Ci si sposa in tre

Proseguendo con la lettura dell’esortazione apostolica Amoris Laetitia, incontriamo il punto 73.

Il punto 73 mi ha colpito profondamente perché racchiude tutta la realtà e la grandezza del matrimonio sacramento, che non è paragonabile a nessun altro tipo di unione.

Ecco cosa scrive il Papa:

«Il dono reciproco costitutivo del matrimonio sacramentale è radicato nella grazia del battesimo che stabilisce l’alleanza fondamentale di ogni persona con Cristo nella Chiesa. Nella reciproca accoglienza e con la grazia di Cristo i nubendi si promettono dono totale, fedeltà e apertura alla vita, essi riconoscono come elementi costitutivi del matrimonio i doni che Dio offre loro, prendendo sul serio il loro vicendevole impegno, in suo nome e di fronte alla Chiesa. Ora, nella fede è possibile assumere i beni del matrimonio come impegni meglio sostenibili mediante l’aiuto della grazia del sacramento. […] Pertanto, lo sguardo della Chiesa si volge agli sposi come al cuore della famiglia intera che volge anch’essa lo sguardo verso Gesù». Il sacramento non è una “cosa” o una “forza”, perché in realtà Cristo stesso «viene incontro ai coniugi cristiani attraverso il sacramento del matrimonio. Egli rimane con loro, dà loro la forza di seguirlo prendendo su di sé la propria croce, di rialzarsi dopo le loro cadute, di perdonarsi vicendevolmente, di portare gli uni i pesi degli altri». Il matrimonio cristiano è un segno che non solo indica quanto Cristo ha amato la sua Chiesa nell’Alleanza sigillata sulla Croce, ma rende presente tale amore nella comunione degli sposi. Unendosi in una sola carne rappresentano lo sposalizio del Figlio di Dio con la natura umana. Per questo «nelle gioie del loro amore e della loro vita familiare egli concede loro, fin da quaggiù, una pregustazione del banchetto delle nozze dell’Agnello». Benché «l’analogia tra la coppia marito-moglie e quella Cristo-Chiesa» sia una «analogia imperfetta», essa invita ad invocare il Signore perché riversi il suo amore dentro i limiti delle relazioni coniugali.

Vorrei soffermarmi su due aspetti in particolare:

  1. sacramento non è una forza, ma è Gesù che abita la nostra unione;
  2. la magnificenza dei doni di nozze che Dio regala ad ogni coppia nel momento in cui lo Spirito Santo discende sugli sposi.

Il matrimonio non è un sacramento come gli altri, ma è particolare come lo è l’Eucarestia.

Negli altri sacramenti Gesù è presente nel momento in cui c’è il rito sacramentale, quindi, nella confessione durante l’imposizione delle mani da parte del sacerdote, poi permangono gli effetti del sacramento e dell’effusione di Spirito Santo. Il matrimonio è diverso, è come l’Eucarestia, sono sacramenti perenni. Come nell’Eucarestia Gesù è realmente presente nel pane e nel vino fino a quando questi elementi non sono consumati, così nel matrimonio Gesù è realmente presente nell’unione degli sposi fino alla morte di uno dei due. Questo non è indifferente, ma ha un significato immensamente grande: non ci si sposa in due ma in tre. Nel nostro amore dimora perennemente Cristo che non ci abbandona, ma è lì pronto a sostenerci e ad aiutarci in ogni momento della nostra vita. Non solo, ogni qualvolta che viviamo il nostro amore con gesti, parole, atteggiamenti di tenerezza, cura, attenzione (ricordo che il rapporto fisico è il culmine di questi gesti) rinnoviamo e riattualizziamo il nostro sacramento. Come Gesù è morto e risorto una sola volta 2000 anni fa per ognuno di noi e con la Messa rinnoviamo quel sacrificio e Gesù torna presente nell’oggi, così nel matrimonio ci sposiamo una volta sola, ma ogni gesto d’amore e l’amplesso in particolare rinnova e riattualizza il nostro matrimonio.

Continua…..

Antonio e Luisa

“Per sempre” è un dono, non un giogo.

Entriamo nel cuore dell’esortazione Amoris Laetitia. Dopo esserci soffermati sul quadro generale tracciato dal Papa che ha disegnato con fedeltà e accuratezza la situazione delle famiglie nel mondo, entriamo nella parte del documento che tratta il matrimonio nel suo significato naturale e cristiano.

Ecco cosa scrive il Santo Padre al punto 62.

I Padri sinodali hanno ricordato che Gesù, «riferendosi al disegno primigenio sulla coppia umana, riafferma l’unione indissolubile tra l’uomo e la donna, pur dicendo che “per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così” (Mt 19,8). L’indissolubilità del matrimonio (“Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”: Mt19,6), non è innanzitutto da intendere come “giogo” imposto agli uomini, bensì come un “dono” fatto alle persone unite in matrimonio. […] La condiscendenza divina accompagna sempre il cammino umano, guarisce e trasforma il cuore indurito con la sua grazia, orientandolo verso il suo principio, attraverso la via della croce. Dai Vangeli emerge chiaramente l’esempio di Gesù, che […] annunciò il messaggio concernente il significato del matrimonio come pienezza della rivelazione che recupera il progetto originario di Dio (cfr Mt 19,3)»

Il Papa e i padri sinodali ribaltano la questione, non con un gioco di prestigio, ma facendo leva sul buon senso e sulle esigenze più profonde del nostro cuore.

Noi, se siamo onesti fino in fondo, dobbiamo ammettere che desideriamo essere amati in pienezza e fedeltà. Essere amati senza condizioni, tempo, limite. Desideriamo essere amati così, ogni altro tipo di amore ci appare insufficiente e in qualche modo falso. Dio ci ha creati così come Lui, capaci di amare come Lui e desiderosi nel profondo di essere amati come Lui ama e, se a parole possiamo raccontare che la precarietà della convivenza o il rischio del divorzio sono ancore di salvezza per scappare da situazioni soffocanti e frustranti, il nostro cuore non mente. Il nostro cuore anela a un amore che ci lega per sempre e fondato sulla forza della volontà e della Grazia e non sulla voluttà dei sentimenti e del solo eros.

Il divorzio e l’avanzare delle convivenze ci hanno condannato a questo. Ci hanno condannato a scappare, ci hanno condannato a soccombere alla paura di affrontare la croce, ci hanno condannato a non abbandonarci all’amore, ci hanno condannato all’incapacità di amare fino in fondo.

In una mentalità non decisa per il “per sempre” anche il rapporto fisico diventa menzogna e falsità, un gesto che dovrebbe essere segno dell’unione dei cuori nella geografia del corpo, diventa un segno vuoto e privo di significato. Ecco quello che ha detto in merito San Giovanni Paolo II:

«La donazione fisica sarebbe menzogna se non fosse frutto e segno della donazione personale totale, nella quale tutta la persona è presente, se la persona si riservasse qualcosa o la possibilità di decidere altrimenti per il futuro, già per questo essa non si donerebbe totalmente.»

 

Antonio e Luisa

Crisi di speranza

Proseguendo la lettura di Amoris Laetitia, arriviamo al punto 43. Siamo ancora nella prima parte dell’esortazione, dove Papa Francesco cerca di rappresentare un quadro della realtà attuale, prendendo spunto da quanto emerso durante il Sinodo.

Saltiamo dai punti 36 e 37 al punto 43 che ha attirato la mia curiosità ed interesse:

«L’indebolimento della fede e della pratica religiosa ha effetti sulle famiglie e le lascia più sole con le loro difficoltà (..) una delle più grandi povertà della cultura attuale è la solitudine, frutto dell’assenza di Dio nella vita delle persone e della fragilità delle relazioni.»

Il Papa evidenzia come, prima che una crisi economica, c’è una crisi religiosa e sociale. Denatalità, difficoltà educative, difficoltà nell’accogliere la vita nascente fino ad arrivare a sentire gli anziani come un peso sono tutte conseguenze della crisi in cui versa il nostro occidente.

Riassumendo tutto in un concetto, ci manca la virtù della speranza come singoli e come coppia. Mi soffermo sulla speranza degli sposi.

Il sacramento del matrimonio, perfezionando la fede e la carità battesimali, abilita gli sposi a realizzare uniti il cammino verso le nozze eterne. L’azione consacratoria dello Spirito Santo unisce le loro virtù, aprendoli uniti alla vita eterna.

La speranza permette agli sposi di amarsi nel tempo, per congiungersi con Dio eternamente. Essi infatti, stimolati e sorretti dalla certezza contenuta nella speranza, si immergono gioiosamente in Cristo sposo, così tutto diventa per loro possibile.

L’esistenza degli sposi, senza questa speranza, non ha più senso. Si comprende allora la voglia di cogliere e sfruttare l’attimo, in tutta la sua valenza di possesso, piacere e divertimento.

