Amore o non amore!?…Grazie!

Ah l’amore! Domani è San Valentino!

Il giorno degli innamorati, il giorno in cui si celebra l’amore. Il giorno in cui un mazzo di rose o una cena fuori o un cioccolatino lo si riceve o lo si regala. Il giorno in cui un’attenzione in più tra le mura domestiche ti raggiunge, il giorno in cui anche solo con un abbraccio o un bacio provi ad amare e ti lasci amare.

Grazie! Perché anche se è una festa dettata un po’ dal consumismo, san Valentino celebra l’amore!

Grazie perché una volta all’anno sul calendario troviamo segnato un cuore che ci ricorda di amare.

Ora svoltiamo: se lo guardiamo dall’altro lato della medaglia, dal lato, credo, della maggioranza delle persone, san Valentino è una festa tutt’altro che bella. Chi perché l’amore fatica a incontrarlo e si ritrova a vivere il giorno degli innamorati, volendo amare, ma senza avere una persona accanto da amare. Chi con l’amore si è ferito e non ci crede più, e non si mette in gioco più, e non gli apre più la porta del cuore. Chi “con l’amore ha già dato”: con una storia lunga, un matrimonio, una convivenza e ora vive con l’indifferenza all’amore, come se si potesse vivere senza amore.

Eh già! L’amore, è la cosa più bella di tutte, eppure anch’esso ci mette in disaccordo, ci fa schierare fra gli amanti e i non amanti. Fra i pro amore e i non amore.

Eh già! L’amore, il sentimento più forte che fa smuovere le montagne, che ti rialza dalla morte, che ti trasforma e ti rende folle nel periodo dell’innamoramento, che ti chiama a donare tutto di te, che ti chiama a generare vita, è anche quello che se non lo si sa usare ti butta nella fossa.

Quante coppie spaccate, quanti divorzi, quante convivenze che dopo saltano, quanti matrimoni che magari dopo molti anni finiscono. È questo il risultato dell’amore?

No! Come può succedere? Come si può cambiare schieramento? Come si può passare dal vedere il bello del vivere l’amore, al vivere la rassegnazione o l’odio o l’indifferenza?

Tutto quel che si rompe non ha origine nell’amore! Perché l’amore è vita, è dono.

Il problema è che bisogna ogni giorno interrogarsi e cercare la bellezza dell’amore!

Stolto chi pensa di saper amare, di saper cos’è l’amore. Perché l’amore è qualcosa di infinito più grande di noi, pertanto irraggiungibile, ma che dobbiamo provare a vivere con tutte le nostre forze.

Oggi è la vigilia di san Valentino, la vigilia del giorno di chi è innamorato, di chi si ama, eppure non troviamo facilmente chi ci spiega come vivere l’amore! L’amore quello vero, quello per sempre, quello che si fa spreco e dono gratuito. L’amore che si lascia lavare i piedi, servire e che ti cambia il cuore.

Che poi, come diceva un frate amico, l’amore o è vero o non lo si può chiamare amore. Lo chiameremo vogliamoci bene, vogliamoci tanto tantissimo bene, ma non amore.

Oggi vogliamo incoraggiarci tutti a risvegliare l’appetito dell’amore! Tutti! Chi si è da poco innamorato, chi è sposato da cinque, dieci o quarant’anni di matrimonio, chi è stato appena lasciato, chi lo cerca senza trovarlo, chi continua sempre a fallire. Tutti!

Diceva Chiara Corbella: “L’Amore è il centro della nostra vita, perché nasciamo da un atto d’amore, viviamo per amare e per essere amati, e moriamo per conoscere l’amore vero di Dio”.

Quante volte ripetiamo questa frase! Quanto ci piace!

L’amore è il centro della nostra vita! Non possiamo stare senza! Coraggio! Senza amore non si può vivere!

Perché il contrario dell’amore è il possesso, è la morte.

Il significato della parola amore è “senza morte”.

Allora la bellezza della parola amore è andare oltre la morte, è la vita, è dare la vita. Amare è far trionfare sempre per sua natura la vita sulla morte, il bene sul male. Bellissimo!

Certo poi la parola amore racchiude in sé anche le sue forme di Eros, Agape e Philia. Termini che descrivono l’amore secondo caratteristiche che predominano l’una sull’altra come attrazione, bisogno, condivisione, donazione perché L’Amore non è solo quello sponsale o più superficialmente genitale, ma racchiude in sé anche una relazione genitoriale, materna e paterna, filiale, fraterna, amicale, filantropica…

Che cosa grande l’amore!

L’amore è insito in ogni uomo e donna. Fin dalla nascita siamo spinti ad andare l’uno verso l’altro, ad entrare in dialogo, ad interagire.

L’amore è insito in noi dalla creazione nostra e del mondo. C’è qualcuno che con un atto di amore ci ha generato, c’è qualcuno che con un atto di amore ci ha portato in grembo, ci ha voluto, custodito, desiderato, accolto, dato alla luce.

E c’è qualcuno più grande ancora che ci ha chiamato alla vita con il soffio dello Spirito, e ci ha dato le istruzioni per vivere la nostra vita: amarci! (rileggiti Genesi 2)

Va bene, forse la stiamo facendo lunga.. avremmo pagine di appunti e spunti che vorremmo condividere.

Diamo un colpo di forbice e vi diciamo: oggi, domani, sempre, accogliti/accorgiti di quanto sei amato!

Domani dovete amare la vostra vita!

Mettere i piedi giù dal letto e dire: grazie!

Grazie perché mi ami, grazie perché sono in piedi, sveglio, grazie perché magari vado al lavoro, ho una moglie, ho dei figli. Grazie perché ho fatto colazione.

Grazie per il sole e questa Alba splendida, grazie per il freddo e l’alternarsi delle stagioni. Per tutta questa grande ricchezza.

Solo riconoscendosi figli amati dal Padre e da chi abbiamo attorno possiamo amare dello stesso amore che ci è dato.

Cosa aspetti a dire il tuo grazie?

Buona festa di san Valentino, buona festa degli innamorati! Aggiungiamo noi buona festa dell’amore!

Non si esaurisca a domani però la gratitudine di essere figli amati, ma da domani viviamo ogni giorno amando e lasciandoci amare.

Solo nell’amore troviamo la nostra vocazione vitale per affrontare ogni giorno, sia che siamo sposi, single, sacerdoti, religiosi, vedovi o divorziati.

Concludiamo con un breve monito di Papa Benedetto XVI, che in poche righe esprime quanto detto fino a qui, ricordandoci qual è il vero e unico senso della nostra chiamata alla vita:

“Fa sì che l’amore unificante sia la tua misura, l’amore durevole la tua sfida, l’amore che si dona la tua missione”

 (Papa Benedetto XVI)


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Assisi, la morte e la Vita – “Sposi&Spose di Cristo”

..di Pietro e Filomena “Sposi&Spose di Cristo”..

