelti e abbracciati, che ogni giorno dovrebbero impegnarsi ad amarsi con tanti piccoli gesti d’amore ed a raffinarli con sentimento, dolcezza e tenerezza, che così facendo riescono a realizzare un incontro intimo d’amore sublime, trasparente, degno di accogliere la luce di Dio, in quella nuova effusione di Spirito Santo che è la ri-attualizzazione del sacramento del Matrimonio. È quella luce che fa sì che tutto quanto abbia senso, ed è bellissimo vedere che la stessa luce, che abbraccia tanti anelli, tanti matrimoni, risplenda in modo unico e speciale in ognuno di essi, perché ognuno è unico ma tutti i matrimoni sono potenzialmente splendidi e vivi di luce divina. Serve però che gli sposi lo credano e si impegnino ogni giorno perché la loro vita sia un degno luogo in cui sia effusa questa luce.

Ranieri e Valeria

“Fare” l’amore, teoria e pratica. Ultima parte

Riprendo il discorso di ieri (clicca qui per leggere l’articolo) rivelando quali sono le doti corporee che consentono di “fare bene” l’amore e come l’episodio del servizievole Jesus mi ha ispirato per capirle bene.

Inizio con un po’ di teoria, ma prometto che sarò breve, per gli approfondimenti rimando ancora agli articoli o meglio ai libri di Antonio e Luisa. Poniamo l’assunto che le doti corporee espressive dell’amore siano tre: sentimento, tenerezza e dolcezza. Non sono opzionali, ci devono essere tutte e devono essere tutte coscientemente sviluppate e maturate. Il sentimento è il desiderio ardente di andare verso l’amato, di averlo vicino, di renderlo felice; si tratta di una forza travolgente che esige di entrare in intimità con l’altro, può anche spingere a sacrificarsi per l’altro. La tenerezza è una forza altrettanto travolgente ma speculare alla prima, cioè un aprirsi all’altro in un dono esclusivo d’amore, esprimendo tutta la propria forza di seduzione dedicata solo all’amato per attirarlo a sé, abbandonandosi a lui e arricchendo così ogni gesto d’amore di comunicazione intima. La dolcezza infine è un modo di esprimersi con delicatezza ed armonia che arricchisce e rende autentici i gesti di sentimento e tenerezza.

Mi spiegarono questo (molto meglio di così) durante la preparazione al matrimonio, ma in quel momento avevo aspetti più delicati ed urgenti da affrontare e non mi curai di approfondire fino in fondo la questione. Avevo maggiormente chiare le doti di sentimento e tenerezza, che da sole raffiguravano le dinamiche del corteggiamento, inoltre mi davano già solo queste, l’idea di una armoniosa completezza, consideravo quindi la dolcezza qualcosa di buono ma sottinteso. Questo all’inizio… dopo qualche anno ho sviluppato un po’ di sensibilità (sì, capita anche ai maschi) e mi sono accorto che un forte sentimento e una splendida tenerezza non bastavano, anzi ognuna di queste doti in me o in Valeria potevano avere momenti alti e bassi, ed anche quando si verificavano da parte di entrambi contemporaneamente non era garantito che nascessero momenti di unione profonda e viva partecipazione d’amore, c’era proprio qualcosa che mancava, forse la dolcezza in fondo faceva la sua parte importante, forse addirittura era più importante delle altre due.

Tentando di capire mi inventai pure una metafora, quella del turibolo, dove ci sono tre elementi: il carbone, il turibolo stesso e l’incenso. Il carbone e il turibolo rappresentano il sentimento e la tenerezza, l’uno è ardente e l’altro è accogliente, l’uno maschile e l’altro femminile, uno selvaggiamente forte e l’altro gentilmente decorato. L’incenso rappresenta la dolcezza, quel qualcosa che dentro i primi due e grazie ad essi sparge profumo benedicente, ovvero fonde le prime due qualità dandone piena realizzazione. Senza l’incenso il turibolo sarebbe solo una bella sfera che brucia ma non scalda e magari puzza anche un pochino.

Tutto questo però era solo una bella immagine, non avevo capito ancora niente, non avevo ancora risposto alla domanda: che cos’è la dolcezza? È qui che l’episodio del servizievole Jesus raccontato ieri mi ha aiutato: ho immaginato un Gesù talmente pieno d’amore per noi sposi che si farebbe così umile da servirci al tavolo se, in quel momento, fosse il solo modo in cui possiamo capire quanto ci ama. È questa la semplice spiegazione, ecco cos’è la dolcezza: un linguaggio per comunicare con l’amato!

La dolcezza è un linguaggio, non il tuo ma quello dell’altro, quello che all’altro permette di capire quanto lo ami, è qualcosa che richiede di concentrarsi sull’altro a tal punto che si riesce a capire di che cosa l’altro ha bisogno in ogni momento. Richiede impegno e il coraggio di farsi umili senza nessun timore, richiede di mettere al primo posto l’altro e di onorarlo. Cosa sarebbe infatti il solo sentimento senza dolcezza? Un atto eroicamente romantico ma attento a sé stesso, un vano desiderio di gridare ai quattro venti il proprio amore. E la tenerezza senza dolcezza? Non sarebbe far splendere il proprio fascino perché sia ammirato? Non sarebbe anch’essa autoreferenziale? Senza dolcezza, che orienta genuinamente e umilmente verso l’altro sia il sentimento che la tenerezza, non ci sarebbe vera comunicazione d’amore e la nostra graziosa danza di corteggiamento sembrerebbe un bel turibolo scintillante, che brucia ma non scalda e forse puzza anche un pochino.

Ranieri e Valeria

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“Fare” l’amore, teoria e pratica. Prima parte

Ok, ho fatto il furbo col titolo, in effetti non è proprio un articolo sul sesso, almeno non in modo diretto, ma sulle doti corporee che danno un volto all’amore, l’eros c’entra eccome ma queste doti abbracciano tutta quanta la relazione d’amore. Comprendere queste dinamiche e farle proprie è importantissimo per “fare bene” l’amore, cioè per vivere in modo naturale, pieno e autentico la propria relazione d’amore, tutti quanti però siamo più o meno condizionati da una visione distorta ed egoistica dell’amore perciò abbiamo bisogno di un po’ di aiuto. Sulle pagine di questo blog Antonio e Luisa hanno pubblicato articoli splendidi che invito a rileggere, con spiegazioni precise e ricche su ogni dote, quello che voglio raccontare però è il percorso personale di come sono passato dalla teoria, ovvero dalle caritatevoli lezioni di padre Raimondo Bardelli, alla pratica di far mie queste dinamiche d’amore nella vita matrimoniale. In questo percorso c’è stato un episodio fortuito e memorabile che mi ha dato un esempio e uno spunto di riflessione per riuscire a capire bene fino in fondo.

Successe durante una bellissima vacanza di qualche anno fa: io e Valeria avemmo una fortuna sfacciatissima perché ci accaparrammo un last minute per il Messico di quelli che non esistono più. Pagammo la vacanza circa un terzo del normale e ci trovammo in un enorme villaggio a cinque stelle, con piscine, spiagge e ristoranti, trattamento tutto compreso, la foresta tropicale e la spiaggia caraibica completavano una vacanza veramente di lusso. Eravamo sposati da un anno e non avevamo ancora figli pur desiderandoli, naturalmente l’atmosfera non favoriva granché la dimensione spirituale, eravamo sì riusciti con un po’ di fatica ad trovare una messa, ma a parte questo ce la spassavamo quanto più si potesse. Una sera andammo a cena in uno dei lussuosi ristoranti, indossando i nostri abiti migliori e la convinzione di essere dei gran fighi, dopotutto gli altri turisti erano quasi tutti americani molto sovrappeso e sentirsi snelli e fighi era facile… bei tempi!

