Va e ripara la mia casa

San Francesco!

Oggi vogliamo fermarci a contemplare ancora una volta la bellezza del poverello di Assisi! Santo a noi molto caro, patrono della nostra Italia, piccolo giovane proveniente da una città per noi seconda casa.

C’è quell’aggettivo che abbiamo usato prima per descriverlo che però dovrebbe stonare con la bellezza: poverello.

Un povero ma bel giovane!

Francesco ha scelto davvero una vita povera, Francesco ha lasciato una famiglia ricca per farsi vicino al povero, per vivere secondo il Vangelo! Un gesto estremo per i nostri giorni, ma anche per 800 anni fa!

Trovare il coraggio di lasciare tutto per vivere nella verità del cuore, per vivere per l’Amore. Trovare il coraggio anzitutto di cercare il significato di quelle parole che risuonavano nella sua mente. È da un ascolto profondo, da una ricerca di verità, di bellezza che lui è partito e ancora oggi si mostra a noi.

Fra le tante parole che Francesco ha ascoltato ce n’è una che gli è arrivata dal crocefisso di San Damiano: VA E RIPARA LA MIA CASA.

Una frase semplice, breve, da far risuonare nel cuore.

Va: mettiti in cammino, alzati, parti, non star fermo. L’amore è un verbo di movimento non statico. L’amore ha fretta di amare, domani sarà tardi. Va allora! Cosa aspetti? Non lasciare che le cose le faccia qualcun altro.

Ripara: aggiusta, sistema, non scartare, non buttare, non dividere, non vedere la fine come se non ci fosse più speranza. Va e aggiusta, abbi fede! C’è speranza! Ripara! Fidati!

Che bello! Il Signore ci rilancia (va..), ci spinge a partire ma non per nuove costruzioni ma per riparare, verso quel che c’è già! Bellissimo!

Il nostro non è un Dio dello spreco, non è il general manager di una compagnia usa e getta, acquista – monta e quando ti stanchi o si rompe: cambia! No, ripara!

Nel libro dell’apocalisse al capitolo 21 sta scritto “ecco io faccio nuove tutte le cose”, il Signore non fa nuove cosa ma fa nuove tutte le cose! Bellissimo!

Il Signore Gesù: artigiano d’amore!

La mia casa: cos’è questa casa? La Chiesa in senso di struttura fisica? La Chiesa in quanto istituzione? Cos’è “la mia casa”? Come posso fare a risanare la mia casa, la chiesa?

È qua che ci siamo soffermati, è qua che nasce il dubbio, l’incomprensione, il vuoto, forse ci sentiamo spaesati, sembrava una frase semplice che avevamo compreso ora sorge una domanda “dov’è la tua casa Signore? Cosa vuoi che ripari? Dove mi mandi? “

Per noi, questa casa è il tuo cuore!

Per noi, questa casa è la tua vocazione!

Per noi questa casa, è il tuo vivere quotidiano! Quanto calcestruzzo serve per curare la vita di ognuno di noi, ognuno con i propri limiti, i propri peccati, le proprie cadute più o meno grandi, le abitudini sbagliate etc

Quanti cuori feriti, infranti, traditi, freddi, insensibili.

VA E RIPARA il tuo cuore, LA MIA CASA!

Quante vocazioni non curate, non scelte, non allenate con il passare degli anni che si smarriscono, rallentano, si inaridiscono. Quanta difficoltà a dire sì, quanta fatica oggi a scegliere di mettersi in ascolto della Parola che dona vita, invece di continuare ad inseguire come Francesco i propri sterili sogni di gloria, il sogno di diventare cavaliere. Lui ha avuto la (s)fortuna di cadere da cavallo. Te che aspetti a dire sì all’amore?

VA E RIPARA la tua vocazione, LA MIA CASA.

Ed il significato più bello, il più nostro, per questo blog. Va e ripara la mia casa; per noi, questa casa è la famiglia! La tua famiglia!

La tua relazione sponsale. Da qui si può aiutare e riparare la Sua casa, la Chiesa: che altro non è che famiglia di famiglie.

Come riparare la chiesa se litigo con mia moglie? se non so essere volto di amore per i miei figli? se non coltivo la mia relazione? se non dialogo con lei/lui? Se non ho tempo per lei/lui? Se non vivo la nuzialità, l’unione, quell’eros e agape che rende saldo il nostro essere marito e moglie?

Quante crepe, quanti litigi, quante fatiche anche nelle nostre famiglie! Cosa aspetti, la festa del Poverello di Assisi arriva anche quest’anno e ci riporta quelle parole “VA E RIPARA la tua famiglia, LA MIA CASA”.

Sposi sì ma testimoni di amore! Famiglia sì ma che viva con ambizione di santità, in casa, con i figli, ma anche in ogni ambito in cui papà, mamma e figli vivono!

Da come ci amiamo dovranno capire che il Signore è risorto!

“Va e ripara la mia casa”

Forse anche noi oggi possiamo fermarci a contemplare san Francesco chiedendogli di aiutare a vivere in risposta a questa richiesta vivendo l’amore che oggi son chiamato a dare, per me, per il mio prossimo, per il mio collega, per mia moglie, per mio marito, per i miei figli.

Mettendoci in ascolto, facendo spazio a Lui, alla sua parola.

Questo è il il lavoro più bello che possiamo fare per riparare la SUA CASA.

La sua casa sei te! È la tua vocazione! È la tua famiglia! È il tuo cuore!

Anna Lisa e Stefano – @cercatori di bellezza

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5 linguaggi del perdono

Riprendiamo da dove vi avevamo lasciato lunedì scorso a parlare di guerra in famiglia. Per parlare di altri aspetti che ci aiutano ad uscire dalla guerra con il nostro marito, con la nostra moglie ma anche con il prossimo.

Il primo aspetto, che vogliamo oggi considerare, è la richiesta di perdono-chiedere scusa. Per smorzare un conflitto è normale che occorra il perdono, che occorra saper chiedere scusa, soprattutto in un ambiente familiare, in un ambiante che si frequenta abitualmente, con persone che si conoscono molto bene. Il nostro problema è che più cerchiamo di chiarire, di spiegarci, di scusarci, di dialogare sull’accaduto è più buttiamo benzina sul fuoco! Forse anche a voi capita così.

Questo accade perché ci sono delle differenze fra il mondo maschile ed il mondo femminile, come sapete, e citiamo anche questa volta un Libro da leggere “Gli uomini vengono da Marte e le donne da Venere” (di John Gray), ci sono delle differenze fra marito e moglie, nei vostri modi di essere, nelle differenze caratteriali, nei diversi linguaggi di amore, e anche nei diversi linguaggi di perdono che abbiamo. Vi facciamo due esempi: il linguaggio di amore di Ste è racchiuso nei piccoli gesti, nelle attenzioni, e quindi si sente amato quando Anna gli fa trovare un dolce pronto, una torta o la casa ordinata. Per Anna il linguaggio di amore principale è passare del tempo speciale insieme.

