Non fingete che il sesso non sia importante!

Gigi Engle. Vi dice nulla questo nome? Probabilmente no. Anche a me non diceva nulla di particolare fino a quando non ho letto sul Messaggero un articolo che la citava. E’ una sessuologa statunitense. Una femminista non credente. Gli articoli del suo blog sono stati condivisi da 50 milioni di persone e i suoi post sui social hanno ottenuto 150 milioni di iterazioni. Lei ama definirsi una sex coach e ha pubblicato articoli su riviste popolari come Teen Vogue, Elle, Men’s Health e tante altre. Insomma non so se sia un’autorità nel campo sessuale, ma sicuramente è una celebrità. Perchè ve la cito? Perchè in un suo recente post sui social ha scritto quello che dico sempre anche io.

A essere sinceri, ci sono troppe maledette coppie là fuori che vivono senza sesso. E quando diciamo “senza sesso” intendiamo le relazioni che non includono alcun tipo di sesso, neanche una volta l’anno. Per alcune coppie “poco sesso” significa… mai sesso.

Poi rincara la dose

Il sesso è una parte cruciale della relazione. E’ un ampio ombrello sotto il quale si passa dall’atto vero e proprio fino a un massaggio sensuale. Fingere che il sesso non sia “un grosso problema” è dannoso quando vi trovate in una relazione.

Infine dà anche la soluzione

Il sesso programmato è un’ottima soluzione per le situazioni “senza intimità” in una coppia. Siediti con il tuo partner e avvia una conversazione aperta e onesta su questo argomento. Se non riuscite a farlo in due e avete bisogno di una terza persona, contattate un sessuologo o un terapeuta. Tutti meritano di essere sessualmente soddisfatti in una relazione

La dottoressa Engle ha centrato il problema e ha fornito un’ottima soluzione. Lo ha fatto da professionista laica e lontana dalla fede. Lo ha fatto da persona preparata professionalmente e di buon senso. Noi vi abbiamo dato la stessa risposta, ancora più completa. Perché i cristiani lo fanno meglio! (cit. Costanza Miriano). Non basta programmarlo, bisogna prepararlo bene. Dobbiamo impegnarci a fondo affinché non sia un gesto scollegato dal resto della vita insieme, ma sia il culmine di una corte continua fatta di tenerezza, cura e servizio e dobbiamo riservare il giusto tempo. Non qualcosa di ritagliato prima di crollare stramazzati dalla stanchezza a tarda notte oppure qualcosa di veloce e rubato tra un impegno e l’altro. Va preparato come uno dei gesti più importanti e alti del nostro matrimonio. Nelle nostre priorità deve essere posto in vetta. Ha la stessa importanza della preghiera per noi sposi perchè è preghiera e gesto sacro.

Ecco quello che scrivevo solo alcuni mesi fa:

E’ importante considerare l’incontro intimo come qualcosa di importante. Che posto ha questa dimensione? Ci impegniamo per trovare il tempo necessario e di qualità per questa espressione del nostro amore e della nostra unità? Oppure lo releghiamo ai momenti liberi, che visto la nostra vita folle e pieni di impegni, si riducono alla sera tardi, quando, diciamolo senza giri di parole, la voglia di abbracciare il cuscino è più forte del desiderio di abbracciare l’amato/a. Come può una sessualità vissuta così non andare incontro a sofferenza se non addirittura morire nel nostro rapporto a lungo andare? Se muore l’unione fisica spesso e segno e preludio alla morte dell’unione affettiva e relazionale. Non è cosa da poco. Per questo è importante fare di nostra moglie e nostro marito i nostri amanti. E’ importante trovare il momento giusto per gustare la nostra intimità e crescere in amore e unità. E’ importante prendere dei permessi al lavoro, portare i figli dai nonni qualche volta, lasciarli ad una baby sitter, ritrovarsi alla pausa pranzo. Ogni coppia può trovare il suo modo, ma è importante trovarlo. Non dite che non avete nessun modo di farlo! Trovate tempo per andare a parlare con gli insegnanti, per andare in palestra, per attardarvi sul posto di lavoro. Questo non è meno importante. Forse lo ritenete voi meno importante. Siate sinceri. Almeno con voi stessi. Non è possibile che investiamo su tante cose per la nostra famiglia, ma trascuriamo questa che è una delle più importanti. La soluzione non è difficile, Fatevi amanti l’uno dell’altra e tutto sarà meraviglioso. Non serve cercare fuori del matrimonio quello che è una delle realtà più belle del vostro matrimonio.

Antonio e Luisa

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Ogni marito dovrebbe essere un cavaliere

L’uomo è uomo quando protegge la sua sposa. Un’idea sicuramente che nasce nell’amor cortese della Provenza medioevale. Amore raccontato da trovatori, poeti e cantastorie. Amore che racconta di dame e cavalieri. In realtà non è corretto dire che questo concetto di amore nasce in quel tempo. E’ un amore che non è frutto dell’intelletto di qualche letterato, ma che racconta il desiderio profondo di ogni uomo, il desiderio di essere cavaliere per la propria sposa. Non è questione di stereotipi o di costruzione culturale. Certo la cultura dei vari popoli ha concretizzato in modo diverso questa esigenza naturale dell’uomo. E’ un’inclinazione naturale. Un uomo si sente tale quando riesce a rendere felice la propria sposa. Anche nel nostro mondo contemporaneo secolarizzato questo desiderio costituisce il cuore di ogni uomo. Molti non sanno riconoscerlo e per questo non sono felici. Magari hanno tante relazioni affettive e sessuali, ma non sono felici. Cercano sempre di più perchè cercano male. Cosa significa essere cavalieri oggi? Non ci sono draghi o singolar tenzoni da vincere. Oggi essere cavalieri significa custodire e proteggere il nostro matrimonio. Un cavaliere custodisce il suo matrimonio come ciò che di più prezioso possiede.

