Le sette parole di Gesù per gli sposi

Siamo giunti così a sabato. Questa sera vivremo la veglia pasquale. Senza la Pasqua nulla avrebbe senso. Pochi ci pensano, ma Cristo su quella croce ha celebrato le sue nozze con noi. La croce è stata talamo consacrato. Sulla croce ha offerto tutto di sè. Tutto fino a dare la vita. L’amore di Cristo, inchiodato alla croce, è un amore che ogni sposo e ogni sposa dovrebbero prendere ad esempio e cercare di emulare. In quel momento così terribilmente importante, Gesù ci affida sette parole. Cercherò di declinarle e attualizzarle nella vita di una coppia di sposi.

Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Lo sposo perdona sempre. Fa di più! Intercede presso Dio e offre la sua vita per la salvezza del coniuge. Noi lo facciamo o ci lasciamo vincere dal rancore e dall’orgoglio?

Oggi con me sarai nel paradiso. L’amore non guarda il passato. Ha la memoria corta per il male subito. L’amore ha memoria lunga solo per il bene ricevuto. La persona che ama si commuove del pentimento e non smette di credere nell’uomo o nella donna che ha sposato.

Donna, ecco tuo Figlio … Chi ama davvero è come Gesù. Non pensa a sè. Gesù è sulla croce, sta morendo, ma si preoccupa delle persone che ama. Non di se stesso. Questo è l’atteggiamento che dovrebbe caratterizzare l’amore degli sposi. Lo sguardo sempre verso l’altro.

Ho sete. Siamo fatti per essere amati. Gesù soffre la sete del corpo certamente. C’è un’altra sete più profonda, La sete di un cuore che vorrebbe essere riamato da quegli uomini a cui ha dato tutto. Così anche noi sposi. Non smettiamo di dissetarci alla fonte del nostro amore. Non cerchiamo di spegnere la nostra sete con altro. Mettiamo al primo posto Dio nel nostro matrimonio e la nostra famiglia. Prima del lavoro, prima dei soldi, prima delle famiglie di origine, ecc.

Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Ci passiamo tutti prima o poi. Sperimenteremo, o abbiamo già sperimentato, momenti si solitudine profonda. Momenti in cui il nostro matrimonio diventa croce. Non riusciamo più a vedere la presenza di Dio nella nostra storia. Coraggio! Gesù stesso ci è passato. Lui ci insegna che non dobbiamo mollare.

Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito. Anche nel nostro matrimonio è importante conoscere, anzi riconoscere, che il nostro sposo (sposa) non è Dio. Non è è lui/lei che ci può rendere felici e dare senso alla vita. Solo l’abbandono in Dio ci può rendere capaci di essere sposi liberi di amare gratuitamente e incondizionatamente la persona che abbiamo sposato.

È compiuto.  Il nostro amore è compiuto quando riesce a spingersi oltre ogni egoismo e ogni difficoltà. Solo così le nostre morti diventano occasione di resurrezione e di nuova vita, per noi, per il nostro coniuge e per la nostra relazione.

Non mi resta che augurare a tutti una meravigliosa celebrazione della Pasqua.

Antonio e Luisa

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Segniamo la porta del nostro cuore con il sangue dell’Agnello.

Stamattina mi sono alzato presto.  Sono andato in chiesa. Oggi è il venerdì in cui Gesù viene giudicato, offeso, condannato, frustato e infine caricato della croce e condotto sul Golgota a morire. La chiesa è nella semioscurità. C’è l’atmosfera giusta per immergersi in Gesù, per fare un salto nel tempo e trovarsi nella Gerusalemme di circa duemila anni fa. Penso alla solitudine di Gesù, all’abbandono da parte di tutti o quasi. Solo la madre, poche donne e il discepolo amato sotto la sua croce.

Quel sangue versato per noi, per tutti noi, per dirci che ci ama e ci desidera come nessun altro. Ho pensato a tante cose e mi sono sentito profondamente indegno del suo sacrificio. Il suo sacrificio capace di salvarci dalla morte e di rendere nuova ogni cosa. Capace di andare oltre le nostre miserie, i nostri fallimenti, le fragilità e gli errori.

Capace di prendere sulle spalle, insieme alla croce anche il peso della nostra incapacità di amare e trasformare il nostro matrimonio. Gesù che ieri, giovedì, stava ricordando con i suoi apostoli la pasqua ebraica (Pèsach) . Stava ricordando la liberazione del suo popolo dall’Egitto oppressore.

Non tutti erano felici di lasciare l’Egitto e seguire Mosè. Alcuni preferivano rimanere schiavi perché almeno avevano un tetto sopra la testa e un pasto sicuro. A volte ci comportiamo allo stesso modo. Talvolta ci aggrappiamo alle nostre “schiavitù”, convincendoci che le cose non vanno poi così male. Dopotutto, ci sono persone che stanno ancora peggio di noi. Ci aggrappiamo alla nostra zona di comfort e ci rifiutiamo di lasciarla.

Attraversare il deserto costa fatica. Il nostro matrimonio può diventare santo, ma dobbiamo volerlo. Il nostro matrimonio, se noi lo desideriamo, attraverso quel sangue versato, può risorgere dalla morte del peccato. Il nostro matrimonio è come la porta delle dimore di quegli ebrei schiavi in Egitto.

Dio ci chiede di segnare la porta del nostro cuore e  del nostro matrimonio con il sangue dell’Agnello sacrificato. Solo cosi la morte del peccato non ci toccherà e passerà oltre. Non basta però il sacrificio di Gesù per noi, ma è necessario il nostro riconoscerci bisognosi e desiderosi di segnarci del Suo sangue, serve che ci professiamo cristiani non solo con le parole, ma portando il segno del suo sacrificio aderendo ai suoi insegnamenti e aprendo il nostro cuore alla Sua Grazia che salva.

Come in modo significativo predicava un vescovo del IV secolo: Per ogni uomo, il principio della vita è quello, a partire dal quale Cristo è stato immolato per lui. Ma Cristo è immolato per lui nel momento in cui egli riconosce la grazia e diventa cosciente della vita procuratagli da quell’immolazione.

Questo giorno è un momento decisivo. Non per Cristo, che ha già preso la sua decisione, ma per noi. Anche noi abbiamo tradito molte volte. Possiamo seguire l’esempio di Giuda e lasciarci consumare dal rimorso, oppure trasformare il nostro tradimento in una nuova vita. Come fece Pietro, quando, di fronte a Gesù incatenato che lo guardava con amore nonostante lui l’avesse appena rinnegato, non riuscì a trattenere le lacrime. Fu proprio quel pianto a spalancare finalmente il suo cuore. Da quel momento Pietro divenne veramente la roccia che Gesù aveva intravisto chiamandolo “Pietro”.

Antonio e Luisa

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“Tu non sei qui”

“Tu non sei qui, sei risorto”. Sono le parole che un bravo Fabrizio Gifuni, interpretando Giovanni Battista Montini nella fiction “Paolo VI – Il Papa nella tempesta”, pronunciò a voce bassa e commossa mentre entrava nel Santo Sepolcro. Nella realtà, avvenne proprio che il 4 gennaio 1964 Papa Montini, primo Pontefice nella storia a viaggiare in Terra Santa, volle visitare il luogo testimone della Risurrezione di Gesù. Trovo molto belle quelle parole, le sento molto mie, credo che esprimano il nostro atteggiamento in questo giorno in cui mentalmente anche noi vorremmo sostare dinanzi a quella pietra marmorea su cui venne deposto il corso esanime di Cristo. Oggi siamo chiamati a fare esperienza che la Risurrezione è un evento, un fatto realmente accaduto. Non è una fiaba per bambini e men che meno un’illusione per alleviare la durezza della vita.

Ma la Risurrezione non è solo un momento storico, non è delimitata a quella mattina di aprile dell’anno 33. È un fatto che ci tocca diariamente e mi sono sempre chiesto cosa significhi per me oggi, 2022, che Cristo sia risorto allora. Devo dirvi che mi aiuta il meditare su una frase dell’Apocalisse dal sapore prettamente pasquale: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21, 5). Come a dire: la grazia della risurrezione è capace di rinnovare sempre la tua vita, di mantenere vivo l’amore per Cristo e i fratelli anche con il passare degli anni.

Questa verità, declinata per gli sposi, è estremamente bella e importante. Soprattutto in un mondo inzuppato di una visione romantica dell’amore, cioè intrappolato e prigioniero delle emozioni e in grossa difficoltà quando queste vengono meno o mutano nel tempo. Un amore spesso e volentieri narcisista e avido di possedere l’altro. Questo modo di amare è destinato ahimè alla tomba e a restarci. Invece l’amore vero, quello che cerca il dono di sé, quello che accoglie e custodisce, quello che cura e chiede appartenenza può essere sempre nuovo. Questo è il modo di amare di Cristo, che gli sposi ricevono in dono con il sacramento. Come direbbe Gabriel Marcel (1889-1973): “Amare qualcuno è dirgli: tu non morirai” (G. Marcel, Tu non morirai, a cura di F. Riva e M. Pastrello, Casini, Roma 2006, p. 151), è proprio vero allora che l’amore umano, con la grazia del sacramento, diventa veramente sé stesso, diventa autentico e genuino, scrostato e ripulito da quelle pesanti mondanità.

Come è possibile allora, lo dico per averlo visto diverse volte, che il passare del tempo, per certi sposi, significhi l’aumento dell’amore? Per quale motivo può accadere che, nonostante il deperimento fisico e anche mentale, i coniugi possano maturare come coppia e diventare sempre più innamorati? Se pensiamo che un poeta medievale come Cecco Angiolieri (1260-1310) scriveva tanti secoli fa: “S’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui, torrei le donne giovani e leggiadre: le vecchie e laide lasserei altrui” (Cecco Angiolieri, S’i’ fossi foco, Rime, Ed. Marti), a voler dire, ieri come oggi, che l’amore genuino sarebbe relegato solo alla gioventù e ai verdi anni.