La crisi dei matrimoni attuale è soprattutto una crisi di speranza. Il matrimonio senza speranza è come due occhi presbiti e miopi allo stesso tempo; è privo di respiro e di orizzonti, che vanno oltre l’attimo presente, perciò, non ha senso vivere insieme quando l’amore coniugale è diminuito o è reso difficile da situazioni esistenziali cariche di sofferenze e di rinuncia.

Solo la buona sorte rende uniti, la cattiva sorte divide.

Le difficoltà del matrimonio esigono dagli sposi tanta speranza, cioè, uno sguardo verso la meta finale della vita, unito a una fiducia illimitata di poterla raggiungere con Cristo, che sempre vive in loro e nel loro amore, per sostenerli in tutte le difficoltà e renderli pronti all’abbraccio eterno con Dio.

Gli sposi cristiani che vivono la speranza saranno portatori e donatori gioiosi del vero significato della vita al mondo, che in gran parte lo ha perduto.

Antonio e Luisa

 

Da una procreazione amorosa a un amore fecondo.

Al punto 36 dell’Amoris Laetitia, il Papa constata con realismo come la Chiesa abbia per lungo tempo, forse troppo tempo, insistito sul fine procreativo del matrimonio. Cito testualmente quanto il Papa scrive:

…spesso abbiamo presentato il matrimonio in modo tale che il suo fine unitivo, l’invito a crescere nell’amore e l’ideale di aiuto reciproco sono rimasti in ombra per un accento quasi esclusivo posto sul dovere di procreazione….

Prosegue al numero 37:

Per molto tempo abbiamo creduto che solamente insistendo su questioni dottrinali, bioetiche e morali, senza motivare l’apertura alla grazia, avessimo già sostenuto a sufficienza le famiglie….

Il Papa mette il dito nella piaga. La Chiesa stenta a proseguire sul cammino iniziato o meglio consolidato con il Concilio Vaticano II e poi ancora di più approfondito da Giovanni Paolo II con tutte le sue catechesi sull’amore umano raccolte nella Teologia del corpo. Una strada proseguita con continuità da Benedetto XVI e ora anche da Papa Francesco. Una strada che vuole smarcare il matrimonio da una mentalità che non è sicuramente secondo lo Spirito e la verità, ma molto limitante e frustrante. Il matrimonio è molto più che generare vita. La Chiesa ha attuato una vera rivoluzione. Si è passati da considerare i figli come fine del matrimonio a frutto del matrimonio. Il fine del matrimonio è quindi l’amore che è vita e che è Dio. Da un matrimonio basato sulla fertilità si è passati a un matrimonio basato sulla fecondità. Fecondità che è molto più ricca della fertilità, che ne rappresenta solo un aspetto. Ed ecco che finalmente il matrimonio non viene più presentato come una serie di doveri e precetti. Una volta, inoltre, il rapporto fisico veniva spesso visto e vissuto come qualcosa di necessario e il piacere che ne scaturiva era spesso vissuto con senso di colpa e avvilimento. Il piacere nel rapporto fisico è dono di Dio e la Chiesa oggi ti dice non che devi vergognartene, ma al contrario che devi viverlo appieno, per crescere nell’amore anche carnale con il tuo sposo o la tua sposa. Finalmente la Chiesa non ti pone divieti, ma al contrario indica la via per vivere in pienezza il rapporto sessuale, perché ti insegna che solo in un’unione fedele si può vivere il rapporto in profondità come dono e accoglienza e non solo come un appagamento di pulsioni e desiderio di possesso. Solo nel matrimonio si può raggiungere quell’estasi della carne e dei cuori che al confronto qualsiasi altro rapporto non è che una pallida immagine. Solo nel matrimonio il rapporto fisico diventa preghiera e offerta a Dio. Solo nel matrimonio il rapporto fisico è così importante da essere cosa sacra, cioè cosa di Dio. La Chiesa ha questa grande nuova missione di evangelizzazione: mostrare la grandezza e la bellezza del matrimonio cristiano, che è capace di regalarti e riempirti di amore e verità come nessun’altra relazione e dove anche il rapporto fisico è vissuto in maniera piena, appagante, totalizzante e profonda. Il Papa parla, scrive e si impegna, ma se noi sposi cristiani non siamo profezia di quell’amore, cioè non riusciamo a mostrarlo al mondo, il Papa si prodiga invano. Sta a noi prendere in mano la nostra vita e il nostro matrimonio e con la Grazia di Dio diventare luce, forse una piccola luce, ma insieme possiamo illuminare questo mondo buio e arido.

Antonio e Luisa

Il pudore è da Re e Regine.

Il ​pudore è spesso visto come qualcosa da buttare, qualcosa di cui liberarci per essere felici. Il pudore è spesso confuso con complessi e tabù che ci impediscono di vivere naturalmente le nostre relazioni con le altre persone. Ma è davvero così?

Il pudore in realtà ci dice altro. Avere pudore ci dice che siamo consapevoli dell’importanza del nostro corpo. Avere pudore ci dice che siamo persone gelose del proprio mistero. Il pudore è protezione della nostra ricchezza, della nostra intimità che non è qualcosa da svendere e rendere disponibile per tutti, ma qualcosa da preservare e custodire solo per una persona disposta a legarsi a noi per la vita.

Chi non ha pudore spesso è un mendicante, un mendicante d’amore, persone disposte a mettersi a nudo di fronte a tutti pur di ricevere attenzione e consenso. Noi non siamo mendicanti, noi siamo figli di Re, siamo di stirpe regale e il nostro corpo non è per tutti. Il nostro corpo è solo per un altro Re o un’altra Regina, persone capaci di guardarci e non violarci o avvilirci con il loro sguardo, ma capaci di farci specchiare nei loro occhi e farci ammirare tutta la nostra bellezza. Uomini e donne disposte a donare tutto a noi e ad accogliere tutto di noi, persone che non hanno paura di promettere per sempre. Custodire la nostra ricchezza e regalità di figli di Dio significa anche proteggere il nostro corpo e la nostra intimità da ladri che vogliono prendere qualcosa che non gli appartiene, qualcosa che fin dall’eternità è per nostro marito e nostra moglie anche se ancora non li conosciamo.

Il pudore e la purezza vengono esaltati anche dalla Bibbia in vari passaggi, in particolare voglio riprendere il Cantico dei Cantici.

La sposa del Cantico, che sale dal deserto accompagnata dal corteo nuziale, non è visibile a tutti, ma è custodita in un baldacchino velato. Un baldacchino regale protetto da sessanta prodi armati di tutto punto.

Il significato è chiaro. L’amore (Dio in noi) e il corpo che è tempio di quell’amore e quindi tempio di Dio vanno protetti e custoditi da ogni insidia. Il baldacchino rimanda al talamo nuziale, lì dove l’amore e il dono totale di sé trascende nel divino, e rimanda al tabernacolo dove Dio diventa dono totale per noi, facendosi mangiare: due misteri incredibili che sono legati profondamente.

Se avete pudore è perché conoscete l’importanza del vostro corpo, non vergognatevene.

Non mendicanti, ma Re e Regine. Ecco cosa indica di noi il pudore.

Antonio e Luisa

Eva era sola!

Ascoltando una delle bellissime catechesi giornaliere di don Antonello Iapicca, ho scoperto qualcosa di molto interessante.

Don Antonello ha fatto notare che nel libro della Genesi, quando Eva commette quel grandissimo errore che è il peccato originale, lei era da sola.

Mi sono sempre concentrato sull’agire di Eva senza mai soffermarmi sulle condizioni in cui si trovava quando peccò.

Non è un dettaglio irrilevante, al contrario, è molto utile anche a noi e alla nostra vita matrimoniale.

Eva pecca perché è da sola, non ha la presenza rassicurante e appagante del compagno, dello sposo.

L’assenza non è solo quella fisica, ma è anche quella del cuore.

Tutte le volte che la nostra sposa o il nostro sposo non sentono la vicinanza, l’amore, la cura, la stima, l’accoglienza, la tenerezza, il sostegno che noi dobbiamo dare, perché amare è questo, diventa vulnerabile. E’ proprio in quel momento che la tentazione ci colpisce proprio lì dove siamo più deboli ed esce la nostra rabbia, frustrazione, concupiscenza, egoismo o qualsiasi altra pulsione ci perseguita.

E’ vero che la nostra forza deve poggiare non sulla nostra sposa o il nostro sposo, ma è altrettanto vero che è spesso difficile, è un obiettivo che si raggiunge dopo un cammino di liberazione e guarigione.

Durante il cammino abbiamo bisogno del sostegno di chi ci ama per non crollare, non per nulla ci ha messo al fianco una persona per aiutarci a vicenda ad arrivare a Lui.

Antonio e Luisa

Rompiamo il vaso. L’amore vero è spreco.