Eravamo seduti al tavolo sfogliando il menù atteggiandoci un po’ quando giunse il cameriere che con molta gentilezza ci disse qualcosa in spagnolo che io non capii, sostanzialmente ci salutò, ci chiese cosa volevamo da bere e si allontanò. Da lì in poi la serata cambiò: alzai lo sguardo dal mio menù e vidi che Valeria aveva qualcosa che non andava, anche lei alzò gli occhi dal menù con un’espressione imbarazzata. Mi preoccupai, forse la cena non era compresa nello scontatissimo prezzo del viaggio? Forse eravamo capitati nel ristorante vegano? Con voce bassissima mi chiese: − Hai sentito cosa ha detto?No…che ha detto?Buonasera, il mio nome è JESUS e sono qui per servirvi!….Cioè mi vuoi dire che lui si chiama Gesù?!? E ha proprio detto “sono qui per servirvi”?!? Sapevo che non si era sbagliata, capiva lo spagnolo molto meglio di me, quindi mi resi conto di una cosuccia: mentre “Jesus” era venuto al mio tavolo, per servirmi, io bello bello sfogliavo il menù, mi atteggiavo a figo e non avevo neanche capito quel nome. Debbo solo a Valeria il fatto di essermi reso conto e di avermi permesso di riflettere in seguito. Naturalmente la cena andò avanti ma tutto si era fatto assurdo e buffo: avere proprio quel cameriere era imbarazzante, insomma, immagina di avere davanti a te “Jesus” che ti chiede − Tu cosa desideri? −, ci vuole un bel coraggio a rispondere − Linguine allo scoglio! − Sì, fu anche comico, dovetti sforzarmi per non dire Rendiamo grazie a Dio, invece di un semplice Gracias ogni volta che ricevevo i gentilissimi e normalissimi gesti di servizio. Un buon effetto che ci fece da subito quella cena fu quello di farci essere superbi e fighi, certo, non ci è mai passato per la mente che quello fosse JESUS o un suo inviato speciale, ma questo divertente episodio ci risvegliò quel tanto da farci ricordare di essere molto amati come sposi, e fummo veramente grati di avere intorno tutta quella bellezza che la natura ci offriva in modo generoso.

Questo episodio, che ad altri potrebbe far nascere ore e ore di riflessione con decine di spunti sugli episodi evangelici, a me ha fatto accendere una lampadina particolare, spiegandomi in modo semplice e chiarissimo una in particolare tra le doti corporee che servono per “fare bene” l’amore, ma spiegherò tutto quanto domani nella seconda parte.

Ranieri e Valeria

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Pornoemotività parte seconda

Oggi completo la riflessione (prima parte) facendo il paragone tra il mondo erotico e quello emotivo, occupandomi cioè di quella che chiamo pornoemotività e inizio dandone una definizione. Premesso che si può intendere la pornografia come un messaggio erotico in cui ogni significato autentico è sostituito con altri che sfruttano la forza dell’eros per essere veicolati, con pornoemotività intendo “un messaggio emotivo o emozionale in cui ogni significato autentico viene sostituito con altri che sfruttano l’emotività per essere veicolati”. In entrambi i casi i significati originali dovrebbero essere l’espressione dell’amore (quello autentico) che spinge all’attenzione verso la persona amata, mentre il significato “abusivo” inserito nel messaggio è espressione dell’egoismo, di uno sguardo rivolto a sé stessi al proprio piacere e ai propri bisogni.

Mi sono convinto della somiglianza delle due cose quando ho notato il comportamento degli amici nei gruppi di whatsapp e nei social network ma anche, ad esser sinceri, il mio stesso comportamento, perché anch’io molto tempo fa ho fatto uso di pornografia e oggi faccio uso di social network e gruppi, quindi certi meccanismi mi sono familiari… purtroppo. Per spiegarmi faccio un parallelo con le tre caratteristiche della pornografia dell’articolo precedente: esagerazione; falsità e autoreferenzialità o isolamento.

Esagerazione: certamente abbiamo tutti notato quanto il linguaggio online sia “super mega esagerato”, non esistono toni sobri, ma tutto è “incredibile” “pazzesco” “spettacolare” e l’uso delle immagini o delle emoji amplifica l’effetto, non importa se il messaggio è negativo (E’ UNA VERGOGNAAAA!!!!) o positivo (E’ UNO SPETTACOLOOOO!!!), neanche buongiorno va più bene, ci vuole un buongiornissimo!!! e gli auguri? No, meglio augurissimi!!! Con tanto di disegnini da scuola elementare. La cosa triste non è tanto vedere la lingua italiana violentata con tanta allegria, quanto accorgersi immediatamente che tanta esagerazione è vuota: veramente hai così tanta gioia nel cuore perché è il mio compleanno? Ma dai, che se non te lo ricordava Facebook, Google o Marione su Whatsapp manco lo sapevi! E tanto domani te lo sarai già dimenticato, passando all’augurissimo successivo… E il buongiornissimo coi cuoricini alle 7 di mattina? Proviamo a dirlo dal vivo a chi incontriamo… vi immaginate le reazioni? Come minimo riceveremmo un mavaff… (detto davvero col cuore però!)

Sull’isolamento: delle centinaia di messaggi, foto e video quotidiani, quanti rappresentano un messaggio vero, di sentimento, scritto davvero per te senza copiarlo? Ogni giorno troviamo un mucchio di roba: foto di piatti e calici pieni, odio verso un pensiero filosofico, politico o religioso, grandi aforismi sul senso della vita, indignazione superficiale per temi di attualità e perfino “autocertificazioni” dello stato di felicità perché tizio è in possesso di qualcosa o è riuscito in qualcos’altro. Tutto questo naturalmente raccontato in modo esagerato, anzi, esageratissimo, con grande trasporto emotivo, come se la persona che scrive fosse un tipo eroico, di altri tempi, pronto a grandi sacrifici per il bene dell’umanità… Ma a chi la vogliamo raccontare? Anche se abbiamo dei sentimenti e delle persone care, è proprio vero che i nostri sentimenti ci infiammano così tanto da sacrificare, che so, un paio d’ore del week-end? Il denaro che serve per l’abbonamento ai programmi preferiti? NO! Il messaggio non è veramente diretto a qualcuno ma è solo l’elogio di sé stessi, è rivolto a sé stessi, così che chi lo lancia possa procurarsi piacere da sé (la stessa esatta ricerca di chi fa uso di pornografia!), è diretto “a chiunque sia in ascolto” perché chi lo lancia vuole una reazione di compassione, di ammirazione o di interesse da chiunque. È solo una richiesta di aiuto di una persona sola e isolata: “consideratemi!!! Sono qua!!!”

Sulla falsità: un messaggio emotivo autentico nasce nel cuore di una persona e viene trasmesso ad un’altra, stabilendo così un contatto, una comunicazione tra due persone e spesso l’emotività del messaggio passa, lasciando il posto al vero significato del messaggio (amore declinato in varie forme: fraterno, solidarietà, nostalgia di un luogo o di una persona, eros), nella pornoemotività quello che conta è suscitare un’emozione, solo questa è la cosa importante e gratificante, se pur si parte da un significato autentico questo viene subito abbandonato per crogiolarsi nell’emozione del momento, ma questa da sola non si mantiene e così si va in cerca di un’altra nuova emozione… se questo non ti ricorda niente sei una persona fortunata, perché questo è esattamente il meccanismo che si instaura nella pornografia, che spinge sempre alla ricerca di nuova pornografia. Il messaggio è falso perché non ha lo scopo di comunicare un vero amore, nelle sue varie forme, ma ha invece il solo obiettivo di “eccitare” emotivamente.

Un aspetto inquietante nella pornoemotività è l’accettazione sociale. A differenza della pornografia, che almeno “in facciata” va contro la decenza e la moralità, questa è invece del tutto accettata, anzi, del tutto apprezzata. Chi biasimerebbe qualcuno che s’infiamma di indignazione per qualche causa giusta? Anche se si tratta di un’indignazione vuota e temporanea? O chi biasimerebbe qualcuno che per il compleanno di una persona manda messaggini zuccherosi con bacini e cuoricini? Anche se questi non si scomoda a presentarsi di persona sacrificando un po’ di tempo? Nessuno! In realtà è molto difficile, anzi, impossibile distinguere nel comportamento degli altri, quanto sia vero ciò che vien fuori dalle loro tastiere, ci vogliono tempo e occasioni per mettere alla prova le persone, senza escludere che chiunque potrebbe deludere in qualche prova, nessuno è perfetto e nessuno è ideale. Questo però non deve deludere definitivamente, ognuno merita qualche seconda occasione, altrimenti rischiamo di rifugiarci di nuovo in mondi costruiti dietro messaggi falsi, emotivi o erotici. Cosa possiamo fare? Non giudicare gli altri ma educare noi stessi a comportarci sempre onestamente, sia dal vivo che a distanza, ad essere sinceri anche rischiando di sembrare antisociali, a non cadere in tentazione di volere qualche like o commento d’approvazione a buon mercato. Chi ti vuol bene non ha bisogno del “super fantastico tu” ma vuol bene a te così come sei.

Ma che c’entra questo con gli sposi? Tantissimo! Ogni gesto, parola, messaggino (perché no?) deve sempre essere onesto e sincero, anche rispettoso certo, riflettiamo: chi riceve i gesti e i messaggi è la persona amata, il rispetto più grande che puoi avere per lei e che puoi pretendere da lei sta nel fatto che su quei “ti amo” si possa contare davvero. Ricordiamo quella promessa scambiata all’altare che tra la altre cose diceva: “…amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita” e così sia!