La bella notizia invece è che l’amore sponsale, con la grazia di Cristo, è un amore sempre pasquale, un amore sempre tendente al nuovo, alla pienezza, un amore che punta alla Vita Eterna. È bello rileggere per intero un numero di Amoris Laetitia tutto incentrato sulla Risurrezione: “Se la famiglia riesce a concentrarsi in Cristo, Egli unifica e illumina tutta la vita familiare. I dolori e i problemi si sperimentano in comunione con la Croce del Signore, e l’abbraccio con Lui permette di sopportare i momenti peggiori. Nei giorni amari della famiglia c’è una unione con Gesù abbandonato che può evitare una rottura. Le famiglie raggiungono a poco a poco, «con la grazia dello Spirito Santo, la loro santità attraverso la vita matrimoniale, anche partecipando al mistero della croce di Cristo, che trasforma le difficoltà e le sofferenze in offerta d’amore». D’altra parte, i momenti di gioia, il riposo o la festa, e anche la sessualità, si sperimentano come una partecipazione alla vita piena della sua Risurrezione. I coniugi danno forma con vari gesti quotidiani a questo «spazio teologale in cui si può sperimentare la presenza mistica del Signore risorto»” (Papa Francesco, Amoris Laetitia, n° 317).

            Cari sposi, vi auguro, spero con tutto il cuore che voi sentiate e tocchiate con mano di “contenere” un amore risorto, un amore che è potenzialmente intramontabile e sempre giovane, non solo per merito vostro ma per dono di Dio. Vorrei tanto che ne siate sempre consapevoli e che questa certezza vi accompagni oggi che è Pasqua e ogni giorno della vostra vita.

ANTONIO E LUISA

Sento già le obiezioni di certuni: cosa ne sa un prete di queste cose? Cosa ne sa di cosa vuol dire stare accanto alla stessa persona tutta la vita? Stare accanto ad una persona imperfetta, piena di fragilità e contraddizioni, e per giunta che diventa sempre più vecchia e sfatta? Queste sono le obiezioni che hanno tanti giovani e non solo. Eppure io sono qui a testimoniare che padre Luca ha ragione, dice il vero. Per me è così. Sto accanto a mia moglie da più di vent’anni tra fidanzamento e matrimonio, per giunta lei ha otto anni più di me. Sono consapevole che altri vedono una donna non più giovane di 55 anni con tutti i segni del tempo sul corpo, eppure io vedo Luisa, la mia meravigliosa sposa, che diventa sempre più bella ai miei occhi, riempiti di tutti questi anni di amore che ci siamo donati. Non mi resta che augurare a tutti una Santa Pasqua di resurrezione e soprattutto auguro a tutti voi sposi che non perdiate mai la capacità di scorgere la bellezza nella persona che avete accanto. Lasciatemelo dire il simpatico e schietto Cecco Angiolieri, citato da padre Luca, non ha scelto il meglio, ha scelto di accontentarsi di fermarsi solo alla superficie seppur con la forma di un corpo bello e giovane. La vera bellezza, caro Cecco, viene dopo.

Cominciò a lavare i piedi dell’amato/a

Dopo aver contemplato ieri la nostra storia matrimoniale in riferimento al tradimento di giuda, tradimento avvenuto nel cuore e manifestato attraverso il corpo con un bacio, eccoci al giovedì Santo. Siamo all’inizio del Triduo Pasquale. Questa giornata è associata ad un gesto in particolare. Un gesto ripreso dallo stesso Vangelo: si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto.

Oggi si ricorda la lavanda dei piedi. Un episodio che spesso passa quasi inosservato. Ce lo ricorda la liturgia che nelle nostre chiese vede il parroco (di solito) inginocchiarsi per lavare i piedi a 12 fedeli. In realtà questo è un episodio fondamentale. Giovanni è l’unico evangelista che dedica tantissimo spazio alla lavanda dei piedi e molto meno all’ultima cena, all’istituzione dell’Eucarestia. Strana questa scelta. L’Eucarestia è il fondamento della nostra Chiesa. La presenza viva dello Sposo, che in ogni Messa si rende nuovamente e misteriosamente presente.

Cosa ci vuole dire Giovanni? L’amore di Dio è presente nella Chiesa quando diventa servizio. Quando ci si china sulle miserie del fratello, sui suoi peccati, sulle sue povertà, sulle sue caratteristiche e atteggiamenti meno amabili. Nella mia riflessione personale ho visto l’importanza e la complementarietà di questi due gesti. L’Eucarestia che diventa nutrimento, speranza, accoglimento e forza per ogni cristiano. L’Eucarestia sacramento affidato al sacerdote per il bene di tutta la Chiesa. Ma non basta l’Eucarestia. Serve la lavanda dei piedi. Serve l’amore vissuto e sperimentato. Gesto che diventa sacramento nel matrimonio. Il nostro sacerdozio comune di sposi battezzati si concretizza in tutti i nostri gesti d’amore dell’uno verso l’altra. Siamo noi sposi a dover incarnare questo gesto nella nostra vita.

Se il sacerdote, attraverso l’Eucarestia, dona Cristo alla Chiesa, noi sposi, attraverso il dono, il servizio e la tenerezza, doniamo il modo di amare di Cristo, rendiamo visibile l’amore di Cristo. Almeno dovremmo, siamo consacrati per essere immagine dell’amore di Dio. Gesù che si inginocchia per lavare i piedi ai suoi discepoli. Un’immagine che noi sposi dovremmo meditare in profondità e che dovremmo imprimere a fuoco nella nostra testa.

Gesù, uomo e Dio, che si inginocchia per lavare i piedi dei suoi discepoli. I suoi discepoli, gente dalla testa dura, egoista, paurosa, incoerente, litigiosa e incredula. Gente esattamente come noi, come sono io, come è mia moglie. Noi siamo sposi in Cristo, e Gesù vive nella nostra relazione e si mostra all’altro attraverso di noi. Noi siamo mediatori l’uno per l’altra dell’amore di Dio. E’ un dono dello Spirito Santo. E’ il centro del nostro sacramento.

Noi, per il nostro sposo, per la nostra sposa, siamo, o dovremmo essere, quel Gesù che si inginocchia davanti a lui/lei, che con delicatezza prende quei piedi piagati e feriti dal cammino della vita e sporcati dal fango del peccato. Quel Gesù che, con il balsamo della tenerezza è capace di lenire le piaghe e le ferite, e che con l’acqua pura dell’amore li monda e scioglie quel fango che, ormai reso secco dal tempo, li incrostava e li insudiciava. Questo è l’amore sponsale autentico.

Tutti sono capaci, davanti alle fragilità e agli errori del coniuge, di ergersi a giudice. Tutti sono capaci di condannare e di far scontare gli sbagli negando amore e attenzione. Solo chi è discepolo di Gesù, dinnanzi ai peccati, alle fragilità, alle incoerenze dell’amato/a è capace di inginocchiarsi, di farsi piccolo, in modo che quelle fragilità, che potevano allontanare e dividere, possano trasformarsi in via di riconciliazione e di salvezza. Sembra difficile, ma non lo è. Noi che abbiamo sperimentato l’amore misericordioso di Dio nella nostra vita, che siamo innamorati di Gesù per come ha saputo amarci, e siamo quindi pieni di riconoscenza per Lui, possiamo restituirgli parte del molto che ci ha donato amando nostra moglie e nostro marito sempre, anche quando non è facile e ci ha ferito. Esattamente come un’altra figura del vangelo, la peccatrice, che bagnati i piedi di Gesù con le sue lacrime, li asciugò con i capelli .Ho sperimentato tante volte questa realtà con mia moglie, e in lei che si inginocchiava davanti alla mia miseria ho riconosciuto la grandezza di Gesù e del suo amore.

Antonio e Luisa

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Colomba di pace!

Amare sì ma che cosa vuol dire? Non vogliamo la guerra, vogliamo la pace perché?

È oramai tempo di bilanci, i contabili, i commercialisti stanno per approcciarsi a chiudere quelli dell’anno passato. Per chi fa la dichiarazione del 730 è tempo di preparare i documenti, gli scontrini, le spese sostenute.

Per un cristiano il tempo del bilancio arriva con l’avvicinarsi della Pasqua. Con il termine della quaresima, tempo di preparazione, tempo di redenzione, tempo di misericordia. Tempo di prova, di assenza di quel canto di gioia che tra non molto verrà gridato nelle chiese. Tempo di silenzio che verrà interrotto dal suono delle campane, dei campanelli, della gioia.

Sta arrivando un’altra Pasqua, sta finendo la quaresima 2022, te ne sei accorto? Forse la pandemia prima, la guerra poi, i rincari di gas e luce hanno tolto l’attenzione al tempo speciale che erano e sono ancora questi giorni. Nessuno ne parla, se non il prete in chiesa la domenica, come puoi ricordarti che si è in quaresima? Come puoi ricordarti dei buoni prepositi che un mese fa ti eri preso?

Eppure eccola lì, segnata sul calendario con un giorno in più di festa. Eppure eccola lì attesa da tanti per staccare dal lavoro. Eppure eccola lì con la scuola che chiude e ci obbliga ad incastrare i bambini tra un nonno e una babysitter.

Pasqua è giorno di pace, Pasqua è simboleggiata dalla colomba, e dal ramo di ulivo. Colomba che vola e colomba anche in tavola che non manca in ogni casa. Quale lavoro hai fatto in questa quaresima per la pace?

La tua famiglia è in pace, o rimane quel muro oltre il quale nascondersi da quel parente, dal quale ci si sporge ogni tanto per sparare colpi di cattiveria?

Siamo partiti in questo mini ciclo di guerra e pace alcuni lunedì fa, dal creare un parallelo, con quanto sta avvenendo nel conflitto Russo Ucraino e quanto avviene in casa nostra tra moglie e marito. Abbiamo visto che ciò che sta avvenendo tra due potenze internazionali, lo viviamo anche nelle nostre case, la pace è qualcosa che creiamo fin da piccoli, che impariamo a costruire fin da dentro i legami più stretti familiari. La pace la si costruisce tra fratelli, tra padri e figli, tra coniugi. È da lì che nasce la nostra missione di pace, la nostra educazione alla pace. Ci aspettiamo tutti la pace, perché la guerra ci fa paura, ma siamo davvero costruttori di pace o siamo spesso tentati dalla divisione?

Lunedì 21 marzo sottolineavamo che spesso parliamo linguaggi differenti fra moglie e marito, e che esistono delle differenze che ci portano a non percepire l’errore che ha causato il conflitto allo stesso modo. Ognuno ha una sua tara sulla bilancia degli sbagli, ognuno ha un suo linguaggio del perdono e dell’amore. Abbiamo poi evidenziamo come bisogna imparare a scendere dai nostri pilastri di orgoglio, e imparare a chiedere scusa, mostrandoci umili ed imparando ad accettare e accogliere i nostri limiti, che non ci rendono onniscienti. Il nostro maestro, è l’unico che sta in alto sul suo vessillo che è la croce; è da lì che impariamo ad amare, a perdonare e guardando a Lui a lasciarci perdonare. Spesso non ci lasciamo perdonare, non lasciamo che la grazia del perdono ci possa raggiungere.