“Papà, ancora tombe? Basta, non è un cimitero!”

Avete presente quando per anni avete fatto la stessa cosa e non pensate che quella cosa possa essere vista in un modo nuovo? Beh, a volte capita che una figlia cinquenne, con una domanda ovvia, ti metta innanzi ad una verità che ancora non conoscevi, o che avevi dimenticato.

E’ successo che, come ormai molti amici che ci seguono sanno, con la famiglia ci siamo trasferiti nuovamente in Umbria e abitiamo a 10 minuti da Assisi e Santa Maria degli Angeli.

Dopo aver sistemato alla meglio gli scatoloni nella nuova casa in affitto, è scattato il sabato pellegrino (e turista) per le vie di Assisi.

Le nostre figlie sono nate qui in Umbria, ma ricordavano poco della città e durante il nostro piccolo pellegrinaggio familiare ci hanno fatto notare una cosa ovvia, ma che davvero non avevamo considerato: Assisi è piena di tombe! Non solo nel cimitero, come in ogni paese o città, ma ad Assisi le tombe sono anche nelle chiese e venire ad Assisi, in parte, significa anche fare un lungo giro delle tombe presenti.

Le più famose sono quelle di San Francesco e santa Chiara, ma ce ne sono anche tante altre tra cui, da poco in una chiesa, anche il corpo del giovane beato Carlo Acutis (a cui abbiamo dedicato il nostro libro “#Influencer dell’ #Amore – ed. San Paolo).

Ma come può un luogo pieno di tombe affascinare così tante persone?

Solitamente quando sei in un luogo pieno di tombe pensi più o meno consciamente anche al destino che tocca ogni uomo ed ogni creatura: la morte. E un po’ ti viene da pensare anche alla tua con non indifferenti carichi di paura e tristezza.

Qui ad Assisi, invece, la cosa a cui ti viene da pensare è la vita. Già. Ci sono tombe e ti senti vivo: perché?

Innanzitutto in un luogo così, senza sapere perché, ti ritrovi a pensare alla tua vita e ti rendi un po’ conto che forse il più delle volte durante le giornate pensi ad altro e a volte anche alla paura della morte; ma poco, sempre fin troppo poco nel quotidiano pensi a quel grande dono complesso e misterioso che hai ricevuto: la vita, appunto.

Poi, stranamente in questo luogo (come in tanti altri luoghi dove sono sepolti i santi) riesci a immaginare che sia naturale che oltre la vita terrena ci sia un luogo buono che ti attende.

Guardi verso queste tombe e ti riscopri a pensare alla vita eterna e a vederla non come qualcosa che ti spaventa ma come una terra promessa, una terra in cui la pioggia fa capolino solo per irrigare i campi e il sole splende come in un caldo giorno di autunno.

E ti immagini lì, per grazia, sempre per grazia, ma ti arrischi ad immaginarti lì…o forse ti scopri già che parte del tuo cuore abita già lì grazie a chi ti ha preceduto in questa vita, e grazie al Creatore.

Già, il Creatore, o meglio chiamarLo come a Lui piace essere chiamato: “Padre”.

In questa città piena di tombe, pare che tu abbia la possibilità di distogliere per un attimo lo sguardo dal tuo ombelico, dai tuoi guai, da te stesso…per guardare a Dio. Quel Dio che è tuo Padre.

E allora, citando Carlo Acutis, questo giovane amico che trovi ad Assisi nel Santuario della Spogliazione, possiamo affermare che:

“la tristezza è lo sguardo rivolto verso sé stessi, la felicità è lo sguardo rivolto verso Dio”.

BEATO CARLO ACUTIS

Qui la morte non ti atterrisce perché la guardi con gli occhi di Cristo, che ha vinto la morte.

Qui ti ritrovi vivo perché grazie a questi santi che incontri vedi che l’umano che ti appartiene è chiamato a vivere per sempre.

E, la consolazione più grande è che questa verità puoi ricordarla ogni giorno, anche non abitando ad Assisi o in un luogo con particolare presenza di santi…

Ogni giorno “chiusa la porta della tua camera puoi incontrare il Padre tuo” e puoi dedicare un minuto a guardare a Dio, ad orientare a Lui il tuo sguardo.

E sarai sempre più cosciente che la Gioia senza fine riguarda anche te.

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Grazie, “Il Signore ti dia Pace!”

Abbiamo solo l’oggi per amarci.

Non so quanti giorni sono che siamo chiusi in casa. Sabato mattina dalla finestra ho visto passare il triste corteo dei camion militari che trasportavano 60 salme in altri cimiteri per essere cremate. Una sensazione strana. Tanta tristezza e senso di abbandono. A Bergamo, la mia città, tutto questo dramma è palpabile e molto più concreto che in altre città. Questo ti porta a pensare. Ho pensato se davvero la mia vita fosse centrata su quello che davvero conta. Se le mie priorità fossero quelle giuste. Ho pensato a quelle persone morte da sole in un ospedale. Morte senza il conforto delle persone care vicino. Magari senza avere neanche avuto la possibilità di salutare i propri cari. Mi è venuta in mente una parabola. Io cosa sto mettendo da parte. Ciò che davvero conta? Ciò che mi posso portare dietro? Perchè questi giorni stanno frantumando tutte le mie certezze. Io ancora giovane e che mi sentivo immortale, con tanto tempo a disposizione, in un mondo dove la scienza può sconfiggere quasi tutte le malattie. D’improvviso questo virus mi ha messo con le spalle al muro. Siamo fragili e impotenti.

Disse poi una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto.  Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio».

Il tempo è adesso. E’ adesso che posso dire alla mia sposa quanto la amo. E’ adesso che posso dirle grazie per tutte le volte che si è donata a me. E’ adesso che posso chiedere perdono per le volte che io non ho saputo donarmi. E’ adesso che posso darle una carezza, parlare con lei delle realtà più profonde, di noi e del nostro amore. E adesso perchè il presente è tutto ciò che abbiamo per amare. Madre Teresa lo spiega molto bene: Ieri è passato. Il domani non è ancora arrivato. Abbiamo solo l’oggi: cominciamo.

Ecco questi giorni mi stanno insegnando che possiamo rimandare tante cose. Possiamo rimandare il lavoro, la scuola, la corsetta all’aperto, ma c’è qualcosa che non possiamo rimandare: l’amore.

Antonio e Luisa

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Il cuore non ci appartiene più!