Abbiamo due linguaggi di amore differenti, ma abbiamo due linguaggi anche di perdono differenti. Ognuno ad un errore può rispondere a suo modo, e l’altro può percepire in modo diverso sia la gravità dell’errore che il modo di chiedere scusa. Facciamo un esempio molto semplice: tu sei fermo allo stop in auto e tua moglie arriva da dietro e ti tampona. Scendete dalla macchina e lei ti dice:

A. scusa, non l’ho fatto apposta.

B. scusa, sono mortificata. So di aver sbagliato. Ti chiedo perdono.

C. scusa, è tutta colpa mia.

D. scusa, ho sbagliato. Ma non ti preoccupare ci penso io con le auto e il carrozziere.

Forse ce ne sarebbero altre di risposte, quello che è certo è che non tutte sortiscono lo stesso effetto su chi ha subito il torto. Anna usa spesso con me la risposta A, per lei c’è stato il tamponamento, è dispiaciuta e mi ha chiesto scusa nel suo linguaggio. Ste ad una simile richiesta di scuse “Non l’ho fatto apposta!” si arrabbia ancor più, perché gli risponde: “Ci credo che non l’hai fatto apposta! Chi tampona la gente per volontà?” Il linguaggio del perdono di Ste è la risposta D.

Capite che esistono dei linguaggi diversi di chiedere scusa, e seppur uno ce la metta tutta per scusarsi e per attenuare un conflitto, a volte usa delle parole che lo accendono. Che bellezza queste nostre differenze! Che bellezza questi linguaggi diversi di dirsi l’amore! Tutto questo ci spinge ogni giorno a conoscere di più dell’altro, dell’uomo o della donna che a cui anni fa ho giurato amore e fedeltà.

L’amore è ricerca continua dell’amore. L’amore non si dirà mai arrivato, né sull’altare, né da innamorati, né dopo 50 anni di matrimonio.

Un’altra differenza che sta alla base del chiedere scusa è legata al peso che si dà ad un errore. Quello che per te può essere uno sbaglio da tragedia greca, per me è una mancanza di poco conto, che non ha conseguenze, o che è facilmente risolvibile. Avendo gli errori pesi diversi sulla mia bilancia e sulla tua rispondiamo con scuse di pari peso, non tenendo conto della tara dell’altro.

Solo conoscendo il linguaggio del perdono dell’altro possiamo riuscire a gestire diversamente il conflitto migliorando il rapporto interpersonale con l’altro, accettando le scuse e donandogli il nostro perdono. La persona umana ha insita in sè una sorprendente capacità di perdonare, di voler porre rimedio agli sbagli compiuti.

Qualcosa dentro di noi vuole sempre la riconciliazione. L’uomo quando subisce un torto chiede giustizia e riconciliazione. Ma se la giustizia porta un senso di soddisfazione, la riconciliazione va oltre, costruisce legami, aiuta a crescere, riappacifica il cuore. Gesù ci insegna spesso nelle pagine di Vangelo “misericordia io voglio non sacrificio” Mt 9,13. Cosa vuoi tu da chi ti ha ferito?

All’interno dell’ambito familiare i conflitti nascono perché non siamo stati abituati a chiedere scusa e a perdonare. L’orgoglio ci rende ciechi e non ci fa riconoscere lo sbaglio, e non ci fa inginocchiare ai piedi dell’altro per amarlo e per perdonarlo tutto! Per cancellare il peccato e, lavandogli i piedi, rigenerarlo nell’amore.

Per poter amare così, fino in fondo, dobbiamo guardare ancora a Lui, Maestro di vita. A colui che si è inginocchiato a lavare i piedi a chi lo ha tradito, a chi lo ha rinnegato, a chi è scappato nel momento del bisogno. Tu sapresti lavare i piedi al tuo sposo dopo uno di questi eventi? La quaresima arriva al suo apice nel Triduo Pasquale, che si apre con l’ultima cena e la lavanda dei piedi. Lì ti aspetta tua moglie, lì devi aspettare tuo marito per dirgli “Ti Amo”, “Amo tutto di te” anche se ci sono stati quell’errore, quello sbaglio, quella guerra, quei torti casalinghi.

Il perdono è dono d’amore che noi facciamo agli altri, ma che possiamo fare ad un altro solo se ci lasciamo perdonare da Dio. Solo chi si lascia perdonare sa perdonare fino in fondo. Se pensi di non sbagliare mai come puoi accogliere l’errore dell’altro? Se non ti lasci amare come puoi amare? Se non riconosci che la tua vita è un dono, la bellezza che ti circonda ti è donata, la pace è un dono, come puoi per-donare gli altri?

Il perdono è un dono che facciamo ad un altro, ma che facciamo in primis anche a noi che abbiamo ricevuto il torto. Perdonando l’altro facciamo pace con il nostro cuore. Spesso si resta nervosi, non si dorme la notte, ci si rode il fegato, si distrugge il corpo, si va a far yoga, e a trovare mille distrazioni e hobby per non voler guardare in faccia il peccato e perdonarlo. Per non voler guardare in faccia il fratello che ci ha fatto il male e non voler riconciliarci con lui. La sofferenza del non perdono, l’ira, la cattiveria ha effetti negativi anche sul nostro corpo. Perdonare è fare del bene a noi, al nostro cuore, al nostro corpo!

Non andate a letto se prima non vi siete chiariti, se non avete fatto pace, se non avete chiesto scusa! Edificate il vostro corpo, il vostro cuore, non distruggetelo con la rabbia accumulata. Una bellissima immagine ci viene suggerita da un libro che vi invitiamo ad appuntarvi, “I cinque linguaggi del perdono” di Gary Champan: una sincera richiesta di scusa mitiga anche i sensi di colpa. Immaginate che la vostra coscienza sia un recipiente da venti litri assicurato sulla vostra schiena. Tutte le volte in cui commettere un torto ai danni di un’altra persona, è come se versaste quattro litri di liquidi nella vostra coscienza. Dopo tre o tratto torti, la vostra coscienza di riempirebbe e voi avvertite il peso. Una coscienza oberata lascia l’individuo pieno di sensi di colpa e vergogna. L’unico modo per svuotare in modo efficace la coscienza consiste nel chiedere perdono a Dio e alla persona che avete offeso.

Perdono, ecco allora l’altra parola che ci viene suggerita nel nostro viaggio tra guerra e pace. Ci torneremo lunedì prossimo, donandovi uno spunto per la confessione. Concludiamo con un’ultima riflessione, come lunedì scorso, sottolineando che il perdono è una grazia che riceviamo gratuita ed infinita da Dio ma SE LO VOGLIAMO. E così lo doniamo all’altro se lo vogliamo. Il perdono se agisce senza la volontà dell’altro di riceverlo, non è riconciliante. il perdono di Dio è incondizionato e arriva sempre, ma l’altro devo riconoscersi pentito per farsi raggiungere.

Gesù sa di cosa abbiamo bisogno, sennò non sarebbe Dio, ma di fronte al bisogno umano domanda: cosa vuoi che io faccia per te? Non vedi che è cieco? Non vedi che Lazzaro è morto? Non vedi che è posseduto dal male? Gesù ci invita a fare un passo verso di Lui, a riconoscerlo. Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno, gli dice il ladrone sulla croce. Davvero costui era il figlio di Dio, dice il centurione. È da una nostra professione di fede che agisce la sua grazia.

Giuda non ha accettato il perdono, non ha riconosciuto che era Dio, non si è fatto abitare da quella grazia e, rispetto a Pietro e ai dodici, sappiamo che fine ha fatto. L’unico che non si è fatto abitare dal bene, l’unico rimasto schiavo del male, della guerra, del non perdono, del non chiedere scusa, l’unico ad essere morto quando la vita ha vinto.