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Pornoemotività parte prima

In questo blog sono stati scritti tanti articoli sui pericoli della pornografia, riflessioni concrete e preziosissime che professionisti ci hanno regalato, consentendoci di riflettere con maggior chiarezza sul nostro modo di vivere la sessualità in particolare nel matrimonio. Ciò che dal mio modesto punto di vista voglio condividere al riguardo è una personale osservazione su quanto siano somiglianti certi atteggiamenti riguardanti le emozioni con quelli legati all’influenza della pornografia.

Parto da ciò che la mia esperienza mi dice sulla pornografia, comprendendo in questa anche cose non propriamente pornografiche ma tutto ciò che spinge verso un erotismo provocatorio e contrario alle autentiche esigenze dell’amore. Per semplificare voglio definire tre aspetti di base sempre presenti nella pornografia: è esagerata, è un messaggio falso e (non ultimo) è una cosa autoreferenziale, cioè che genera isolamento.

Sull’esagerazione gli esempi da fare sono fin troppo semplici e grotteschi: esagerazioni fisiche… quante se ne vuole… esagerazioni di numeri… pure, esagerazioni di situazione: vogliamo parlare di tutte le professioni che sono prese ad esempio per creare situazioni surreali e pornografiche? La cosa importante è che ci sia esagerazione, come se fosse uno spettacolo da mettere in primissimo piano, anzi, perché È uno spettacolo da mettere in primo piano e come tale deve essere eccessivo, sproporzionato, eclatante, solamente così si riesce a nascondere che fondamentalmente… è squallido.

Sulla falsità: il messaggio che viene proposto è: qualcuno ha una voglia irresistibile di fare sesso, tantissimo, con chiunque e naturalmente in modo esagerato. La verità è che in tutta la pornografia esistente NESSUNO vuole veramente fare sesso, ma solo e certamente guadagnare del denaro. Senza andare a disturbare le tristi testimonianze di attori hard, basta andare su Wikipedia a vedere il fatturato annuo di MindGeek Holding S.a.r.l. con il porno: più di un miliardo di dollari (un miliardo all’anno!!), ma scendiamo un po’ di livello, a ciò che forse non si considera porno ma comunque ad una messa in scena che coinvolge e stuzzica idee erotiche, una cosa più subdola e pericolosa, proprio perché più accettata, ma comunque in grado di educare la mente ad una sessualità irreale: la pubblicità. Una volta ero in macchina con un collega e giudicai con disprezzo un paio di cartelli pubblicitari, nel primo, spiccava una panterona con una scollatura ombelicale che letteralmente “succhiava” del vino da un grosso calice, l’altro cartello era quasi esilarante: un’altra panterona seminuda era sdraiata su un parquet, lo accarezzava e lo guardava con desiderio mordendosi un labbro! Dopo le mie osservazioni il collega mi disse <ma che dici!? Quella mica è pornografia!> e io, <quando su quella foto, in quel modo, ci vedrò tua madre, tua sorella, tua moglie o tua figlia e tu mi dirai ancora che non è pornografia allora potrò crederti>. Già, a volte basta poco per capire quanto è squallido ciò che stiamo guardando, a quanta influenza negativa siamo esposti quotidianamente, in breve: quanto è falso il messaggio pornografico che ci viene proposto.

Il messaggio esagerato e falso poi, è qualcosa che nasce e vive dentro l’immaginazione di chi lo riceve, ovvero genera isolamento, non c’è una vera comunicazione, chi propone messaggi erotici ha un altro fine: denaro, vantaggi, ammirazione, considerazione. Solo chi lo guarda ha tutto un mondo erotico immaginato dentro di sé, cosa che non interessa a nessuno, neanche a chi a lanciato il messaggio, per cui chi fa uso volontariamente di pornografia è sostanzialmente… solo. Quando questa solitudine viene portata dentro i rapporti veri, allora nascono incomprensioni, insoddisfazioni e se non c’è un vero cambio di rotta si finisce col distruggere i reali rapporti tra le persone.

Nell’autentica sessualità si potrebbe dire che il messaggio ha tre aspetti di base completamente opposti a ciò che abbiamo visto finora, ovvero: la vera sessualità non è esagerata ma coraggiosamente sobria, ovvero non si deve dimostrare niente a nessuno ma ci si propone per ciò che si è, liberamente, senza paura di non essere all’altezza, e si desidera l’altro esattamente perché È quella persona, senza che questi debba essere per forza “super”; la vera sessualità non è falsa ma genuina al 100%, dichiarata apertamente e con una gioia libera, il suo scopo è la realizzazione dell’amore naturale, non ha secondi fini perché ogni fine secondario avrebbe comunque un valore talmente misero da guastarla; la vera sessualità è rivolta ad un altra persona, sempre. È ricerca dell’altro quando siamo soli, è dono totale reciproco con l’altro quando si è trovato, non è mai uno sguardo rivolto a sé stessi ma sempre alla persona amata. È un messaggio che dice: io ti amo, desidero donarmi a te così come sono, con tutto me stesso e desidero riceverti così come sei, tutta, anima e corpo.

A lunedì per la conclusione della riflessione.

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Uno sguardo ravvicinato alla fede nuziale

Ispirato dal recente articolo di Antonio mi sono messo a contemplare la fede nuziale a modo mio: molto da vicino, usando una lente speciale. Mi piacciono i dettagli e mi è venuta voglia di osservarli (come direbbe Valeria: “sei un po’ pignolino amore mio”). Quindi attrezzi alla mano ho zoomato al massimo e… cavoli! È stato come osservare la faccia della luna! La superficie non assomigliava per niente a quel liscio cerchio splendente che vedevo “da lontano” ma anzi, era piena di solchi, graffi e screpolature, intaccata da centinaia di segni che visti così da vicino facevano orrore. Certo, non mi aspettavo una superficie a specchio, sono passati anni e anche a occhio nudo l’anello è opacizzato ma l’effetto è stato comunque sorprendente, talmente sorprendente che sono rimasto ad osservare quella superficie a bocca aperta per molti minuti. Quanta differenza! È incredibile che lo stesso oggetto possa apparire in due modi così diversi, cambiando semplicemente la distanza dal quale si osserva!

Ho due riflessioni che ho tratto da questa breve esperienza, la prima nasce dall’immediato accostamento anello-matrimonio: mi sono accorto che anche il matrimonio cambia completamente aspetto dipendentemente dalla distanza di osservazione, solo che le persone sposate di solito non se ne rendono conto. Gli sposi ovviamente vivono il proprio matrimonio da vicinissimo e in questo modo ne vedono ogni minimo difetto, molto chiaramente e molto bene, spesso sembra che questi difetti siano ferite profondissime e bruttissime, tali da sfigurare orribilmente il matrimonio stesso. Possono essere discussioni, incomprensioni, mancanze di gesti d’amore o qualunque altra cosa, ma la particolarità è che anche quando sono piccolezze, solo per il fatto che sono vissute sulla propria pelle, da vicinissimo, le fanno sembrare cose enormi e irreparabili. Eppure basterebbe così poco: fare un passo indietro e guardare tutto l’insieme, così ci si accorgerebbe che stavamo guardando un piccolo graffio quasi trascurabile e che non eravamo capaci di vedere in quanto amore abitiamo ogni giorno. Certo, mica è facile, dovremmo estraniarci proprio nel momento in cui ci sentiamo feriti, avere le mente lucida e non farsi coinvolgere proprio dalle cose più vicine a noi stessi, un compito quasi impossibile. Un ottimo modo di cambiare punto di vista è coltivare l’amicizia con altre coppie di sposi, a me e Valeria ad esempio ha fatto benissimo confrontarci con i nostri amici nell’Intercomunione delle famiglie o in altri ambiti, questo aiuta moltissimo, ci si rende conto che più o meno abbiamo gli stessi difetti degli altri ma quando si guarda una coppia dall’esterno si vede quanto è affiatata, quanto è preziosa, quanto bello e luminoso sia il loro matrimonio. Mal comune mezzo gaudio? No, non è così! Si tratta di avere davanti un esempio di sposi che nonostante i loro piccoli difetti sono splendidi perché sono sposi! E se gli altri sono così allora anche il mio matrimonio splende giusto? SI! Splende! Credeteci se gli altri ve lo dicono, è vero! Gli altri vi guardano da “un passo più indietro” e riescono a cogliere la bellezza in tutto il suo (vostro) splendore! Cercate le altre coppie di sposi, confrontatevi e ammirate quanto sono belle, è la stessa bellezza che si vede in voi!