Una notizia apparsa sui siti di informazione martedì sera mi ha colpito. Nel novarese, una donna di 84 anni si è accasciata per un malore ed è morta durante la funzione funebre per il marito. E’ morta di crepacuore. Non ha retto alla separazione da quell’uomo che aveva sposato nel 1958. Sessantadue anni fa. Una vita. Il cuore non ce l’ha fatta. Il cuore non è solo muscolo. Nella Bibbia la parola cuore viene riportata circa 1000 volte. Uno dei significati più importanti che viene data a questa parola non è nè quello medico nè quello più romantico che ne fa il luogo dove nascono i sentimenti. Il cuore nel nostro Libro Sacro è spesso associato al ricordo. Significa fare memoria. Nella Bibbia il cuore e la memoria sono legati. Anche per noi è così. Non per nulla la parola ricordare presenta un etimologia molto chiara. Deriva infatti dal latino: re- indietro cor cuore. Richiamare in cuore. Strano vero? Anche per i nostri progenitori il luogo del ricordo non era la testa ma il cuore. Quindi, tornando alla nostra storia, il luogo dei ricordi dell’anziana sposa, il suo cuore, non ha retto. E’ scoppiato. E non è un caso isolato. Ho approfondito la questione e ho scoperto dei dati interessanti. Uno studio specifico è stato condotto dagli inglesi alcuni anni fa. Uno studio con un campione molto ampio. Lo studio considera oltre 114 mila persone di età 60-89 anni seguite per sette anni. In questo tempo un terzo dei volontari, a parte quanti sono deceduti, è rimasto vedovo. E qualcuno non ha retto il dolore della perdita morendo a sua volta entro i 30 giorni successivi al lutto. In quel mese il rischio di morte era risultato doppio, nei coniugi superstiti, rispetto a quanti erano ancora in coppia.

Quanto è accaduto all’anziana vedova è qualcosa che richiama in modo specifico la vocazione matrimoniale. Mettimi come sigillo sul tuo cuore. Lui è dentro di lei. In lei è ancora vivo. Lo può trovare nel suo cuore. Lo ritrova in mille ricordi, in mille gesti, in mille sguardi, in mille abbracci. Lo ritrova nei loro momenti di gioia e di dolore. Lo ritrova, ma non riesce più a toccarlo, a vederlo. E questo è straziante. Non riesce più a sentirlo. Lui c’è, ma non c’è. Il matrimonio è il sacramento del corpo, della concretezza. Non basta la presenza nel cuore. Serve la concretezza della carne. Servono gli sguardi, la compagnia, la presenza, gli abbracci, le parole e anche i litigi.

Il luogo della memoria, il cuore che custodiva una bellezza così grande, è proprio quello che ha smesso di funzionare, che non ce l’ha fatta. L’amore sponsale, quando nutrito e custodito per una vita intera, trasforma il nostro cuore davvero in qualcosa che non ci appartiene più. Non è più nostro, ma appartiene all’amato/a. Padre Bardelli riprendeva spesso le parole della lettera di San Paolo ai Galati Io vivo, ma non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me» (GaI. 2,20) e ci ripeteva queste parole dicendo a noi sposi :<<Voi non dovete dire così, ma non sono più io che vivo ma il mio sposo o la mia sposa vive in me; questo significa il sacramento del matrimonio, Cristo vive in voi quando voi vivete nella profonda comunione e donazione dell’uno verso l’altro.>>

Ecco il cuore non ci appartiene più. Nel nostro cuore non c’è più la nostra presenza ma quella del nostro coniuge. Così, a volte, succede che quando muore la persona con cui abbiamo condiviso la vita, muore anche il nostro cuore. Termino con le parole di padre Ennio, religioso domenicano, che conosceva la coppia: Si amavano molto, li conoscevo bene. Erano una coppia così solida e innamorata che li citavo come esempio. Anche con questo epilogo non è una storia triste, ma di grande amore.

L’amore in questo caso, ne sono sicuro, è stato più forte della morte.

Antonio e Luisa

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Piccole Resurrezioni Quotidiane

..di Pietro e Filomena, “Sposi&Spose di Cristo”..

In occasione delle ricorrenza della Commemorazione dei Fedeli Defunti

oggi riproponiamo un articolo per riflettere sulle “Piccole Resurrezioni Quotidiane”.

Sembra scontato, ma quando parliamo o semplicemente pensiamo alla Resurrezione pensiamo alla Pasqua o alla Domenica, giorno in cui celebriamo la Resurrezione del Signore Gesù Cristo.

“Resurrezione”, poi, la si lega all’idea della morte del nostro corpo; quindi ad una realtà che sarà un giorno chissà quando. “Resurrezione” ci fa pensare più alla vita eterna più che alla nostra vita di tutti i giorni.

Eppure…eppure…spesso e normalmente la nostra esistenza si muove nelle piccole ombre del quotidiano più che nelle luci della gloria…più tra le ferite e i sanguinamenti che tra le guarigioni, più nelle piccole morti che nella vita.

Risorgere deve essere un esercizio piccolo…un movimento minuscolo ma costante…come aprire e chiudere gli occhi.

Quindi ci vogliono le “resurrezioni”…piccole resurrezioni quotidiane.

Ma come si fa?

Certo, non possiamo risorgere solo perché lo vogliamo…nelle nostre mani non c’è la possibilità di guarirci, di distruggere la morte. Dunque?

Dunque c’è bisogno dell’intervento di Colui che ha saputo trovare la via d’uscita anche dal sepolcro, di Colui che le tenebre più profonde non hanno potuto avvolgere.

C’è bisogno dell’intervento di Colui che si è fatto bucare le mani per donare ancora di più, si è fatto inchiodare i piedi per camminare ancora di più verso il prossimo, si è fatto trafiggere il cuore per poter amare di più.

C’è bisogno dell’intervento di Colui che è Il Risorto.

Lui ti insegnerà a risorgere quando tuo marito ti sotterrerà con una battutina così innocua ma che a te sfracella il cuore, Lui ti insegnerà a risorgere quando tua moglie farà di te una polpetta quando farà il paragone tra il tuo fisico con quello delle star di hollywood, Lui ti insegnerà a risorgere quando tra le mura domestiche ci sarà più odio che amore, Lui ti insegnerà a risorgere quando ti sentirai tradito dalla persona più cara per te, Lui ti insegnerà a trovare la strada per uscire vivo dagli incidenti mortali delle nostre relazioni umane di ogni giorno.

Qual è la strada? La strada che Gesù ti indica è quella del suo Cuore.

Va’ da Gesù, torna da Gesù.

Il Suo Preziosissimo Sangue ti laverà quando andrai a confessare le tue miserie, il Suo Sacratissimo Corpo ti darà vigore nuovo quando sfinito ti accosterai all’Eucarestia.

Gesù è li. Ti aspetta con le braccia spalancate e ti soffia nel cuore il Suo Santo Spirito e non avrai più sete e non avrai più fame e le tue ferite serviranno a far passare più luce nella tua famiglia e nel mondo in cui viviamo.