Un cavaliere è capace di fare un passo indietro. E’ capace di mettere la sua sposa e la sua relazione davanti a se stesso. Davanti alle sue esigenze. Il cavaliere è pronto a morire per la sua sposa. Morire all’egoismo. Il suo piacere viene dopo il bene della sua sposa. Il cavaliere è capace di rinunciare, se quella rinuncia può portare giovamento, gioia e bene alla sua sposa. Il cavaliere è capace di morire all’orgoglio. Il cavaliere non considera ogni critica come delitto di lesa maestà. Accetta la sua fragilità e imperfezione. Sa che l’orgoglio genera risentimento e incomprensioni. Per questo lo rifugge. Avere ragione (sempre che l’abbia) non è la cosa più importante. Il cavaliere è capace di passare sopra il male ricevuto e sa perdonare.

Il cavaliere sa rompere il vaso di nardo nella sua relazione. Non è avaro. Sa valorizzare la sua dama ogni giorno. E’ rivestito non di armatura, ma di tenerezza. Il cavaliere sa di non poter pretendere amore dalla sua sposa. Sa che l’obbligo non fa parte dell’amore. Per questo desidera sedurre la sua sposa ogni giorno e così, portarla ad avere il suo stesso desiderio che lui nutre per lei. Il cavaliere non vuole mendicare un incontro intimo con la sua sposa, ma vuole condurla a quell’incontro come culmine di una relazione d’amore che non si è mai interrotta. Vuole essere accolto come re e non come mendicante.

Un cavaliere mantiene sempre uno sguardo di meraviglia verso la sua sposa. Per questo non vuole guastare il suo sguardo con la pornografia. La pornografia rende ciechi. Lo diceva già la Chiesa tanti anni fa. Non diceva scemenze. Certo è un’affermazione che va declinata. E’ un’immagine. La pornografia e la sessualità consumata fine a se stessa rendono le persone incapaci di avere uno sguardo puro, limpido. Rendono noi sposi ciechi e incapaci di avere uno sguardo che vada in profondità. Uno sguardo che riesca a contemplare la propria sposa come persona nella sua interezza. Non solo come un corpo, o peggio come un pezzo di carne, ma come una persona che esprime attraverso il corpo una bellezza trasfigurata dalle doti dello spirito e della mente. Un corpo trasfigurato dal cuore.

Tutte le donne, che lo ammettano o meno, desiderano sposare un cavaliere. Solo che di cavalieri ce ne sono pochi. Tutti possono però diventarlo. Per me è stato così. Questo desiderio mi è nato durante il matrimonio con Luisa. E’ stata lei a trasformarmi da ranocchio a principe. Come? Lo spiega bene Costanza Miriano:

L’uomo si innamora quando ha al suo fianco una donna profondamente bella, che non si lamenta e che non cerca di cambiarlo: una donna spiritualmente profonda, che lo faccia innamorare nella più completa libertà, una donna capace di accoglierlo in tutto, che si fida della sua virilità nell’affrontare il mondo. Quello che arriva in cambio è straordinario: dedizione totale e disponibilità al sacrificio da parte dell’uomo.

Auguri dame! Far si che vostro marito si trasformi in un cavaliere dipende anche da voi. E voi mariti impegnatevi a fondo in questo. Ne avrete il centuplo in gioia e bellezza.

Antonio e Luisa

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Sposi sacerdoti. Che ha il tuo diletto di diverso da un altro? (58 capitolo)

Che ha il tuo diletto di diverso da un altro,
o tu, la più bella fra le donne?
Che ha il tuo diletto di diverso da un altro,
perché così ci scongiuri?

La notte dell’anima è finita. Non sono forse finiti i problemi. Non sono forse finite le sofferenze. Sono passate però le tenebre. La Sulamita si è rivestita con un mantello nuovo. Ha finalmente scoperto cosa significa amare. E’ andata oltre le sue miserie e le miserie del suo sposo. E’ andata oltre le piccole e grandi divisioni e lontananze. E’ andata oltre tutto ciò, e si è rivestita dell’abito di Cristo. Naturalmente questa è la nostra lettura alla luce del Vangelo. Una lettura cristiana del Cantico.

Il coro sembra quasi sorpreso. Le persone intorno a lei non capiscono perchè questa giovane donna si ostini. Lui se ne andato. Lui non è diverso dagli altri. Non è perfetto. Anche lui sbaglia. Anche lui è fragile e inadeguato alle volte. Anche lui non capisce. Eppure lei persevera. Lei persevera perchè amare è questo. L’amore sponsale non lascia scelta. L’amore sponsale è andare oltre ogni convenienza. Andare oltre la giustizia del mondo per amare secondo la giustizia di Dio che è non mettere limiti e condizioni. L’amore sponsale è quel luogo dove ci si gioca la nostra vita. Dove impariamo ad amare come Cristo ci ha insegnato e testimoniato. L’amore sponsale è amare Cristo nella persona che ci ha posto accanto. Quando la notte dell’anima serve a comprendere questo allora anche la sofferenza diventa feconda. Allora riusciamo a fare quel salto di qualità nel nostro matrimonio e nella nostra relazione che ci può rendere luce. Allora riusciamo a guardare quella persona con gli occhi di Gesù. Riusciamo a scorgere in lui o in lei quel Gesù che tanto teneramente e concretamente ci ha amato e salvato. E allora l’altro/a non è più soltanto un uomo o soltanto una donna ma diventa l’uomo o la donna che Dio mi ha donato. Diventa l’uomo o la donna attraverso cui posso riamare Dio. Non può più essere come gli altri. Sarà sempre unico nella nostra vita. La Sulamita lo ha capito. Il coro è sorpreso, ma anche ammirato dalla determinazione della sposa. Ammirato perchè sta vedendo in lei il modo di amare di Dio. Lei sta amando il suo Salomone come Dio lo ama. Questa è la nostra vocazione. Questa è la nostra profezia per il mondo.  Questa consapevolezza vedremo nei versetti subito successivi porterà la Sulamita a contemplare la bellezza del suo sposo con occhi di meraviglia come solo chi ama nella verità può fare.