Gesù era a Betania, in casa di Simone il lebbroso; mentre egli era a tavola entrò una donna che aveva un vaso di alabastro pieno d’olio profumato, di nardo puro, di gran valore; rotto l’alabastro, gli versò l’olio sul capo. 4 Alcuni, indignatisi, dicevano tra di loro: «Perché si è fatto questo spreco d’olio? 5 Si poteva vendere quest’olio per più di trecento denari, e darli ai poveri». Ed erano irritati contro di lei. 6 Ma Gesù disse: «Lasciatela stare! Perché le date noia? Ha fatto un’azione buona verso di me. 7 Poiché i poveri li avete sempre con voi; quando volete, potete far loro del bene; ma me non mi avete per sempre. 8 Lei ha fatto ciò che poteva; ha anticipato l’unzione del mio corpo per la sepoltura. 9 In verità vi dico che in tutto il mondo, dovunque sarà predicato il vangelo, anche quello che costei ha fatto sarà raccontato, in memoria di lei».

Questo passo del Vangelo racconta di quando Maria, la sorella di Lazzaro e di Marta, unge il capo di Gesù con l’olio di nardo. Il nardo era un’essenza molto preziosa e costosa. Sarebbe stato meglio, forse, come volevano alcuni presenti, vendere tutto e usare il ricavato per i poveri? O forse, usare una piccola quantità per Gesù, visto il profumo molto intenso del nardo, e vendere il resto?

Gesù non lo pensa, anzi, parla di lei con un’ammirazione e una grandezza che non ha usato per nessun altro. Dice:  In verità vi dico che in tutto il mondo, dovunque sarà predicato il vangelo, anche quello che costei ha fatto sarà raccontato, in memoria di lei.

Maria, infatti, ama senza riserve, senza limite, oltre il necessario, tanto che il suo amore appare quasi uno spreco. Non è necessario darsi così tanto.

Invece Gesù la esalta proprio per questo. Perché l’amore deve essere così.

Nel nostro matrimonio abbiamo rotto il vaso di nardo? Oppure siamo avari e diamo qualche goccia ogni tanto per non sprecarne? Ci sprechiamo in gesti di tenerezza, di servizio, di cura, di attenzione oppure limitiamo tutto al minimo indispensabile, dando per scontato l’amore che ci unisce?

Spesso mostriamo solo una piccola parte del nostro amore. Questo è il vero spreco.

Antonio e Luisa

 

 

Il circo della farfalla

Oggi vi presento un cortometraggio rielaborato da parte di due cari amici e sposi: Mirko e Sandra.

Il corto è ambientato negli Stati Uniti durante gli anni delle depressione dopo la crisi del 29.

E’ la storia di Will, interpretato da Nick Vujicic, l’uomo senza arti, rifiutato da tutti e finito in una fiera come fenomeno da baraccone. Deriso, sopravvive senza trovare un posto e un senso nella propria vita. Fino a quando Mendez, il direttore di un circo molto particolare, non entra in quella fiera e i loro sguardi si incontrano. Mendez è Dio, e quando ti guarda con quello sguardo carico di amore e di bellezza la tua vita cambia.

Il corto è stato riscritto in chiave di vita di coppia. E’ bellissimo e come dice Mendez (Dio): più ardua è la battaglia  più glorioso il trionfo. Dio è fiero di quelle coppie che riescono a vincere le difficoltà e le sofferenze della vita e a mostrare, attraverso la loro vita, Lui. Ed è così che potremo avvicinare questo mondo arido: non a forza di moralismi, ma con la leggerezza di una farfalla. Attraverso qualcosa di bello, anche attraverso la tua famiglia, Dio vuole dire al mondo qualcosa che solo voi potete mostrare in quel modo e in quella prospettiva, perché ogni famiglia è diversa. Fidati di lui, lui si fida già di te.

Buona visione…

Antonio e Luisa

I 5 linguaggi dell’amore

I cinque linguaggi dell’amore. Scommetto che per il 90% di chi legge viene subito in mente il famoso libro di Gary Chapman. Famoso non a torto, libro molto utile e pratico per capire alcune dinamiche della coppia ed aiuta ad evitare sofferenze, incomprensioni e litigi. Il dott. Chapman evidenzia che non è sufficiente voler bene a qualcuno, ma bisogna riuscire a trasmettergli il nostro amore. Tutti abbiamo un serbatoio dell’amore che dobbiamo cercare di riempire per stare bene e sentirci appagati del nostro rapporto di coppia. Esistono modalità (linguaggi) per dimostrare e trasmettere amore e ognuno di noi, pur apprezzando tutti e 5 i linguaggi, ne parla uno in particolare. E’ importante conoscere quello del coniuge per fargli sentire tutto il nostro amore.

I 5 linguaggi sono:

  1. contatto fisico (carezze, abbracci, ecc.)
  2. parole di incoraggiamento (dire all’amato/a che è importante, bello/a, bravo/a, ecc.)
  3. gesti di servizio (pulire casa, fare la spesa, riparare una porta, ecc.)
  4. momenti speciali (appuntamenti, concerti, cene, ecc.)
  5. regali (non per forza costosi)

Chapman scrive che ognuno di noi tende a parlare con l’altro soprattutto il proprio linguaggio, sicuro che se piace a se stesso debba piacere anche agli altri. Se i coniugi usano entrambi la stessa modalità, non sorgono problemi. I problemi ci sono quando gli sposi parlano lingue diverse e non si capiscono.

Ad esempio se il marito apprezza i gesti di servizio e la moglie le parole d’incoraggiamento iniziano le scintille. Il marito si metterà completamente al servizio della moglie, che però non si sentirà amata per questo e resterà insoddisfatta aspettando una buona parola da parte del marito, che non arriverà perché lo sposo non ne comprende l’importanza. Anzi, il marito in un momento di scoraggiamento potrebbe anche dire qualcosa di poco carino, svuotando così il serbatoio dell’amore della moglie.

Vi rendete conto quanti danni si possono fare per incomprensioni che non si chiariscono?

Si arriva a separazioni per queste situazioni irrisolte. Chapman si occupa proprio di rimettere insieme coppie che non si capiscono, che non parlano la stessa lingua.

Antonio e Luisa

 

Va’ e anche tu fa’ così

Oggi parto da una riflessione di don Antonello (che sta in Giappone ma riesco ad ascoltare ogni giorno, è meraviglioso).

Chi è il mio prossimo? Per noi sposi, il nostro prossimo è nostra moglie e nostro marito.

La domanda che Gesù ci pone è stringente: siamo capaci di farci prossimo oppure la nostra capacità e sempre condizionata da ciò che l’altro/a fa o dice?

Don Antonello nella sua omelia ha evidenziato come per gli israeliti fosse prossimo solo chi faceva parte del loro popolo, chi rispettava la legge, gli altri non valevano nulla.

Siamo anche noi così? Disposti ad essere prossimo solo se l’altro si comporta secondo la legge, se merita il nostro amore e la nostra considerazione?

Gesù con questa parabola parla ad ognuno di noi e ci dice proprio il contrario. Farsi prossimo significa amare e curare sempre anche quando l’altro/a è lontano da noi e da Dio. Proprio in quel momento dobbiamo chinarci sulle sue ferite e curarle con amorevole dedizione. Il sacramento del matrimonio è questo. Prendersi cura l’uno dell’altra soprattutto quando uno dei due ne ha più bisogno, è ferito e moribondo spiritualmente e per questo anche meno amabile da parte nostra.

Questo non è possibile però se prima non abbiamo fatto esperienza di Gesù che è stato il nostro samaritano, colui che si è chinato sulle nostre ferite e ci ha guarito con l’olio e il vino dello Spirito Santo e dei sacramenti.

Il matrimonio è rispondere a questo atto di amore di Gesù, è rispondere all’invito di Gesù che dice ad ognuno di noi, che Lui ha toccato con il Suo amore e la Sua Grazia: «Va’ e anche tu fa’ così»

Antonio e Luisa

Il mondo dice che……

Il mondo dice che l’amore è un sentimento.

Dio dice che l’amore è sacrificio.

Il mondo dice che il sesso è sempre positivo se consensuale e protetto.

Dio dice che il sesso è l’espressione corporea di un’unione sacra e solo nel matrimonio è benedetto.

Il mondo dice che  basta l’amore e non serve sposarsi.

Dio ti dice che solo nel matrimonio troverai la forza per amare sempre.

Il mondo dice che il peccato non esiste.

Dio ti dice che se vivi nel peccato sei già morto anche nel matrimonio.

Il mondo ti dice che la legge di Dio ti schiavizza e ti impedisce di essere felice.

Dio ti dice che solo rispettando la Sua legge potrai essere libero anche d’amare.

Il mondo ti dice che tu sei il centro e se tu sarai felice lo saranno anche gli altri intorno a te.

Dio ti dice che devi fare dell’altro il centro del tuo amore e solo se ti spenderai per gli altri potrai essere felice anche tu.

Noi siamo stati del mondo per tanti anni, abbiamo vissuto come il mondo ci faceva credere fosse giusto per noi e non abbiamo trovato altro che solitudine e infelicità. Solo quando ci siamo arresi a Dio, abbiamo compreso che da soli non ce la facevamo, abbiamo cercato di amarlo con tutto noi stessi, rispettando le Sue leggi, e abbiamo trovato la gioia e la pace.