Lunedì 27 marzo abbiamo poi parlato della confessione, ricordandoci che non confesso il male che ho compiuto ma la mia NON risposta all’amore ricevuto. Confessarsi è sentirsi amati, è lasciarsi amare, è accorgerci che c’è qualcuno che ha dato la vita per noi. Entro in confessionale come entrassi nel tunnel dell’autolavaggio dell’amore, come se facessi il pieno di energia d’amore, per chi gioca ancora ai videogame. La sfida bella è tornare a casa e spenderlo quel barattolo di amore che abbiamo appena guadagnato, spenderlo perché spendendolo non finirà ma si auto-produrrà. L’amore lo perdo solo se lo trattengo lasciando che nel mio possesso trovi spazio il peccato, l’orgoglio, il potere. Quando una coppia non sta tanto dialogando, fatica a capirsi, ad amarsi bisogna andare nel confessionale, a ricaricarci d’amore.

Ripartiamo da qui oggi, per concludere il nostro ciclo di guerra e pace, volendo fare un focus sul bene, sulla bellezza che è racchiusa nell’altro, è arrivato il momento di riconciliarci. Il momento di accorgerci che la colomba che ha invaso le corsie del supermercato, che è già pronta a casa per essere tagliata, deve spingerci a fare di più verso la pace, verso l’amore.

Ci torna alla mente una frase che riguarda San Francesco e il lupo di Gubbio “non esistono lupi cattivi, ma soltanto lupi non amati.”

Il primo errore che compiamo quando qualcuno sbaglia, è etichettarlo e metterlo alla gogna per quanto ha fatto! Chiamarlo Lupo cattivo. Di fronte ad uno sbaglio fatichiamo a comprendere come si è generato quell’errore, e soprattutto non andiamo più a visualizzare l’altro per il bene che è!

L’errore ha sempre con sé una causa che lo ha generato. Spesso le tante cose da fare quotidiane che una moglie o un marito vivono, i pensieri, gli imprevisti sono causa di errori che in una situazione normale non si sarebbero verificati. Di fronte a questo riaffermiamo che lui non è il suo errore.

La causa dell’errore spesso è la non fiducia, il non amore. Di fronte agli sbagli dell’altro bisogna riuscire ad amarlo di più, non ad incolparlo di più. Spesso è un non amore che genera l’errore nell’altro, una non fiducia, una non tranquillità psicoaffettiva. Da questo punto di vista riaffermiamo che non esistono lupi cattivi, ma solo lupi non amati.

L’errore spesso nasconde il bene. Se tu disegni un puntino nero su un foglio tutto bianco, dove il puntino nero è l’errore e il bianco i gesti di bene, quando guarderai il foglio vedrai il puntino nero e non tutto il bene che lo circonda. Questo succede quando tuo marito arriva tardi la sera e prima ancora di sapere il bene che si cela dietro al ritardo lo si colpevolizza. Oppure succede quando tua moglie sbaglia quella semplice azione, quel gesto, ma non sai le altre 142 azioni giuste che ha fatto per te e per i figli durante tutta la giornata.

Se vogliamo uscire dal conflitto, non dobbiamo giudicare l’altro come fosse l’errore, dobbiamo amare di più l’altro, e dobbiamo cambiare la nostra prospettiva cercando di vedere il foglio bianco sul quale è disegnato il pallino nero.

Dobbiamo avere uno sguardo diverso, che sa vedere il bene. Ti accorgi mai di cosa fa l’altro per te ogni giorno? I gesti piccoli passano sempre nell’indifferenza quotidiana soprattutto con il passare degli anni, ma hanno un valore enorme. Sono loro che dipingono il bianco del nostro foglio. Tanti puntini piccoli bianchi fanno una pagina bianca! Non serve una grande azione per amare, ma fare piccoli passi possibili.

Cos’è la Pasqua se non la vittoria della vita sulla morte. La rinascita della gioia, della felicità, dell’amore! La vittoria del bianco sul nero. Ribaltiamo la prospettiva, possiamo vedere gli spazi bianchi del foglio e da lì far entrare la luce, la salvezza, e sbiancare tutto o possiamo vedere gli spazi di colore scuro, di azioni sbagliate e rimanere piegati su quelli, colpevolizzandoci, colpevolizzando. Non vivendo la misericordia di Dio, non camminando verso la croce ma incontro all’albero di fichi come ha fatto Giuda.

Scrive Papa Francesco nella lettera Patris corde: “Il Maligno ci fa guardare con giudizio negativo la nostra fragilità, lo Spirito invece la porta alla luce con tenerezza. È la tenerezza la maniera migliore per toccare ciò che è fragile in noi.” Il maligno evidenzierà sempre il nostro male, e farà così accrescere sempre i nostri conflitti.

Quella lavatrice per il nostro foglio, che è il confessionale, a nulla serve se non sono in grado di tornare a casa e vedere il bello di mia moglie e amarla di più! Parte da qua la pace, dal vedere e vivere l’amore! Quella guerra che vedi in televisione che vuoi vedere finire, nasce dai gesti di non amore che da sempre viviamo. Devo trasformare il mio sguardo e il mio cuore uscendo dal confessionale, perché sia testimone di luce, di amore, di bellezza, di bianco.

Noi ci siamo attributi il nomignolo “cercatori di bellezza” perché anche nella fatica vogliamo imparare a vedere la bellezza della vita che nasce, non possiamo mai dimenticarlo. Il Signore è luce nella nostra vita a volte buia. Provate ad accendere un solo fiammifero in una stanza buia, tutto potrà essere visto, le forme acquisteranno il loro spazio. Non serve un faro potente, basta un fiammifero, per accorgerci di quanto sta attorno a noi. Sta a noi poi non far spegnere quel fiammifero che è Gesù ed alimentarlo, e lasciare che ci guidi, perché possiamo aprire poi le finestre della luce nella nostra stanza del cuore.

Se rimarrà del grigio sul nostro foglio, non sarà un male, tu guarda sempre alla luce, al bene, al bello, quel puntino nero sarà lo stesso importante quale strumento di memoria e di attenzione. Il peccato, l’errore, il litigio è ciò che ci fa tornare limitati, normali, umili, carnali peccatori. È salvifico il peccato, sennò peccheremmo di creder di esser come Dio. Dobbiamo tendere a Dio e non voler essere Dio.

Scrive San Paolo: «Affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia. A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”» (2 Cor 12,7-9).

Avere un pallino nero sul foglio bianco ci permette di stare attenti sempre! Di sforzarci ad amare di più perché quel pallino non cresca, ma ci aiuti a tendere alla santità. Vi salutiamo, augurandovi di poter camminare questi ultimi giorni di quaresima, guardando al bello, alla bellezza che è strumento che ci può salvare dal vedere il peccato nell’altro. Che ci può aiutare ad entrare nel confessionale pentiti dell’amore non amato (vedi articolo precedente), che ci può aiutare a guardare alla bellezza che è l’altro anche se è diverso in tutto da me (abbiamo linguaggi diversi. Bellissimo!), che ci può aiutare a non iniziare una guerra, un litigio perché di fronte alla bellezza non si può guerreggiare, ma solo lasciarsi amare, e ringraziare.

Un caro saluto a tutti, un abbraccio

Buon ultimo giro verso la Pasqua, verso l’Amore!

Vinca la vita, l’amore, la pace in ogni famiglia

Anna Lisa e Stefano – @cercatori di bellezza

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Perdono e confessione, quegli sconosciuti!

Litigare sì è importante ma far pace è ancor più importante! Saper perdonare e lasciarsi perdonare ed amare dev’essere il pilastro della nostra esistenza.

Terzo appuntamento dei lunedì di guerra e pace. Dopo aver fatto la guerra, aver “capito dalla televisione” come si esce dal conflitto, aver compreso che abbiamo e parliamo linguaggi di amore e perdono differenti, è arrivato il momento di riconciliarci. Oggi vogliamo fare un focus sul bene, sulla bellezza che è racchiusa nell’altro, soffermandoci sulla confessione, importantissima in questo tempo liturgico quale è la quaresima, volendo così concludere il nostro trittico di guerra e pace con la riconciliazione tra marito e moglie. Tra sposi.

La confessione non è un raccontare qualcosa che si è sbagliato e sentirsi così assolti. Come fosse un pagare le tasse: tu le paghi, l’altro incassa e siamo contenti. Non è uno scaricare pacchi puzzolenti che abbiamo sulle spalle. La confessione è dialogare con un altro e riconoscere che si è compiuta un’azione, un gesto, si è detto una parola contraria a quel che è l’amore di Dio. La confessione è un riconoscere lo sbaglio che si è fatto e porlo nelle mani di qualcun’altro affinché lo trasformi con il suo amore. O ancora meglio potremmo dire che è riconoscere l’amore che il Padre mi dona nonostante il mio errore.

Proviamo a fare un esempio: ho rubato una caramella alla nonna. Primo passo per accostarsi alla confessione è riconoscere che ho fatto un gesto che non andava fatto, sbagliato. Secondo passo vado a confessare l’errore che ho compiuto. Non vado a “pagare la tassa”, ma confesso il mio peccato al sacerdote che mi assolverà spiritualmente dall’errore. Che vuol dire? In primis se confesso l’errore ad un altro vuol dire che sto ammettendo a me stesso e ad un altro che ho sbagliato, e il ripetersi di questa azione genera nella coscienza umana una risposta che aiuta a non peccare più, se si avverte veramente un senso di colpa per quanto si è fatto. Se uno è ripetitivo nell’errore è come se continuasse a sbattere contro il muro, dopo un po’ dovrebbe smetterla se vive un vero dolore, un vero senso di colpa, e se è anche aiutato da un altro a non andare più contro quel muro. Un altro che non è solo un sacerdote, una persona qualunque o un professionista della psiche, ma è un sacerdote che agisce in Persona Cristi e mi assolve, ovvero cosa mi dice: va non peccare più IL TUO PECCATO LO SCONTO IO Per TE. Cristo ci ama così, dicendoti ti amo, prendendosi i nostri peccati. Accogliendo su di sé il male dell’uomo. Questo è straordinario e cambia, trasforma, cura.