Sentivo la catechesi di suor Fulvia durante l’incontro organizzato da Costanza Miriano a Roma in San Giovanni in laterano. Riprendeva questo concetto. Con altre parole, forse ancora più incisive. Partiva dalla fede che gli sposi portano al dito. L’ha definita in modo molto originale un segno di clausura. Questo per dire che la coppia unita in matrimonio è conclusa. Il nostro cuore nella sua profondità anela ad un amore esclusivo e che duri per sempre. Solo perseverando e amando fedelmente la persona che abbiamo scelto e sposato possiamo dare compimento a quel desiderio che abbiamo dentro. Che non significa che quella persona può bastarci e soddisfarci completamente, ma che attraverso quella persona e quell’amore fedele e incondizionato possiamo giungere ad incontrare chi davvero può riempire il nostro vuoto: Gesù Cristo.

Antonio e Luisa

1 Introduzione 2 Popolo sacerdotale 3 Gesù ci sposa sulla croce 4 Un’offerta d’amore 5 Nasce una piccola chiesa 6 Una meraviglia da ritrovare 7 Amplesso gesto sacerdotale 8 Sacrificio o sacrilegio 9 L’eucarestia nutre il matrimonio 10 Dio è nella coppia11 Materialismo o spiritualismo 12 Amplesso fonte e culmine 13 Armonia tra anima e corpo 15 L’amore sponsale segno di quello divino 16 L’unione intima degli sposi cantata nella Bibbia 17 Un libro da comprendere in profondità 18 I protagonisti del Cantico siamo noi 19 Cantico dei Cantici che è di Salomone 20 Sposi sacerdoti un profumo che ti entra dentro.21 Ricorderemo le tue tenerezze più del vino.22 Bruna sono ma bella 23 Perchè io non sia come una vagabonda 24 Bellissima tra le donne 25 Belle sono le tue guance tra i pendenti 26 Il mio nardo spande il suo profumo 27 L’amato mio è per me un sacchetto di mirra 28 Di cipresso il nostro soffitto 29 Il suo vessillo su di me è amore 30 Sono malata d’amore 31 Siate amabili 32 Siate amabili (seconda parte) 33 I frutti dell’amabilità34 Abbracciami con il tuo sguardo 35 L’amore si nutre nel rispetto. 36 L’inverno è passato 37 Uno sguardo infinito 38 Le piccole volpi che infestano il nostro amore. 39 Il mio diletto è per me. 40 Voglio cercare l’amato del mio cuore 41 Cos’è che sale dal deserto 42 Ecco, la lettiga di Salomone 43 I tuoi seni sono come due cerbiatti 44 Vieni con me dal Libano 45 Un giardino da curare 46 L’eros è un amore tenero 47 La tenerezza è amare come Dio ci ama 48 Mi hai rapito il cuore con un tuo sguardo 49 Fammi sentire la tua voce. Perchè la tua voce è soave 50 Mi baci con i baci della sua bocca 51 Quanti sono soavi le mie carezze sorella mia, sposa 52 Venga il mio diletto nel suo giardino e ne mangi i frutti squisiti 53 Le carezze dell’anima 54 Un rumore! E’ il mio diletto che bussa. 55 Il mio diletto ha messo la mano nello spiraglio  56 Io venni meno per la sua scomparsa 57 Mi han tolto il mantello

Sposi sacerdoti. Venga il mio diletto nel suo giardino e ne mangi i frutti squisiti. (52 articolo)

Lèvati, aquilone, e tu, austro, vieni,
soffia nel mio giardino
si effondano i suoi aromi.
Venga il mio diletto nel suo giardino
e ne mangi i frutti squisiti.

Ecco, alla fine ci siamo, siamo al momento più intenso, che gli sposi del Cantico, come tutti gli sposi della Terra, desiderano fin dall’inizio: l’abbraccio più abbraccio, l’abbraccio più completo, l’amplesso d’amore tra l’uomo e la donna, i quali per qualche minuto non sono solo un unico cuore ma anche un’unica carne, perché non c’è confine tra lui e lei, ma si è un noi anche nella geografia del corpo. Ma che  differenza di qualità e d’amore ci può essere in uno stesso gesto! L’amplesso può essere il segno tangibile più evidente della comunione tra gli sposi oppure il gesto più egoista e falso che possiamo vivere e far vivere alla persona che diciamo di amare. Se l’amplesso è il gesto culmine di un’esistenza fatta di tenerezza che non è una parola astratta, ma è molto concreta, è fatta di baci, carezze,  abbracci, parole dette e come sono dette, cura e attenzione, allora, e solo allora, tutto acquista un senso. Per l’uomo i preliminari diverranno un proseguire quell’insieme di attenzioni per l’amata, e non una scocciatura da fare per ottenere ciò che vuole. E per la donna non sarà più così difficile abbandonarsi alle attenzioni dello sposo. Dopo essere stata al centro delle attenzioni e dell’amore del marito, per lei sarà naturale donarsi fino in fondo. Vi rendete conto della differenza che c’è tra vivere la tenerezza e non viverla? Costanza Miriano, in un’intervista, asserisce che la maggior parte dei matrimoni arrivano dopo pochi anni al “deserto sessuale”. I rapporti diventano quasi nulli. Le statistiche sono impietose e le danno ragione. Cosa succede? Gli sposi non si amano più? E’ tutto molto più semplice. Non si è curata adeguatamente la relazione e la tenerezza che diventa bellezza nell’unione anche fisica. Gli sposi hanno vissuto i rapporti in maniera distonica: uomini dolci solo quando vogliono ottenere qualcosa e donne sempre meno disponibili a concederla, perchè non si sentono amate e rispettate, e quella dolcezza a singhiozzo del marito appare falsa e ipocrita.