Dopotutto anche il mondo ha le sue leggi che tutti seguono sentendosi originali e trasgressivi ma lasciatemelo dire quelli originali e trasgressivi siamo noi. Siamo noi che abbiamo messo in discussione tutto, siamo noi che ci siamo fidati di una persona che è morta massacrata e inchiodata su una croce, siamo noi che sentiamo di essere di più di quello che il mondo vuole farci credere, siamo noi cristiani i veri rivoluzionari in questo mondo grigio e triste.

 

Ogni comandamento di Dio sembra togliere un po’ della nostra libertà, sembra che ci renda difficile realizzarci, ma lui è un Padre che ci ama e ogni sua parola è detta per noi, per aiutarci ad essere persone libere e profondamente capaci di amare come solo Gesù ci ha insegnato a fare. Gesù nel Vangelo dice: Non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io sono venuto non per abolire ma per portare a compimento.

Gesù, crediamo profondamente che solo in Te possiamo essere sposi veri e capaci di amare. Aiutaci a vivere la tua Legge con la tua Grazia e la redenzione che hai portato in noi e nel nostro matrimonio.

Antonio e Luisa

Imparare a perdere è la scelta vincente.

Il matrimonio ti insegna a perdere. Dirò di più, insegna a perdere e ad essere contenti di perdere. Perdere significa rinunciare a imporre la propria volontà, significa spostare il centro da noi all’altro, significa morire a se stesso per qualcosa di più grande e importante. Perdere non significa subire un compromesso con frustrazione, ma amare e capire l’altro. Nella coppia dobbiamo imparare a perdere. Quante incomprensioni e quante sofferenze perché ci chiudiamo sulle nostre posizioni e perché pensiamo di avere ragione. Due egoismi che si scontrano. Musi, ripicche e silenzi carichi di tensione: per cosa? Perchè la vogliamo vinta. Perchè ciò che è importante per noi non è la relazione ma avere soddisfazione, che l’altro si abbassi a noi e alla nostra volontà. Dobbiamo imparare a perdere, a perdere quell’io di troppo che non permette al noi di respirare. Vi assicuro che sono stato molto più felice quando ho perso ma ho visto la mia sposa felice che quando mi sono imposto ma ho visto la rassegnazione nella mia sposa. Bisogna imparare a perdere e quando la coppia fa a gara per capirsi e venirsi incontro perdere sarà una vittoria, perché la relazione (ciò che conta di più) si rafforzerà. Amarsi è così, è sempre un controsenso, è un farsi piccolo per crescere.

Don Fabio Bartoli, in una sua catechesi, ebbe a dire:

Quando tu sposo sei nella logica della famiglia, che il suo bene è il mio bene, capisci che la cosa più sana nelle discussioni è perdere.

Cosa importa aver ragione se rompi il rapporto?

Che bella una discussione dove ci si preoccupa di più di dar ragione all’altro che di aver ragione.

Anche vivere in questo modo è un cammino. I contrasti ci sono. Ma se si persevera ci si accorge che si cambia, che si diventa sempre più attenti alle ragioni dell’altro, che i musi durano sempre meno fino a scomparire e che l’unica cosa che si desidera è ricostruire immediatamente quell’armonia che abbiamo rotto. Naturalmente non c’è nulla di meglio che pregare insieme per ritrovare immediatamente l’armonia perduta.

Antonio e Luisa

Una sinfonia d’amore

Oggi, traggo spunto da un altro bellissimo libretto, molto breve ma non per questo povero, anzi, molto ricco di spunti. Il libro è: “E vissero felici e contenti” di Roberto Marchesini.

Mi ha incuriosito un passaggio dove riprende le catechesi di Giovanni Paolo II sulla teologia del corpo. Il santo Papa polacco azzarda un paragone molto impegnativo per noi sposi.

Il sacramento del matrimonio, come è noto, si realizza in due momenti: il primo momento è rappresentato dagli sposi che si dichiarano vicendevolmente le promesse matrimoniali , mentre il secondo è rappresentato dalla consumazione del matrimonio, cioè dal primo rapporto intimo tra gli sposi. Questi due momenti ricalcano il matrimonio redentore di Cristo con la Sua Chiesa, sua sposa. Gesù si offerto alla Sua sposa nell’ultima cena e questa offertasi è consumata  sul Calvario, quando Cristo è morto in croce per ognuno di noi.

Il sacramento del matrimonio si vive con due linguaggi, entrambi importanti ed entrambi necessari per vivere nella verità l’unione matrimoniale. C’è un linguaggio verbale, con il quale si comunica il nostro amore alla persona amata, si usano parole di incoraggiamento, di lode, parole tenere e dolci. Poi, c’è un linguaggio del corpo che deve essere in sintonia con ciò che diciamo e non solo fungere da supporto ma instaurare un vero e proprio dialogo d’amore anche indipendentemente dal linguaggio verbale. I nostri silenzi, il modo di avvicinarci, lo sguardo, le carezze, tutto ciò che il nostro corpo trasmette deve essere una sinfonia. Devono essere più strumenti, tra cui la voce, e, suonando insieme, devono riempire d’amore il cuore della persona amata.

Vieni con me dal Libano

[8]Vieni con me dal Libano, o sposa,
con me dal Libano, vieni!
Osserva dalla cima dell’Amana,
dalla cima del Senìr e dell’Ermon,
dalle tane dei leoni,
dai monti dei leopardi.
[9]Tu mi hai rapito il cuore,
sorella mia, sposa,
tu mi hai rapito il cuore
con un solo tuo sguardo,
con una perla sola della tua collana!
[10]Quanto sono soavi le tue carezze,
sorella mia, sposa,
quanto più deliziose del vino le tue carezze.
L’odore dei tuoi profumi sorpassa tutti gli aromi.
[11]Le tue labbra stillano miele vergine, o sposa,
c’è miele e latte sotto la tua lingua
e il profumo delle tue vesti è come il profumo del Libano.

Questi versetti del Cantico seguono immediatamente la descrizione dell’amata da parte dell’uomo che, attraverso uno sguardo casto, riesce a far sentire la propria amata regina e desiderata. L’uomo riesce a penetrare con il proprio sguardo d’amore oltre la semplice fisicità della donna che, pur bella che sia, non può riempire gli occhi dell’uomo a cui non basta la concretezza del corpo. L’uomo, infatti, cerca un’esperienza che ricomprenda anche lo spirito e il cuore. Questa premessa rende possibile questi versetti, forse tra i più famosi del Cantico, perchè ripresi da una nota canzone, usata spesso anche durante le celebrazioni del rito nuziale. Questi versetti indicano tutta la bellezza e lo sconvolgimento interiore, la passione d’amore verso la propria amata  che non si riesce a trattenere. Lo sposo è conquistato dalla propria sposa in un intreccio di cuore e corpo, di desiderio e passione, di spirituale e carnale, un intreccio che pervade tutta la persona e per questo è inebriante e totalizzante. Diventa uno sguardo così profondo da divenire contemplazione, contemplazione di ciò che è più bello e meraviglioso, la propria amata. Uno sguardo contemplativo così bello da dare forza e motivazione allo sposo di donarsi totalmente a quella donna e in quel rapporto d’amore così pieno e coinvolgente.

Molti, leggendo questo passo del Cantico e questa interpretazione cha abbiamo voluto dare, potrebbe vedere in questo amore così passionale e carnale, l’amore degli sposi novelli, dove l’innamoramento è ancora forte e coinvolgente. Non è così. Se nel matrimonio l’unione sponsale è curata tutti i giorni in un contesto di dolcezza e dedizione dell’uno verso l’altra, quello sguardo contemplativo non passerà, anzi, si perfezionerà e sarà rinforzato giorno dopo giorno. Ogni sposo continuerà a vedere nella propria sposa la regina della propria vita e continuerà a restare rapito dalla sua bellezza anche se gli anni passano e arrivano rughe e capelli bianchi.

Antonio e Luisa

Santi o falliti.

Il matrimonio è un punto di partenza. Questo deve essere chiaro nella nostra vita oppure non capiremo mai il senso di ciò che stiamo facendo. Don Benzi diceva, da persona straordinaria qual era, che dobbiamo sposarci per diventare santi, non si può scappare da questo e soprattutto non si può pensare di essersi “sistemati”. Il matrimonio presuppone una conversione continua ogni giorno della nostra vita, presuppone che decidiamo coscientemente di mettere il nostro amato/a al centro del nostro cuore e delle nostre azioni. A volte riusciremo e a volte falliremo, ma l’obiettivo deve essere chiaro e la volontà di raggiungerlo determinata. Vivere senza questa forte determinazione ad essere santi nel proprio matrimonio, porta a sistemarsi, porta a distruggere quella dinamica di dono e accoglienza che è alla base di un’unione sana e benedetta da Dio.