Quale vigile o poliziotto o forza dell’ordine se il ladro gli confessa il furto, risponde, vai pure sconto io la pena per te? È l’amore che riceviamo che ci trasforma! È il pentimento che ci spinge a confessarti, il dolore che provi nell’aver compiuto quell’azione che ti porta nel confessionale, ma è l’amore che trovi dentro che ti rilancia a non peccare più. È sapere che qualcuno ti sta amando nonostante il tuo gesto. È imparare a non rubare più la caramella alla nonna, perché Gesù mi ama, e ferisco lui rubandola non me stesso o non solo la nonna. È sentirsi amati che non ti fa peccare. È sentirsi amati che ti fa vivere il pentimento se sbagli. Di fronte a qualcuno che mi ama così, come posso io fare questa cosa? La confessione allora è una rinascita, un purificarsi perché ci si riaccosta ad un Padre più grande che ci ama! Che bello!

Gli amici frati ci hanno sempre insegnato a dire 3 motivi per cui ringraziamo prima di confessarci. A dichiarare del bene che riceviamo per cui ci sentiamo amati e per cui quindi ci troviamo pentiti per quanto fatto e da cui ripartire da assolti. La confessione ci deve rilanciare nell’amore. Se la sorgente del perdono è l’amore infinito, nel confessionale dovremmo domandarci: come ho risposto all’Amore di Dio? All’amore di mia moglie? All’amore di chi mi sta accanto, del prossimo incontrato per strada, al lavoro.. come ho risposto all’amore che ho ricevuto? Nella confessione mi devo misurare su quale amore ho ricevuto. Mi sto rendendo conto di quanto amore Dio mi sta donando?

Proviamo a spiegarla in altro modo, a guardarla da un’altra prospettiva. Cos’è il peccato? Il peccato è il non-amore. È l’amore non riconosciuto. Quando non mi accorgo che mia moglie mi sta amando, che ha fatto quella cosa per me, che ha cucinato per me. Quando non vedo gli sforzi, i sacrifici di mio marito per me. Lì si inserisce il peccato. Non sono quindi le cose fatte o non fatte ad essere peccato, ma il non-amore, o il poco amore. Il peccato è la risposta che NON abbiamo dato all’amore. Non è il litigio con mia moglie ad essere peccato, ben vengano quei sani litigi che ci fanno crescere e scoprire vulnerabili e umili, per quello che siamo davvero, ma il non averla amata per quanto lei mi ha amato, da cui è scaturito un mio non-amore che ha generato il litigio. Il litigio è sano se mi fa vedere l’amore che non ho dato e l’amore che ho ricevuto, se mi mostra l’altro per come ama e io per come non ho amato. È diverso! È bellissimo questo cambio di prospettiva! Se noi riconosciamo che l’altro ci ama e ha fatto quelle cose per noi, per amore, con amore, nell’amore, noi rincorreremo l’amore verso l’altro cercando di amare di più. Confessando non il peccato, non lo sbaglio fine a sè stesso. Ma il non amore, volendo quindi gareggiare nell’amore (Rm 12,10) questo accorgersi che l’altro mi ama, con le sue forze, con ciò che ha, mi fa vedere la mia mancanza come un voler correre ad amare di più, un voler dare una risposta d’amore, all’amore ricevuto.

Nella confessione, non confesso il mio peccato verso la moglie, e siamo apposto, e mi son tolto un peso. Ma riconosco il suo amore e allora provo ad uscire dal confessionale rilanciandomi-rilanciato. Portiamo nel confessionale la concretezza delle nostre mancanze di amore. E portiamo fuori dal confessionale il nostro riconoscere il non-amore rilanciato. Perché fuori? Perché l’amore lo rincorriamo con gesti concreti. La nostra confessione di non avere amato non è da fare solo davanti a Gesù, ma da far vivere nelle mura domestiche dove viviamo, dove viene vissuto l’amore sponsale. È fuori che lo rincorro, lo vivo. Dentro, di fronte al Padre chiedo la misericordia, la forza, di un amore più grande, ma fuori la metto in gioco! Chiedere la misericordia nella confessione è quindi riconoscerci amati. Riconoscere l’amore per confessare il peccato. È solo la contemplazione dell’amore concreto, infinito, dell’Eucarestia che fa scoprire la grandezza dell’amore che il Signore ci offre con il sacramento del perdono. Se non riconosciamo l’amore datoci dall’altro, il nostro chiedere perdono può diventare un semplice modo educato per chiedere scusa. Bello, segno di educazione, di riconoscere l’errore, ma non segno dell’amore che mi rilancia ad amare. La sorgente del perdono è sempre l’amore ricevuto e accolto da Gesù. Dire “Grazie”, riconoscere l’amore infinito di Dio, i suoi doni, il dono della vita, il dono della famiglia, dello sposo, dei figli, ci fa iniziare a parlare a Lui, non elencando quanto si è fatto, ma come non si è risposto all’infinita sua bontà, e all’uso che abbiamo fatto dei suoi doni. Quel sentirci peccatori in debito verso l’Amore vero ricevuto, ci fa vivere la confessione con sincero pentimento, ed il sacerdote con il suo abbraccio benedicente ci rilancia nella corsa all’amore.

Che bello che senza volerlo abbiamo iniziato 2 lunedì fa questo ciclo di incontri su guerra e pace, perdono e confessione e giusto venerdì anche il papà Francy ci ha guidato ad una penitenziale spiegando il valore della confessione, e anche la sacra scrittura nel tempo di quaresima ci guida al pentimento. Lo Spirito soffia verso la Pasqua.

Questo è il momento allora per lasciarci amare, per accorgerci di quanto amore ci circonda. Come rispondiamo a questo amore? Che direzione ha preso la nostra vita?

Vi salutiamo con le parole di Geremia, dandovi appuntamento a lunedì prossimo per concludere questo ciclo. “Peccatore, ti ho amato di amore eterno, per questo ho pietà e misericordia”.

Buona quaresima, buona confessione!

A presto

Anna Lisa e Stefano – @cercatori di bellezza

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Inscatolando il Natale!

WOW! Annuncio della Pasqua! .. Con questo monitor di bellezza guardiamo all’oggi, lasciamo l’Epifania, smontiamo tutto, il presepe, gli addobbi, l’albero. L’Epifania -dice il detto- tutte le feste porta via. Per tradizione si smonta tutto dopo la venuta dei Magi, le luci, le palline, le statuine tornano strette strette in cantina, rinchiuse in uno scatolone. Cosa resta del Natale? Cosa resta dell’atmosfera natalizia, dell’amore che caratterizza quei giorni, dei gesti gratuiti, dei doni, dei pranzi con la famiglia riunita?

RESTA TUTTO! A noi piace vedere che non si archiviano le statuine, ma si prosegue nel cammino come fanno i Magi carichi di una bellezza incontrata!

La Sacra Famiglia si è fatta presenza simbolica nel presepe casalingo per circa 20 giorni perché imparassimo da loro come essere famiglia! Il presepe voleva essere in questo tempo, scuola di famiglia in casa nostra. Scuola di amore! Scuola di genitorialità, scuola di fede nelle difficoltà, scuola di semplicità e povertà, di letizie e perdono. Scuola di incontro, di relazione, di tenerezza, di obbedienza.

Ora la famiglia di pietra torna nello scatolone, ma in casa resta la famiglia di carne, fatta da noi. Resta la famiglia sulla quale il presepe ha guardato e si è specchiato per tutti questi giorni. Non eri tu che in questo tempo di Natale e di Avvento dovevi guardare a loro, ma loro che, fatti entrare in casa tua, hanno guardato a te! Ospiti di casa tua, nel loro essere Santi e Maestri d’amore, venuti tra le mura domestiche per dirti di non avere paura, per vivere la bellezza della mia/tua famiglia alla presenza della loro Santa Famiglia!

Ci piace pensare che loro tornano nello scatolone, lasciando il testimone a noi. Dicendoci: continua tu ora! Continua a vivere con lo stesso amore!

Fermati oggi, ancora una volta davanti al presepe! E guardaci, e accorgiti che non hai messo in sala delle statuine sotto una capanna, ma uno specchio che mostra la bellezza del tuo essere amore!

Ora hai capito che non ti serve un albero, delle luci, degli addobbi per correre e gareggiare nell’amore!

Ora hai capito che le tue difficoltà le abbiamo avute anche noi, ma ci hai trovato riuniti nel presepe come ci hai messo il primo giorno!

La Chiesa ieri non archiviava nulla del Natale, ma rilanciava a qualcosa di più grande: la Pasqua!

Quando pensi di essere arrivato, come i Magi, quando credi sia finito tutto, quando termini le feste: rullo di tamburi, squillino le trombe, fuochi d’artificio: “..permettendo la misericordia di Dio .. il giorno 17 del mese di aprile celebreremo con gioia la Pasqua del Signore! “

Che gioia! Che bellezza! Che emozione!

Non sei arrivato! Hai forse superato un livello, raggiunto una tappa,… ora più su, più avanti! Verso la Pasqua.. Wow!

Anna Lisa e Stefano – @cercatori di bellezza

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Cosa resta della Pasqua il lunedì?

In quel tempo, abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annunzio ai suoi discepoli.  
Ed ecco Gesù venne loro incontro dicendo: «Salute a voi». Ed esse, avvicinatesi, gli presero i piedi e lo adorarono.
Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno».
Mentre esse erano per via, alcuni della guardia giunsero in città e annunziarono ai sommi sacerdoti quanto era accaduto.
Questi si riunirono allora con gli anziani e deliberarono di dare una buona somma di denaro ai soldati dicendo:
«Dichiarate: i suoi discepoli sono venuti di notte e l’hanno rubato, mentre noi dormivamo.
E se mai la cosa verrà all’orecchio del governatore noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni noia».
Quelli, preso il denaro, fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questa diceria si è divulgata fra i Giudei fino ad oggi.

Il lunedì dopo Pasqua è un giorno strano. E’ passata la botta emotiva della Veglia del Sabato Santo. E’ passata la domenica di Pasqua fatta di momenti in famiglia e di festa insieme. E’ come se la vita ordinaria fosse ricominciata. Cosa ci ha lasciato la Pasqua? Siamo come prima? Ricominciamo a vivere le nostre difficoltà, le nostre sofferenze, le nostre fatiche allo stesso modo di prima? Nulla è quindi cambiato? Gesù è morto e risorto per niente allora?

E’ una domanda che faccio a me stesso. Questo blog è prima di tutto un modo per condividere pensieri ad alta voce con tutti voi. E’ una domanda decisiva. Perchè, se davvero credo che Gesù è morto per me, se credo davvero che Gesù mi ama così tanto da dare la sua vita per me, se davvero credo che Gesù è risorto e ha sconfitto la morte, allora nulla può più essere come prima.