Ci fermiamo. Torneremo lunedì prossimo a parlare di perdono e confessione.

Buona giornata

Non dimenticatevi questa sera di Scoprire quale linguaggio del perdono abita nel vostro sposo!

Anna Lisa e Stefano – @cercatori di bellezza

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Il nostro cuore parla attraverso il corpo

C’è qualcosa di profondamente affascinante nella mistica cristiana. Nella mistica del corpo. Siamo davvero una meraviglia. Il corpo, che per tanti secoli, è stato trattato come un peso, come qualcosa che impedisce una elevazione spirituale, è in realtà ciò che ci permette di dare voce allo spirito. Il corpo permette di dare un volto all’amore. Cosa che non sarebbe possibile senza.

Dio ci ha fatto perfetti proprio perchè siamo sessuati ed abbiamo un corpo. Molti pensano invece che Dio ci ha fatto perfetti nonostante il nostro corpo. Già perchè le passioni, gli istinti, le pulsioni sono spesso associate al peccato e all’egoismo. Che è vero. Non perchè le passioni e le pulsioni siano qulacosa di sbagliato ma perchè quelle pulsioni vanno educate per aprirsi all’altro/a nella verità e non per usarlo. San Giovanni Paolo II in una delle sue famose catechesi sulla Teologia del Corpo ebbe a dire

Il corpo nella sua mascolinità e femminilità, è “dal principio” chiamato a diventare manifestazione dello spirito. Lo diviene anche mediante l’unione coniugale dell’uomo e della donna, quando si uniscono in modo da formare «una sola carne

da Uomo e donna lo creò

Il nostro corpo non è quindi una prigione come sostengono alcune filosofie orientali. Il nostro corpo è invece una porta, un ponte, un trasmettitore. Chiamatelo come volete. Il corpo è quella parte di noi che ci permette di mostrarci nella nostra integrità di persona.

Capite bene che diventa fondamentale nelle relazioni umane. Noi siamo il nostro corpo e possiamo attrtaverso di esso aprirci e mostrarci all’altro/a. Possiamo amarci. C’è una corrente spiritualista all’interno della Chiesa che non ha recepito questa funzione fondamentale del corpo e continua a ritenere che ciò che conta sia l’amore delle anime (intendono quello spirituale ed oblativo). Si vogliono bene, non fanno nulla di male. Per questo alcuni sacerdoti tendono a sottovalutare tante espressioni “d’amore” false del corpo. Rapporti prematrimoniali, rapporti omosessuali, masturbazione e così via diventano espressioni accettate perchè l’importante è che siano spinte dall’amore. Quale amore? Verrebbe da chiedere.

Questo modo di vivere la sessualità falso non può che entrarci dentro e toccare la nostra anima, ferirci profondamente, farci sentire usati e non amati. Quando tocchiamo il corpo di una persona stiamo toccando tutta la persona, non solo un involucro. Tutto ciò che viviamo attraverso il corpo tocca profondamente il nostro cuore. Lo riempie di amore, se quel gesto vissuto attraverso il corpo è vero, lo svuota d’amore se quel gesto è falso.

Un amico sacerdote, quando gli ho accennato della castità, mi ha risposto: la castità non è importante. Ciò che conta è incontrare Cristo. Sono d’accordo che incontrare Cristo sia fondamentale, ma poi, se non abbiamo un cuore puro, uno sguardo puro, un corpo che trasmette l’amore e non l’egoismo, difficilmente resteremo con Gesù. Ci allontaneremo sempre più da Lui e presto non sarà che un lontano ricordo.

Il nostro corpo è un’opportunità straordinaria che noi abbiamo per fare un’esperienza unica nell’incontro profondo e completo con un’alterità. Attenzione però! C’è verità solo quando cuore e corpo esprimono entrambi lo stesso amore. Non basta sentire di amare l’altro/a per rendere puri e autentici gesti che non lo possono essere. Il sesso non è sempre buono, non è sempre amore, anche se desiderato da entrambi. Il cuore parla attraverso il corpo. Nel sesso dice sono tua/o, siamo una cosa sola, tu sei l’unico/a per me. Capite bene che il cuore sta dicendo la verità, attraverso quel gesto del corpo, solo se si tratta di un uomo e di una donna che si sono promessi amore per sempre nel matrimonio.

Antonio e Luisa

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Il cuore non ci appartiene più!

Una notizia apparsa sui siti di informazione martedì sera mi ha colpito. Nel novarese, una donna di 84 anni si è accasciata per un malore ed è morta durante la funzione funebre per il marito. E’ morta di crepacuore. Non ha retto alla separazione da quell’uomo che aveva sposato nel 1958. Sessantadue anni fa. Una vita. Il cuore non ce l’ha fatta. Il cuore non è solo muscolo. Nella Bibbia la parola cuore viene riportata circa 1000 volte. Uno dei significati più importanti che viene data a questa parola non è nè quello medico nè quello più romantico che ne fa il luogo dove nascono i sentimenti. Il cuore nel nostro Libro Sacro è spesso associato al ricordo. Significa fare memoria. Nella Bibbia il cuore e la memoria sono legati. Anche per noi è così. Non per nulla la parola ricordare presenta un etimologia molto chiara. Deriva infatti dal latino: re- indietro cor cuore. Richiamare in cuore. Strano vero? Anche per i nostri progenitori il luogo del ricordo non era la testa ma il cuore. Quindi, tornando alla nostra storia, il luogo dei ricordi dell’anziana sposa, il suo cuore, non ha retto. E’ scoppiato. E non è un caso isolato. Ho approfondito la questione e ho scoperto dei dati interessanti. Uno studio specifico è stato condotto dagli inglesi alcuni anni fa. Uno studio con un campione molto ampio. Lo studio considera oltre 114 mila persone di età 60-89 anni seguite per sette anni. In questo tempo un terzo dei volontari, a parte quanti sono deceduti, è rimasto vedovo. E qualcuno non ha retto il dolore della perdita morendo a sua volta entro i 30 giorni successivi al lutto. In quel mese il rischio di morte era risultato doppio, nei coniugi superstiti, rispetto a quanti erano ancora in coppia.

Quanto è accaduto all’anziana vedova è qualcosa che richiama in modo specifico la vocazione matrimoniale. Mettimi come sigillo sul tuo cuore. Lui è dentro di lei. In lei è ancora vivo. Lo può trovare nel suo cuore. Lo ritrova in mille ricordi, in mille gesti, in mille sguardi, in mille abbracci. Lo ritrova nei loro momenti di gioia e di dolore. Lo ritrova, ma non riesce più a toccarlo, a vederlo. E questo è straziante. Non riesce più a sentirlo. Lui c’è, ma non c’è. Il matrimonio è il sacramento del corpo, della concretezza. Non basta la presenza nel cuore. Serve la concretezza della carne. Servono gli sguardi, la compagnia, la presenza, gli abbracci, le parole e anche i litigi.