Il contrario della santità non è il peccato, ma il fallimento. Il nostro matrimonio o procederà più o meno spedito verso la santità o sarà un matrimonio fallimentare, un matrimonio destinato alla separazione o, nel migliore dei casi, un matrimonio tra due persone che non vivono la propria vocazione all’amore, ma si accompagnano fino alla morte, come ha detto tristemente  (Santa) Chiara Corbella. Più entreremo nella dinamica del dono verso la santità e più saremo felici nel nostro matrimonio e il nostro cuore sarà nella pace di chi è nella verità; più invece non riusciremo a farlo e più saremo incapaci di trovare pace e senso nella nostra vita e nel nostro matrimonio.

Santi o falliti. Non esistono vie di mezzo.

Antonio e Luisa

Senza corpo non possiamo amare

Il corpo non vale meno dell’anima. Gesù quando è sceso su questa terra non si è manifestato puro spirito, ma ha scelto di incarnarsi in un bambino nato da Maria e costituito come ogni uomo di anima e corpo. Gesù per questo è vero Dio ma anche vero uomo. Anima e corpo non sono due entità disgiunte, sono invece unite e danno così origine all’uomo. L’uomo non è un’anima che ha un corpo ma è un’anima e un corpo. Noi siamo il nostro corpo. Solo se capiamo questa realtà che ci contraddistingue, possiamo comprendere tutta la bellezza del linguaggio del corpo nella relazione con l’altro e in particolare con il nostro sposo/a. Molti tendono a considerare la tenerezza e la dolcezza come doti dell’anima. Niente di più sbagliato. L’anima senza un corpo sarebbe incapace di esprimere qualsiasi sentimento e messaggio d’amore. Lo sguardo, l’abbraccio, il bacio, la carezza e ogni gesto e atteggiamento fino ad arrivare all’amplesso fisico sono espressioni corporee, che danno voce alla nostra anima che così riesce a relazionarsi con l’anima della persona amata.

Non disprezziamo il nostro corpo, per Dio è sacro, è tempio dello Spirito Santo e, se riusciremo a renderlo espressione di un’anima casta, potrà esprimere un amore meraviglioso e trasmettere tanta dolcezza e tenerezza alla persona amata che ne resterà affascinata e innamorata.

Antonio e Luisa.

L’amore è solo nella speranza

La crisi matrimoniale e sociale dei nostri tempi è anche una crisi di speranza. Se non abbiamo la speranza di una vita eterna e dell’abbraccio d’amore con il Dio Creatore nostro Padre, allora tutto perde senso. Diventa inevitabile arrendersi al carpe diem, al godere del momento presente e cercare il piacere e l’appagamento dei sensi prima di ogni altra cosa.

Il sacramento del matrimonio attraverso la Grazia unisce le virtù della speranza degli sposi, aprendoli uniti alla vita eterna.

La speranza si inserisce come fine nell’amore sponsale, ne diventa una parte inscindibile.

Gli sposi si amano nel tempo, ma Dio, attraverso la speranza, apre loro gli orizzonti, non limita tutto a pochi anni ma regala l’eternità, l’eternità alla quale la nostra umanità anela, perchè la nostra umanità è stata creata per non morire mai ed è stata scandalizzata dalla morte introdotta dal peccato.

Dio, con la sua misericordia infinita, ci dona la certezza di giungere alle nozze eterne con Lui. Senza questa speranza, nulla ha più senso. La vita matrimoniale senza speranza è come un cielo senza sole e occhi senza vista, come Padre Bardelli spesso diceva.

Anche lo stesso amplesso fisico perde il suo senso più profondo di riattualizzazione di un sacramento ed è, per forza di cose, abbassato a una comunione sensibile incentrata sul piacere più o meno fine a se stesso. Senza speranza spogliamo il rapporto fisico dell’esperienza di Dio. Nell’estasi della carne, il rapporto fisico dovrebbe far sperimentare, seppur in modo limitato dalla nostra natura, il per sempre di Dio, l’abbraccio divino dell’oggi di Dio.

Solo se il nostro sguardo sarà rivolto a Dio e alle nozze eterne con Lui, riusciremo a dare significato al presente e a tutto quello che incontreremo nella nostra vita di coppia di bello e di brutto.

I magi non si sono persi, perchè hanno avuto lo sguardo fisso sulla stella che li ha guidati lungo il cammino verso l’obiettivo che si erano posti: incontrare il Re. Noi sposi siamo come i magi. Solo guardando la stella del nostro matrimonio che è Gesù, potremo giungere da lui, insieme, per abbracciarlo eternamente. Senza stella saremmo come profughi in mezzo al mare, in balia delle onde e delle correnti che ci trascinano avanti ma senza una vera meta e un vero significato.

Gli sposi, anzi, noi sposi dobbiamo recuperare il senso della speranza cristiana, solo così saremo portatori e donatori gioiosi del vero significato della vita al mondo, che in gran parte lo ha perduto.

Antonio e Luisa

Voglio amarlo come lo ami Tu

Gesù è incredibile. Non somiglia a nessuno. Non può che essere Dio. Gesù non ti presenta una serie di regole e una morale da seguire ma ti ama senza limiti in modo gratuito e incondizionato. Quando decidi di unirti in matrimonio non ti impone una serie di vincoli, di regole, di atteggiamenti e azioni da fare o non fare. Lui viene ad abitare in quell’unione e trasforma lo sposo e la sposa non dall’interno di ognuno di essi ma dall’amore che si scambiano vicendevolmente. Gesù abita quell’amore. Il matrimonio è Gesù che si offre e si dona per abilitarci ad amare come Lui ama. Diventa un circolo d’amore che non finisce mai. L’amore dello sposo per la sposa e per Gesù, l’amore della sposa per lo sposo e per Gesù e l’amore di Gesù per lo sposo e la sposa. E’ un triangolo d’amore ma senza gelosia perché amare sempre più Gesù comporta l’amare sempre più l’altro. Gesù non impone regole ma ci chiede di abbandonarci al suo amore, allo Spirito Santo, perché il nostro modo di amare sia il suo. Ed ecco che quando gli sposi si abbandonano alla Grazia decideranno volontariamente di rinunciare a Satana e a tutte le sue proposte. Gli sposi se riusciranno a sperimentare la pienezza di questo amore divino trinitario calato nella loro misera dimora, troveranno la forza e le motivazioni per combattere le insidie e le tentazioni che romperebbero questa armonia meravigliosa. A volta si potrà cadere ma Gesù è paziente e così lo saremo anche noi con il nostro sposo o la nostra sposa sicuri che il perdono sia l’unica strada vincente per entrambi.

Vi lascio con le parole di padre Maurizio Botta che esprimono perfettamente l’amore nel matrimonio:

Indico il crocifisso. “Allora, siete sicuri? Volete amarvi proprio così?”. Questo stesso crocifisso lo ritiro fuori quando la coppia viene a dirmi che c’è la crisi, la difficoltà, io attraverso il crocifisso li riporto a chiedere la grazia del matrimonio, li riporto a quella domanda: ma tu vuoi essere un discepolo di Cristo? Il punto centrale è sempre l’identità di Cristo, e io sono schietto: o Cristo è Dio o Cristo è un matto. Se tu ci credi, e vuoi essere suo discepolo, quando sei in fila per la Comunione, riferendoti al tuo sposo o alla tua sposa devi dire: “Voglio amarlo come lo ami Tu”, quindi significa che credi che quello sia il corpo di Cristo e allora io domando ancora: davvero vuoi amarlo così? Fino a farti mangiare? Questo è il cuore del matrimonio.

Antonio e Luisa

L’Intercomunione delle famiglie

Sono le 23.00, ho appena finito di ascoltare Mirko e Sandra Spezialetti. Mirko e Sandra sono delle persone a noi molto care che tra le altre cose guidano il cammino dell’Intercomunione delle Famiglie. Hanno avuto l’opportunità di testimoniare a Radio Mater la bellezza del sacramento che gli unisce e di come Dio abbia operato miracoli nella loro vita, che non è stata sempre facile ma che ha dovuto attraversare la dolorosa esperienza della malattia di Sandra.

Sono le 23 e non riesco a dormire perchè ascoltare quello che hanno testimoniato mi ha fatto ritrovare in tanto di loro. Forse, anzi sicuramente è questo che ci rende così cari gli uni agli altri, la consapevolezza di percorrere il medesimo cammino, riconoscersi nello sguardo delle altre famiglie e nello stesso tempo rimanere affascinati dalla bellezza che trasmettono.

Raimondo Bardelli, padre Raimondo, padre di tutti noi, ha voluto fortemente che si formasse l’Intercomunione delle famiglie perchè ci conosceva, sapeva le nostre difficoltà e fragilità e ha voluto che non restassimo da soli a percorrere questa strada che è il nostro matrimonio piena di inciampi, di paure, di egoismo e di mondanità. Ecco guardare quello sguardo dei nostri compagni di cordata, ascoltare una loro parola di incoraggiamento, partecipare ai momenti di formazione e spiritualità vissuti insieme e soprattutto grazie ad una  amicizia vera, ha fatto la differenza e questa sera elevo una lode a Dio per averci donato Raimondo ma non solo, ringrazio Dio anche perchè Raimondo ci ha donato gli uni agli altri.