Oggi, prendi carta e penna. Vuoi una famiglia perfetta?

Non costruire una famiglia senza errori…ma costruisci una famiglia su Cristo.

E’ Lui che può rimettervi in piedi, può ridarvi vita…può farvi risorgere già qui ed ora.

La famiglia perfetta è la famiglia in cui ci si nutre di Cristo.

Ed è così che si impara a vivere di “piccole resurrezioni quotidiane”.

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Grazie, “Il Signore ti dia Pace!”

La vita è oggi!

Cosa manca veramente?

Ci manca la consapevolezza della della vita eterna, la certezza che siamo attesi alla Casa del Padre. Il nostro esserci, la vita che ci è data in dono, è la grandissima opportunità di essere un ponte perché qualcuno, a noi affidato e mai preteso, possa passare oltre.
Questo ponte ha un tempo, un prima nel mondo in cui siamo stati creati e un poi nella comunione tra il cielo e la terra. Quando ricordiamo i fatti e gli avvenimenti che ci hanno ferito, che comportano sofferenza, che gravano come un macigno, condizionando tutta la nostra persona e che sovente generano rabbie, risentimenti e orgoglio, dimentichiamo un aspetto fondamentale che ci appartiene: dovremo morire!
Questa morte fisica, sulla terra che calpestiamo quotidianamente, cerchiamo di sfuggirla, di non volerla mai contemplare. Difficilissimo che prendiamo a braccetto l’idea della “sorella morte”. Poi, dinanzi al mancare di una persona, sia essa a noi cara, ma anche uno sconosciuto, spesso ci troviamo pronti a ricercare un colpevole, colui a cui “affibbiare” il motivo di quella morte, pronti anche a fargliela pagare duramente, non sempre a giusta ragione. Ci vuole un bel cammino per arrivare ad accettare che che il Padre ha posto la morte al termine della nostra vita terrena. La morte “distrugge”. Quale immenso dolore perdere quella sola carne che il sacramento del matrimonio ha costituito. Mio marito Giorgio, per un periodo della nostra vita, tutte le sere, prima di addormentarci, aveva preso l’abitudine di dirmi: «Ti Amo». Lo faceva perché, all’idea che la morte sarebbe potuta arrivare in qualunque momento, non voleva perdere l’occasione di aver detto alla propria amata la frase che spesso difficilmente si esprime con tanta espansione. Un «ti amo» detto ora, adesso, oggi!

Quale folle strappo è la perdita di un figlio.
Quale dolore lasciare andare un genitore.
Quale fatica abbandonare l’amico che la malattia ha consumato giorno per giorno.
Quale pazzia l’uccisione violenta.
Quale  cecità l’omicidio attraverso l’aborto
Quale mistero la fine per martirio……
Perché parlare di questo? Per la grande, irripetibile occasione della vita che  ci appartiene! La vita è oggi, ora, adesso. Cosa posso fare adesso, ora, oggi?
TUTTO
Comprendo la chiamata e la missione che ho? Innanzitutto c’è Dio e poi… Sono una moglie? Un marito?  C’e il mio coniuge.  Sono una madre? Un padre? Ci sono i figli.
Sono figlio? Ci sono i genitori, Sono sorella? Ci sono i fratelli. Sono al lavoro? I colleghi e chi mi è affidato. In questo esistere e partecipare della vita donata può darsi che io debba:
Perdonare? Che io trovi l’occasione perché poi….potrebbe essere tardi! Cambiare stile di vita? Che io lo faccia perché non sia troppo tardi; Tacere? Che io comprenda la necessità prima che sia troppo tardi…avendo parlato troppo; Parlare? Si, a volte quella parola sarebbe necessaria….meglio al momento opportuno che mai… Forse io devo……
Ecco, Che ognuno possa riempire  questi  puntini di sospensione in  ciò che è necessario essere o fare oggi, adesso, ora, cioè prima che arrivi un punto in cui il passato rimanga troppo irrisolto. Dall’ultimo puntino è possibile andare a capo di una vita piena, riconciliata, amata, arricchita, salvata ma soprattutto eternamente Santa.
Non è detto che tutto questo sia facile però è percorribile e realizzabile.
Basta comprenderlo e volerlo cosicché nulla, ma proprio nulla, potrà impedire che l’amore vero trionfi. Donaci o Signore oggi, ora, adesso ciò che può essere fatto prima che sia troppo tardi. Che ciascuno possa vivere la vita donata secondo il perché della stessa.
Tutto il resto ci sarà dato in abbondanza!

-Cristina Righi-

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Se la sofferenza non ha un senso, che senso ha la vita?

La sofferenza non ha senso, è inutile girarci intorno cercando di abbonire qualcosa che di buono non ha nulla. La sofferenza, il dolore, la morte non possono avere un senso, perché noi siamo fatti per la gioia, per la vita! Essendo questa una verità, allora questa vita non è fatta per la gioia e per la vita, perché questa vita porta sofferenza e morte. Una vita, che come dice Vasco Rossi, “un senso non ce l’ha”. E a questo “punto” si potrebbe chiudere l’articolo, se non fosse per un ma…

Se Dio non si fosse fatto carne, non avesse vissuto le nostre stesse sofferenze e non fosse passato per la morte, allora tutta questa nostra vita non avrebbe avuto nessun senso, perché solo un pazzo alienato dalla realtà riuscirebbe a trovarlo. Ma Dio non è rimasto lì, staccato dal mondo, ma è si è fatto uomo, si è fatto carne, ha vissuto i nostri sentimenti di dolore e di tristezza. Ha sofferto per gli amici che l’hanno abbandonato, per gli amici che l’hanno tradito, per i nemici che lo hanno sputato e deriso. Ha sofferto nella carne, nella flagellazione e crocifissione. Ha sofferto vedendo la madre soffrire per lui. Ha sofferto vedendo un mondo votato alla morte e alla sua autodistruzione, nonostante abbia speso gli anni della sua vita a portare quell’Amore, che lui stesso aveva ricevuto dal Padre. Ha sofferto vedendo il suo progetto fallire su una Croce, vedendo il fallimento dei suoi sogni, dei suoi desideri sull’umanità. Come dice Papa Francesco, la Via Crucis è “la storia del fallimento di Dio”.

Ma Dio ha dato senso anche al fallimento, alla morte, perché il seme che non muore, non può portare vita. Ed ecco che dal più grande fallimento della storia, Gesù, attraverso la resurrezione, ha dato senso a qualcosa che mai nessuno uomo era riuscito prima. E’ dal fallimento della Croce, che è nata la Speranza della resurrezione.