Il luogo della memoria, il cuore che custodiva una bellezza così grande, è proprio quello che ha smesso di funzionare, che non ce l’ha fatta. L’amore sponsale, quando nutrito e custodito per una vita intera, trasforma il nostro cuore davvero in qualcosa che non ci appartiene più. Non è più nostro, ma appartiene all’amato/a. Padre Bardelli riprendeva spesso le parole della lettera di San Paolo ai Galati Io vivo, ma non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me» (GaI. 2,20) e ci ripeteva queste parole dicendo a noi sposi :<<Voi non dovete dire così, ma non sono più io che vivo ma il mio sposo o la mia sposa vive in me; questo significa il sacramento del matrimonio, Cristo vive in voi quando voi vivete nella profonda comunione e donazione dell’uno verso l’altro.>>

Ecco il cuore non ci appartiene più. Nel nostro cuore non c’è più la nostra presenza ma quella del nostro coniuge. Così, a volte, succede che quando muore la persona con cui abbiamo condiviso la vita, muore anche il nostro cuore. Termino con le parole di padre Ennio, religioso domenicano, che conosceva la coppia: Si amavano molto, li conoscevo bene. Erano una coppia così solida e innamorata che li citavo come esempio. Anche con questo epilogo non è una storia triste, ma di grande amore.

L’amore in questo caso, ne sono sicuro, è stato più forte della morte.

Antonio e Luisa

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Quei giorni che abbiamo voglia di litigare.

Parliamo di litigio. Oggi vorrei affrontare una dinamica che spesso accade in tante coppie. E’ una reazione umana che mette in evidenza tutte le nostre fragilità e miserie. Non so voi. Io ho una tentazione forte. Quando torno a casa dopo una giornata storta. Quando mi porto a casa problemi, incomprensioni, litigate dal mio lavoro. Oppure quando è stata una giornata semplicemente infruttuosa o frustrante per tanti motivi. Insomma quando torno da una brutta giornata  e non desidero altro che dormire e non pensarci. Quelle serate sono particolarmente pericolose. Lo so! Basta poco, un pretesto qualsiasi per litigare. Cerco la litigata perchè quella frustrazione che ho dentro spinge per uscire. Una dinamica assurda del matrimonio. La persona più vicina rischia di diventare quella che deve assorbire la nostra miseria.  Più si è in intimità con una persona, più la si conosce e si è sicuri del suo amore incondizionato e più si rischia di ferirla, tanto lei ci sarà sempre. Ed ecco che una pasta scotta può diventare motivo di durezza e di critiche, dimenticando che quella pasta è scotta forse perchè lei ha dovuto pensare nel frattempo ai figli. Dimenticando che tutto ciò che fa per me è dono e nulla è dovuto. Abbiamo il dovere di prendere coscienza dei nostri errori, anche questo fa parte del nostro impegno di sposi, ed è il primo e unico passo possibile per poi porvi rimedio.  Come detonare tutto? Non è difficile. Basta non tenersi tutto dentro. Tornare a casa e aprire il cuore. Sfogarsi e buttare fuori tutta l’amarezza, la frustrazione, l’ansia e preoccupazione che abbiamo dentro. Chiedere perdono se non siamo in condizioni quella sera di essere simpatici, attivi e accoglienti. Basta fare queste due semplici cose per scollegare il detonatore della bomba che sta per esplodere. Il motivo è semplice. Non ci si sente più in guerra con il mondo, ma parte di una famiglia che ci vuole bene. Aprire il cuore significa togliere ogni barriera e blocco tra di noi e questo di solito è un ottimo balsamo. Non dimentichiamo poi che siamo cristiani. Affidiamo a Gesù, anche con una semplice preghiera, ciò che ci tormenta. Chiediamo che ci doni la Sua pace. Non resta che trovare il modo di scaricare tutta la rabbia e aggressività che ci portiamo dentro. Io vado a correre. Mi serve tantissimo. Ognuno può trovare la soluzione più adatta.

Antonio e Luisa

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Diventare uno!

Oggi riprendo gli insegnamenti del nostro padre spirituale. Padre Raimondo Bardelli ci ha iniziato a un vero cammino verso la pienezza del matrimonio e gliene saremo sempre grati. Come detto riprendo il suo libro più importante sulla spiritualità di coppia: L’amore sponsale. In questo libro affronta diverse tematiche. In questo articolo scriverò della dinamica dell’amore coniugale. Ecco cosa scrive padre Raimondo:

Il donarsi e accogliersi totale degli sposi comporta un coinvolgimento completo della loro identità, cioè abbraccia i corpi, i caratteri, i cuori, le intelligenze e le anime, che unisce profondamente e indissolubilmente in uno.

Cosa significa essere uno in tutte queste diverse dimensioni?

  1. Unione dei corpi. La mascolinità dell’uomo e la femminilità della donna si fondono. Questa realtà è manifestata dall’unione intima dove l’uomo, entrando fisicamente nella donna, diventa uno con lei. Questa esperienza unica è dono di Dio esclusivo degli sposi, affinché possano sperimentare nel corpo ciò che è presente nel loro cuore: un amore totale, esclusivo, fedele e indissolubile. Gli sposi sono chiamati a far fruttare questo talento che Dio ha donato loro. Come? Perfezionando il linguaggio del corpo. Linguaggio intriso di tenerezza e attenzione reciproca.
  2. Unione dei caratteri. Il carattere è l’insieme delle caratteristiche spirituali e psicologiche di una persona. Ciò comporta due diversi atteggiamenti. Il primo riguarda i fidanzati. Il tempo del fidanzamento è il tempo della conoscenza e della valutazione reciproca. E’ importante capire se i caratteri siano compatibili, cioè se si possono armonizzare, se si può creare un’armonia. Secondo atteggiamento riguarda gli sposi. Gli sposi sanno che l’altro/a ha un carattere “inquinato” da difetti. Con il loro amore possono accoglierlo così come è e condurre l’amato/a, pian piano, a desiderare di cambiare le parti del suo carattere meno belle.
  3. Unione dei cuori. Il cuore è quella parte di noi che custodisce i nostri sentimenti e la nostra identità più profonda. Il matrimonio presuppone che gli sposi siano capaci di penetrare l’uno nel cuore dell’altro. Non solo per prendere dimora, ma per conoscere l’amato/a in modo sempre più autentico e pieno. Questo presuppone una grande fiducia dell’uno verso l’altra. Fiducia che significa abbandono e significa deporre le armi, abbassare ogni difesa. Spesso serve un percorso per arrivare a questo risultato. Riuscire è però fondamentale. Riuscire ad entrare nel cuore dell’amato/a significa scorgere tuta la sua bellezza ed innamorarsi sempre più di lui.
  4. Unione delle intelligenze e delle volontà. Gli sposi sono due persone diverse, con intelligenze diverse e con volontà diverse. Il matrimonio mette queste due risorse diverse al servizio di un’unico scopo: perfezionare e arricchire la relazione sponsale. Ciò significa saper mettere in discussione le proprie ragioni e modi di pensare. Significa ascoltare l’altro/a con attenzione e interesse. Significa saper capire quando l’altro/a ha compreso meglio come agire e cosa fare. Significa ammettere di non aver sempre ragione. Anche qualora uno fosse più forte dell’altro, non deve imporre la propria volontà, e se comprende che la soluzione proposta dall’amato/a è migliore rispetto alla sua, deve essere capace di mettere la sua convinzione al servizio dell’altro/a incoraggiandolo/a e spronandolo/a a continuare.
  5. Unione delle anime. Significa mettere in comune la spiritualità. Significa essere consapevoli che abbiamo due cammini personali con il Signore. Significa ammettere che probabilmente c’è chi è più avanti dell’altro. In questi casi non serve correre avanti. Chi è più avanti deve mostrare carità. Deve comprendere le difficoltà dell’altro/a e aspettare i suoi tempi, senza pretendere una intensità e maturità di fede che l’altro/a non può avere in quel momento.