La Pasqua credo serva soprattutto a questo. Per tanti serve a fare memoria di quanto avvenuto in quei giorni di 2000 anni fa. Solo per pochi però diventa molto più di una semplice celebrazione e di una memoria. Per alcuni diventa esperienza d’amore, diventa abbraccio di Gesù, diventa relazione concreta. Solo a questi ultimi la Pasqua cambia davvero la vita.

Per vivere davvero la Pasqua non basta essere religiosi, dirsi cattolici, sentirsi parte di un gruppo di persone che condividono con noi valori e riti. Serve diventare cristiani. Serve iniziare e perfezionare una relazione d’amore con Gesù da costruire ogni giorno. Come ogni altra relazione d’amore. Più di ogni altra relazione d’amore perchè questo Amore diventa sorgente per ogni altro amore.

Quando riusciamo a fare questo salto di qualità nella nostra vita spirituale allora avviene una vera conversione. Conversione che non significa altro che cambiare direzione. Ecco è proprio questo. Sappiamo di avere una vera relazione con Gesù quando la nostra vita non è più la stessa. Quando siamo capaci di fare scelte che per altri sono folli. Quando il nostro amore diventa radicale. Quando nel nostro matrimonio siamo capaci di donarci l’uno all’altro davvero in modo incondizionato e gratuito. Quando vogliamo riempire l’altro del nostro amore e non cerchiamo che lui/lei riempia la nostra povertà come avviene per la maggior parte delle coppie. Il nostro matrimonio è la nostra cartina al tornasole anche di come sta la nostra fede. Quando siamo lì, a pesare ogni volta quanto l’altro ci sta dando e quanto stiamo dando noi, a pensare a quanto ci convenga stare con lui/lei, a valutare quanto ci fa stare bene significa che anche in Gesù cerchiamo la stessa cosa. Gesù diventa un mezzo per riempire le nostre paure, il nostro bisogno di non sentirci soli in questo mondo difficile, ma non lo stiamo amando. Lo stiamo usando esattamente come stiamo usando il nostro coniuge.

Coraggio Antonio datti da fare perchè la strada è ancora lunga. Il matrimonio con Luisa mi ha pernesso di intraprendere un cammino, Pasqua dopo Pasqua mi sento sempre più vicino a Gesù, ma ancora non sono un cristiano vero. Non riesco ancora a fidarmi fino in fondo. C’è una parte di me che ancora fa resistenza, c’è ancora tanto egoismo in me, però so che la strada è quella giusta e non voglio smettere di percorrela.

La Pasqua è passata ma la nostra relazione con Gesù ricomincia ogni giorno. Tutta la nostra vita passa da una domanda che Gesù rivolge ad ognuno di noi: Chi dite che io sia? (Marco 8, 29) domanda che ribalto sul nostro matrimonio: Cosa è il nostro matrimonio? Un modo per riempire dei bisogni affettivi e sessuali o la nostra strada per essere santi e per imparare ad amare e a lasciarci amare?

Antonio e Luisa

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Lo Spirito ci insegna a pregare

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osservate i miei omandamenti. Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi.

Contestualizziamo il momento in cui Gesù afferma queste cose. E’ un momento molto importante. Siamo nel capitolo 14 di Giovanni. C’è appena stata l’ultima cena. Gesù ha lavato i piedi ai suoi discepoli. C’è un’atmosfera molto intima.

Un momento di commiato. Gesù si prepara ad affrontare la sua Passione. Mi immagino Gesù guardare uno ad uno i suoi amici, posare su di loro il Suo sguardo carico di amore e forse anche un po’ malinconico. Questi sono i momenti in cui una persona apre il suo cuore e probabilmente anche Gesù, che è vero uomo, lo ha fatto. Ha aperto il cuore, ha parlato al cuore dei suoi discepoli, le persone che più di tutte, dopo sua madre, sono state a Lui vicino. In quel momento molto intimo, appena dopo aver mostrato la Sua regalità in modo concreto lavando i piedi ai suoi amici, ha confidato  cosa significa essere re. Gesù sta dicendo che per essere umili bisogna essere e sentirsi re.

La regalità, quella vera, ti conduce al servizio e non ad usare le persone che hai vicino. Fra Andrea evidenzia una tentazione che forse ha sfiorato Gesù in quei momenti. Sta lasciando i suoi amici, la Sua missione terrena sta volgendo al termine, e teme nel cuore di non aver fatto abbastanza per loro. Poi però si risponde da solo. Non li lascia soli. Lascia il Suo Spirito. Lo Spirito Santo. E lo chiama il Paraclito. Dal verbo greco parakaleo che significa chiamare, insistere, esortare, supplicare, consolare o essere consolato, incoraggiare. Tutte azioni che lo Spirito Santo esercita in noi, o meglio in un cuore aperto ad accoglierlo.

Ecco lo Spirito vi insegnerà a pregare. Insegnare non nel senso di trasmettere concetti o nozioni. Non insegna la giusta modalità ma, attraverso la preghiera, lo Spirito Santo ci aiuta ad essere ciò che siamo. Veri uomini e vere donne. Ci aiuta a comprendere nel profondo ciò di cui abbiamo bisogno. Siamo fatti per amare ed essere amati. Ci aiuta a lasciare andare nell’amore. Ad accettare le scelte che le persone che amiamo, siano esse figli, marito, moglie, decidono di intraprendere.

Lo Spirito Santo ci aiuta a capire che i comandamenti di Gesù, i comandamenti della Sua sposa la Chiesa, non sono regole e orpelli messi lì per frustrarci o imprigionarci. I comandamenti sono un libretto di istruzioni per imparare ad amare e ad essere amati. Per imarare a pregare con la nostra vita. ad essere sempre più uno con il Signore Gesù. Ed ecco che nelle nostre scelte matrimoniali possiamo dire tanti si e tanti no ai comandamenti, e a Gesù,  nella nostra vita di ogni giorno.

Posiamo dire si alla vita, posiamo dire si a una sessualità casta senza contraccettivi. Possiamo dire si alla fedeltà anche quando costa fatica. Possiamo dire si mettendoci al servizio dell’amore, servendo nostro marito nostra moglie.

Sembrano tutte costrizioni ma in realtà più impariamo ad amarci con questo stile e più troveremo nel dono reciproco la gioia e la pienezza di vita.

Antonio e Luisa

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Una “bastonata” non fa mai male, se ci dona una Promessa, serve a Risorgere!

Una delle bugie anestetiche più frequenti, che raccontiamo alla nostra vita, alle nostre scelte, alle vicende e che riguarda noi o le persone più care, è proprio quella di credere, in modo gobbo, che noi, lui o lei possa realmente cambiare. Addirittura, spesso deleghiamo ad un sacramento come il matrimonio il dovere di fare ciò che la solo grazia e libertà insieme possono fare: cambiare il cuore di qualcuno. Eppure, correggere i nostri difetti, smussare gli spigoli del nostro carattere, insomma diventare migliori è ciò che fin da piccoli ci è stato insegnato, ciò che la letteratura teologica e la predicazione cristiana ci invita a fare, ma qualcosa sembra andare sempre nel verso opposto. Forse perché l’uomo, la donna, la coppia non ha nel proprio DNA specifico il dover cambiare ma bensì il desiderio di voler risorgere: ecco cosa cambia un uomo, la risurrezione, anzi il Risorto! Nella scorsa riflessione ci siamo interrogati sul personaggio di Giuda. Giuda tradirà e si pentirà andando dai sommi sacerdoti dicendo di aver tradito sangue innocente (cf. Mt 27,4) usando un espressione molto forte: io ho consegnato un sangue che non meritava nessun castigo, una carne che non andava sacrificata. I sacerdoti gli risponderanno con un secco su opsei e cioè te la vedrai tu con te stesso d’ora in poi! Sappiamo tutti quale sarà la fine di Giuda, la fine di un uomo che deve vedersela da solo con il male che ha fatto, un uomo che forse voleva cambiare ma non ha trovato le persone giuste. E Pietro?!
Pietro non l’ha fatta molto diversa, tanto che lo stesso Gesù gli predice il suo tradimento con queste parole testuali: prima che il gallo canti mi rinnegherai tre volte, aparneomai, ossia per tre volte dirai NO, rigetterai tutto quello che siamo cf. Mt26,34. Più avanti l’apostolo dirà: “non lo conosco”, non l’ho mai conosciuto nel mio passato quest’uomo non c’è, e se c’è stato non conta nulla per me! Quante volte la rabbia verso la persona che ci è accanto, rabbia comprensibile poiché insanguinata di amore, ci ha fatto desiderare che nulla fosse mai esistito, ci ha fatto rimpiangere di averlo, averla, mai amata o amato.
Ma Pietro risorge, Pietro cambia, Pietro inizia a piangere come una fontana, i suoi occhi si incontrano con quelli del maestro e non si sente dire da quello sguardo che adesso erano affari suoi. Quelle palpebre si chiudono solo per il dolore di chi prova dolore del peccato e poi si riaprono per donare all’amico un nuovo Sabato, una nuova creazione, una Promessa: ora sei risorto perché hai capito che puoi sbagliare e che il mio amore è più grande del tuo errore. Una bella “batosta”, una “palata nei denti” che ci mette “ko” nella vita non fa mai male, può essere salutare, questo non significa andarsela a cercare, ma non presumere di noi stessi e degli altri ci conduce giorno per giorno in quel cammino che si chiama conversione, anzi Risurrezione! Pietro sbaglierà molte altre volte, se ne andrà a pescare, verrà rimproverato da Paolo (cf Gal 2), cercherà secondo la tradizione di scappare da Roma durante la persecuzione del 64 d.C., ma ormai Pietro è cambiato, Pietro è risorto lui è il vero penitente, il vero apostolo di Cristo. In ebraico pentirsi è di solito espresso con il verbo shuv, che vicino ad un altro verbo può aver un valore continuativo\ingressivo: cominciare di nuovo. Pietro è un penitente, un uomo nuovo, un risorto perché sa che vicino ad ogni errore e peccato, dovrà sempre accostare il verbo shuv: continuare ad amare e amare sempre di nuovo. Una coppia, un NOI risorto vive di questa potenza e non è più lo stesso di prima è Risorto, risorge ogni giorno, è passato dalla morte alla vita!

Fra Andrea Valori

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Solo Giuda ha tradito? Il tradimento nella coppia.