Padre Raimondo prega per noi

Antonio e Luisa

www.intercomunione.it

Dio è l’amore che ci unisce

In questo periodo sto leggendo tanto. Sto rileggendo i libri di Raimondo Bardelli, di don Carlo Rocchetta e sto riscoprendo con più consapevolezza alcuni documenti magisteriali di Giovanni Paolo II. Finalmente mi è chiara una realtà che sperimento ogni giorno nella mia vita matrimoniale. Non sono sposato con la mia sposa o meglio non solo con lei. Il nostro amore esiste, e ci mancherebbe, ma non basta. Con il matrimonio lo Spirito Santo è entrato nella nostra relazione e ne ha fatto molto di più. Ogni volta che io mi apro alla mia sposa, mi apro anche a Dio, che non si fa più trovare nel mio cuore, ma in quello della mia sposa; mentre ogni volta che mi chiudo, che metto al centro l’io invece del noi, perdo tutto, non solo la sintonia con la mia sposa, ma anche l’intimità con Dio. Tante persone si sforzano di fare esperienza di Dio con la preghiera personale, le devozioni, i pellegrinaggi, i gruppi di spiritualità, ma non curano la propria relazione matrimoniale. In questo c’è una dicotomia e schizzofrenia di fondo. Invece che cercare di correggere ciò che non va in famiglia, si cerca di trovare la  pace fuori dalla famiglia, fuori da quella realtà dove Dio ha messo la Sua tenda e dove è venuto ad abitare per sempre. Dio dobbiamo e possiamo trovarlo solo in nostra moglie e nostro marito e solo quando faremo esperienza di Lui in questo modo potremo vivere nel modo giusto anche tutta la nostra relazione personale con Dio. Per me questa consapevolezza è forte e, da quando cerco di vivere quanto scritto, ho migliorato notevolmente anche la mia intimità personale con Dio, dal momento che non sono mai solo con Lui ma la mia sposa è parte fondamentale di quella relazione. In Dio sono io per lei, io con lei e io in lei. Badate bene, però, di non confondere vostra moglie e vostro marito con il vostro dio, con la vostra felicità e la vostra realizzazione. Loro sono il mezzo, sono il prossimo più prossimo che Dio vi ha messo al fianco per amare. Dio non è vostra moglie e vostro marito, ma è l’amore stesso che suscita la relazione con vostro marito e vostra moglie. Così, le persone che vivono la separazione e il divorzio, se non smetteranno di amare, Dio sarà sempre con loro e non perderanno mai il senso della propria vita, ma lo scopriranno ancora più profondamente seppur nella sofferenza.

Antonio e Luisa

Liberi con Dio o schiavi con l’io

Sento spesso dire che tra due sposi e due conviventi non c’è alcuna differenza.  Sento dire che i matrimoni non durano e che è meglio convivere, perché la convivenza basa la sua esistenza sull’amore e non su un obbligo contrattuale come quello matrimoniale. Ma quale amore? L’amore insegnato e vissuto da Gesù oppure l’amore da soap opera dei nostri tempi dove tutto si riduce a sentimento e passione erotica? Tutto nella nostra società sta diventando fluido. Addirittura ciò che siamo è fluido. Vogliono insegnarci che non siamo uomo e donna, ma siamo ciò che ci percepiamo e, quindi, nell’arco dell’esistenza possiamo cambiare più volte il nostro genere, scegliendo tra decine di possibilità. Il sentire è il padrone della nostra vita. Abbiamo cancellato Dio e lo abbiamo sostituito con l’io. L’io più bieco ed egoista che mette al centro della propria vita i desideri, i sentimenti e le pulsioni, e l’altro/a viene preso e lasciato in funzione di questa dinamica perversa.

Diventiamo schiavi e infelici. Non ne paghiamo le conseguenze solo noi, condannandoci a una vita schiava di noi stessi, che non si apre, che non diventa dono e che quindi non ci realizza. Condanniamo i nostri figli a pagare il tributo più alto, perché la nostra felicità viene prima di tutto, anche se con questo feriamo profondamente le persone che più ci amano. La psicologia moderna questo insegna: se noi saremo felici, saremo capaci di rendere felici anche chi ci circonda. Quante bugie che ci raccontiamo e ci raccontano.

Solo rimettendo Dio al centro, tutto cambierà e saremo capaci di non vedere il nostro rapporto di coppia come una realtà che ruota attorno ai nostri bisogni e che è in nostro possesso e che possiamo disfarcene quando non è più utile, ma come una realtà che ci libera da noi stessi, che ci permette di aprirci all’altro e ai suoi bisogni, che non è in nostro possesso, ma, al contrario, che ci permette di donarci totalmente e liberamente alla nostra sposa e al nostro sposo.

Antonio e Luisa

Amare è più che fare.

Il mondo di oggi è strano. Non c’è più tempo per curare le relazioni ma si deve fare, fare sempre e correre, correre tanto per arrivare alla sera stremati e comunque senza aver fatto tutto perchè servirebbero giorni di 36 ore. Noi alla sera prima di coricarci facciamo il breafing per il giorno dopo, cerchiamo di incastrare gli impegni e fare in modo di fare tutto ma non è sempre facile e possibile. Abitiamo in una piccola città e fortunatamente ogni luogo è facilmente raggiungibile, immagino che per chi abita nelle grandi città sia ancora più una mission impossible.

Veramente questo mondo porta gli sposi ad essere soci d’impresa. Non c’è più tempo di parlare di argomenti che non siano direttamente funzionali all’organizzazione familiare, non c’è più tempo di guardarsi negli occhi e di ritrovarsi nell’altro, di aprire il cuore, di condividere le gioie, le paure, le difficoltà della giornata e di trovare pace nell’altro. Dopo anni di matrimonio tante coppie non si trovano più. Una volta che i figli sono grandi e che si resta soli in casa, molti sposi scoprono tristemente di non conoscersi più, di non aver più quell’intimità e affiatamento così indispensabile perchè l’amore non diventi un peso ma sia vita.

Noi abbiamo 4 figli, lavoriamo tutti e due ma cerchiamo sempre di non sottovalutare l’importanza di curare la nostra relazione e quella con Dio.

Ed ecco che ogni momento diventa buono. Cerco di trovare piccoli spazi durante la pausa pranzo per incontrare la mia sposa, solo io e lei come due amanti che però non tradiscono l’amore ma lo custodiscono. Giorni di ferie per ritrovarci io e lei a passeggiare come due fidanzatini. Quando posso l’accompagno al lavoro per trasformare quel tragitto in auto in momenti di dialogo d’amore o di preghiera di coppia. Ogni coppia poi trova la sua strada ma vi scongiuro non sottovalutate questo aspetto. Anche Gesù nel passo del Vangelo dove va ha trovare Maria e Marta riprende Marta. Può sembrare ingiusto sgridare Marta che tanto si da da fare ma intende proprio evidenziare che la relazione d’amore è più importante di ogni cosa che facciamo. Avere la casa in disordine, saltare qualche impegno sono situazioni da evitare ma molto più grave sarebbe perdere per strada quell’amore per cui ci stiamo dando tanto da fare.

Antonio e Luisa

Riconoscersi povero per lasciarsi amare.

Ricevo spesso complimenti per quello che scrivo e testimonio. I complimenti non dovete farli a me ma a Gesù che fa miracoli in quelle anime che si riconoscono bisognose e misere. Io ero una persona povera spiritualmente e fortemente fragile ed egoista.Oggi sto cercando di costruire la mia vita, il mio rapporto di coppia e la mia famiglia sulla roccia della Grazia di Dio. Non è sempre stato così. Sono cresciuto con una fede tiepida e fatta di tanta superstizione, senza aver mai sperimentato l’amore di Dio, la religione era per me solo una dottrina lontana e castrante. Ho cominciato a frequentare compagnie di  sbandati come me, ad andare all’università dando un solo esame in 2 anni. Ho vissuto la mia gioventù fumando canne e ubriacandomi con gli amici per avere meno inibizioni con le ragazze, nutrendomi di pornografia, cercando donne, non per innamorarmi, ma per poter soddisfare tutta quella carica erotica che mi opprimeva. Visto con gli occhi dell’uomo che sono oggi provo tanta pena per quel ragazzo che si svegliava di notte angosciato dal non senso della propria vita. Poi è arrivata quella che sarebbe diventata la mia sposa. Non mi sono innamorato subito di lei perché non ne ero capace ma sono rimasto attratto fin da subito dal suo atteggiamento, dal suo modo di vestire sobrio e dai discorsi che faceva così diversi da quelli a cui ero abituato ma che mi piacevano anche se non li capivo. Era totalmente diversa dalle ragazze che avevo conosciuto fino ad allora ma mi affascinava tantissimo. Alla fine mi sono innamorato, prima  della sua profondità interiore e della dolcezza del suo animo e poi anche del suo corpo, del suo viso e del suo sguardo che non erano sensuali come quelli da cui ero stato sempre attratto ma che  esprimevano tutta la  bellezza della sua persona, la bellezza di una persona con una fede autentica e un cuore puro.  Quell’incontro mi ha salvato, lei è stata capace di darmi forza e motivazioni per cambiare e trovare finalmente la strada verso l’abbraccio di Gesù.