La nostra vita nelle sue sofferenze, nel suo dolore, nei suoi fallimenti, nella morte che bussa costantemente alla nostra porta, trova senso solamente in Lui. Trova senso in un Dio che ha tanto amato, da dare la sua vita, liberamente, per i suoi amici.

La sofferenza, che un senso non ce l’ha, trova senso perché è in essa che ci avviciniamo a Dio, è in essa che ci sentiamo parte della sofferenza di Cristo. Immaginate un marito che vede la moglie malata terminale in un letto, la sua sofferenza la possiamo vedere trasformata nei suoi occhi pieni di amore per lei. Il dolore della moglie si trasforma in amore del marito. Che grandezza e che mistero.

Allora ciò che da senso alla vita, alla sofferenza, al dolore e alla morte è proprio l’amore. L’amore non avrà mai fine (dal latino a-mors = senza morte), perché anche quando ci muore qualcuno di caro, l’amore nel nostro cuore per quel caro non cessa. E nessuno a questo mondo potrebbe dire il contrario, nessuno alla morte di un caro potrebbe dire che con lui è cessato anche il nostro amore. Anzi la morte, il distacco, la sofferenza non solo non fa cessare l’amore ma lo rinvigorisce, perché le lacrime, sono la dimostrazione più lampante di quanto abbiamo amato.

Ma se Dio è Amore, allora la nostra vita trova senso in Dio. Cercare Dio, significa cercare l’amore, significa cercare un senso alla vita. Chi trova Dio, non ha trovato colui che mette fine alla sofferenza, al dolore, ma ha trovato colui che ne dona un senso. Quanto è dolce avere Dio per amico durante una sofferenza e una prova della vita. Ho avuto la grazia di poter assaporare l’amore di Dio nella sofferenza, e mai più ho toccato un così grande amore, quanto Dio me ne ha donato in quei momenti.

E’ un mistero a noi stessi, in quei momenti è come se ti trovassi in una guscio di una noce, piegato dalla sofferenza e dal dolore, ma è proprio in quella stretta, quasi mortale, che la noce trova tutto il calore, tutto l’amore necessario per poi rinascere a nuova vita in un albero.

Il mondo vuole trovare tutti i rimedi alla sofferenza, si moltiplicano i corsi che si fanno promotori dell’eliminazione della sofferenza. Ma sono in grado solamente per un certo periodo di alienarti dalla realtà, ma la verità è che dalla realtà non puoi fuggire. Se elimini la sofferenza, elimini la vita, ed eliminare la vita significa arrivare ad una “morte secunda” che va oltre quella del corpo, ed è quella dell’anima. Non scappiamo, cerchiamo, bussiamo, e troveremo l’Amore, troveremo un Padre che ci abbraccerà, ed in quell’abbraccio perderemo noi stessi, per diventare tutt’uno con Lui, tutt’uno con l’Amore che ridona vita, anche nella sofferenza e nella morte.

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Guardatevi intorno: non vedete che siamo pieni di santi?

Ieri sera sulle frequenze di Radio Maria ho iniziato la seconda puntata di Padri Nostri dedicata alla Didaché1 ringraziando gli amici Stefano, Celestino e Cinzia, questi ultimi con la loro piccola Gemma, di essere venuti a pranzo a casa nostra:

Ἐκζητήσεις δὲ καθ’ἡμέραν τὰ πρόσωπα τῶν ἁγίων, ἵνα ἐπαναπαῇς τοῖς λόγοις αὐτῶν.
Ricercherai ogni giorno la presenza dei santi, per trovare sostegno nelle loro parole.

Così recita l’antichissimo2 documento (4,2). Notare che laddove in italiano leggiamo “la presenza dei santi” in greco abbiamo “τὰ πρόσωπα τῶν ἁγίων”, i volti, le presenze fisiche: insomma va bene avere la propria bella bibliotechina di agiografie (anzi è cosa molto buona), ma di certo non può bastare.

E mi dicevo, mentre parlavo in radio, che dopotutto se pensassimo di non conoscere dei santi – gente la cui vita è risorta con Cristo – dovremmo porci qualche domanda seria: nella migliore delle ipotesi, quello potrebbe essere il sintomo di una vita di fede flaccida; nella peggiore, dovremmo aggiungere l’aggravante di pensare, magari inconsciamente, che Dio “stia perdendo” la sua sfida contro la cattiva inclinazione delle nostre libertà ferite.

Giovanni Paolo II: magistero della vita, dell’amore e del dolore

In verità mi guardo intorno e mi ritrovo pieno di santi, di persone diversissime e tutte stimolanti, ciascuna a modo suo, nell’aiutarmi ogni giorno a rimettere i puntini sulle i, a raddrizzare la rotta e richiamare le priorità – quelle vere.

Oggi è San Giovanni Paolo II3, e prima che finisca la giornata devo dire grazie a due amicizie dalle cui parole mi ritrovo molto sostenuto.

La prima di queste due amicizie è quella di Antonio e Luisa De Rosa, che proprio oggi hanno voluto mandare nelle librerie il loro L’ecologia dell’amore. Intimità e spiritualità di coppia. Di questo libro, frutto maturo e al contempo rielaborazione originale della Teologia del Corpo di San Giovanni Paolo II, Costanza Miriano (altra persona della cui amicizia mi onoro) ha potuto scrivere:

Di libri sul matrimonio ne ho divorati davvero tanti, troppi forse, e sinceramente non avevo una gran voglia di rileggere ancora una volta le stesse cose. Ho accettato di farlo solo perché me lo ha chiesto la mia amica Elisabetta, e mi sono fidata di lei.

Beh, ho fatto proprio bene. Questo è un libro diverso da tutti gli altri. Innanzitutto non lascia intendere le cose, le dice proprio chiaramente. Nero su bianco. Parla di sesso secondo gli insegnamenti della Chiesa, secondo il disegno di Dio, ma lo fa senza moralismo, senza veli, con il coraggio e la sfrontatezza che viene dalla certezza di parlare conoscendo le cose di Dio. Dove lo trovate un altro libro che a distanza di poche righe parla di misure del pene e sacramento, di frequenza dei rapporti sessuali (un giorno sì, due no, mi raccomando) e Spirito Santo, di sesso orale (anche sì ma con delle regole), anale (sempre no), pornografia (semprissimo no), di desiderio maschile e femminile, di preliminari e santità della coppia? Di amplesso come vertice del corteggiamento e dell’unione anche spirituale? Ma senza lasciar intendere nulla, dicendolo proprio apertamente, raccontando di sveglie puntate per fare l’amore, di appuntamenti tra marito e moglie, di giorni di ferie e permessi dal lavoro per dedicarsi tempo e attenzioni e custodire l’intimità; parlando di contraccezione e metodi naturali, del desiderio femminile che ha bisogno di essere alimentato con l’attenzione, e dello sguardo accogliente e pieno di stima che l’uomo desidera su di sé. Dando giudizi chiari e precisi su ciò che fa bene al desiderio della coppia, e ciò che invece lo danneggia.