Troppo facile prendersela con qualcuno! Il Mistero di Giuda il traditore! In questi giorni i personaggi dei vangeli narrati dalla liturgia sono molteplici. Uno dei più difficili da capire, da tollerare e anche da accogliere nel mistero dell’amore è proprio un traditore. Un uomo come Giuda che portava nel suo nome la gloria delle profezie della sua tribù (cf. Gn. 49), un uomo che conosceva gli illustri del tempo ed era conosciuto da loro, un uomo che aveva lo spunto in più, il passo giusto e superiore agli altri tanto da poter amministrare la cassa e averne anche giurisdizione: “Alcuni infatti pensavano, poiché Giuda teneva la borsa, che Gesù gli avesse detto: “Compra le cose che ci occorrono per la festa”, oppure che dovesse dare qualcosa ai poveri”. Gv.13,29 .
Ma da cosa viene il tradimento, perché tradiamo, perché iniziamo a credere che la persona per la quale abbiamo vissuto ora è nostro nemico? Perché Giuda tradisce Gesù?
Perché i suoi fratelli Apostoli tradiscono lui? Si anche i discepoli tradiscono lui. Tradire infatti può anche significare lasciare che qualcuno che amiamo si faccia del male, tradire può significare anche lasciar solo chi ha bisogno di perdonarsi.
Gli undici avevano commesso un errore, avevano scelto la strada più facile, una strada in discesa anche se tinta di austerità obbediente, una presunta comunione che trafigge con il pungolo della colpa: erano stati così vicino al maestro da non aver imparato nulla, ma soprattutto così stretti a lui da aver allontanato qualcuno!
Perché gli apostoli tradiscono Giuda!? Perché per loro era un ladro! Cf. Gv 12,6.
Il vangelo usa questa espressione riferita alla ruberia di Giuda: oti kleptes en, che potremmo interpretare: è sempre stato uno che nascondeva tutto! Lui è uno che non è mai se stesso, e soprattutto uno che non la pensa come noi!
Nella coppia il tradimento nasce proprio da qui, spesso non è colpa di uno solo, ma di quella carne sola dove una parte ha deciso di non poter essere più se stessa, di non poter parlare, confidarsi perché essere se stessi significa soffrire troppo, e tradire è l’unico modo per difendersi: abissale come un baratro è il cuore umano! C’era un’altra domanda:” Perché Giuda ha tradito Gesù? A tale domanda non abbiamo dato risposta, semplicemente perché non è la domanda più importante!
L’importante è risposta giusta e cioè che Gesù ha sofferto per Giuda e con Giuda. Gesù ha sofferto per una persona che amava e che stava rifiutando l’amore. Gesù non ha smesso di chiamarlo amico! Gesù non l’ha mai giudicato ma l’ha sempre accolto per quello che era! Il maestro ci doni la grazia di capire che prendersela con qualcuno è troppo facile e lasciare che chi amiamo sia se stesso è il fascinoso rischio dell’amore e la grandezza impavida del Risorto: di una coppia che ama come carne Risorta!

Fra Andrea Valori

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Il mistero eucaristico celato nella coppia.

Un bellissimo articolo di fra Andrea, esperto di studi biblici e Terra Santa.

Il triduo di passione morte, sepoltura, e risurrezione è il centro dell’anno liturgico, della vita cristiana e, se lo scandagliamo nella sua profondità, anche il centro della vita di coppia. Questo fulcro raccoglie in se un trittico di particolarità che segnano il mistero eucaristico celato nella coppia. “L’Eucaristia, sacramento della carità, mostra un particolare rapporto con l’amore tra l’uomo e la donna, uniti in matrimonio. Approfondire questo legame è una necessità propria del nostro tempo (Sacramentum Caritatis 27). Partendo da queste parole del magistero riflettiamo sul vivere eucaristico come sorgente dei tre misteri in uno, che celebrano il tempo, il rapporto, l’amore della coppia.

Il tempo: Nel Venerdì Santo si inizia la liturgia con una prostrazione e un silenzio introitale che assurge alla solennità laconica della celebrazione della passione. Questo silenzio è il preambolo di ogni sacrificio, di ogni momento che precede qualcosa di difficile da affrontare o da dover scegliere. Secondo la narrazione di Giovanni evangelista la crocifissione avveniva proprio mentre gli agnelli venivano sgozzati per la Pasqua, e tale rito ci rimanda agli echi vetero testamentari del sacrifico di Isacco, il quale Dio chiese a suo padre Abraham. La notte che precede quel sacrificio è una notte silenziosa di cui la scrittura non dice nulla, non parla, non dona dettagli se non quello di poter immaginare e capire il dramma di un padre, il dubbio di un credente, la forza di un giusto che raccoglie tutte le sue energie per compiere ciò che Dio chiede, ma che è sicurò Dio non vuole: Il Signore provvederà per il sacrificio. La passione croce e morte è il mistero dell’uomo e della donna che sanno vivere l’uno nel tempo dell’altro con lo stile del silenzio, un silenzio che sa comprendere oltre le parole, di sguardi che si sanno intendere, di una notte dove l’altro non può essere lasciato solo nel decidere, nel suo dubbio e nel suo dolore. In Gn 1,27 Dio crea l’adamo maschio e femmina, la parola maschio-zacar e affine alla parola zicaron-memoriale di Es 12,14. Tutto ciò dice come il tempo e il ricordo sono il maschile della coppia, ma perché il tempo e il ricordo non siano rimpianto e rancore questo maschile ha bisogno del femminile-nekevah da nakav-porre in risalto, dare fiducia alla fede, dare vigore alla forza. La croce per essere amore è fatta sempre di un maschile e di un femminile, Abraham in quella notte ha avuto bisogno di Sarah, Gesù su quel patibolo ha avuto bisogno di Maria.

Il Rapporto: Secondo mistero e sacramento di amore è quello della sepoltura. Gesù è morto, quel sepolcro freddo, spigoloso, umido e austero, ha trovato prematuramente un ospite. Quelle bende e quel sudario sono ormai adagiate su un corpo trafitto dal rigor mortis. I vangeli narrano ancora dei piccoli sforzi umani per esorcizzare l’avvenuto, le donne che vanno sul posto quando ancora era buio, la Maddalena che piange perché non capiva ancora cosa era successo, Giuseppe d’Arimatea che precedentemente aveva offerto la sua influente competenza, dà ospitalità al cadavere del Signore e da ultimi gli apostoli che corrono vedono, credono ma non capiscono. Nella iconografia vediamo spesso il mistero della sepoltura legato alla discesa negli inferi da parte di Cristo, il quale libera per prima la coppia originaria Adamo ed Eva. La sepoltura con il suo mistero freddo, silenzioso, dove il Verbo della vita parla attraverso la sua funebre loquacità, indica che il rapporto nella coppia viene salvato, diventa mistero, quando i piccoli sforzi di ogni giorno hanno il coraggio di non pretendere nulla ma di essere gratuiti; quando hai il coraggio di accogliere che davanti a te hai una persona fredda e resa tale dal suo dolore, dalle trafitture ricevute al lavoro, dalle percosse del malessere che prova verso se stesso. Relazione è gratuità, il mistero della sepoltura è il coraggio di questa gratuità.

L’amore: Nessuno ha visto la risurrezione, nessuno è stato spettatore di essa, ci sono stati testimoni del risorto lo hanno visto, toccato, mangiato con lui. Così è l’amore tra uomo e donna, nessuno l’ha visto ma ciò che si può vedere sono i gesti, i segni di questo amore che fanno sentire l’altro amato e rendono visibile l’invisibile, concreta l’astrazione. I vangeli ci raccontano di alcuni incontri fatti che recitano la sinfonia di questo amore. Davanti al sepolcro Maria Maddalena pronuncia quelle parole: Hanno portato via il mio Signore. La consistenza dell’amore si rivela in gesti che dicono, e fanno dire: allora io sono veramente suo, sono veramente sua. Nella coppia si è veramente l’uno dell’altra quando lo si è liberamente l’uno dell’altra. Gesù dona la tonalità di questa libertà: pronuncia il nome “Maria”.

La risurrezione esplode nell’amore di coppia quando il sepolcro di un dolore condiviso, consapevole che peggiore della morte è il dolore che la precede, dona la forza di pronunciare il nome dell’altro con quella dolcezza che liberà l’altro perché in esso si libera l’amore di Dio. Chi ama pronunciando il nome dell’altro con l’intenzione di amarlo come Dio lo ama, sta donando a chi ama, non più se stesso, ma l’Amore in persona: Gesù morto e risorto per noi!

fra Andrea Valori

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Il nostro matrimonio è una natività

Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo.

Gesù posto in una mangiatoia. Non può essere un caso. Nulla nei Vangeli accade per caso. Nulla che non sia utile a comprendere qualcosa di importante trova spazio nei Vangeli. Ogni parola ha un peso e un significato per farci comprendere qualcosa. La mangiatoia è il luogo dove viene posto il cibo. Il Natale richiama quindi la Pasqua. Il Natale richiama già la morte. Secondo alcuni studiosi anche ricordare che Gesù bambino viene avvolto in fasce è un forte richiamo della morte. Gesù fin dall’inizio è l’immolato per noi, per la nostra salvezza. Tutto inizia nel Natale e trova compimento nella Pasqua.

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui.

Il Natale della coppia di sposi è il giorno del matrimonio. Lì durante la celebrazione di quel sacramento, attraverso il rito delle nozze, Gesù nasce in quella relazione facendo dell’amore sponsale la sua mangiatoia. Ci avete mai pensato? Il vostro matrimonio richiama la natività. Gesù abiterà fino alla morte dei coniugi quella relazione, facendone luogo sacro e santo. Ciò ha un significato anche molto concreto. Quando siamo in difficoltà, quando sentiamo la pesantezza della vita, quando sentiamo le forze mancare, quando i nostri limiti e le nostre debolezze rendono difficile la pace in famiglia. Proprio in questi momenti in cui sentiamo più difficile essere in relazione, porci uno di fronte all’altra senza maschere e barriere. Proprio in questi momenti bisogna chiedere l’aiuto di Gesù. Bisogna fermarsi e chiamarlo. Nei sacramenti e nella preghiera certamente, ma anche, e forse ancor maggiormente, rendendo grazie e servendo il nostro Signore nel nostro coniuge. Ed ecco che la supplica più potente che possiamo fare a Dio è amare nostra moglie o nostro marito. Concretamente significa una carezza, un abbraccio, una parola buona, un gesto di servizio o di cura. Significa accoglierlo/a quando non ne avremmo voglia. Significa fare il primo passo per riavvicinarci. Significa superare l’orgoglio e perdonare. Non ne siete capaci? Provate e vedrete che riuscirete. Metteteci volontà e desiderio e Gesù che abita lì dove lo state cercando, nella vostra relazione, nella mangiatoia del vostro matrimonio, vi darà tutto il nutrimento e la Grazia necessari per superare ogni difficoltà.