Ho saputo solo in seguito che lei ha sempre pregato per non sprecare la propria vita e per trovare uno sposo con il quale costruire una famiglia. Ha pregato anche per il suo sposo, per me, anche se non mi conosceva ancora. Sono sicuro che quelle preghiere mi hanno consentito di combattere  le mie schiavitù e di riconoscere in lei, colei che Dio da sempre aveva preparato per me, affinché io potessi realizzare la mia vita. Grazie a quell’incontro e alla relazione che ne è nata basata sull’amore, sul rispetto, sulla fiducia e sulla sincerità sono rinato a vita nuova.

Dio fa miracoli nella nostra vita ma dobbiamo riconoscerci poveri e incapaci di fare a meno di lui.

Antonio

Il mio giogo è soave e il mio carico è leggero

Il sacerdote durante la vestizione segue tutto un rito particolare e quando indossa la casula, la veste propria di chi celebra la Santa Messa, dice sempre la stessa formula: “Domine, qui dixisti: Iugum meum suave est, et onus meum leve: fac, ut istud portare sic valeam, quod consequar tuam gratiam. Amen.” (O Signore, che hai detto: Il mio giogo è soave e il mio carico è leggero: fa’ che io possa portare questo indumento sacerdotale in modo da conseguire la tua grazia. Amen).

Ho subito pensato al mio matrimonio, al momento in cui la mia sposa mi ha infilato l’anello al dito. Non avrei trovato parole migliori per suggellare quel momento.

Il sacerdote indossando la casula si prepara tra le altre cose a rinnovare il sacrificio di Cristo sul Calvario. Noi non facciamo la stessa cosa? Indossando quell’anello con il nome della mia sposa inciso all’interno ho promesso di donarle tutto di me stesso. Indossando quell’anello mi sono impegnato a farle dono del mio cuore che non è una metafora sdolcinata ma è un atteggiamento concreto; significa impegnarmi ogni giorno a farmi piccolo per farle posto dentro di me. I suoi bisogni diventano i miei bisogni, i suoi desideri i miei, le sue preoccupazioni le mie e la sua gioia diventa la mia gioia. Padre Bardelli riprendeva spesso le parole della lettera di San Paolo ai Galati : «Io vivo, ma non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me» (GaI. 2,20); ci ripeteva   queste parole dicendo a noi sposi :<<Voi non dovete dire così, ma non sono più io che vivo ma il mio sposo o la mia sposa vive in me; questo significa il sacramento del matrimonio, Cristo vive in voi quando voi vivete nella profonda comunione e donazione dell’uno verso l’altro.>>

Il sacerdote la casula, una volta terminata la Messa, la ripone, noi l’anello lo indosseremo sempre fino al giorno della nostra morte e capiterà che il giogo non sarà soave e leggero ma la Grazia di Dio, se noi avremo fede  e invocheremo la Sua presenza con una vita casta e in comunione con Lui, ci permetterà di poter dire in ogni circostanza della vita :<<O Signore, che hai detto: Il mio gioco è soave e il mio carico è leggero: fa’ che io possa portare questo anello segno di amore e fedeltà in modo da conseguire la tua grazia. Amen>>

E arriviamo ora alla fotografia. L’immagine ripresa da tanti media italiani e stranieri è stata scattata da un ragazzo canadese di 21 anni. Ritrae i genitori entrambi malati gravemente. Nonostante la gravità della loro condizione di salute, si tengono la mano. Rimangono aggrappati a qualcosa che potrebbe svanire da un momento all’altro.

L’uomo è malato di cancro ai polmoni e, dopo una lotta durata 8 anni, dovrà arrendersi dopo poche ore al male che gli ha strappato la vita. Sua moglie, invece, ha subìto un attacco di cuore ed è stata ricoverata d’urgenza in ospedale. Mentre la trasportavano verso il Kingston GeneralHospital ha chiesto espressamente che il suo letto fosse vicino a quello di suo marito, per assisterlo, anche priva di sensi, negli ultimi istanti della sua vita dopo 23 anni di matrimonio. Questo è il matrimonio, questo è vivere per l’altro e permettere all’altro di vivere in noi.

 

Uomo e donna parlano lingue diverse.

Anche oggi parto da una riflessione di don Carlo Rocchetta. Rocchetta scrive:

La differenza tra uomo e donna è nota:

  • nella percezione psico-fisica dell’uomo, un atto sessuale fa star meglio e risolve ogni problema;
  • nella percezione psico-fisica della donna, prima bisogna star bene e risolvere ogni problema, e solo dopo ci sarà posto per l’atto sessuale.

(…..) gli sposi devono incontrarsi a metà strada, rispondendo ai rispettivi bisogni.

Il rischio dell’uomo è di cadere in un minimalismo genitale che riduce la sessualità a sesso e dimentica il contesto di tenerezza entro cui soltanto diviene pienamente espressivo-realizzativo dell’amore nuziale.

Il rischio della donna è di cadere nel massimalismo relazionale, esagerando nelle esigenze di perfezione al punto che, se tutto non è a posto, si chiude in se stessa, senza tener in alcun conto le attese del partner e dimenticando che, a volte, anche l’incontro sessuale può rappresentare una via per ritrovare la pace.

Per l’uomo la sessualità è un punto di partenza; per la donna un punto di arrivo; per il primo, la sessualità è fortemente pulsionale, per la seconda è primariamente relazionale.

Secondo la percezione della donna, l’eros è determinato dall’esigenza che qualcuno si prenda cura di lei e la faccia sentire amabile e amata: più si sentirà desiderata nella sua sfera emozionale, più si dimostrerà recettiva e darà prova di stimare il partner.

Secondo la percezione dell’uomo, al contrario, l’eros è determinato dal sentimento di conquista e dall’esigenza di sentire che la donna lo apprezza, si dedica a lui e gli appartiene.

Il conflitto uomo-donna nasce quando i due non riconoscono o non rispettano questi rispettivi bisogni.

(Teologia del talamo nuziale – Carlo Rocchetta)

Quando ho letto queste righe non ho potuto che riconoscere che don Carlo ha ragione. Anche la nostra relazione in una certa misura rispecchia quanto scritto nel testo. Nella mia vita è stato determinante capire che uomo e donna sono diversi e che se la mia sposa reagiva in un determinato modo non era per farmi soffrire ma era una reazione ad un mio comportamento. Senza un dialogo franco e diretto è inevitabile che nascano conflitti e incomprensioni. Amare significa dire tutto anche le cose che non piacciono, significa anche ascoltare senza offendersi. Solo così si potrà crescere come sposi e come persone.

Il dialogo d’amore porta senza dubbio a venirsi incontro, a non tenersi dentro astio e frustrazione ed evita quei fraintendimenti che provocano tanta sofferenza inutile.Tante separazioni avvengono proprio per l’incancrenirsi di queste dinamiche.

Antonio

 

L’amore felice: questione di matematica.

Don Carlo Rocchetta, nel suo nuovo testo “Teologia del talamo nuziale”, spiega due concetti fondamentali. Vivere un matrimonio felice non è facile e non è scontato. Uno dei fattori fondamentali è l’armonia sessuale. Anche Padre Raimondo ci ammoniva su questo. Gratta gratta, diceva, i problemi sono sempre lì. Don Carlo spiega che, perché l’intimità sessuale sia vissuta bene e sia nutrimento per l’unione degli sposi, serve che abbia una estensione orizzontale verso la tenerezza e un’estensione verticale verso L’agape, cioè verso l’intimità con Dio Trinità, che costituisce il fondamento di ogni matrimonio.

Mi viene in mente il piano cartesiano, dove nell’asse delle ascisse c’è la propensione alla tenerezza e nell’asse delle ordinate c’è la congiunzione tra amore carnale verso il proprio sposo/a e amore spirituale verso Dio.

Perché un matrimonio sia sano, vissuto nella gioa e nella verità, dobbiamo impegnarci affinché la nostra curva dell’amore sia protesa verso il massimo della tenerezza e il massimo dell’intimità con Dio.

Una delle cose che salta all’occhio pensando alla nostra storia personale è che tenerezza e amore verso Dio sono proporzionali. Quando cresce una cresce anche l’altro e viceversa. Alla fine l’amore è tutta questione di chimica, anzi, di matematica, non è vero che dipende dai sentimenti che non controlliamo e a cui siamo sottomessi. Se ci impegniamo a mantenere la nostra curva dell’amore protesa verso la tenerezza dell’uno verso l’altra in ogni situazione della nostra vita insieme e se ci affidiamo alla Grazia di Dio, il risultato sarà sempre positivo e non rischieremo di fallire la missione più importante che Dio ci ha affidato: il nostro matrimonio.

Antonio e Luisa.

Le carezze: linguaggio d’Amore di Dio.