Voglio concludere con un’immagine molto significativa. Don Carlo Rocchetta dice, con molta saggezza e conoscenza della nostra umanità, che uomo e donna sono sfasati. L’uomo ha bisogno dell’incontro sessuale per trovare il desiderio di essere tenero con la propria sposa, mentre la sposa, al contrario, ha bisogno di tenerezza e attenzione prima per avere il desiderio dell’incontro sessuale con il marito. Secondo don Carlo, difficile è iniziare, poi, si trasforma tutto in un circolo dell’amore, dove l’incontro sessuale diventa punto di partenza per l’uomo, che i giorni seguenti colmerà di attenzioni la propria sposa, e punto di arrivo per la donna che, essendo stata amata dal marito, si sentirà predisposta all’amplesso.

Antonio e Luisa

TENEREZZA

1 Introduzione 2 Popolo sacerdotale 3 Gesù ci sposa sulla croce 4 Un’offerta d’amore 5 Nasce una piccola chiesa 6 Una meraviglia da ritrovare 7 Amplesso gesto sacerdotale 8 Sacrificio o sacrilegio 9 L’eucarestia nutre il matrimonio 10 Dio è nella coppia11 Materialismo o spiritualismo 12 Amplesso fonte e culmine 13 Armonia tra anima e corpo 15 L’amore sponsale segno di quello divino 16 L’unione intima degli sposi cantata nella Bibbia 17 Un libro da comprendere in profondità 18 I protagonisti del Cantico siamo noi 19 Cantico dei Cantici che è di Salomone 20 Sposi sacerdoti un profumo che ti entra dentro.21 Ricorderemo le tue tenerezze più del vino.22 Bruna sono ma bella 23 Perchè io non sia come una vagabonda 24 Bellissima tra le donne 25 Belle sono le tue guance tra i pendenti 26 Il mio nardo spande il suo profumo 27 L’amato mio è per me un sacchetto di mirra 28 Di cipresso il nostro soffitto 29 Il suo vessillo su di me è amore 30 Sono malata d’amore 31 Siate amabili 32 Siate amabili (seconda parte) 33 I frutti dell’amabilità34 Abbracciami con il tuo sguardo 35 L’amore si nutre nel rispetto. 36 L’inverno è passato 37 Uno sguardo infinito 38 Le piccole volpi che infestano il nostro amore. 39 Il mio diletto è per me. 40 Voglio cercare l’amato del mio cuore 41 Cos’è che sale dal deserto 42 Ecco, la lettiga di Salomone 43 I tuoi seni sono come due cerbiatti 44 Vieni con me dal Libano 45 Un giardino da curare 46 L’eros è un amore tenero 47 La tenerezza è amare come Dio ci ama 48 Mi hai rapito il cuore con un tuo sguardo 49 Fammi sentire la tua voce. Perchè la tua voce è soave 50 Mi baci con i baci della sua bocca 51 Quanti sono soavi le mie carezze sorella mia, sposa

Guardatevi intorno: non vedete che siamo pieni di santi?

Ieri sera sulle frequenze di Radio Maria ho iniziato la seconda puntata di Padri Nostri dedicata alla Didaché1 ringraziando gli amici Stefano, Celestino e Cinzia, questi ultimi con la loro piccola Gemma, di essere venuti a pranzo a casa nostra:

Ἐκζητήσεις δὲ καθ’ἡμέραν τὰ πρόσωπα τῶν ἁγίων, ἵνα ἐπαναπαῇς τοῖς λόγοις αὐτῶν.
Ricercherai ogni giorno la presenza dei santi, per trovare sostegno nelle loro parole.

Così recita l’antichissimo2 documento (4,2). Notare che laddove in italiano leggiamo “la presenza dei santi” in greco abbiamo “τὰ πρόσωπα τῶν ἁγίων”, i volti, le presenze fisiche: insomma va bene avere la propria bella bibliotechina di agiografie (anzi è cosa molto buona), ma di certo non può bastare.

E mi dicevo, mentre parlavo in radio, che dopotutto se pensassimo di non conoscere dei santi – gente la cui vita è risorta con Cristo – dovremmo porci qualche domanda seria: nella migliore delle ipotesi, quello potrebbe essere il sintomo di una vita di fede flaccida; nella peggiore, dovremmo aggiungere l’aggravante di pensare, magari inconsciamente, che Dio “stia perdendo” la sua sfida contro la cattiva inclinazione delle nostre libertà ferite.

Giovanni Paolo II: magistero della vita, dell’amore e del dolore

In verità mi guardo intorno e mi ritrovo pieno di santi, di persone diversissime e tutte stimolanti, ciascuna a modo suo, nell’aiutarmi ogni giorno a rimettere i puntini sulle i, a raddrizzare la rotta e richiamare le priorità – quelle vere.