Gesù è nato. E’ nato anche nel vostro matrimonio?

Antonio e Luisa

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Gesù sommo sacerdote del nostro matrimonio.

La seconda lettura del Venerdì Santo ha introdotto  una verità della nostra fede: Gesù è il sommo sacerdote. L’unico vero sacerdote che si rende mediatore tra Dio e l’uomo. L’unico vero sacerdote attraverso cui il nostro matrimonio è reso sacro ed ogni nostro gesto di dono e di accoglienza reciproca diventa dono a Dio e accoglienza di Dio nella nostra relazione sponsale.

Fratelli, poiché dunque abbiamo un grande sommo sacerdote, che ha attraversato i cieli, Gesù, Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della nostra fede.
Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato.
Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno.
Proprio per questo nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà;
pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì
e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono. (Lettera agli Ebrei)

Ne approfitto per farvi dono di un capitolo del nostro prossimo libro (mio e di Luisa) dove affrontiamo proprio questa importante dinamica che si instaura tra Dio e gli sposi cristiani.

Come gli sposi vivono e esprimono il loro essere sacerdoti?  Gesù, abbiamo visto, è l’unico ed eterno sacerdote. La sua dimensione sacerdotale si concretizza nel dono di sè. Dona tutto se stesso. Dove? Sulla croce. Sulla croce Gesù fa offerta di tutto se stesso. E’ offerente, ma è anche offerta.  E’ mediatore presso Dio: dà tutta la sua vita per la nostra salvezza. L’offerta di Cristo non deve essere vista solo in senso negativo, come espiazione. Prende su di sè tutto il peccato per riscattare la nostra salvezza. Cerchiamo di scorgere in questo momento un estremo e bellissimo gesto d’amore. Gesù ci sta amando. Dietro il significato di espiazione c’è un altissimo e supremo amore. Un amore incondizionato e totale. Non c’è gesto più grande, che Dio ci abbia donato per esprimere il suo amore, della croce. In quel momento Dio nel Figlio ci sta amando fino alla fine. Nel Vangelo troviamo scritto Non c’è Amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Gesù sta facendo esattamente questo.

Che caratteristiche ha l’amore di Gesù? E’ un amore totale. Quindi è un amore sponsale. In quel momento Gesù manifesta la sua sponsalità, il suo desiderio di unirsi sponsalmente, in modo totale, definitivo e per sempre, ad ognuno di noi. La nuova ed eterna alleanza. Vi invito, da adesso in poi, a meditare le prossime parole che dirò guardando alla croce, a Gesù che è lo sposo divino che, attraverso il suo sacrificio, vuole unire a sè la Chiesa, ognuno di noi, in un patto d’amore eterno, in un patto sponsale. Sta a noi accogliere questo dono e dire il nostro sì. Capite ora come la nostra sponsalità, il sacramento del matrimonio sia molto legato al sacerdozio di Cristo e al mistero della croce? San Paolo esprime esattamente questa realtà di Dio, questo patto sponsale tra Gesù sposo e la sua Chiesa sposa:

E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei.

Proseguiamo e aggiungiamo un tassello. Noi, abbiamo visto, facciamo parte del sacerdozio di Cristo attraverso il battesimo. Cosa significa? Tutti i gesti che possiamo compiere nella nostra vita da battezzati, offrendoli come gesti d’amore a Gesù, sono gesti sacerdotali. In quel momento stiamo esercitando il nostro sacerdozio. Il nostro lavoro, il nostro impegno, le nostre difficoltà, le nostre parole, le nostre opere e tutto quello che facciamo, se fatto con amore autentico e offerto a Gesù, esprime il nostro sacerdozio.

Chiara Corbella, a questo proposito, non riuscendo a curare la preghiera come avrebbe voluto, trovò una modalità bellissima per vivere il suo sacerdozio:

Le giornate volavano via senza riuscire a pregare molto; in generale sembrava di combinare poco. (…) Un giorno Cristiana trovò su una rivista cattolica un articolo intitolato Il cantico della cucina. Vi lesse che il matrimonio consacra tutto nell’amore e che ogni cosa che si fa per amore dello sposo è dono di sè, più importante di mille preghiere. <“Pulisco per terra in ringraziamento di…. Rifaccio il letto in offerta per questa situazione….” e cose così. Lo girò immediatamente a Chiara, a cui piacque molto. Da quel giorno occuparsi della casa diventò preghiera. Incredibilmente questo tipo di preghiera funzionava.

Avete capite cosa intendo? Non sono concetti campati in aria, ma molto terreni e concreti. Il nostro ruolo sacerdotale è il nostro rispondere al desiderio di Dio. Attraverso i gesti d’amore compiuti verso il prossimo dovremmo (poi la realtà spesso è un’altra) portare l’amore di Dio al mondo e portare il mondo a Dio. Il battesimo ci abilita ad essere sposi di Cristo, cioè a vivere il nostro rapporto con lui come quello che possiamo sperimentare e osservare nell’amore di un uomo e una donna.

Antonio e Luisa

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Il Triduo Pasquale, le tre tonalità dell’amore di coppia.

Un bellissimo articolo di fra Andrea, esperto di studi biblici e Terra Santa.

Il triduo di passione morte, sepoltura, e risurrezione è il centro dell’anno liturgico, della vita cristiana e, se lo scandagliamo nella sua profondità, anche il centro della vita di coppia. Questo fulcro raccoglie in se un trittico di particolarità che segnano il mistero eucaristico celato nella coppia. “L’Eucaristia, sacramento della carità, mostra un particolare rapporto con l’amore tra l’uomo e la donna, uniti in matrimonio. Approfondire questo legame è una necessità propria del nostro tempo (Sacramentum Caritatis 27). Partendo da queste parole del magistero riflettiamo sul vivere eucaristico come sorgente dei tre misteri in uno, che celebrano il tempo, il rapporto, l’amore della coppia.

Il tempo: Nel Venerdì Santo si inizia la liturgia con una prostrazione e un silenzio introitale che assurge alla solennità laconica della celebrazione della passione. Questo silenzio è il preambolo di ogni sacrificio, di ogni momento che precede qualcosa di difficile da affrontare o da dover scegliere. Secondo la narrazione di Giovanni evangelista la crocifissione avveniva proprio mentre gli agnelli venivano sgozzati per la Pasqua, e tale rito ci rimanda agli echi vetero testamentari del sacrifico di Isacco, il quale Dio chiese a suo padre Abraham. La notte che precede quel sacrificio è una notte silenziosa di cui la scrittura non dice nulla, non parla, non dona dettagli se non quello di poter immaginare e capire il dramma di un padre, il dubbio di un credente, la forza di un giusto che raccoglie tutte le sue energie per compiere ciò che Dio chiede, ma che è sicurò Dio non vuole: Il Signore provvederà per il sacrificio. La passione croce e morte è il mistero dell’uomo e della donna che sanno vivere l’uno nel tempo dell’altro con lo stile del silenzio, un silenzio che sa comprendere oltre le parole, di sguardi che si sanno intendere, di una notte dove l’altro non può essere lasciato solo nel decidere, nel suo dubbio e nel suo dolore. In Gn 1,27 Dio crea l’adamo maschio e femmina, la parola maschio-zacar e affine alla parola zicaron-memoriale di Es 12,14. Tutto ciò dice come il tempo e il ricordo sono il maschile della coppia, ma perché il tempo e il ricordo non siano rimpianto e rancore questo maschile ha bisogno del femminile-nekevah da nakav-porre in risalto, dare fiducia alla fede, dare vigore alla forza. La croce per essere amore è fatta sempre di un maschile e di un femminile, Abraham in quella notte ha avuto bisogno di Sarah, Gesù su quel patibolo ha avuto bisogno di Maria.

Il Rapporto: Secondo mistero e sacramento di amore è quello della sepoltura. Gesù è morto, quel sepolcro freddo, spigoloso, umido e austero, ha trovato prematuramente un ospite. Quelle bende e quel sudario sono ormai adagiate su un corpo trafitto dal rigor mortis. I vangeli narrano ancora dei piccoli sforzi umani per esorcizzare l’avvenuto, le donne che vanno sul posto quando ancora era buio, la Maddalena che piange perché non capiva ancora cosa era successo, Giuseppe d’Arimatea che precedentemente aveva offerto la sua influente competenza, dà ospitalità al cadavere del Signore e da ultimi gli apostoli che corrono vedono, credono ma non capiscono. Nella iconografia vediamo spesso il mistero della sepoltura legato alla discesa negli inferi da parte di Cristo, il quale libera per prima la coppia originaria Adamo ed Eva. La sepoltura con il suo mistero freddo, silenzioso, dove il Verbo della vita parla attraverso la sua funebre loquacità, indica che il rapporto nella coppia viene salvato, diventa mistero, quando i piccoli sforzi di ogni giorno hanno il coraggio di non pretendere nulla ma di essere gratuiti; quando hai il coraggio di accogliere che davanti a te hai una persona fredda e resa tale dal suo dolore, dalle trafitture ricevute al lavoro, dalle percosse del malessere che prova verso se stesso. Relazione è gratuità, il mistero della sepoltura è il coraggio di questa gratuità.

L’amore: Nessuno ha visto la risurrezione, nessuno è stato spettatore di essa, ci sono stati testimoni del risorto lo hanno visto, toccato, mangiato con lui. Così è l’amore tra uomo e donna, nessuno l’ha visto ma ciò che si può vedere sono i gesti, i segni di questo amore che fanno sentire l’altro amato e rendono visibile l’invisibile, concreta l’astrazione. I vangeli ci raccontano di alcuni incontri fatti che recitano la sinfonia di questo amore. Davanti al sepolcro Maria Maddalena pronuncia quelle parole: Hanno portato via il mio Signore. La consistenza dell’amore si rivela in gesti che dicono, e fanno dire: allora io sono veramente suo, sono veramente sua. Nella coppia si è veramente l’uno dell’altra quando lo si è liberamente l’uno dell’altra. Gesù dona la tonalità di questa libertà: pronuncia il nome “Maria”.