L’altra considerazione: è vero, il mio anello è pieno di segni, la prima cosa che ho pensato è che fossero brutti e per di più ho pensato che simboleggiassero qualcosa di brutto nel mio matrimonio, ma come li ho fatti? Non li ho fatti forse lavorando? O insegnando ai miei figli o facendo qualche compito in casa? Ma certo! L’anello non lo tolgo mai, proprio mai e naturalmente è segnato da ogni avvenimento trascorso dal momento delle mie nozze in poi. Ci posso leggere tutta la mia vita dal primo giorno di matrimonio ed è un’opera d’arte! In pratica non è scalfito, è scolpito! L’ho fatto amando! Mi tornano a mente le parole di Papa Francesco durante il discorso ai fidanzati a San Valentino del 2014: “…Il matrimonio è anche un lavoro di tutti i giorni, potrei dire un lavoro artigianale, un lavoro di oreficeria…” è un’immagine bellissima! Mi piace pensare che gli sposi siano gli orefici e che Dio sia colui che ci affida la materia prima, l’oro, per farne un bellissimo gioiello, ed è proprio vivendo quotidianamente che lavoriamo a questo compito, creando con pazienza e dedizione una anello unico e irripetibile, immagine dell’amore di Dio nella nostra personale interpretazione.

Se penso che l’unico modo di non graffiare l’anello è quello di non portarlo, magari lasciandolo chiuso in un cassetto… rabbrividisco, sarebbe come tradire la fiducia di Dio che mi ha affidato l’oro per farne un gioiello, che mi ha donato la mia sposa per crescere insieme nell’amore, ma che avrei ignorato. Invece eccomi qua, a contemplare una superficie piena di segni con l’occhio dell’artigiano che vede prendere forma al suo lavoro, che non vede l’ora di continuare a lavorarci immaginando altri segni, altri giorni, altri gesti d’amore.

Ranieri e Valeria

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Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente… ma non me ne sono accorto subito!

Dopotutto sono tutt’altro che immacolato, e sono pure condizionato dal quel cinismo necessario che fa andare avanti nel mondo ma che mi costringe a soffocare la parte più autentica di me, quindi quando qualcuno mi ha ricordato quali potevano essere queste cose grandi non gli ho creduto.

Quando ho frequentato le settimane di ritiro con Padre Raimondo Bardelli ho ricordato tante cose che avevo soffocato, ma grazie agli insegnamenti i valori importanti che avevo reso lontani e indefiniti sono tornati a fuoco e sono diventati basi solide sulle quali abbiamo costruito il nostro matrimonio. La natura dell’amore e le sue dinamiche, la vera sessualità, la castità nella sessualità, sono state bellissime riscoperte, sono diventate per me esigenze profonde e vive, avevo finalmente una consapevolezza nuova, ma non su tutto quanto. Gli argomenti più spirituali erano nuovi e non mi furono chiari; certo, erano spiegati in modo impeccabile, il loro significato era veramente qualcosa di affascinante e desiderabile, ma mentre quelli più materiali mi facevano esclamare “Wow! Ecco com’era! Così ho sempre desiderato amare!” questi altri mi lasciavano perplesso e non credevo davvero che fossero autentici. Era dura accettare il fatto che Dio agisse spiritualmente in me e che questo cambiasse la mia vita, non lo sentivo a livello di intuito. Il problema non è che non capissi o che mi venisse spiegato male, quando si parla di trascendente e non si hanno esperienze già fatte puoi essere anche Stephen Hawking e il tuo maestro potrebbe avere le capacità di Maria Montessori, di Don Lorenzo Milani e del prof. Keating de “L’attimo fuggente” messi insieme, ma non puoi capire, puoi solo accettare o no, quindi come prima reazione, non accettai.

Dopotutto si parlava di cose davvero incredibili, una in particolare era stupefacente e mi sembrò quasi un superpotere ( l’argomento è ad altissimo contenuto teologico, materia a me per lo più sconosciuta, quindi perdonatemi, la spiego “con parole mie”): con il sacramento del matrimonio, grazie all’azione trasformante dello Spirito Santo, gli sposi ricevono molti doni meravigliosi, che tutti insieme provocano un perfezionamento ed un aumento della capacità di amare così grande… da farla somigliare a quella di Dio!

Ecco, come avrei potuto crederci davvero? Cosa mi sarebbe mai successo se questo fosse stato vero? Avrei potuto superare le correnti gravitazionali, il tempo e lo spazio per non farci invecchiare? Avrei potuto scacciare tutte le inquietudini della mia sposa semplicemente con uno sguardo amorevole? (magari!!) Avrei addirittura avuto la facoltà di CAPIRE le donne? (questo sì che sarebbe incredibile!). Non ci credevo, io mi sentivo già al massimo: ero innamorato perso, capivo e sentivo mia ogni esigenza dell’amore autentico, compresa la castità prematrimoniale, volevo sposarmi con tutto il cuore, il corpo e l’anima ed ero certo che Dio ci avrebbe uniti grazie alla nostra scelta libera per vivere insieme tutta la vita qualunque cosa fosse successa. Non potevo concepire di amare più di così! … mi sbagliavo, e l’ho capito molto tempo dopo.

L’episodio: Valeria, a seguito di esami standard di prevenzione del tumore al seno, dovette fare una biopsia e nel periodo che passò tra le prime notizie preoccupanti ed il momento di ricevere i risultati entrò in una comprensibile angoscia; in questo tempo, diverse settimane, feci del mio meglio per consolarla. Dal punto di vista razionale avevo statistiche ci davano un quadro piuttosto confortante per casi come il suo e questo a parer mio avrebbe dovuto tranquillizzarla ma non era così, quindi aggiungevo tutto l’amorevole supporto che potevo, con tanti piccoli gesti e atteggiamenti, cercando di calibrare con delicatezza ogni parola, sguardo, gesto. Non potevo fare di più e mi struggevo vedendo che tutto questo non bastava.

Il giorno dei risultati andammo all’ospedale, attraversammo il giardino pieno di magnolie fiorite in un bel giorno di sole ma quando entrammo in sala d’aspetto trovammo l’ambiente freddo, asettico e silenzioso. Intorno c’erano altre donne, ferme e con lo sguardo basso, era chiaro che tutte quante stavano aspettando con lo stesso stato d’animo di Valeria, quello di chi aspetta una sentenza. Mi accorsi ancora che non contavano tutte le mie imperfette attenzioni, in quel momento sembrava che fossimo divisi e che una tragedia incombesse su di noi. Guardai fuori attraverso una finestra alta, si vedeva il giardino, illuminato dal sole, una bellissima magnolia con le foglie scure e lucidissime e in quel momento si attivò un “superpotere”: guardando al di là della finestra ebbi la netta sensazione che quella scena piena di vita fosse appunto “al di là”, io invece ero qui, in questa sala d’aspetto che sembrava l’anticamera della morte e capii che forse non avrei più rivisto una magnolia in fiore. Non “Valeria non avrebbe…” ma me stesso, Ranieri; tutto ciò che ero stato fino a quel momento avrebbe potuto morire lì, forse io non sarei uscito davvero da quella stanza.

Non mi resi conto subito che quello era un dono: avevo ricevuto la capacità di vivere la stessa identica angoscia della mia sposa, ben diversa da quella del marito angosciato all’idea di affrontare la tragica scomparsa della moglie, tutt’altro: la mia vita era quella della mia sposa e in quel momento condividevo tutto con lei, fino alla mia stessa vita. Avevo la prova che la mia capacità d’amare era stata trasformata ed elevata, ciò che sperimentavo era certo più grande di me, era inimmaginabile, era vera compassione, cioè partecipazione diretta alla passione della persona amata, e somigliava, in modo piccolo e imperfetto a quell’amore che ci ha creati e redenti tutti quanti.

È stato solo dopo aver riflettuto su questo episodio che ho compreso quanto fossero veri gli insegnamenti ricevuti, ed inoltre ho imparato che questo super dono, che ci consente di partecipare ai momenti di angoscia, ci permette ancor di più di partecipare ai momenti di gioia del nostro coniuge, in modo diretto e vivo. La cosa però che ho capito con maggior meraviglia è quanto siano meravigliosi e straordinari quei momenti in cui gli sposi, preparandosi con impegno, si ritirano nella loro intimità e con cura e tenerezza fanno a gara a donarsi gioia l’un l’altra, straordinari davvero, perché partecipando direttamente a ciò che donano moltiplicano la gioia del corpo e del cuore. Sono momenti preziosi, donati, in cui si può toccare per un attimo una scintilla di paradiso.