Oggi è San Giovanni Paolo II3, e prima che finisca la giornata devo dire grazie a due amicizie dalle cui parole mi ritrovo molto sostenuto.

La prima di queste due amicizie è quella di Antonio e Luisa De Rosa, che proprio oggi hanno voluto mandare nelle librerie il loro L’ecologia dell’amore. Intimità e spiritualità di coppia. Di questo libro, frutto maturo e al contempo rielaborazione originale della Teologia del Corpo di San Giovanni Paolo II, Costanza Miriano (altra persona della cui amicizia mi onoro) ha potuto scrivere:

Di libri sul matrimonio ne ho divorati davvero tanti, troppi forse, e sinceramente non avevo una gran voglia di rileggere ancora una volta le stesse cose. Ho accettato di farlo solo perché me lo ha chiesto la mia amica Elisabetta, e mi sono fidata di lei.

Beh, ho fatto proprio bene. Questo è un libro diverso da tutti gli altri. Innanzitutto non lascia intendere le cose, le dice proprio chiaramente. Nero su bianco. Parla di sesso secondo gli insegnamenti della Chiesa, secondo il disegno di Dio, ma lo fa senza moralismo, senza veli, con il coraggio e la sfrontatezza che viene dalla certezza di parlare conoscendo le cose di Dio. Dove lo trovate un altro libro che a distanza di poche righe parla di misure del pene e sacramento, di frequenza dei rapporti sessuali (un giorno sì, due no, mi raccomando) e Spirito Santo, di sesso orale (anche sì ma con delle regole), anale (sempre no), pornografia (semprissimo no), di desiderio maschile e femminile, di preliminari e santità della coppia? Di amplesso come vertice del corteggiamento e dell’unione anche spirituale? Ma senza lasciar intendere nulla, dicendolo proprio apertamente, raccontando di sveglie puntate per fare l’amore, di appuntamenti tra marito e moglie, di giorni di ferie e permessi dal lavoro per dedicarsi tempo e attenzioni e custodire l’intimità; parlando di contraccezione e metodi naturali, del desiderio femminile che ha bisogno di essere alimentato con l’attenzione, e dello sguardo accogliente e pieno di stima che l’uomo desidera su di sé. Dando giudizi chiari e precisi su ciò che fa bene al desiderio della coppia, e ciò che invece lo danneggia.

Ovviamente non è un manuale di regole, perché siamo così diversi, tutti come singoli, e due diversità insieme, poi, ancora di più: però dà dei consigli pratici, ragionevoli, ecologici, nel senso dell’ecologia dell’uomo cui faceva riferimento Benedetto XVI.

D’altra parte i rapporti sessuali sono ciò che più di tutto il resto distingue il matrimonio dalle altre forme di relazione, dagli altri affetti, anche profondissimi. Non è possibile che Dio non c’entri con il sesso. E se è Dio a volere per gli sposi questa espressione dell’amore reciproco, è bellissimo imparare a viverlo in unione a lui. È difficile ma non impossibile, con un po’ di impegno. Antonio e Luisa con grande generosità ci aprono le porte della camera da letto, senza atteggiarsi a quelli che sanno come si fa, ma proponendo un cammino possibile, per coppie vere, in carne ed ossa. Cose che non si raccontano mai, per pudore, perché si teme di essere imperfetti, perché certe cose non si dicono, perché pensiamo che le nostre difficoltà siano troppe mentre agli altri va tutto liscio, oppure perché, come credo succeda a una grande parte delle coppie, non si fa un lavoro (è la parola che usa Papa Francesco quando parla di amore) sulla propria intimità, e si lascia che le cose vadano da sé, dimenticando che, affinché una coppia regga negli anni, c’è un investimento da fare. L’uomo e la donna non sono solo padre e madre – il rischio di dimenticarlo lo corriamo tutti – sono prima di tutto coppia, e amano Dio sempre uno attraverso il volto dell’altro. Fare l’amore, dunque, è anche un gesto profondamente religioso, se fatto con il cuore diretto a Dio, e questo libro lo ricorda con toni audaci e spiazzanti.

E tutti potete immaginare che Costanza non scriva cose del genere a casaccio. Il problema – lo accennavo già all’inizio dell’estate sfiorando l’argomento “teologia del corpo” al ritiro annuale delle Cooperatrici Oblate Apostoliche del Movimento Pro Sanctitate – è che quando si parla di “codesta teologia”4 la si presenta come qualcosa di idealizzato e di praticamente non-vivibile. È quanto a modo suo aveva riscontrato pure Thérèse Hargot, nel suo laicissimo consultorio:

per la maggior parte i cattolici ricevono anzitutto una base di morale sessuale; poi si aggiunge una teologia della sessualità; il tutto senza sapere che cosa sia la sessualità. Voglio dire che non c’è una conoscenza adeguata del fenomeno sessuale: come si manifestano le dimensioni emozionale, affettiva e psicologica. Si passa direttamente alla dimensione morale e a quella teologica. Sono cose estremamente interessanti, la morale e la teologia, ma l’insegnamento va in cortocircuito sulla conoscenza fisica ed emozionale. Intendo dire che c’è una generazione di giovani – quella di cui parlo nel mio libro – che coinvolge naturalmente anche numerosi cattolici: venuti su al latte della pornografia come gli altri, crescono e ricevono un insegnamento che è molto molto bello e non hanno modo di viverlo. Entrano rapidamente in un’idea di ciò che la sessualità dovrebbe essere: la comunione degli sposi, la Trinità, la liturgia dei corpi… tutte idee che trovo molto affascinanti e belle… solo che poi ad esse non corrisponde la loro esperienza. E diventano frustrati: «Cavolo, la mia vita sessuale decisamente non è così… il sesso con mio marito non assomiglia proprio a questa roba…». E giù a deprimersi in un circolo vizioso, che si nutre del fatto che si ha scarsa o nulla conoscenza delle dinamiche personali della sessualità: perché abbiamo dei fantasmi, come funzionano le pulsioni sessuali; e quindi la masturbazione, il piacere…

