Stamattina mi sono alzato presto. Sono andato in chiesa. Oggi è il venerdì in cui Gesù viene giudicato, offeso, condannato, frustato e infine caricato della croce e condotto sul Golgota a morire. La chiesa è nella semioscurità. C’è l’atmosfera giusta per immergersi in Gesù, per fare un salto nel tempo e trovarsi nella Gerusalemme di circa duemila anni fa. Penso alla solitudine di Gesù, all’abbandono da parte di tutti o quasi. Solo la madre, poche donne e il discepolo amato sotto la sua croce.
Quel sangue versato per noi, per tutti noi, per dirci che ci ama e ci desidera come nessun altro. Ho pensato a tante cose e mi sono sentito profondamente indegno del suo sacrificio. Il suo sacrificio capace di salvarci dalla morte e di rendere nuova ogni cosa. Capace di andare oltre le nostre miserie, i nostri fallimenti, le fragilità e gli errori.
Capace di prendere sulle spalle, insieme alla croce anche il peso della nostra incapacità di amare e trasformare il nostro matrimonio. Gesù che ieri, giovedì, stava ricordando con i suoi apostoli la pasqua ebraica (Pèsach) . Stava ricordando la liberazione del suo popolo dall’Egitto oppressore.
Non tutti erano felici di lasciare l’Egitto e seguire Mosè. Alcuni preferivano rimanere schiavi perché almeno avevano un tetto sopra la testa e un pasto sicuro. A volte ci comportiamo allo stesso modo. Talvolta ci aggrappiamo alle nostre “schiavitù”, convincendoci che le cose non vanno poi così male. Dopotutto, ci sono persone che stanno ancora peggio di noi. Ci aggrappiamo alla nostra zona di comfort e ci rifiutiamo di lasciarla.
Attraversare il deserto costa fatica. Il nostro matrimonio può diventare santo, ma dobbiamo volerlo. Il nostro matrimonio, se noi lo desideriamo, attraverso quel sangue versato, può risorgere dalla morte del peccato. Il nostro matrimonio è come la porta delle dimore di quegli ebrei schiavi in Egitto.
Dio ci chiede di segnare la porta del nostro cuore e del nostro matrimonio con il sangue dell’Agnello sacrificato. Solo cosi la morte del peccato non ci toccherà e passerà oltre. Non basta però il sacrificio di Gesù per noi, ma è necessario il nostro riconoscerci bisognosi e desiderosi di segnarci del Suo sangue, serve che ci professiamo cristiani non solo con le parole, ma portando il segno del suo sacrificio aderendo ai suoi insegnamenti e aprendo il nostro cuore alla Sua Grazia che salva.
Come in modo significativo predicava un vescovo del IV secolo: Per ogni uomo, il principio della vita è quello, a partire dal quale Cristo è stato immolato per lui. Ma Cristo è immolato per lui nel momento in cui egli riconosce la grazia e diventa cosciente della vita procuratagli da quell’immolazione.
Questo giorno è un momento decisivo. Non per Cristo, che ha già preso la sua decisione, ma per noi. Anche noi abbiamo tradito molte volte. Possiamo seguire l’esempio di Giuda e lasciarci consumare dal rimorso, oppure trasformare il nostro tradimento in una nuova vita. Come fece Pietro, quando, di fronte a Gesù incatenato che lo guardava con amore nonostante lui l’avesse appena rinnegato, non riuscì a trattenere le lacrime. Fu proprio quel pianto a spalancare finalmente il suo cuore. Da quel momento Pietro divenne veramente la roccia che Gesù aveva intravisto chiamandolo “Pietro”.
Antonio e Luisa
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