La risurrezione esplode nell’amore di coppia quando il sepolcro di un dolore condiviso, consapevole che peggiore della morte è il dolore che la precede, dona la forza di pronunciare il nome dell’altro con quella dolcezza che liberà l’altro perché in esso si libera l’amore di Dio. Chi ama pronunciando il nome dell’altro con l’intenzione di amarlo come Dio lo ama, sta donando a chi ama, non più se stesso, ma l’Amore in persona: Gesù morto e risorto per noi!

fra Andrea Valori

Trapiantati con il suo cuore.

Questo blog è molto specifico. Affronta temi riguardanti il matrimonio. Il matrimonio cristiano, quindi vissuto alla luce dell’incontro con Cristo e fondato sulla Grazia scaturente dal sacramento. Oggi è Pasqua. Come si inserisce la Pasqua del Signore nella nostra relazione di sposi? Partiamo dal significato di questa festa. Come sappiamo la Pasqua cristiana nasce all’interno della cultura ebraica. La Pasqua, si festeggiava già tra gli ebrei. Festa che significa passaggio e che fa memoria della liberazione degli ebrei dall’Egitto. Liberazione dalla schiavitù. Schiavitù che può essere letta in tanti modi. Ognuno ha le proprie schiavitù. Schiavitù che legano e che appesantiscono e non permettono di amare in pienezza. Dio per liberare il popolo d’Israele, come ultima piaga, la più terribile, mandò l’angelo della morte che si prese tutti i primogeniti, uomini ed animali. Solo quelle famiglie che avessero cosparso la trave della porta con un po’ di sangue di un capretto immolato, che poi avrebbero mangiato, sarebbero state risparmiate. Gesù nella nuova alleanza rende tutto nuovo. E’ lui l’agnello che salva, l’agnello immolato. E’ suo il sangue che fa si che la morte passi oltre. E’ sua la carne che viene mangiata, come lui stesso dice nell’ultima cena. La Pasqua della nuova alleanza ha lo stesso significato di quella precedente. Attraverso la morte e la resurrezione di Gesù noi possiamo passare dalla schiavitù alla libertà. La Pasqua ogni anno ci ricorda che, grazie a quel sacrificio, avvenuto circa 2000 anni fa, siamo stati liberati.

Don Antonello Iapicca ha usato un paragone che mi è piaciuto molto. Rende molto l’idea di ciò che voglio dire. In quella morte e resurrezione Gesù ci ha donato il suo cuore. Da quel momento, grazie allo Spirito Santo che opera, siamo capaci di amare con il cuore Gesù. Siamo stati trapiantati con il suo cuore. Ognuno di noi, sposi in Cristo, se lo vuole, se lo crede e se si abbandona, può essere capace di rendere la sua relazione luogo della presenza di Cristo, luogo dell’amore di Cristo, luogo del perdono di Cristo. Vale per tutti. Vale per me e Luisa, che dopotutto non abbiamo grandi sofferenze e problemi da superare, ma vale, a maggior ragione, per quelle coppie che vivono situazioni di abbandono e di sofferenza grande. In quei casi il cuore umano non può sopportare, ma noi sposi in Cristo non abbiamo più un cuore umano, abbiamo il cuore di Cristo stesso e tutto diventa possibile in colui che può tutto. Tutto è diventato possibile da quel giorno di circa 2000 anni fa dove un Dio è morto miseramente per noi, è morto come l’ultimo degli uomini per rendere noi capaci di amare come il più grande di tutti: Dio stesso.

Vale per tutti. Molti non credono che questa verità sia possibile anche per loro. Che il Signore è morto e risorto per rendere il loro matrimonio meraviglioso. A questo proposito Mons. Caffarra raccontava una storiella:

Un contadino aveva vissuto tutta la sua vita in una grande miseria. Un giorno arrivò la fortuna: ereditò un ingente patrimonio. Per prima cosa, parte per la città dove passa l’intera giornata. Aveva comperato un bellissimo vestito e scarpe di gran lusso. Alla sera, stanco si addormenta sul marciapiede. Un’automobile quasi lo investiva. L’autista scende infuriato e grida: “almeno togli le gambe dalla strada”. Il contadino, svegliato in quel modo, si guardò le gambe e disse calmo: “passa pure, queste non possono essere le mie gambe: sono vestite troppo bene”.
Ascoltando quanto abbiamo detto durante questa catechesi qualcuno potrebbe pensare: “non sta parlando di me, del mio matrimonio; il mio è molto più povero, molto meno grande”.
E come quel contadino permetterà che si continui a parlarne male, perché tanto il matrimonio-sacramento di cui parla la Chiesa non può essere il proprio matrimonio: è troppo bello.
La tentazione più sottile in cui possiamo cadere è di pensare che il Signore non ci abbia amati fino in fondo, non abbia preparato per noi — come dice il Profeta — un banchetto di tante vivande e vini prelibati, ma solo un tozzo di pane duro ed un po’ d’acqua. No: il Signore ha donato agli sposi la partecipazione al suo stesso amore.

Anche il vostro matrimonio è una meraviglia del Signore, non rassegnatevi alla miseria.

 

Antonio e Luisa

Due matrimoni, acqua, aceto e salvezza.

Volevo riflettere oggi su una piccola verità nascosta che si può comprendere dalla Parola. Parlo del primo e dell’ultimo miracolo di Gesù nella sua vita terrena, nella sua presenza nella storia. Due miracoli compiuti durante un matrimonio. Due matrimoni. Ne ricordate solo uno? Probabilmente ricordate le nozze di Cana. C’è un altro matrimonio, ben più importante per tutti noi. Gesù che sposa la sua Chiesa sulla croce. In entrambi i casi noi uomini non abbiamo saputo dargli che miseria. Nelle nozze di Cana gli sposi avevano finito il vino. La festa rischiava di finire. La gioia sarebbe evaporata. Gesù non ha chiesto che acqua. Da quell’acqua ha generato del vino delizioso. Un vino che dona una gioia che va oltre quella umana. Un vino molto più buono di quello che era appena finito.  Gesù non ha chiesto che acqua. Anzi ha chiesto qualcosa in più: che le giare fossero riempite. Questo cosa significa? Offrire la nostra natura umana, la nostra capacità di amare naturale, la nostra acqua, e fare la fatica di donargliela con il nostro impegno di ogni giorno. Il resto lo farà Lui. Trasformerà il nostro matrimonio in qualcosa di meraviglioso.

Ancora più incredibile è il secondo miracolo. Miracolo che avviene durante le nozze tra Cristo e la sua Chiesa. Miracolo che avviene sulla croce. Lì non abbiamo saputo dargli neanche l’acqua. Gli abbiamo dato dell’aceto. Aceto che è vino avariato. Abbiamo dato lui il nostro amore inquinato e guastato dall’egoismo e dal peccato. Lui non solo se lo è preso, ma ne ha fatto sorgente di salvezza e di vita. L’acqua sorgente dello Spirito Santo e il sangue segno della vita. Sangue e acqua sgorgati dal suo costato trafitto.

Questa riflessione cosa ci dice? Che il matrimonio ha bisogno di Cristo. Che noi non abbiamo che acqua, quando ci vogliamo bene. Acqua che diventa aceto quando abbiamo una relazione segnata dalla sofferenza, dall’incomprensione e dall’egoismo. Gesù si prende tutto e lo trasfigura con la sua Grazia e il suo amore. Così anche una relazione vissuta nell’amore vicendevole con Gesù diventa ancora più colma di gioia e di pienezza. Così anche una relazione malata e distrutta con lui può divenire via di salvezza e di pace.  Importante sottolineare come in entrambi i casi fosse presente Maria. Maria nostra madre, Maria che intercede per ognuno di noi e per il nostro matrimonio. Affidiamo a lei la nostra relazione, sicuri che lei ci condurrà alla pienezza di suo figlio, che lei sarà una madre che custodirà la nostra vita e il nostro matrimonio.

Antonio e Luisa

Segniamoci del sangue di Cristo.

Stamattina mi sono alzato presto. Ho accompagnato mio figlio in chiesa verso le 7. Il parroco ha organizzato una veglia in questa notte drammatica in cui si consuma la prima parte della passione di Gesù. La chiesa è nella semioscurità, ci sono alcuni ragazzi e qualche genitore. C’è l’atmosfera giusta per immergersi in Gesù, per fare un salto nel tempo e trovarsi nella Gerusalemme di duemila anni fa. Il don fa partire un video e sul telo bianco scorrono le immagini della passione di Gibson. Immagini tagliate e montate ad arte e accompagnate dalla musica giusta. Non mi capita spesso, ma sentivo le lacrime agli occhi, che per pudore ho trattenuto. Le parole di Gesù, l’odio della sua gente, il sangue che ricopriva il suo corpo martoriato dalla fustigazione. Ma ancor di più la sua solitudine, l’abbandono da parte di tutti o quasi. Solo la madre, poche donne e il discepolo amato sotto la sua croce. Quel sangue versato per noi, per tutti noi, per dirci che ci ama e ci desidera come nessun altro. Ho pensato a tante cose e mi sono sentito profondamente indegno del suo sacrificio. Il suo sacrificio capace di salvarci dalla morte e di rendere nuova ogni cosa. Capace di andare oltre le nostre miserie, fallimenti, fragilità ed errori. Capace di prendere sulle spalle, insieme alla croce anche il peso della nostra incapacità di amare e trasformare il nostro matrimonio. Gesù che quel giovedì stava ricordando con i suoi apostoli la pasqua ebraica (Pèsach) . Stava ricordando la liberazione del suo popolo dall’Egitto oppressore. Il nostro matrimonio, se noi lo desideriamo, attraverso quel sangue versato, può risorgere dalla morte del peccato. Il nostro matrimonio è come la porta delle dimore di quegli ebrei schiavi in Egitto. Dio ci chiede di segnare la porta del nostro cuore e  della nostra relazione con il sangue dell’agnello sacrificato. Solo cosi la morte del peccato non ci toccherà e passerà oltre. Non basta però il sacrificio di Gesù per noi, ma è necessario il nostro riconoscerci bisognosi e desiderosi di segnarci del suo sangue, serve che ci professiamo cristiani non solo con le parole ma portando il segno del suo sacrificio aderendo ai suoi insegnamenti e aprendo il nostro cuore alla sua Grazia che salva.

Come in modo significativo predicava un vescovo del IV secolo:

Per ogni uomo, il principio della vita è quello, a partire dal quale Cristo è stato immolato per lui. Ma Cristo è immolato per lui nel momento in cui egli riconosce la grazia e diventa cosciente della vita procuratagli da quell’immolazione

Antonio e Luisa