Il problema, in buona sostanza, è che si tende a parlare dell’intimità coniugale più descrivendo l’obiettivo ideale della proposta cristiana che considerando la strada per cui quell’obiettivo si fa piuttosto una meta– quindi una cosa sì lontana ma assolutamente raggiungibile. L’effetto collaterale si amplifica notevolmente quando a descrivere quell’obiettivo sono persone che, in virtù del loro stato di vita, non vivono alcuna intimità coniugale. Il risultato di quest’impostazione è che le difficoltà (talvolta lancinanti) di cui molti uomini e donne fanno esperienza vengono avvertite più come minacce alla consistenza del sistema che come ovvî punti di partenza per imprevedibili e gustosi cammini di santificazione. Devastante corollario del risultato è poi che la concordanza tra i due poli, ormai sciaguratamente caratterizzati come “ideale” e “reale”5, porta gli agenti di cui sopra – ossia i Pastori (alcuni soltanto, grazie a Dio) – a inquadrare i “casi reali” difficoltosi come altrettante “eccezioni” alla “norma ideale”… e a normalizzare gli stessi con altrettante deroghe.

Due sposi che scrivono di intimità in modo sexy e mistico

E sarebbe ben strano il contrario, cioè che chi non conosca i termini di un problema (se non in teoria – ma il sesso e la santità sono cose eminentemente pratiche) sappia poi offrire le soluzioni giuste. Ecco, Antonio e Luisa si propongono come una coppia esperta che si trova nel bel mezzo della propria avventura: quattro figli (più uno già in cielo), un fidanzamento normalmente bacato da svariati assortimenti di idee sbagliate e poi la proposta della Chiesa, giunta per loro dall’opera missionaria di Padre Raimondo Bardelli e dal sostegno della rete di famiglie fiorita attorno a quell’opera. Quindi un cammino pieno di problemi chiaramente individuati, risolutamente affrontati, gioiosamente superati e – oggi – fraternamente condivisi.

Questo è forse ciò che manca in tutti (o quasi) i corsi prematrimoniali parrocchiali: non si parla affatto di intimità coniugale, di “intimità ecologica”, e quando il buon vecchio parroco si cimenta nell’argomento tante volte fa (incolpevolmente) rimpiangere il silenzio. Non basta vivere l’intimità coniugale, per saperne indicare le vie (e le insidie), però forse è più che opportuno – è quasi necessario – che chi ne parla ad altri sia introdotto in prima persona a quei meandri. E poi ci vuole schiettezza, ma anche prudenza, verità ma anche pudore, una parola senza complessi quando si parla di godimento sessuale e che non si riduca ad appicciare sulla trita foia qualche bollino spiritualizzante: occorre che il supporto sia una solida e comprensiva antropologia integrale, quella che può sostenere l’ambizioso progetto di un’ecologia integrale. Dunque anche dell’intimità coniugale. Antonio e Luisa hanno forse colmato un vuoto:

È importante che il nostro amore cresca e che sia vissuto in un contesto di corte continua. L’ho già accennata e la riprenderemo. Corte significa collocare l’intimità sessuale in uno stile di vita fondato sull’amore reciproco visibilmente manifestato. Continui gesti di tenerezza, di servizio, e di cura l’uno per l’altra durante tutto l’arco della giornata. Basta poco, una carezza, una parola dolce, uno sguardo, una telefonata e cose così. In passato non lo praticavo con costanza e la mia sposa ne soffriva. Si capiva però benissimo quando c’era in programma, da parte mia, il desiderio di riattualizzare il sacramento; bastava osservare il mio comportamento. Diventavo servizievole e tenero. Questo la faceva sentire usata. I miei, infatti, non erano gesti sinceri, ma finalizzati ad ottenere la mia soddisfazione. Ho dovuto impegnarmi ed educarmi per migliorare questa mia insensibilità. Togliamoci allora quell’idea del mondo che ci fa credere che l’intimità sessuale sia bella all’inizio del rapporto e poi diventa qualcosa di sterile e di abitudinario. Non è così. La bellezza dell’intimità è data dalla qualità della nostra unione e più | saremo uniti più sarà fonte di gioia. La novità non è data dal gesto, ma dall’amore che lo caratterizza e che gli dona significato e potenza. È tutta un’altra cosa avere la consapevolezza di non star semplicemente a fare l’amore, ma che stiamo riattualizzando un sacramento, stiamo celebrando il nostro amore! È qualcosa di grande.

Antonio & Luisa De Rosa, L’ecologia dell’amore, 87-88

L’altro amico il suo libro me l’ha dato solo ieri (però me l’ha portato di persona venendo a pranzo…), ma la bella giornata odierna esige che gli dedichi almeno qualche parola: si tratta di un libro che Stefano Giordani ha scritto soprattutto per sé stesso, per coltivare il memoriale della grazia di una moglie come Simonetta, partita per il cielo non molti mesi fa con una serenità e una letizia che a tutti noi hanno impedito di chiamare “funerale” l’estremo arrivederci che demmo alle sue spoglie.