Ovviamente non è un manuale di regole, perché siamo così diversi, tutti come singoli, e due diversità insieme, poi, ancora di più: però dà dei consigli pratici, ragionevoli, ecologici, nel senso dell’ecologia dell’uomo cui faceva riferimento Benedetto XVI.

D’altra parte i rapporti sessuali sono ciò che più di tutto il resto distingue il matrimonio dalle altre forme di relazione, dagli altri affetti, anche profondissimi. Non è possibile che Dio non c’entri con il sesso. E se è Dio a volere per gli sposi questa espressione dell’amore reciproco, è bellissimo imparare a viverlo in unione a lui. È difficile ma non impossibile, con un po’ di impegno. Antonio e Luisa con grande generosità ci aprono le porte della camera da letto, senza atteggiarsi a quelli che sanno come si fa, ma proponendo un cammino possibile, per coppie vere, in carne ed ossa. Cose che non si raccontano mai, per pudore, perché si teme di essere imperfetti, perché certe cose non si dicono, perché pensiamo che le nostre difficoltà siano troppe mentre agli altri va tutto liscio, oppure perché, come credo succeda a una grande parte delle coppie, non si fa un lavoro (è la parola che usa Papa Francesco quando parla di amore) sulla propria intimità, e si lascia che le cose vadano da sé, dimenticando che, affinché una coppia regga negli anni, c’è un investimento da fare. L’uomo e la donna non sono solo padre e madre – il rischio di dimenticarlo lo corriamo tutti – sono prima di tutto coppia, e amano Dio sempre uno attraverso il volto dell’altro. Fare l’amore, dunque, è anche un gesto profondamente religioso, se fatto con il cuore diretto a Dio, e questo libro lo ricorda con toni audaci e spiazzanti.

E tutti potete immaginare che Costanza non scriva cose del genere a casaccio. Il problema – lo accennavo già all’inizio dell’estate sfiorando l’argomento “teologia del corpo” al ritiro annuale delle Cooperatrici Oblate Apostoliche del Movimento Pro Sanctitate – è che quando si parla di “codesta teologia”4 la si presenta come qualcosa di idealizzato e di praticamente non-vivibile. È quanto a modo suo aveva riscontrato pure Thérèse Hargot, nel suo laicissimo consultorio:

per la maggior parte i cattolici ricevono anzitutto una base di morale sessuale; poi si aggiunge una teologia della sessualità; il tutto senza sapere che cosa sia la sessualità. Voglio dire che non c’è una conoscenza adeguata del fenomeno sessuale: come si manifestano le dimensioni emozionale, affettiva e psicologica. Si passa direttamente alla dimensione morale e a quella teologica. Sono cose estremamente interessanti, la morale e la teologia, ma l’insegnamento va in cortocircuito sulla conoscenza fisica ed emozionale. Intendo dire che c’è una generazione di giovani – quella di cui parlo nel mio libro – che coinvolge naturalmente anche numerosi cattolici: venuti su al latte della pornografia come gli altri, crescono e ricevono un insegnamento che è molto molto bello e non hanno modo di viverlo. Entrano rapidamente in un’idea di ciò che la sessualità dovrebbe essere: la comunione degli sposi, la Trinità, la liturgia dei corpi… tutte idee che trovo molto affascinanti e belle… solo che poi ad esse non corrisponde la loro esperienza. E diventano frustrati: «Cavolo, la mia vita sessuale decisamente non è così… il sesso con mio marito non assomiglia proprio a questa roba…». E giù a deprimersi in un circolo vizioso, che si nutre del fatto che si ha scarsa o nulla conoscenza delle dinamiche personali della sessualità: perché abbiamo dei fantasmi, come funzionano le pulsioni sessuali; e quindi la masturbazione, il piacere…

Il problema, in buona sostanza, è che si tende a parlare dell’intimità coniugale più descrivendo l’obiettivo ideale della proposta cristiana che considerando la strada per cui quell’obiettivo si fa piuttosto una meta– quindi una cosa sì lontana ma assolutamente raggiungibile. L’effetto collaterale si amplifica notevolmente quando a descrivere quell’obiettivo sono persone che, in virtù del loro stato di vita, non vivono alcuna intimità coniugale. Il risultato di quest’impostazione è che le difficoltà (talvolta lancinanti) di cui molti uomini e donne fanno esperienza vengono avvertite più come minacce alla consistenza del sistema che come ovvî punti di partenza per imprevedibili e gustosi cammini di santificazione. Devastante corollario del risultato è poi che la concordanza tra i due poli, ormai sciaguratamente caratterizzati come “ideale” e “reale”5, porta gli agenti di cui sopra – ossia i Pastori (alcuni soltanto, grazie a Dio) – a inquadrare i “casi reali” difficoltosi come altrettante “eccezioni” alla “norma ideale”… e a normalizzare gli stessi con altrettante deroghe.

Due sposi che scrivono di intimità in modo sexy e mistico

E sarebbe ben strano il contrario, cioè che chi non conosca i termini di un problema (se non in teoria – ma il sesso e la santità sono cose eminentemente pratiche) sappia poi offrire le soluzioni giuste. Ecco, Antonio e Luisa si propongono come una coppia esperta che si trova nel bel mezzo della propria avventura: quattro figli (più uno già in cielo), un fidanzamento normalmente bacato da svariati assortimenti di idee sbagliate e poi la proposta della Chiesa, giunta per loro dall’opera missionaria di Padre Raimondo Bardelli e dal sostegno della rete di famiglie fiorita attorno a quell’opera. Quindi un cammino pieno di problemi chiaramente individuati, risolutamente affrontati, gioiosamente superati e – oggi – fraternamente condivisi.