In conclusione l’amore coniugale ci arricchisce di tutta l’umanità dell’altro/a. Ci saranno momenti di conflitto e di difficoltà, ma non smettete di vedere il matrimonio come un’opportunità per essere ancora più uomo e più donna, per essere persone sempre più ricche e capaci di amare.

Antonio e Luisa

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L’amore non è una regola ma sete di pienezza.

Mosè parlo al popolo dicendo: “Obbedirai alla voce del Signore tuo Dio, osservando i suoi comandi e i suoi decreti, scritti in questo libro della legge; ti convertitirai al Signore tuo Dio con tutto il cuore e con tutta l’anima.
Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te.
Non è nel cielo, perché tu dica: Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo eseguire?
Non è di là dal mare, perché tu dica: Chi attraverserà per noi il mare per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo eseguire?
Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica.”

Oggi mi ha colpito molto la prima lettura. E’ un testo tratto dal Deuteronomio. Mosè sta dicendo ciò che è determinante per la nostra vita. La Legge non è qualcosa di calato dall’alto. La Legge l’abbiamo scritta dentro, nel cuore. Anche nel matrimonio è così. Non è una questione di morale o di regole ammuffite che non sono più al passo con i tempi. Pensare questo è un’illusione che ci porterà sempre fuori strada e a vivere una vita che non è pienamente vissuta. Noi abbiamo nel cuore il desiderio di una relazione che duri per sempre e che ci chieda di dare tutto. Noi abbiamo nel cuore il desiderio di essere amati senza condizioni, solo per quello che siamo, senza l’obbligo di dimostrare nulla. Noi abbiamo nel cuore un desiderio di un amore che sia radicale e fedele. Noi abbiamo nel cuore il desiderio di poterci aprire completamente ad un’altra persona, di mostrarci con tutte le nostre fragilità e debolezze senza per questo temere il giudizio. Abbiamo nel cuore il desiderio di non dover essere sempre perfetti e di poter anche sbagliare trovando nell’altro/a uno sguardo che vada oltre quell’errore e continui a vederci belli/e. Vi rimane il desiderio e la nostalgia di un amore così se non l’avete e provate gratitudine se, invece, l’avete. La Legge di Dio è questa. Essenzialmente questa. E’ ciò che serve per vivere una relazione che sia piena. Una relazione che mostri in filigrana la relazione d’amore che unisce le Persone della Santa Trinità. La Legge è Dio che ci insegna come lui ama affinché noi possiamo avere una guida per provarci a nostra volta. La Legge di Dio non è stata data per la prima volta a Mosè durante l’Esodo. La Legge di Dio è dentro di noi ed esiste da quando esiste l’uomo. E’ l’amore di Dio che si fa Padre e ci educa ad essere degli uomini e delle donne con una vita autentica e piena. Quante volte avrei fatto diversamente, avrei seguito strade diverse. Fortunatamente ho ascoltato Dio e non ho fatto di testa mia. Il mio matrimonio è felice grazie a Dio e nonostante me.

Antonio e Luisa

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Impariamo a ricordare il bene

Un sacerdote fu trasferito in una nuova parrocchia. Fu invitato a cena da una famiglia. Una di quelle che fanno tanto in parrocchia. Alla fine di quell’incontro volle fare una domanda ai due sposi prima di andarsene. Chiese se anche a loro ogni tanto capitava di litigare e se c’erano momenti di tensione e di crisi. Era rimasto infatti molto colpito dall’amore e dall’intesa che i due sposi trasmettevano a chi li guardava. Rispose prontamente lei: Certo che sì caro don, ma abbiamo un segreto. Il nostro tesoro. Detto questo scomparve in un’altra camera e fece ritorno con in mano un diario. Disse quindi al sacerdote: Vedi questo diario, qui annoto tutte le volte che mio marito mi ha voluto bene. Ogni volta che litighiamo vado in camera, prendo il diario, lo sfoglio e mi viene subito il desiderio di fare pace e di ricominciare.

Cosa ci insegna questo breve racconto? Diciamocelo! Siamo bravissimi a legarci al dito qualsiasi mancanza da parte dell’altro/a e siamo altrettanto bravi a dare per scontate tutte le volte che nostro marito o nostra moglie ci ama, ci dimostra il suo amore, fa qualcosa di gratuito, si fa servizio, si fa tenerezza e cura verso di noi. E’ importante invece che impariamo a ricordare il bene. Non semplicemente fare memoria, ma ricordare. Ricordare è un verbo molto più forte e significativo. Nella sua etimologia riporta al cuore dell’uomo. Al nostro cuore. Significa letteralmente richiamare nel cuore. Rendere attuale e presente il bene che l’altra persona ci ha gratuitamente donato. Con tutti i benefici, la bellezza, la forza, il nutrimento e la pace che quel gesto ci ha dato. Ricordare tutte le volte che la persona amata ci ha guardato con amore, tutte le volte che ci ha carezzato, tutte le volte che ci ha benedetto con le sue parole, tutte le volte che ci ha sostenuto con il suo ascolto, con i suoi consigli e con la sua presenza. Tutte le volte che si è donato/a e ha accolto il nostro dono nell’incontro intimo. Tutte le volte che ci ha perdonato e che ci ha permesso di sperimentare la bellezza di essere amati anche quando non lo meritiamo. Essere capaci di ricordare tutti questi momenti e tutti questi gesti è determinante. Significa costruire un tesoro da spendere all’occorrenza. Da spendere tutte le volte che l’altro/a non sarà capace di darci nulla, tutte le volte che ci sembrerà povero, tutte le volte che ci ferirà e che sarà difficile da amare. Tutte quelle volte attingiamo al ricordo del bene. Attingiamo al tesoretto del nostro matrimonio e sarà più facile non farci dividere da quel non amore, perchè l’amore c’è anche se non si vede e non si sperimenta in quel momento più o meno lungo. C’è in tutti questi gesti che custodiamo come un tesoro. Questa consapevolezza rende più semplice anche perdonare, amare sempre e ricominciare.

Antonio e Luisa

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L’amore è più croce o più cuore?

La croce non piace. Sempre più persone vorrebbero eliminarla dai luoghi pubblici. Non è vero che non piace perchè non è rispettosa di chi crede in un altro dio. La croce dà fastidio anche a tanti cristiani. Non lo ammetteranno, ma è così. La croce è fuori moda. La croce è scandalosa. La croce ci ricorda che amare significa anche, a volte, abbracciarla. La croce appesa al muro ci mette con le spalle a quel muro. Ci ricorda un Dio che ne ha fatto il suo trono d’amore. Ci ricorda che l’amore è fatica, che l’amore è una scelta, che l’amore ci chiede tutto. Ci chiede di morire a noi stessi. Ci chiede di perdonare tutto. La croce è segno dell’amore di Gesù. Ho letto da qualche parte che l’amore non ha la forma del cuore, ma della croce. Il cuore segno del sentimento e la croce segno della volontà. Gesù non sarebbe mai salito su quella croce per sentimento. Lo ha fatto per volontà. Per fare la volontà del Padre e per salvare tutti noi. Allora non è amore il suo? Oppure è l’Amore? Cosa ci insegna la croce? Ho pensato di mettere a confronto l’idea del mondo con l’idea di Dio sull’amore e sul matrimonio. Due concetti molto distanti tra loro.