Due sposi a cui sono date un’intimità e una fecondità misteriose

Anche se non si propone di vendere e di farsi conoscere (non ha neppure un editore) questo libro condivide diverse cose importanti con quello: è il libro di una coppia anche questo, descrive anche questo le meraviglie operate da Dio all’interno di un matrimonio, scolpendo due cuori col martello dell’amore sull’incudine della castità. È un matrimonio senza figli, questo, ma non meno fecondo dell’altro, che di figli ne annovera cinque.

Io Simonetta la conobbi anni fa: me la presentò Claudio dicendomi che una sua amica disegnatrice avrebbe volentieri regalato a La Croce quotidiano la sua arte ideando una striscia di fumetti apposta, con dei personaggi straordinari sbalzati finemente dai fogli di stagno di una famiglia normalissima. Avevano dei superpoteri, sì, ma erano dei semplici nonni; e pure il Papa lo dice sempre, che i nonni hanno dei poteri davvero super.

Era perfezionista, sul lavoro e non solo: discutemmo minuziosamente dei personaggi, dei volti, dei caratteri… ma quelle strisce restarono sempre embrionali, Simonetta riteneva di doverli elaborare ancora. Non per questo smettemmo di scriverci: mi si rivolgeva di tanto in tanto con degli articoli di cui poi parlavamo. Aveva seguito con attaccamento viscerale le vicende di Charlie Gard e di Alfie Evans, giungendo quasi a imparare l’inglese apposta per leggere notizie su questi bambini: nella cultura dello scarto che giudicava queste creature Simonetta si proiettava – non solo per il cancro che la divorava, ma per le tante esperienze che le sapevano di fallimento – ed era la comune umanità profanata in quegli innocenti ciò per cui lei offriva le sofferenze del suo calvario.

Mano a mano che moriva pensava sempre più esclusivamente a prepararsi, a “mettere a posto” le cose, parlando con quelli a cui riteneva di dover dire qualcosa… e a pregare che la sua morte non scandalizzasse i piccoli nella fede, a cominciare da alcuni famigliari. Lì al “funerale” apprendemmo che tra le ultime parole al marito ci fu il severo e dolce monito: «Mi raccomando, tu: resta sempre aperto alla volontà di Dio». Quanti l’abbiamo sentita passare nelle nostre vite, o anche solo di fianco, giureremmo di aver inteso qualcosa di simile a quel fruscio straordinario che Chiara Corbella ha diffuso attorno a sé.

E così anche con i santi che frequentiamo siamo tentati di giudicarli dal loro ultimo stadio, dal momento in cui si preparavano a entrare al banchetto del Re – se abbiamo avuto il duro privilegio di accompagnarli alla soglia – mentre ciò che ce li rende dolci e cari è proprio l’averli avuti per compagni di strada, aver visto la loro fatica così simile alla nostra. Apro una pagina a caso, verso la metà del libro, e trovo Stefano che riporta una pagina del diario di Simonetta, vergata nel periodo in cui giravano per medici cercando di capire se i figli non arrivassero loro per una sterilità fisica.

Giornata inconcludente come mi sembra la mia vita. Non c’è nulla che riesca a portare a termine. Mi chiedo perché… se sia una mia incapacità o un volere di Dio per dirmi qualcosa. L’operazione è saltata, ora non so che fare. Avere un bambino è sempre di più una chimera, sento il mio corpo e la mia vita sempre meno capaci e adatti. Sono piena di problemi di salute. Non riesco a guadagnare niente di che, tra il poco lavoro e il poco tempo. Non riesco ad aiutare i miei come vorrei. Abbiamo problemi di salute che minano | anche il nostro insieme. In comunità è molto faticoso perché siamo i responsabili e abbiamo fratelli difficili. Mi sembra che tutto giri al contrario.

So che la croce ha un senso, ma non capisco quale. Il Signore ci sostiene, perché in tutte queste cose sarebbe impossibile passare un’ora in piedi. Ma mi rimane questa sensazione di “troppo” dolore e fatica e inconcludente. Sembra che ogni mossa sia vana.

Dio non sta costruendo la mia casa, o la sta costruendo proprio attraverso queste continue delusioni? Per questa operazione abbiamo pregato, abbiamo digiunato, abbiamo mangiato la Parola. Parlaci, Signore, aiutaci. Ci sentiamo stanchissimi, e io spesso di desideri continuamente frustrati e di energie sprecate.

Apristi la Bibbia e il Signore ti rispose così:

Popolo mio, che cosa ti ho fatto? In che cosa ti ho stancato? Rispondimi. Forse perché ti ho fatto uscire dall’Egitto, ti ho riscattato dalla casa di schiavitù e ho mandato avanti a te Mosè, Aronne e Maria? Popolo mio, ricorda le trame di Balàk, re di Moab, e quello che gli rispose Bàlaam, figlio di Beor. Ricordati di quello che è avvenuto a Sittìm a Gàlgala, per riconoscere i benefici del Signore2.

Il Signore ti stava ricordando ciò che aveva compiuto, e che le circostanze che inizialmente sembravano contrarie, poi si erano rivelate un intervento di salvezza.

Stefano & Simonetta Giordani, Una Persona intorno, 126-127

Ai “funerali” non ero riuscito ad avanzare oltre la penultima panca, nella pur vasta chiesa, tanto l’edificio traboccava della fecondità di Simonetta: ovunque mi girassi c’erano fratelli, sorelle, figli e figlie di quella ragazza che riteneva di avere poco lavoro e mi aveva offerto disegni gratis per contribuire a sensibilizzare le persone sul ruolo e sulla dignità dei membri più fragili delle nostre famiglie e della nostra società.