Questo è forse ciò che manca in tutti (o quasi) i corsi prematrimoniali parrocchiali: non si parla affatto di intimità coniugale, di “intimità ecologica”, e quando il buon vecchio parroco si cimenta nell’argomento tante volte fa (incolpevolmente) rimpiangere il silenzio. Non basta vivere l’intimità coniugale, per saperne indicare le vie (e le insidie), però forse è più che opportuno – è quasi necessario – che chi ne parla ad altri sia introdotto in prima persona a quei meandri. E poi ci vuole schiettezza, ma anche prudenza, verità ma anche pudore, una parola senza complessi quando si parla di godimento sessuale e che non si riduca ad appicciare sulla trita foia qualche bollino spiritualizzante: occorre che il supporto sia una solida e comprensiva antropologia integrale, quella che può sostenere l’ambizioso progetto di un’ecologia integrale. Dunque anche dell’intimità coniugale. Antonio e Luisa hanno forse colmato un vuoto:

È importante che il nostro amore cresca e che sia vissuto in un contesto di corte continua. L’ho già accennata e la riprenderemo. Corte significa collocare l’intimità sessuale in uno stile di vita fondato sull’amore reciproco visibilmente manifestato. Continui gesti di tenerezza, di servizio, e di cura l’uno per l’altra durante tutto l’arco della giornata. Basta poco, una carezza, una parola dolce, uno sguardo, una telefonata e cose così. In passato non lo praticavo con costanza e la mia sposa ne soffriva. Si capiva però benissimo quando c’era in programma, da parte mia, il desiderio di riattualizzare il sacramento; bastava osservare il mio comportamento. Diventavo servizievole e tenero. Questo la faceva sentire usata. I miei, infatti, non erano gesti sinceri, ma finalizzati ad ottenere la mia soddisfazione. Ho dovuto impegnarmi ed educarmi per migliorare questa mia insensibilità. Togliamoci allora quell’idea del mondo che ci fa credere che l’intimità sessuale sia bella all’inizio del rapporto e poi diventa qualcosa di sterile e di abitudinario. Non è così. La bellezza dell’intimità è data dalla qualità della nostra unione e più | saremo uniti più sarà fonte di gioia. La novità non è data dal gesto, ma dall’amore che lo caratterizza e che gli dona significato e potenza. È tutta un’altra cosa avere la consapevolezza di non star semplicemente a fare l’amore, ma che stiamo riattualizzando un sacramento, stiamo celebrando il nostro amore! È qualcosa di grande.

Antonio & Luisa De Rosa, L’ecologia dell’amore, 87-88

L’altro amico il suo libro me l’ha dato solo ieri (però me l’ha portato di persona venendo a pranzo…), ma la bella giornata odierna esige che gli dedichi almeno qualche parola: si tratta di un libro che Stefano Giordani ha scritto soprattutto per sé stesso, per coltivare il memoriale della grazia di una moglie come Simonetta, partita per il cielo non molti mesi fa con una serenità e una letizia che a tutti noi hanno impedito di chiamare “funerale” l’estremo arrivederci che demmo alle sue spoglie.

Due sposi a cui sono date un’intimità e una fecondità misteriose

Anche se non si propone di vendere e di farsi conoscere (non ha neppure un editore) questo libro condivide diverse cose importanti con quello: è il libro di una coppia anche questo, descrive anche questo le meraviglie operate da Dio all’interno di un matrimonio, scolpendo due cuori col martello dell’amore sull’incudine della castità. È un matrimonio senza figli, questo, ma non meno fecondo dell’altro, che di figli ne annovera cinque.

Io Simonetta la conobbi anni fa: me la presentò Claudio dicendomi che una sua amica disegnatrice avrebbe volentieri regalato a La Croce quotidiano la sua arte ideando una striscia di fumetti apposta, con dei personaggi straordinari sbalzati finemente dai fogli di stagno di una famiglia normalissima. Avevano dei superpoteri, sì, ma erano dei semplici nonni; e pure il Papa lo dice sempre, che i nonni hanno dei poteri davvero super.

Era perfezionista, sul lavoro e non solo: discutemmo minuziosamente dei personaggi, dei volti, dei caratteri… ma quelle strisce restarono sempre embrionali, Simonetta riteneva di doverli elaborare ancora. Non per questo smettemmo di scriverci: mi si rivolgeva di tanto in tanto con degli articoli di cui poi parlavamo. Aveva seguito con attaccamento viscerale le vicende di Charlie Gard e di Alfie Evans, giungendo quasi a imparare l’inglese apposta per leggere notizie su questi bambini: nella cultura dello scarto che giudicava queste creature Simonetta si proiettava – non solo per il cancro che la divorava, ma per le tante esperienze che le sapevano di fallimento – ed era la comune umanità profanata in quegli innocenti ciò per cui lei offriva le sofferenze del suo calvario.

Mano a mano che moriva pensava sempre più esclusivamente a prepararsi, a “mettere a posto” le cose, parlando con quelli a cui riteneva di dover dire qualcosa… e a pregare che la sua morte non scandalizzasse i piccoli nella fede, a cominciare da alcuni famigliari. Lì al “funerale” apprendemmo che tra le ultime parole al marito ci fu il severo e dolce monito: «Mi raccomando, tu: resta sempre aperto alla volontà di Dio». Quanti l’abbiamo sentita passare nelle nostre vite, o anche solo di fianco, giureremmo di aver inteso qualcosa di simile a quel fruscio straordinario che Chiara Corbella ha diffuso attorno a sé.

E così anche con i santi che frequentiamo siamo tentati di giudicarli dal loro ultimo stadio, dal momento in cui si preparavano a entrare al banchetto del Re – se abbiamo avuto il duro privilegio di accompagnarli alla soglia – mentre ciò che ce li rende dolci e cari è proprio l’averli avuti per compagni di strada, aver visto la loro fatica così simile alla nostra. Apro una pagina a caso, verso la metà del libro, e trovo Stefano che riporta una pagina del diario di Simonetta, vergata nel periodo in cui giravano per medici cercando di capire se i figli non arrivassero loro per una sterilità fisica.

Giornata inconcludente come mi sembra la mia vita. Non c’è nulla che riesca a portare a termine. Mi chiedo perché… se sia una mia incapacità o un volere di Dio per dirmi qualcosa. L’operazione è saltata, ora non so che fare. Avere un bambino è sempre di più una chimera, sento il mio corpo e la mia vita sempre meno capaci e adatti. Sono piena di problemi di salute. Non riesco a guadagnare niente di che, tra il poco lavoro e il poco tempo. Non riesco ad aiutare i miei come vorrei. Abbiamo problemi di salute che minano | anche il nostro insieme. In comunità è molto faticoso perché siamo i responsabili e abbiamo fratelli difficili. Mi sembra che tutto giri al contrario.

So che la croce ha un senso, ma non capisco quale. Il Signore ci sostiene, perché in tutte queste cose sarebbe impossibile passare un’ora in piedi. Ma mi rimane questa sensazione di “troppo” dolore e fatica e inconcludente. Sembra che ogni mossa sia vana.

Dio non sta costruendo la mia casa, o la sta costruendo proprio attraverso queste continue delusioni? Per questa operazione abbiamo pregato, abbiamo digiunato, abbiamo mangiato la Parola. Parlaci, Signore, aiutaci. Ci sentiamo stanchissimi, e io spesso di desideri continuamente frustrati e di energie sprecate.

Apristi la Bibbia e il Signore ti rispose così:

Popolo mio, che cosa ti ho fatto? In che cosa ti ho stancato? Rispondimi. Forse perché ti ho fatto uscire dall’Egitto, ti ho riscattato dalla casa di schiavitù e ho mandato avanti a te Mosè, Aronne e Maria? Popolo mio, ricorda le trame di Balàk, re di Moab, e quello che gli rispose Bàlaam, figlio di Beor. Ricordati di quello che è avvenuto a Sittìm a Gàlgala, per riconoscere i benefici del Signore2.