Per la cronaca: siamo tornati a passeggiare sotto le magnolie in fiore, vivi; in seguito ne abbiamo passate molte altre, altrettanto angoscianti e anche di più, ma la nostra vita continua ad essere partecipazione diretta alla vita dell’altro, e insieme, anche se in piccolo ed in modo imperfetto, a quella dell’Onnipotente.

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L’amore nei posti strani: il frigo!

Ok lo ammetto, il titolo suona buffo a dir poco, ma non voglio scrivere un elogio dell’erotismo gastronomico o una retrospettiva su 9 settimane e ½, piuttosto testimoniare che la nostra quotidianità può essere piena di piccoli gesti d’amore e che questi di solito, chissà perché, avvengono in posti particolari. Posti diversi, come diversi sono i tipi di amore: amicizia, filiale, genitoriale, fraterno, sponsale e se ci sono posti in cui si può trovare un solo tipo di amore, come può essere un banco di scuola o il talamo nuziale, ce ne sono altri meno “specializzati”, nei quali l’amore trova più di un’espressione. Che ci si creda o no il frigorifero è un posto in cui si trovano tantissimi tipi d’amore.

L’amore genitoriale e filiale

Nella mia esperienza gli esempi di amore attorno al frigo vengono da lontano: mi tornano a mente i miei genitori negli anni in cui io e i miei fratelli eravamo adolescenti e con un appetito da lupi, loro erano orgogliosi nel vederci mangiare e insieme preoccupati di sfamarci. Già allora vedevo in questa premura un chiarissimo esempio di amore da parte dei miei ed il frigorifero era il luogo in cui passava sia il loro amore di genitori che la nostra gratitudine filiale; questo scambio avveniva con un ritmo scandito dall’arrivo della spesa: il frigo si riempiva e ben presto si svuotava, con una specie di alternanza tra abbondanza e carestia che somigliava alle stagioni. Poco a poco diventò una specie di punto nevralgico della casa: non si passava lì davanti senza una “consultazione”: si apriva, si contemplava il contenuto e si calcolava cosa era più opportuno mangiare a quell’ora (naturalmente non c’erano ore in cui non fosse opportuno mangiare qualcosa). Era anche una specie di cartina tornasole di come andavano le cose in casa, si poteva infatti capire dal contenuto se qualcuno non stava bene, se avevamo bisogno di metterci un po’ a dieta, o se le cose andavano a meraviglia. Era diventato un luogo di scambio amorevole tra genitori e figli, quindi un luogo importante e degno di rispetto (forse non ce ne siamo mai accorti ma quando si diceva “Frigo” si sentiva quasi la lettera maiuscola!).

L’amore tra fidanzati

Questo processo di elezione del frigo a luogo importante avvenne da sé, senza che ne avessi una chiara coscienza, me ne accorsi solo più tardi, quando vidi per la prima volta in TV una serie americana in cui un ospite viene invitato in casa, entra in cucina e senza neanche chiedere il permesso apre il frigo e si prende da bere! Rimasi a bocca aperta, per me era la violazione di uno spazio riservato, quasi intimo, l’accesso al frigo era una concessione riservata a pochi! Concessione che ho ottenuto in un altro importante episodio: il fidanzamento con Valeria, provvidenza e grazia che ha permesso alla mia vita di realizzarsi appieno. Tutto avvenne il 12 aprile del 2001, Giovedì Santo e fu un giorno speciale sotto tanti punti di vista, per me fu anche l’inizio di un riavvicinamento alla fede vissuta e oltre ai dettagli di cronaca più importanti, avvenne un fatto secondario che riguarda un frigo, il suo frigo: dopo il primo bacio l’accompagnai a casa sua, dove lei viveva da sola, comprammo qualcosa per la cena e mi fece accomodare in cucina. Si doveva cucinare per il nostro primo tête-à-tête e chiesi il permesso di aprire il frigo per prendere il necessario, al che mi rispose: <Fai pure ma non c’è niente>, ed io, felicissimo del grande privilegio accordato, aprii il frigo e con enorme stupore vidi che lì non c’era niente davvero! In quel momento le farfalle che avevo nello stomaco si fermarono un attimo… e poi ripresero a volare e a ridere tutte assieme! Ero troppo felice e innamorato, neanche un frigo vuoto poteva farmi scendere dal paradiso, anzi, avevo trovato anche un modo in cui potevo esprimere il mio amore, un vuoto da riempire!

L’amicizia

Nove anni fa una signora della parrocchia, di nome Maria, affrontò una terribile malattia che la portò presto tra le braccia del Padre. Non ho avuto modo di conoscerla bene ma ha lasciato a tutti una testimonianza travolgente: un libretto in cui ha messo citazioni della Scrittura, fotografie candide e intense, il tutto arricchito con parole di una profondità e serenità meravigliose, insomma una piccola opera d’arte dalla quale è emersa una fede incrollabile, una ricchezza di spirito da regina e una leggerezza soave come la coscienza pulita. In questo libretto lei stessa ripercorreva la storia della sua malattia, dando valore ad ogni piccolo gesto concreto d’amore che vedeva intorno a sé. Tra le tante frasi del libretto eccone una che mi rimase impressa: “cortei di amici si presentano con pasti pronti con cui riempono il frigo per alleggerire la logistica familiare: mai frigorifero emanò più calore!”

L’amore sponsale

Sono passati anni di matrimonio e in casa adesso c’è una nuova cucciolata di lupetti affamati e il frigo ne sa qualcosa, anzi, il frigo ne sa abbastanza di tutta la famiglia: all’esterno è pieno di calamite sulle quali si può leggere tanto di noi: viaggi, bollette, preghiere, disegni, un grafico con l’indicazione di quanto è stato “buono” ogni membro della famiglia e altri magneti di cui non ricordo niente. Anche all’interno continua a passare tanto amore, tra genitori e figli in primo luogo ma anche tra moglie e marito. Un piccolo aneddoto di pochi giorni fa all’ora di cena: Valeria doveva accompagnare la primogenita al saggio di ginnastica ritmica, era già un po’ tardi perciò apparecchia a corsa e va al frigo per prendere qualcosa da consumare in poco tempo. Nella fretta le si rovescia il contenitore in cui produce lo yogurt e il latte si sparge per tutto il “f.r.i.g.o.r.i.f.e.r.o.” (in certi momenti, chissà perché, anche l’amichevole “Frigo” torna ad essere un oggetto freddo…), naturalmente i vicini hanno improvvisamente udito una rapida e accorata catechesi su quanto possono essere fastidiose le coincidenze della vita ma dopo qualche istante è cambiato tutto: io le dico <Non ti preoccupare, ci penso io> e lei, calmandosi, va a tavola e me lo lascia fare!

Non conoscendoci devo spiegare perché questo gesto ha una portata storica: la produzione dello yogurt è una cosa sua, personalissima, dalla quale trae soddisfazione e gratificazione, quindi c’è come un confine invisibile ed invalicabile tra il resto del frigo e l’angolo in cui si trova lo yogurt, inoltre nella cura e nella produzione di qualunque alimento vivo, ad esempio anche il pane fatto con il lievito madre, lei torna a rendere vivo e attuale il suo ruolo di madre e custode della vita, quindi è normale che gli oggetti e gli spazi dedicati a queste cose vengano considerati importanti ed personali. Il fatto che mi abbia permesso di rimediare non è stato solo un atto premuroso da parte mia, ma soprattutto un gesto magnifico da parte sua, perché che con questo solo gesto si è nuovamente rivelata nella sua femminilità, che è tenerezza accogliente e contemporaneamente ha confermato il suo sì a me nella mia mascolinità, che è sentimento e trasporto verso di lei. In piccolo, nei gesti quotidiani, si è ricreata la dinamica naturale dell’amore sponsale.

Questo piccolo avvenimento è stato importante, come tanti nella nostra vita insieme, perché ha celebrato il nostro amore e insieme lo ha alimentato. È importante sapere che si possono trovare tante occasioni e tanti posti dove possiamo fare piccoli, meravigliosi gesti d’amore e se certi posti sembrano strani, come un frigo, questo non ci impedisca di farli, nessuno ha mai rischiato di farsi male trasformando un posto strano in un luogo d’amore.