Per accompagnarla al “lancio verso il Cielo” Stefano aveva tirato fuori il vestito da sposo: nel salutarlo mi sciolsi in singhiozzi e quasi fu lui a consolarmi, sostenuto da una pace della quale egli stesso aveva riso con disprezzo nella sua vita precedente.

Allora si diceva tra i popoli: «Il Signore
ha fatto grandi cose per loro!».
Grandi cose ha fatto il Signore per noi,
ci ha colmati di gioia.

Sal 125,2-3

E appena rientrato in macchina chiamai mia moglie, che non era potuta venire, per dirle che s’era persa qualcosa di veramente straordinario.

Ecco le parole in cui troviamo sostegno, parole che sono fatti ed esistenza, Spirito e Vita. Ecco i segni della perpetua giovinezza e santità della Chiesa, l’assicurazione più tangibile dell’opera di Cristo nel mondo.

Giovanni Marcotullio

Articolo originale qui

Tommaso è esattamente come noi.

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù.
Gli dissero allora gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!».
Poi disse a Tommaso: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!».
Rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!».
Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!».
Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro.
Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Tommaso era detto Didimo, gemello nella nostra lingua. Gemello di chi? Tutti noi siamo gemelli di Tommaso perchè ci comportiamo esattamente come lui. Tommaso non credeva quindi nella resurrezione? No, non è così. Tommaso credeva nella resurrezione, c’erano passi della scrittura che la preannunciavano, c’era una parte del popolo ebraico che la aspettava, aveva visto con i suoi occhi la resurrezione di Lazzaro. Cosa allora gli impedisce di credere? Ha visto il crocifisso. Sa che Gesù è stato picchiato, deriso, offeso, vilipeso, coronato di spine. Sa che ha dovuto salire verso il Calvario, che è stato inchiodato ad una croce e che è morto. Non riesce a credere che da un male così grande si possa risorgere. Tommaso è esattamente come noi. Noi che non riusciamo a credere in Dio perchè nel mondo c’è il male, ci sono le guerre, i terremoti. Ci sono i bambini che si ammalano e muoiono. Noi vediamo tutto questo e non crediamo, perchè non è possibile che Dio sia presente dentro la nostra vita. Invece Gesù dice: “beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”. Spesso anche nel nostro matrimonio non riusciamo a vedere la presenza di Cristo. Eppure lui c’è. C’è da quel momento che abbiamo pronunciato il nostro sì con la bocca e lo abbiamo confermato con il corpo nel primo rapporto fisico. Poi il tempo passa, iniziano i problemi, i litigi, le incomprensioni. La relazione sembra tutto fuorché santa. Eppure Gesù è sempre lì, fedele. La nostra infedeltà non corrompe la sua. Il suo amore e la sua grazia sono sempre a nostra disposizione. Tanti non ci credono più e mollano. Cercano nuove strade. Invece, senza giudicare chi non riesce, beate quelle donne e beati quegli uomini che credono anche se non vedono Dio nella loro storia, nel loro matrimonio. Beate quelle donne e quegli uomini che, anche se sono stati abbandonati e vedono la persona che ha promesso loro di amarli per sempre insieme ad un’altra persona, continuano ad abbandonarsi a Dio, perchè sanno che Lui c’è anche se non lo vedono. Beate quelle donne e quegli uomini perchè non hanno bisogno di vedere per credere, hanno dentro una promessa di Dio che custodiscono e che li conduce verso la verità e l’incontro con Gesù  che salva è da senso ad ogni cosa, anche quello che adesso non si può comprendere.

Ho una seconda riflessione. Non so poi se sia comune. Per me è così. Dopo l’arresto e la morte di Gesù gli uomini sono impauriti. Pietro rinnega, gli altri si nascondono. Si chiudono nel cenacolo pieni di paura. Troviamo solo Giovanni resta sotto la croce.  Chi non ha un momento di dubbio, chi, seppur nel dolore e nella sofferenza, resta sotto la croce sono invece le donne. Chi si reca al sepolcro mentre gli apostoli sono nascosti sono sempre le donne. Solo dopo, alla notizia della tomba vuota, Giovanni e Pietro corrono a vedere. La donna ha una forza e una fede che l’uomo spesso fatica a raggiungere. Quando la vita diventa difficile dietro un uomo che non molla c’è spesso una donna che lo sostiene. Non c’è nulla che mi dà più forza della consapevolezza di avere la mia sposa al fianco. La fede di mia moglie è per me forza, la fiducia della mia sposa è per me sostegno. L’abbandono a Cristo in ogni situazione è per me esempio e fonte di meraviglia e stupore. Sono grato a Dio per la mia sposa.  Mi lascia senza parole pensare che una creatura come lei, più forte di me, perchè chi ha più fede ha anche più forza, si consegni e si affidi alla mia cura. Questo suo dono fiducioso mi dà una carica grandissima per tirare fuori il massimo e per cercare di essere degno del suo dono.

Costanza Miriano spiega benissimo questa mia profonda gratitudine verso la mia sposa scrivendo:

L’uomo si innamora quando ha al suo fianco una donna profondamente bella, che non si lamenta, , che non cerca di cambiarlo; una donna spiritualmente profonda, che lo faccia innamorare in piena libertà, una donna capace di accoglierlo in tutto, che si fida della sua virilità nell’affrontare il mondo. Quello che arriva in cambio è straordinario: dedizione totale e disponibilità al sacrificio da parte dell’uomo.

Antonio e Luisa.