Il matrimonio è il sacramento della tenerezza. Gli sposi imparano l’uno dall’altra ad amarsi con tenerezza. Ho capito una cosa importante. Dio mi ha affidato una missione, mi ha comandato  affinché  io mi impegni ogni giorno per essere epifania del suo amore per la mia sposa.

Più saprò essere tenero con lei, più imparerò ad esserlo (anche questo è un cammino di crescita) e più lei si sentirà amata da me e da Dio.

Di seguito riporto una riflessione di Carlo Rocchetta  che spiega concretamente cosa significhi amare con tenerezza, quale sia il linguaggio della tenerezza:

Per arrivare a questa situazione di sentirsi amati ed apprezzati, esiste il linguaggio delle carezze, la tenerezza è una polifonia di carezze. Dalle carezze deriva un messaggio di riconoscimento prezioso.

Isaia 43, 1-7: tu sei prezioso ai miei occhi, ti stimo e ti amo. La carezza è anche quella verbale, simbolica, non solo gestuale. Quando non ci sono carezze fra gli sposi si crea un senso di solitudine. L’altro o diventa un estraneo o si crea una stato di rivincita o di malessere tale che porta con sé rabbia, collera, tristezza. Lui non mi porta mai un fiore…lei è sempre negativa…. Così facendo si viene a creare un senso di solitudine e l’impressione che tutto sta per finire. La carezza è un riconoscimento che mi rassicura. Tutti abbiamo delle insicurezze. Tra marito e moglie è indispensabile darsi sicurezze. Una carezza in più non fa mai male!! Le carezze possono essere: verbali, gestuali, comportamentali e simboliche.

Le carezze verbali sono l’uso della parola: sei bellissima, sei straordinaria.. uccide più la lingua che la spada… Non si pensa che colpendo l’altro si colpisce se stesso. Le donne si ricordano ogni parola! anche nei momenti di ira o rabbia, facciamo in modo che le parole non siano macigni. Quando i due litigano non si ascoltano più.

Le carezze gestuali sono il tono della voce, lo sguardo, il sorriso, il bacio, l’abbraccio. Bisogna educarsi all’arte delle carezze gestuali. Quasi sempre vanno di pari passo con le carezze verbali. Sono parole non dette ma che a volte sono altrettanto eloquenti. Atti che fanno sentir bene il coniuge.

Le carezze comportamentali sono quelle collaborazioni, quel modo con cui si cerca insieme di mettere a posto la casa, di aiutare i figli. Atti concreti con cui ci si mette in sintonia con l’altro, si collabora con l’altro (il marito a volte arriva dal lavoro e si butta in poltrona).

Le carezze simboliche sono tutti i doni, quei piccoli segni che caratterizzano la vita della coppia. Il matrimonio è caratterizzato da doni: lista delle nozze, lo scambio degli anelli nuziali. Occorre che anche durante il matrimonio ci siano quei doni, quei simboli che facciano sentire bene il coniuge (portare un fiore alla moglie..). Il regalo non ha un valore solo materiale ma simbolico. Si è interessato a me.. Ha cercato quel regalo per me. È importante per gli sposi regalarsi una sorpresa ogni tanto, se no la vita di coppia diventa una monotonia, una routine sempre uguale.

L’unica condizione di questa polifonia di carezze è che siano carezze vere, incondizionate. Il do ut des non è vera carezza. A volte quando il marito vuol fare l’amore diventa tutto carezzevole, tutto moine. La moglie che ha capito il trucco si rifiuta. Se fosse carezzevole sempre sarebbe diverso… Quelle sono carezze condizionate.

Antonio

 

Una spirale d’amore

Il matrimonio è un sacramento che non finisce mai, che si protrae nel tempo, perché gli sposi stessi e la loro unione sono il sacramento. Come nell’Eucarestia finché l’ostia consacrata non si consuma è corpo reale di Cristo così finché entrambi gli sposi sono in vita  la loro unione d’amore è abitata dalla presenza reale di Cristo.

Molti pensano sbagliando che il sacramento inizia e termina in chiesa esprimendo la propria volontà davanti al sacerdote, ai testimoni  e all’assemblea. Non è così. Il sacramento inizia in chiesa ma si perfeziona e ha il suo sigillo nell’intimità del talamo nuziale.

Senza il primo rapporto ecologicamente svolto non c’è matrimonio. Il dono  e l’accoglienza del seme della vita sono necessari perché lo Spirito scenda sugli sposi unendoli in modo tutto nuovo e indissolubile per sempre. Per assurdo chi celebra il matrimonio e per anni ha solo rapporti protetti dal preservativo non si è mai sposato.

Il sacramento si perfeziona con il primo rapporto ma non si esaurisce. Gli sposi saranno per sempre uniti a Cristo e la Grazia di Dio poggerà sul loro amore di uomo e donna mentre il loro amore di uomo e donna si perfezionerà e si riempirà, traboccando dal cuore degli sposi, della Grazia di Dio. Ogni rapporto fisico vissuto nel dono e non nell’egoismo diventa così Pentecoste per gli sposi che si nutrono d’amore e riattualizzazione delle nozze. Ogni atto di tenerezza e d’attenzione prepara all’amplesso fisico che sarà il culmine di una corte continua e l’amplesso fisico riempirà il cuore degli sposi che saranno capaci di tenerezza e attenzioni l’uno verso l’altro  per i giorni seguenti. E’ un circolo d’amore che non si chiude mai perché ogni giro ci troveremo un po’ più in alto nel cammino verso l’abbraccio eterno con Gesù.

Antonio e Luisa.

Dio non sceglie i più capaci

Il vangelo di oggi è stupendo. Gesù che nonostante il fallimento di Pietro, la sua incapacità di seguirlo fino alla fine lo guarda con il suo sguardo tenero e misericordioso e lo incarica di guidare la Sua Chiesa. E’ bellissimo perchè tutti ci identifichiamo con Pietro, con questa incapacità che ci portiamo dentro di aderire completamente a Gesù.

Quanti errori nella mia vita, quante volte che mi sono sentito egoista, chiuso, piccolo e indegno. Quante volte sono stato male con me stesso e non mi sono amato.

Gesù non mi ha mai abbandonato, me ne rendo conto ora e non ha mai smesso di credere in me anche quando io stesso non vedevo nulla di buono.

Mi ha aspettato con pazienza e al momento giusto mi ha fatto incontrare la mia sposa. Mi ha affidato questa Sua preziosa figlia perchè la custodissi e l’aiutassi a tornare a lui con il mio amore. Capire quanto Dio mi amasse, mi sostenesse  e credesse  in me, nonostante me, ha cambiato tutto,  è stata la svolta. Mi ha permesso  di aprirmi alla mia sposa senza vergogna e paura, di diventare accogliente ed amabile, di cercare con tutte le forze di limare i difetti. La fiducia di Dio mi ha dato la forza di essere un buon marito e spero anche un buon padre nonostante mi sentissi inadatto ad essere entrambi. Come dice Paul Valery: Dio non sceglie i più capaci ma rende capaci quelli che sceglie. Dio non sbaglia mai e se mi ha scelto per donarmi una famiglia avrà sicuramente ragione lui; chi sono io per non crederci se lui ci crede?

Antonio

 

La castità è aderire all’amore

Castità matrimoniale. Cosa si nasconde dietro questa definizione? Chi di noi non pensa subito alla cintura di castità oppure al castigo. La castità culturalmente non ci piace, siamo prevenuti e diffidenti verso questa parola che apparentemente sembra vietare, castrare e imprigionare il nostro desiderio per rispettare una morale fredda e frustrante.

Tutto sbagliato, o meglio, tutto corretto per chi si ferma alla superficie. La castità è in realtà tante cose: è libertà, purezza, dono, gioa, attesa, eros, agape, rispetto, apertura, vita e tante altre realtà meravigliose. La castità è aderire all’amore, è aderire a Gesù ed è la sola strada verso la santità a cui tutti siamo chiamati.

Nel matrimonio la castità concretamente è perfezionare l’amore sponsale (anche e soprattutto l’amplesso fisico) , è un distacco dal male e dal peccato e una progressiva crescita verso il bene. Noi abbiamo sperimentato tutto questo nella nostra vita. Quando abbiamo scelto di seguire la legge di Dio radicalmente senza sconti o giustificazioni il nostro amore è cresciuto tantissimo giorno dopo giorno. Non abbiamo smesso di peccare (magari) ma abbiamo cercato in tutti i modi di non farlo.  Il cammino sponsale nella castità ci ha permesso fino ad ora di vivere un amore pieno e stupendo che non stanca ma nutre, che non distrugge ma costruisce e che non cambieremmo con nulla al mondo. Questa consapevolezza e la percezione forte di come la nostra fatica ci permetta di essere molto più felici ci danno la tenacia e la costanza necessarie a perseverare convinti che la strada sia quella giusta.

Padre Raimondo Bardelli ci insegnava che lo stesso gesto può essere la più alta espressione della volgarità  come invece la più alta espressione dell’amore tra due sposi, dipende solo dalla castità del nostro cuore. La via cristiana è difficile ma rende felici, noi possiamo testimoniarlo.

Antonio e Luisa