Ranieri e Valeria

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Le parole del satiro giullare ovvero: come trovare un insegnamento nelle situazioni più improbabili

L’aneddoto

Una bella domenica di maggio (naturalmente non era il 2019) partimmo con gli amici per una gita fuori porta: arrivammo a Siena e da lì iniziammo un tragitto con destinazione Castel del Piano, sul Monte Amiata, che percorremmo in gran parte con un caratteristico treno a vapore; arrivati a destinazione trovammo il paese addobbato a festa e noi eravamo pronti a goderci tutto quanto: la gastronomia, l’aria fresca, la splendida giornata di sole (che in quel maggio lì c’era veramente) e i mercatini pieni di curiosità locali.

Lungo le stradine del borgo si susseguivano un’infinità di bancarelle colorate, piene di luccicanti oggetti di artigianato, di salumi, formaggi e di vino locale; da parte nostra non vedevamo l’ora di assaggiare e comprare un po’ tutto quindi eravamo sparpagliati in giro come a caccia, ignorando volontariamente il fatto che quando si gira tra le bancarelle più che cacciatori si è prede.

Valeria camminava curiosando avanti a me di qualche metro, se non ricordo male ero rimasto indietro assaggiando un bel cacio stagionato, quando ecco che da dietro un banco di ninnoli e gingilli spunta uno tipo assurdo: come se Rovazzi si fosse vestito un po’ da Jack Sparrow e un po’ da Bob Marley, impettito come un galletto e sorridente come Pulcinella, reduce probabilmente da un generoso assaggio di vino e chissà che altro. Il fenomeno dunque si porta in mezzo alla strada, si guarda intorno e volgendosi verso Valeria, che sembrava camminare da sola, esclama «Lo sai che hai degli occhi bellissimi?»

Nei sei secondi successivi sono successe un po’ di cose: ho inspirato e irrigidito ogni muscolo, guardando la schiena di Jack-Rovazzi-Marley come un boscaiolo guarda un pioppo secco, Valeria si volta e vede il mezz’uomo in primo piano e me sullo sfondo, considerando che sono 1,90 per 110 Kg direi che è come se sullo sfondo avesse visto Bud Spencer arrabbiato, quindi sorride pensando “Voglio proprio vedere come te la cavi adesso…”. Al che il giullare capisce chissà come che qualcosa non va, si volta lentamente, mi vede, spalanca gli occhi e con una vocina stridula esclama: «Anche tu hai degli occhi bellissimi!!!» e scappa come un ladro. Poi ho espirato, fine dei sei secondi.

La reazione dei primi minuti

Naturalmente ero arrabbiato, anche un po’ con me: avevo quel sentimento infantile che spinge a dimostrare tutta la virilità possibile umiliando l’avversario con una dimostrazione di forza, ma non avevo compiuto nessun “gesto eroico”. Con lui ero arrabbiatissimo e ogni minuto che passava lo ero ancor di più, ripetevo tra me e me: “Ha osato apprezzare gli occhi della mia sposa! Gli occhi!” Pensavo agli occhi di Valeria, così straordinariamente belli, una vera e propria opera d’arte, anzi la più bella di tutte le opere d’arte. Dopotutto l’autore, nostro Signore, non si può superare, hai voglia a disegnare, scolpire o dipingere, i suoi occhi non si possono copiare. Ma la cosa peggiore è che il balordo si era permesso di apprezzarli senza conoscerli, non li aveva mai visti addormentarsi, desiderare, pregare, ridere o piangere, non li aveva visti quando lei era diventata madre, non c’era quando in quegli occhi ho visto spegnersi l’amore per me (Dio non voglia che li riveda mai più così) e quando di nuovo mi dicevano “ti amo!”, ma soprattutto solo io al mondo avevo visto quegli occhi quando, un passo prima di entrare in chiesa, lei mi ha detto «Eccomi, sei davvero sicuro?» e prendendo tutta sé stessa, si donava a me. Una cosa è certa: in quel momento ho visto l’orizzonte più vasto e meraviglioso che un uomo possa vedere, pensare che un pagliaccio qualunque avesse solo pensato di affacciarsi a sbirciare mi mandava in bestia. Dopo un po’ mi era montata una rabbia tale che ero sul punto di tornare indietro, grazie a Dio invece non ho fatto nulla e in fin dei conti la fuga era stata un’umiliazione sufficiente.

Cosa ho capito dopo mooolto tempo

Quando qualcosa ti tocca nell’orgoglio ci ripensi tante volte, anche a distanza di tempo e se la rabbia dei primi minuti non c’è più continui lo stesso a ripensare all’episodio che ti ha dato tanto fastidio, così anch’io ho avuto tante occasioni per pensare a quello che era successo e mano a mano è venuta fuori una cosa del tutto inaspettata: ho capito che dietro a quelle parole c’era una lezione per me, o meglio, una spiegazione pratica, “basic”, di una lezione che non avevo capito bene.

Una delle lezioni più difficili e affascinanti di padre Raimondo Bardelli sul matrimonio prende a modello le parole di San Paolo per descrivere il sommo vertice dell’amore coniugale nel sacramento: “Non sono più io che vivo, ma tu vivi in me!” e devo dire che sebbene affascinato da quest’immagine ho sempre pensato di non avere abbastanza amore per raggiungere questa incredibile comunione d’amore. Non ho mai dubitato dell’opera che Dio ha compiuto nella nostra vita, regalandoci tutti gli aiuti e le qualità soprannaturali adatte a raggiungere il più perfetto amore sponsale, però di fronte a quell’immagine mi son sempre chiesto “ma come ci posso arrivare?”.

Ed ecco una spiegazione, che era arrivata nel modo più improbabile: un giorno mi son chiesto: “Come ha fatto a capire che ero dietro di lui? Non era neanche lucido, si è girato e mi ha riconosciuto come marito, poi quella battuta sui miei occhi… ma come ha fatto?, vuoi vedere che l’amore che lega me e Valeria, che ci fa sentire tanto uniti e vicini, è talmente forte che si vede da fuori? Che basta guardare negli occhi dell’uno per riconoscere lo sguardo dell’altra? E come se ognuno fosse un po’ nell’altro!” Allora ho capito e ho ringraziato il Signore perché è certo grazie a Lui che si stava e si sta tuttora realizzando questa fusione d’amore, certo, è un percorso, non ho ancora raggiunto la meta ma se anche un satiro giullare un po’ brillo riesce ad accorgersi di questo vuol dire che sono sulla buona strada e spero che mi sia concesso ancora di accorgermi di quanto l’amore sta realizzandosi in noi.

Mi han tolto il mantello: la nostra testimonianza

Mi han trovato le guardie che perlustrano la città;
mi han percosso, mi hanno ferito,
mi han tolto il mantello
le guardie delle mura.
Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,
se trovate il mio diletto,
che cosa gli racconterete?
Che sono malata d’amore!

Noi abbiamo avuto, a differenza di molti, la possibilità di iniziare il matrimonio con una preparazione solida; entrambi avevamo alle spalle un lungo fidanzamento finito, che ci aveva fatto maturare, entrambi avevamo fatto chiarezza sul fatto che intimamente desideravamo una storia d’amore per tutta la vita, inoltre innamorati persi come eravamo l’uno dell’altra, avevamo capito che volevamo fare il grande passo. A tutto ciò aggiungiamo l’aiuto di padre Raimondo Bardelli, una persona con un’incredibile preparazione e vastissima esperienza, che bilanciando un’indomita volontà e una delicatezza amorevole, seppe mettere in luce le nostre debolezze nascoste e ci permise di confrontarci profondamente su tutto, ma proprio tutto ciò che deve esser chiaro prima del matrimonio, ogni aspetto.

In pratica, facendo il parallelo con il capitolo del cantico, assoldammo molte guardie, ben addestrate e dotate delle armi migliori, il nostro matrimonio, costruito come una fortezza inespugnabile, splendida e luminosa, era in grado di farci sentire sicuri e sereni, non si poteva immaginare che qualcosa potesse minacciarlo.

Forti di questa sicurezza iniziammo la nostra vita insieme con la fresca gioia degli sposini e incontrammo i primi ostacoli solo dopo un paio di anni, cercando di diventare genitori. La nostra prima figlia arrivò dopo molto tempo e nell’attesa fummo messi alla prova. Il fatto che non arrivavano figli semplicemente quando lo si desiderava ci feriva, ci scoprimmo un po’ meno sicuri già in quel momento, ma la conferma del test di gravidanza fu un momento liberatorio, su di noi tornava a splendere il sole e vivemmo la nascita e i primi mesi come ogni coppia: travolti dalla gioia, allarmati di tutto e perennemente assonnati.