Il mondo dice che l’amore è solo passione e sentimento. Dio dice che passione e sentimento sono cosa buona, ma l’amore diventa pieno e autentico  quando riesce ad andare oltre ed è capace di sacrificio.

Il mondo dice che il sesso è sempre positivo se desiderato da entrambi. Dio dice che il sesso è benedetto quando è espressione di un’unione sponsale. Una sola carne segno di un cuore solo.

Il mondo dice che  basta l’amore e non serve sposarsi. Dio ti dice che solo nel matrimonio troverai la forza per amare sempre.

Il mondo dice che il peccato non esiste. Dio ti dice che se vivi nel peccato sei già morto anche nel matrimonio.

Il mondo ti dice che lui/lei deve meritarsi il tuo amore. Dio ti dice che è davvero amore solo quando è gratuito ed immeritato.

Il mondo ti dice che la legge di Dio ti rende schiavo e ti impedisce di essere felice. Dio ti dice che solo accogliendo la Sua legge potrai essere libero anche d’amare.

Il mondo ti dice che sarai felice se farai di te il centro. Dio ti chiede di fare dell’altro il centro del tuo amore e solo se ti spenderai per gli altri potrai trovare anche il centro della tua gioia.

Il mondo dice che l’amore per sempre non esiste. Dio vi dice: “Cari sposi: mostrate al mondo che si sbaglia. Mostrate che amarsi per sempre è possibile ed è anche un’esperienza meravigliosa”

 

Antonio e Luisa

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Mettimi come sigillo sul tuo cuore

Arriviamo ora agli ultimi versetti del Cantico. Le ultime righe. Queste ultime righe sono riservate alla donna. Anche in questo caso si può leggere un contrappasso con Genesi. In Genesi è stata la donna la prima a peccare. La donna è qui l’ultima a cantare l’amore. Dalla donna è venuto il primo gesto che ha portato disordine nell’umanità, ma è lei che nel Cantico racconta la meraviglia dell’amore delle origini, riportato alla sua pienezza autentica voluta da Dio. E’ come se la donna volesse riscattare quanto successo. Ciò è possibile con l’aiuto di Dio. Noi cristiani sappiamo che ciò è possibile con la redenzione di Cristo. Ora la donna, al termine di tutto, finalmente ci dice cosa è l’amore. L’uomo lo ha introdotto, nei versetti appena precedenti, dicendo alla donna tu sei l’amore. E’ come se lasciasse a lei la parola perchè solo lei che ha capito pienamente cosa è l’amore, solo lei che è pienamente amore, può dire cosa l’amore sia davvero. Lei che è capace di farsi utero per accogliere la vita può dire meglio di chiunque altro cosa è l’amore. Lei non si tira indietro e dice:

Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio;

Il sigillo è un’immagine molto forte. Nel mondo agricolo antico “sfraghis” (sigillo in greco) era il segno che il padrone faceva sugli animali, per cui quel segno indicava che quegli animali appartenevano ad un proprietario, erano proprietà di un padrone. Il termine è stato poi ripreso in ambito militare. Nel mondo militare antico “sfraghis” era il segno di riconoscimento (divisa, bandiera, stelletta..) intorno al quale si riconoscevano i soldati come appartenenti ad uno stesso esercito. Era il segno di riconoscimento in base a cui i soldati si sentivano uniti nella lotta comune per difendere valori comuni per il bene comune. Dunque era un segno di riconoscimento che comportava unità e solidarietà. Mettimi come sigillo sul cuore significa ti appartengo. Sono tua e tu sei mio. Non possiamo essere di nessun altro. Desidero essere carne della tua carne. Ricordate San Paolo quando afferma Non sono più io che vivo, ma Cristo che vive in me? Qui è la stessa cosa, ma letta in chiave sponsale. Non sono più io che vivo, ma tu amato mio sposo che vivi in me e io vivo in te. Questa è la nostra vocazione. Siamo chiamati a farci così: prossimi all’altro/a e capaci di decentrare le nostre attenzioni tanto da vivere per la gioia e per il bene dell’altro/a. Sigillo sul tuo cuore e sul tuo braccio. Tutta la persona è partecipe di questa appartenenza. Nel corpo e nella sua parte più profonda ed interiore. Nei sentimenti, nella volontà, nel desiderio sessuale ed affettivo, nella tenerezza. In tutto ciò che mi caratterizza come persona c’è il tuo sigillo. Metti il mio dentro tutto ciò che tu sei. Questo è l’amore sponsale autentico. Un amore che desidera tutto dell’altro/a e dà tutto all’altro/a. Un amore fedele, indissolubile, fecondo, unico perchè solo così può essere meraviglioso e pieno. Un amore esigente, ma proprio per questo vero.

Antonio e Luisa

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Articoli precedenti

1 Introduzione 2 Popolo sacerdotale 3 Gesù ci sposa sulla croce 4 Un’offerta d’amore 5 Nasce una piccola chiesa 6 Una meraviglia da ritrovare 7 Amplesso gesto sacerdotale 8 Sacrificio o sacrilegio 9 L’eucarestia nutre il matrimonio 10 Dio è nella coppia11 Materialismo o spiritualismo 12 Amplesso fonte e culmine 13 Armonia tra anima e corpo 15 L’amore sponsale segno di quello divino 16 L’unione intima degli sposi cantata nella Bibbia 17 Un libro da comprendere in profondità 18 I protagonisti del Cantico siamo noi 19 Cantico dei Cantici che è di Salomone 20 Sposi sacerdoti un profumo che ti entra dentro.21 Ricorderemo le tue tenerezze più del vino.22 Bruna sono ma bella 23 Perchè io non sia come una vagabonda 24 Bellissima tra le donne 25 Belle sono le tue guance tra i pendenti 26 Il mio nardo spande il suo profumo 27 L’amato mio è per me un sacchetto di mirra 28 Di cipresso il nostro soffitto 29 Il suo vessillo su di me è amore 30 Sono malata d’amore 31 Siate amabili 32 Siate amabili (seconda parte) 33 I frutti dell’amabilità34 Abbracciami con il tuo sguardo35 L’amore si nutre nel rispetto. 36 L’inverno è passato 37 Uno sguardo infinito 38 Le piccole volpi che infestano il nostro amore.39 Il mio diletto è per me. 40 Voglio cercare l’amato del mio cuore 41 Cos’è che sale dal deserto 42 Ecco, la lettiga di Salomone43 I tuoi seni sono come due cerbiatti 44 Vieni con me dal Libano45 Un giardino da curare 46 L’eros è un amore tenero 47 La tenerezza è amare come Dio ci ama 48 Mi hai rapito il cuore con un tuo sguardo 49 Fammi sentire la tua voce. Perchè la tua voce è soave 50 Mi baci con i baci della sua bocca 51 Quanti sono soavi le mie carezze sorella mia, sposa 52 Venga il mio diletto nel suo giardino e ne mangi i frutti squisiti 53 Le carezze dell’anima 54 Un rumore! E’ il mio diletto che bussa. 55 Il mio diletto ha messo la mano nello spiraglio 56 Io venni meno per la sua scomparsa 57 Mi han tolto il mantello 58 Che ha il tuo diletto di diverso da un altro? 59 Il matrimonio non è un armadio 60 Dolcezza è il suo palato 61 Uccidete il sogno 62 Bella come la luna 63 Sui carri di Ammi-nadìb 64 Vogliamo ammirarti 65 Non mendicanti, ma re e regine 66 Carne della mia carne 67 La tua statura rassomiglia a una palma e i tuoi seni ai grappoli. 68 Il tuo palato è come vino squisito 69 Il suo desiderio è verso di me 70 C’è ogni specie di frutti squisiti, freschi e secchi 71 Oh se tu fossi un mio fratello 72 Migliori amici l’uno dell’altra 73 Chi è colei che sale dal desrto, appoggiata al suo diletto? 74 Un caffè per uscire dal deserto 75 Sotto il melo ti ho svegliata 