L’arrivo del secondo, dopo due anni, ci trovava già più preparati, non avevamo tutte le ansie dei genitori senza esperienza, ma dovevamo gestire la casa, il lavoro, il neonato e far da guida all’altra permettendole di affrontare la sua prima rivoluzione diventando sorella; insomma, gli impegni crescevano e noi facevamo molta fatica (avevamo scoperto un nuovo livello di “perennemente assonnati”) ma la fortezza del nostro matrimonio, nonostante tutto continuava ad essere fieramente solida e, grazie all’arrivo dei figli, ancor più ricca.

Fu l’anno successivo che arrivò la tempesta, quando Valeria, dando concretezza a quelle che per settimane erano stati solo suggerimenti e battute casuali, mi disse di volere un altro figlio, disse che era un desiderio ardente nel suo cuore ma che non poteva realizzarlo se anch’io non provavo lo stesso identico desiderio. La mia risposta fu che avevamo stabilito di avere almeno due figli e ci si era arrivati, che le difficoltà erano molte, che non ero certo di farcela economicamente e altre scuse del genere, in pratica che non avevo lo stesso desiderio. Questo fu il momento in cui si consumò la frattura tra di noi: lei vide trasformarsi il suo sposo in un uno sconosciuto che le mostrava indifferenza, si sentiva tradita dalla persona che fino ad allora l’aveva amata più di ogni altra perché io avevo ucciso quell’ardente desiderio di avere un altro bambino, l’avevo pugnalata al cuore.

Così a causa di quella ferita che le era arrivata tanto in profondità, il suo cuore ferito reagì e come strategia di sopravvivenza si chiuse diventando freddo, molto freddo. Lei cambiò così tanto che non la riconoscevo più, così come io ero cambiato per lei, lei lo era per me e anch’io vidi lei trasformarsi in una sconosciuta.

Ci trovammo all’improvviso fuori dalla fortezza, soli e disorientati, scoprimmo molto dolorosamente quanto ci mancasse ogni gesto d’affetto, imparammo che anche il più semplice e banale “ciao” detto nella fretta quotidiana, se chi lo dice ti ama, è un tesoro. Noi non avevamo più neanche quello, eravamo mendicanti, continuavamo la vita di tutti giorni nascondendo tutto ai bambini e questo ci feriva ancor di più perché i gesti affettuosi verso i figli erano in bella mostra davanti ai nostri cuori assetati. Le guardie stavano facendo il loro lavoro.

L’aiuto arrivò all’improvviso e dall’alto, quando una sera Valeria chiese agli amici del gruppo di Rinnovamento di pregare su di lei per tutta questa situazione angosciosa che ormai ci tormentava da settimane. Uno dei fratelli lesse un passo tratto dal Vangelo di Matteo “Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me” e qui non esagero se dico che in lei avvenne un miracolo: ispirata da queste parole di Gesù capì, anzi ricordò che se vuoi veramente essere seguace del Cristo il suo amore per lui deve essere più grande di ogni altro, anche dell’ardente desiderio di avere un figlio e non solo capì questo, ma ricordò che Dio ha creato per gli sposi una via riservata ed esclusiva per realizzare questo amore: farsi amare attraverso il coniuge! Quindi in quel momento specialissimo donato a lei (e a me) Valeria visse un vero rinnovamento nello Spirito e sanata dal soccorso divino della Grazia sacramentale rinacque come sposa e il suo cuore si riaccese d’amore.

Quando tornò a casa mi bastò sentire il saluto per capire, quel semplice, banale ma benedettissimo “ciao” che detto così mi sembrò un coro angelico, così corsi ai suoi occhi dove trovai la più dolce conferma, ci abbracciammo stretti piangendo e dicendoci “Ti amo!” come meglio non si può dire. Quella notte ci addormentammo con una profonda pace nel cuore, un nuovo dono che arricchiva ancor di più il nostro matrimonio.

Successivamente la nostra vita è proseguita incontrando molti altri ostacoli, come tutti abbiamo avuto periodi sereni e felici alternati a momenti di angoscia e difficoltà, ma non siamo più stati così lontani tra di noi. Il Signore ci ha sempre amati e condotti ad amarlo attraverso il nostro coniuge in ogni momento, buono o cattivo, anzi, è stato nei momenti peggiori che ci siamo stretti ancor di più l’uno all’altra.

Ah! Dimenticavo: la nuova effusione d’amore di quel momento era troppo forte perché prima o poi non desse nuovi frutti, così dopo un po’ è arrivata un’altra piccola ospite, un’altra volta ci era stato fatto dono di una vita da custodire e poco importò che dovessimo tornare al “perennemente assonnati”, la nostra fortezza era solida, splendida e una volta ancora più ricca di gioia.

Ranieri e Valeria

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I due vampiri (sciocchi)

Ci sono state occasioni in cui mi sono trovato spiazzato, dove ho capito che anche dopo anni di corsi, insegnamenti e riflessioni in cui avevo chiarito ogni dubbio sulla sessualità e sulla sua meravigliosa bellezza, addirittura anche dopo averla vissuta in pienezza, non potevo ancora ritenermi al sicuro da errori e questo mi ha sorpreso e imbarazzato.

Immaginiamo la situazione: sto parlando con un amico, un collega o anche un conoscente simpatico e la conversazione prende l’argomento sesso. È una di quelle volte in cui non spuntano fuori volgarità (succede raramente purtroppo) capita invece che si parli con intelligenza e rispetto, quindi si apprezzano le considerazioni dell’altro e si crea una certa confidenza, sentendosi liberi di parlare.

La magia finisce quando il confidente, magari tentando di darsi l’aria della persona navigata, enuncia quale legge universale ed inconfutabile che «beh, ovviamente… due persone adulte e consenzienti sono libere di fare ciò che gli pare!», enunciato che arriva subito dopo qualche nefandezza esplicita o dopo qualche pettegolezzo in cui altri hanno compiuto qualche violazione di sane regole morali. Cosa mi dà fastidio? In primo luogo l’insinuazione implicita che anch’io possa pensarla così, l’amicone infatti crede di lusingarti, facendoti capire che secondo lui anche tu sei una persona “navigata” ma soprattutto il fatto che questa “legge” possa essere considerata un pilastro della logica, come si può essere in disaccordo? Questo è il momento in cui mi verrebbe da prenderlo a sberle urlando «Ma che hai nel cervello!?» poi però penso che anche lui è umano, pieno di difetti e se magari qualcuno lo aiuta si accorge di quanto sbaglia e torna ad avere la testa a posto.

In genere chi enuncia questo “teorema degli adulti consenzienti” pretende che ciò sia accettato senza riserve, che tu accetti come evento legittimo e degno di rispetto qualunque gesto o qualunque comportamento i due mettano in pratica, anche il più scabroso, dopotutto i due sono d’accordo, quindi a nulla possono valere regole etiche, morali, né tanto meno religiose: i due sono d’accordo, questo basta. Qui però la questione non sta nella religione, nell’etica, né nella morale o nel personale disgusto che a questo punto si dovrebbe soffocare, il problema è nella trappola mentale in cui il “navigato” e i due adulti consenzienti sono caduti, scadendo in una povertà umana profondissima, trappola in cui è facilissimo cadere perché sembra legittimante: il consenso.

Il consenso da solo è pura illusione, ognuno dei due infatti non acconsente ad un progetto comune di amore, o perfino di desiderio, al contrario guarda solo a sé stesso, il consenso scambiato con l’altro serve solo a sbloccare l’accesso al proprio piacere, ma il piacere dell’altro in quel momento non fa parte dei propri piani, può anche non esistere. Io voglio il piacere, tu acconsenti e questo mi dà pieno diritto, quindi io prendo. Questo è il dialogo, o meglio il monologo che però detto in due illude di avere qualcosa in comune.

Prima o poi mi capiterà qualcuno con un po’ di spirito al quale possa rispondere: «Certo! Come due vampiri che si mordono nel collo a vicenda facendo a gara a chi succhia di più!» è questa infatti l’immagine che mi viene in mente: due illusi, concentrati così tanto su sé stessi e su quanto prendono da non accorgersi di quanto gli viene sottratto, ignorando volontariamente il fatto di soffrire e di valer poco per l’altro, al quale preme solo di sé.

Certo che se trovassi uno che non scappa dopo una battuta così allora insisterei: «A te non è mai successo? Hai mai avuto una storia che ti ha fatto sentire un po’ ladro? O sprecato? Che però racconti agli amici come se ci fosse da vantarsi? Ma come ti senti davvero a ripensarci?» sono certo che mi risponderebbe di sì, una storia così ce l’hanno un po’ tutti, forse allora inizierebbe a sospettare che si era ingannato e magari rifletterebbe su tante storie che gli sono state raccontate, a capire perché erano finite.