Sposi sacerdoti. Un rumore! E’ il mio diletto che bussa. (54 articolo)

Abbiamo lasciato i due protagonisti alla fine del terzo poema in una situazione perfetta di amore e di gioia. I due sposi finalmente avevano dato compimento e  sperimentato nell’unione intima quel desiderio profondo dei loro cuori. Desiderio alimentato dall’attesa, dagli sguardi, dai profumi, dai colori, dai movimenti, e dal farsi sempre più prossimi l’uno all’altra fino ad essere uno. Un sol corpo e un sol cuore. Ora il quarto poema cambia completamente atmosfera. Non c’è più gioia. Il Cantico dei Cantici racconta l’amore. L’amore è così. Non è mai stabile. Raggiunto il culmine si può cadere per poi risalire. E’ la storia di ognuno di noi che conferma che è così. E vissero felici e contenti non è la realtà della nostra vita. La casa del nostro amore è abitata da momenti alti e da altri bassi, da momenti di avvicinamento fino ad essere davvero una cosa sola ad altri di allontanamento fino a non capirsi e a non riconoscersi. Non c’è contraddizione in questo. L’allontanamento non contraddice l’amore di prima. Ci sono entrambi. Non pretendiamo di essere sempre al massimo o ne soffriremo. Accettiamo i bassi come opportunità per amare con tutta la nostra volontà e tornare più in alto di prima.

Io dormo, ma il mio cuore veglia.

La traduzione che ho riportato è quella CEI ma non è delle migliori, almeno a detta di esegeti molto autorevoli. In realtà i verbi, nella versione originale in ebraico, sono tutti participi presenti.  In particolare nelle prime righe troviamo la Sulamita che dorme. Sulamita che è dormiente e vegliante. L’autore sembra voler evidenziare lo stato di vigilante attesa della ragazza. Dorme, ma il suo io profondo è sveglio. Il cuore nella tradizione ebraica è il centro  di tutta la persona. Il cuore identifica la Sulamita in tutto il suo essere. Il cuore è la sede dell’affettività, della ragione e dell’autodeterminazione personale.

Un rumore! E’ il mio diletto che bussa:
«Aprimi, sorella mia,
mia amica, mia colomba, perfetta mia;
perché il mio capo è bagnato di rugiada,
i miei riccioli di gocce notturne».

Proprio perchè veglia con il cuore in attesa riesce a percepire l’arrivo dell’amato. Nelle parole dell’amato si comprende tutto il desiderio che ancora c’è in lui verso di lei. Lui sembra tornare da un viaggio. E’ stato via del tempo. Questo non ha fatto che aumentare il desiderio verso colei che ama. Un’assenza che si fa desiderio.

«Mi sono tolta la veste;
come indossarla ancora?
Mi sono lavata i piedi;
come ancora sporcarli?».

L’amata esita. Non si alza immediatamente. Cosa succede? Perchè questa improvvisa pigrizia? Sembrano scuse banali. In realtà è il sentimento che è così. Crediamo di governarlo e comprendere il motivo che ci spinge e ci attrae verso l’altro e invece d’improvviso ci troviamo svuotati e svogliati. Non ci attira. Sono momenti normali nella vita di una coppia. Eppure possono essere momenti di sofferenza e solitudine.  Un’altra possibile lettura ci viene data da don Carlo Rocchetta che parla di contrasto nell’intimo della donna. Contrasto tra il desiderio profondo di donarsi completamente all’amato e la paura che questo abbandono fiducioso e disarmato comporta. Paura di soffrire e di stare male. Di essere delusa e usata. Credo che anche questa sia un timore comune a tante spose. Soprattutto quelle che si portano nel cuore ferite non sanate.

Antonio e Luisa

1 Introduzione 2 Popolo sacerdotale 3 Gesù ci sposa sulla croce 4 Un’offerta d’amore 5 Nasce una piccola chiesa 6 Una meraviglia da ritrovare 7 Amplesso gesto sacerdotale 8 Sacrificio o sacrilegio 9 L’eucarestia nutre il matrimonio 10 Dio è nella coppia11 Materialismo o spiritualismo 12 Amplesso fonte e culmine 13 Armonia tra anima e corpo 15 L’amore sponsale segno di quello divino 16 L’unione intima degli sposi cantata nella Bibbia 17 Un libro da comprendere in profondità 18 I protagonisti del Cantico siamo noi 19 Cantico dei Cantici che è di Salomone 20 Sposi sacerdoti un profumo che ti entra dentro.21 Ricorderemo le tue tenerezze più del vino.22 Bruna sono ma bella 23 Perchè io non sia come una vagabonda 24 Bellissima tra le donne 25 Belle sono le tue guance tra i pendenti 26 Il mio nardo spande il suo profumo 27 L’amato mio è per me un sacchetto di mirra 28 Di cipresso il nostro soffitto 29 Il suo vessillo su di me è amore 30 Sono malata d’amore 31 Siate amabili 32 Siate amabili (seconda parte) 33 I frutti dell’amabilità34 Abbracciami con il tuo sguardo 35 L’amore si nutre nel rispetto. 36 L’inverno è passato 37 Uno sguardo infinito 38 Le piccole volpi che infestano il nostro amore. 39 Il mio diletto è per me. 40 Voglio cercare l’amato del mio cuore 41 Cos’è che sale dal deserto 42 Ecco, la lettiga di Salomone 43 I tuoi seni sono come due cerbiatti 44 Vieni con me dal Libano 45 Un giardino da curare 46 L’eros è un amore tenero 47 La tenerezza è amare come Dio ci ama 48 Mi hai rapito il cuore con un tuo sguardo 49 Fammi sentire la tua voce. Perchè la tua voce è soave 50 Mi baci con i baci della sua bocca 51 Quanti sono soavi le mie carezze sorella mia, sposa 52 Venga il mio diletto nel suo giardino e ne mangi i frutti squisiti 53 Le carezze dell’anima

Trapiantati con il suo cuore.

Questo blog è molto specifico. Affronta temi riguardanti il matrimonio. Il matrimonio cristiano, quindi vissuto alla luce dell’incontro con Cristo e fondato sulla Grazia scaturente dal sacramento. Oggi è Pasqua. Come si inserisce la Pasqua del Signore nella nostra relazione di sposi? Partiamo dal significato di questa festa. Come sappiamo la Pasqua cristiana nasce all’interno della cultura ebraica. La Pasqua, si festeggiava già tra gli ebrei. Festa che significa passaggio e che fa memoria della liberazione degli ebrei dall’Egitto. Liberazione dalla schiavitù. Schiavitù che può essere letta in tanti modi. Ognuno ha le proprie schiavitù. Schiavitù che legano e che appesantiscono e non permettono di amare in pienezza. Dio per liberare il popolo d’Israele, come ultima piaga, la più terribile, mandò l’angelo della morte che si prese tutti i primogeniti, uomini ed animali. Solo quelle famiglie che avessero cosparso la trave della porta con un po’ di sangue di un capretto immolato, che poi avrebbero mangiato, sarebbero state risparmiate. Gesù nella nuova alleanza rende tutto nuovo. E’ lui l’agnello che salva, l’agnello immolato. E’ suo il sangue che fa si che la morte passi oltre. E’ sua la carne che viene mangiata, come lui stesso dice nell’ultima cena. La Pasqua della nuova alleanza ha lo stesso significato di quella precedente. Attraverso la morte e la resurrezione di Gesù noi possiamo passare dalla schiavitù alla libertà. La Pasqua ogni anno ci ricorda che, grazie a quel sacrificio, avvenuto circa 2000 anni fa, siamo stati liberati.

Don Antonello Iapicca ha usato un paragone che mi è piaciuto molto. Rende molto l’idea di ciò che voglio dire. In quella morte e resurrezione Gesù ci ha donato il suo cuore. Da quel momento, grazie allo Spirito Santo che opera, siamo capaci di amare con il cuore Gesù. Siamo stati trapiantati con il suo cuore. Ognuno di noi, sposi in Cristo, se lo vuole, se lo crede e se si abbandona, può essere capace di rendere la sua relazione luogo della presenza di Cristo, luogo dell’amore di Cristo, luogo del perdono di Cristo. Vale per tutti. Vale per me e Luisa, che dopotutto non abbiamo grandi sofferenze e problemi da superare, ma vale, a maggior ragione, per quelle coppie che vivono situazioni di abbandono e di sofferenza grande. In quei casi il cuore umano non può sopportare, ma noi sposi in Cristo non abbiamo più un cuore umano, abbiamo il cuore di Cristo stesso e tutto diventa possibile in colui che può tutto. Tutto è diventato possibile da quel giorno di circa 2000 anni fa dove un Dio è morto miseramente per noi, è morto come l’ultimo degli uomini per rendere noi capaci di amare come il più grande di tutti: Dio stesso.

Vale per tutti. Molti non credono che questa verità sia possibile anche per loro. Che il Signore è morto e risorto per rendere il loro matrimonio meraviglioso. A questo proposito Mons. Caffarra raccontava una storiella:

Un contadino aveva vissuto tutta la sua vita in una grande miseria. Un giorno arrivò la fortuna: ereditò un ingente patrimonio. Per prima cosa, parte per la città dove passa l’intera giornata. Aveva comperato un bellissimo vestito e scarpe di gran lusso. Alla sera, stanco si addormenta sul marciapiede. Un’automobile quasi lo investiva. L’autista scende infuriato e grida: “almeno togli le gambe dalla strada”. Il contadino, svegliato in quel modo, si guardò le gambe e disse calmo: “passa pure, queste non possono essere le mie gambe: sono vestite troppo bene”.
Ascoltando quanto abbiamo detto durante questa catechesi qualcuno potrebbe pensare: “non sta parlando di me, del mio matrimonio; il mio è molto più povero, molto meno grande”.
E come quel contadino permetterà che si continui a parlarne male, perché tanto il matrimonio-sacramento di cui parla la Chiesa non può essere il proprio matrimonio: è troppo bello.
La tentazione più sottile in cui possiamo cadere è di pensare che il Signore non ci abbia amati fino in fondo, non abbia preparato per noi — come dice il Profeta — un banchetto di tante vivande e vini prelibati, ma solo un tozzo di pane duro ed un po’ d’acqua. No: il Signore ha donato agli sposi la partecipazione al suo stesso amore.

Anche il vostro matrimonio è una meraviglia del Signore, non rassegnatevi alla miseria.

 

Antonio e Luisa

La carità nel matrimonio

Se la fede, come abbiamo visto nell’articolo precedente, ci aiuta a perfezionare l’accoglienza di Dio, la carità ci aiuta a perfezionare la nostra capacità di rispondere a quella autodonazione di Dio a noi. La fede è accoglienza, la carità invece è la donazione di noi stessi. Cosa accade quindi alla virtù della carità nel matrimonio? La carità fa degli sposi una cosa sola, si trasformano in dono l’uno per l’altra. La carità genera e perfeziona l’unità tra gli sposi. Come Dio in sè è uno e trino in virtù dell’amore, così si realizza in noi la capacità di generare e mostrare quell’unità d’amore divina. Attraverso la carità nel matrimonio, io sposo, se lo voglio e agisco quindi di conseguenza, posso donarmi e amare la mia sposa come l’ama Dio, nonostante tutte le mie miserie, debolezze, finitezze e fragilità, perchè è lo Spirito Santo che con la Grazia del matrimonio opera in me. Ma cosa significa amare la mia sposa e donarmi a lei come Dio? Come si dona Dio? Dio si dona per primo, è puro dono. Noi abbiamo la capacità, donataci dallo Spirito Santo, di perdonare per primi e sempre, di fare sempre il primo passo per la riconciliazione, senza curarci di avere o meno ragione. Dobbiamo uscire da noi stessi, dalle nostre rivendicazioni e ripicche e mettere l’altro al centro delle nostre preoccupazioni. Ci ho impiegato alcuni anni per capirlo, per tanto tempo ho fatto pagare alla mia sposa i torti subiti veri o presunti, con musi lunghi e indifferenza mantenuta ostinatamente per ore se non per giorni, aspettando le sue scuse. Questa non è carità ma soltanto orgoglio.  Come dice San Paolo la nostra deve invece essere una gara a chi si ama di più, a chi si perdona di più e per primo. Questa è la carità reciproca.

Altra caratteristica dell’amare di Dio è la gratuità. Dio ci ama senza voler nulla in cambio. Io facciamo lo stesso con la mia sposa? Oppure sono bravissimo a ricattarla sottilmente, a farle pesare ciò che faccio e continuamente paragono ciò che le do con quanto ricevo? Questa non è carità ma un baratto di affetto, di servizio, di “amore”. Dio non ci insegna ad amarci così e questa modalità di amare presto o tardi porterà a rancori e distanza tra gli sposi. La virtù della carità non solo ci abilita ad amarci per sempre ma sempre, anche quando l’altro è antipatico e non si rende amabile con il suo atteggiamento o le sue azioni. E’ difficile, non lo nego, anche io manco di carità innumerevoli volte verso la mia sposa, ma ora sono consapevole di questo e chiedo a Dio di donarmi la carità per superare le mie miserie e poter essere davvero dono gratuito per lei. Chiara Corbella chiedeva a Dio:

Dammi la Grazia di vivere la Grazia

Ultima caratteristica dell’amore di Dio è la gioia. Dio si dona con gioia. Dio è felice di averci creato, si rallegra quasi stupendosi della meraviglia da lui creata: l’uomo. E’cosa molto buona. Anche noi dobbiamo essere capaci di amarci così. Guardarci sempre con quello sguardo meravigliato e riconoscente che è capace di cogliere la bellezza che genera in noi e nella nostra vita la presenza della persona amata. Riuscire a cogliere questa bellezza è il segreto per trovare la pace e la gioia di amare.

Antonio e Luisa.