Questo già sarebbe molto buono, ma per convincerlo davvero dovrei raccontargli quanto di bello c’è nella mia storia: di quanto ho atteso imparando a conoscere sempre di più colei che sarebbe diventata mia moglie, imparando un linguaggio di sentimento, tenerezza, dolcezza che è ancora preziosissimo. Dovrei dirgli che io e lei ci incontriamo donandoci, regalandoci l’uno all’altra, cercando di accendere con delicatezza e rispetto il piacere del coniuge e non il proprio, compiacendosi già nel vedere la gioia della persona amata. Dovrei dirgli che solo in questo modo si può riceve dall’altro un piacere che sorprende sempre, che è travolgente, inebriante e che è davvero frutto di una volontà condivisa quindi veramente legittimo, anzi leale, è l’amore sponsale.

Quanto costa? Tutto! Se non ti spendi tutto non funziona. Si fa fatica? Certo! Devi renderti attraente per la persona che ami, devi farla sentire amata, devi soffocare ogni moto di egoismo, devi fare i conti con le sue richieste, devi correggere i tuoi errori mettendo da parte ogni orgoglio, devi sopportare tutti i difetti dell’altro e cercare compromessi, questo nella vita ordinaria di tutti i giorni. Però, quando avete fatto ognuno tutto questo per amore dell’altro e cercando il momento atteso vi incontrate, allora il tutto che avrai speso sarà niente in confronto a quello che ricevi: ogni carezza, ogni bacio, ogni gesto sarà un’opera d’arte e tu, immerso in questa sinfonia di bellezza saprai che la tua vita si sta realizzando pienamente.

Mi immagino cosa potrebbe pensare allora l’amico che mi ascolta, che domanda mi farebbe arrivati a questo punto: «Ma a te succede davvero sempre così?», questo mi spiazzerebbe e mi metterebbe in imbarazzo perché dovrei abbassare lo sguardo dicendo «Non è sempre stato così…», perché anche nel matrimonio succede di rivolgere l’attenzione a sé stessi, a ciò che si vuole, ignorando le attese e la sensibilità dell’altro, tornando sull’idea che si ha diritto al piacere. Naturalmente questo ci ritrasforma in quei vampiri sciocchi, che tentano disperatamente di prendere dall’altro ciò che non può essere preso ma che si può solo ricevere in dono, questo ferisce l’altro e sé stessi e naturalmente deturpa quella bellezza tanto sublime che abbiamo messo da parte.

Sarebbe proprio allora che mi verrebbe da prendermi a sberle, ripensando alle volte in cui ho rinunciato a quel paradiso di bellezza che avevo conosciuto per cercare un piacere povero e degradante; poi penso che anche io sono umano, pieno di difetti e se magari Dio mi aiuta, mi accorgo di quanto sbaglio e rimetto la testa a posto.

Ranieri e Valeria

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Io sono il mare, lei il cielo!

In camera nostra c’è una foto, una dell’album delle nozze, che fu scelta tra tante per fare l’ingrandimento (era compreso nel prezzo), quindi la selezionammo tra le migliori e alla fine fu eletta “miss album”. Sebbene non sia una di quelle immagini super glamour alle quali ci abituano facebook instagram e via dicendo, si è sempre meritata tutta la mia ammirazione.

Naturalmente ci siamo io e Valeria “sposini” e ci sono anche aspetti buffi, tipo la mia chioma lunga che allora mi sembrava fighissima (ora sembrerei un rocchettaro in pensione) o il fatto che per superare i 35 centimetri di statura che ci separano io sto seduto alla staccionata e lei e quasi in punta di piedi e anche altri dettagli privati che per averli vissuti mi fanno ancora sorridere.

Però mettendo da parte l’umorismo si vedono due sposi innamorati, che si baciano di un bacio vero (fu un vero bacio, io c’ero e posso testimoniare), un promontorio, cespugli selvatici, steccati e sentieri che diradano, insomma non è che tieni una foto in camera per anni se non ti piace, anzi la guardi spesso. Ecco, io l’ho osservata tante volte, tantissime, al punto che alla fine mi sono chiesto: “Perché torno sempre a guardarla? E’ sempre la stessa foto, ci sono sempre le stesse cose e io le ricordo tutte, eppure…”

Eppure nella foto c’era anche qualcosa di importante che non riuscivo da afferrare, qualcosa di significativo che era in perfetta armonia con i due sposi e che contribuiva alla celebrazione delle nozze. Stendo un velo pietoso su quanto tempo che mi ci è voluto, ma non era facile: quello che non riuscivo a vedere era proprio in bella mostra, anzi erano due elementi dominanti nell’inquadratura: il mare e il cielo. Ok, li avevo visti subito s’intende ma questi due elementi, ora che capivo, erano talmente essenziali e rappresentativi per me e Valeria che quell’immagine da allora in poi mi è sembrata quasi un’icona, comunque il mare e il cielo dovevano proprio esser lì e in quel modo.

In che modo? È soprattutto quello che mi ha fatto capire, è talmente sorprendente che ancora torno a guardare la foto meravigliato: quel giorno la linea dell’orizzonte non c’era! Mare e cielo si fondevano in una sfumatura l’uno nell’altro come a volersi abbracciare, baciare. È allora che mi sono detto: «Siamo noi! Si! Io sono il mare e lei è il cielo!».

Assicurando che in quel momento ero sobrio e che ho solitamente un’indole modesta, quindi evito di andare in giro a paragonarmi alle grandi potenze della natura, vorrei chiarire: io sono tra quei romanticoni che starebbe ore a fissare il cielo, mi affascina e meraviglia sempre in ogni stagione; Valeria invece non può vivere senza il mare, credo abbia una specie di necessità biologica di respirarne il profumo. Mi sono quindi immaginato io e lei in questo quadro allegorico in cui interpretiamo mare e cielo, guardandoci innamorati, desiderosi di toccarci e baciarci e ho scoperto tante somiglianze: come il mare e il cielo sono l’uno solido e l’altro etereo io tendo maggiormente alla fisicità, lei più all’emotività. Come il cielo è imprevedibile nonostante tutte le previsioni del tempo più evolute, anche con lei non ho mai e poi mai la certezza di come mi si mette la giornata (e la cosa mi è sempre piaciuta). Come il mare sia solitamente rilassante con tutte le sue tonalità di blu ma può far paura quando è in tempesta, così è per me che sono sempre pacioso e indulgente, ma che divento “indesiderabile” quando raramente mi arrabbio. Una cosa però è la più azzeccata di tutte: il mare e il cielo non li puoi separare, sono sempre insieme, sia alle Hawaii che ai poli e sebbene siano distinti si toccano sempre all’orizzonte.

Quindi ero lì, contentissimo, che riguardavo la foto con una nuova consapevolezza quando una nuova domanda, senza darmi neanche il tempo di mettermi in posa di autocompiacimento, mi gela: “e LUI dove sta?” Già! Io e Valeria se siamo sposi lo dobbiamo a Dio, che oltre a crearci, a creare lei in modo così meraviglioso, ci ha fatti incontrare e innamorare, ci ha dato come a pochi la grazia di conoscere la grandiosa bellezza alla quale saremmo stati destinati con il sacramento del matrimonio, che attraverso gli insegnamenti amorevoli di Padre Raimondo Bardelli ci si è rivelato in modo cristallino, Lui non poteva mancare nella nostra foto preferita, doveva esserci.

C’era. Era un elemento fondamentale per la foto, anzi, nessuna foto sarebbe possibile se non ci fosse: era la luce! La luce del sole, che illuminava il mare e il cielo donandogli tutti i loro colori, illuminava il promontorio con gli steccati, i sentieri e i cespugli selvatici ma più di tutto illuminava i due sposini che si stavano baciando di un bacio vero. Tutto era al suo posto l’icona era completa.

Cosa potrei dire che non sia già stato detto nelle innumerevoli metafore che identificano la luce con la presenza di Dio? Solamente che quella luce non è mai mancata tra me e Valeria, che ci ha sempre seguito con amore fedele nel nostro cammino, sia nei momenti peggiori, quando noi eravamo cielo grigio e mare gelido e illuminando i nostri difetti ci invitava a correggerli, sia nei momenti gioiosi, quando ci sentivamo belli, splendidi e vertice del creato, arricchiti dei doni dei figli, dei fratelli, della bellezza della natura che ci circondava e della quale facevamo parte.

Adesso, ricordando tutte le volte che ho sentito Dio presente nella nostra vita matrimoniale, mi vengono a mente solo cieli luminosi e se penso a quanto amo e desidero la mia sposa torno a guardare quella foto in cui il mare e il cielo si fondono insieme come se volessero abbracciarsi e baciarsi.

Ranieri e Valeria

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