Il Signore ti stava ricordando ciò che aveva compiuto, e che le circostanze che inizialmente sembravano contrarie, poi si erano rivelate un intervento di salvezza.

Stefano & Simonetta Giordani, Una Persona intorno, 126-127

Ai “funerali” non ero riuscito ad avanzare oltre la penultima panca, nella pur vasta chiesa, tanto l’edificio traboccava della fecondità di Simonetta: ovunque mi girassi c’erano fratelli, sorelle, figli e figlie di quella ragazza che riteneva di avere poco lavoro e mi aveva offerto disegni gratis per contribuire a sensibilizzare le persone sul ruolo e sulla dignità dei membri più fragili delle nostre famiglie e della nostra società.

Per accompagnarla al “lancio verso il Cielo” Stefano aveva tirato fuori il vestito da sposo: nel salutarlo mi sciolsi in singhiozzi e quasi fu lui a consolarmi, sostenuto da una pace della quale egli stesso aveva riso con disprezzo nella sua vita precedente.

Allora si diceva tra i popoli: «Il Signore
ha fatto grandi cose per loro!».
Grandi cose ha fatto il Signore per noi,
ci ha colmati di gioia.

Sal 125,2-3

E appena rientrato in macchina chiamai mia moglie, che non era potuta venire, per dirle che s’era persa qualcosa di veramente straordinario.

Ecco le parole in cui troviamo sostegno, parole che sono fatti ed esistenza, Spirito e Vita. Ecco i segni della perpetua giovinezza e santità della Chiesa, l’assicurazione più tangibile dell’opera di Cristo nel mondo.

Giovanni Marcotullio

Articolo originale qui

Una foto triste ma bellissima

Tanti giornali e siti di informazione hanno ripreso una foto diventata virale. Una foto all’apparenza soltanto molto triste. Una foto colma di solitudine e sofferenza. Un signore anziano, ripreso di spalle, siede sul bordo di un parapetto. Davanti a lui l’infinito del mare. Con il braccio destro sembra voler abbracciare una cornice. Nella cornice è contenuta la fotografia della moglie. Non guarda il mare. E’ chino su se stesso. Come a volersi concentrare solo sui suoi pensieri. La moglie è morta. Probabilmente era loro abitudine andare al mare insieme. Ora che non c’è più lui è ancora lì, ma non se la sente di rivedere quei luoghi, quei panorami e quel mare che apre al’infinito da solo senza di lei che dava valore, colore e bellezza ad ogni cosa. Ora non è più capace di vedere il bello da solo. Piange. Anche quell’odore salmastro del mare gli ricorda lei. E’ chinato su di sè perchè lei è parte di lui, lei è dentro di lui. In lui è ancora viva. La può trovare nel suo cuore. La ritrova in mille ricordi, in mille gesti, in mille sguardi, in mille abbracci. La ritrova nei loro momenti di gioia e di dolore. La ritrova, ma non riesce più a toccarla. E questo è straziante. Non riesce più a sentirla. Lei c’è, ma non c’è. Il matrimonio è il sacramento del corpo, della concretezza. Non basta la presenza nel cuore. Serve la concretezza della carne. Servono gli sguardi, la compagnia, la presenza, gli abbracci, le parole e anche i litigi. Ha il cuore a pezzi e sente il bisogno di qualcosa di concreto che possa esprimere ciò che è vivo e presente nel suo cuore. Così si porta la fotografia. Quest’uomo sembra aver perso tutto. Per il mondo è così. Per noi cristiani non è così. Abbiamo la grazia di una prospettiva eterna. Questa immagine così triste attira e  affascina ogni persona. Accanto al sentimento di tristezza  provoca una sensazione di bellezza non ben definita.  Noi sappiamo dare ragione a tutto questo. Quest’uomo ha realizzato ciò che noi tutti abbiamo nel cuore. Un desiderio costitutivo di ciò che siamo, ma che spesso, disillusi, riteniamo impossibile. L’amore eterno. Una relazione unica, indissolubile, totale che vada oltre la morte. Non so nulla di lui. Non so se sia credente o meno. Non importa. E’ riuscito a realizzare la sua vocazione all’amore. E’ stato capace di amare una donna così tanto da farne parte di sè. Padre Bardelli diceva sempre a noi sposi: Il vostro matrimonio sarà santo e realizzato quando arriverete a dire non sono più io che vivo ma lei/lui che vive in me. Questo signore c’è riuscito. Nel suo immenso dolore c’è la vittoria di chi ha dato compimento all’unico e solo senso della vita: amare Dio con tutto il cuore, con tutto lo spirito e tutta la mente. Non che la moglie fosse Dio, ma nel matrimonio si impara ad amare l’altro come Dio desidera essere amato. Ci prepara ad accogliere l’amore e l’abbraccio eterno di Gesù per ognuno di noi.  Dico ogni tanto a mia moglie che spero di morire prima di lei. Non voglio fare l’esperienza di questo dolore, ma mi rendo conto che amare davvero significa mettere in conto anche questa sofferenza. Non so se toccherà a me o alla mia sposa, ma una cosa è certa l’amore che ci siamo donati non andrà perso e il nostro sarà solo un arrivederci. Ci ritroveremo nella gioia eterna e condivideremo l’amore infinito e perfetto di Cristo. Almeno spero che ci sia un posticino anche per noi.

Antonio e Luisa.

L’alfabeto degli sposi. M come morire.

Brutta questa. Cosa c’entra la morte con il matrimonio che è amore e vita? C’entra tantissimo. Solo morendo a me stesso posso aprirmi al matrimonio in modo pieno ed autentico. Cosa significa? Ci sono tre distinte morti che devo riuscire a portare a termine.

Devo uccidere il mio egoismo. Il mio egocentrismo. Devo smetterla di valutare ogni situazione in termini di costi e ricavi. Questa cosa mi conviene, quest’altra no. Smetterla di far dipendere tutto dalla mia soddisfazione personale. Non sono il centro del mondo, neanche del mio mondo. Questo mi sta dicendo Gesù. “Se vuoi essere felice il centro devo essere io. Io che non vedi, ma che sono presente nei tuoi vicini e in particolare nel tuo prossimo più prossimo: la tua sposa”. Ci sono tante situazioni in cui non ho gratificazione immediata e diretta. Al contrario costano fatica, impegno sudore. Situazioni che però lette alla luce della mia relazione sponsale con Cristo assumono una pienezza di significato e di senso che nessun piacere terreno può dare. Tante situazioni. Me ne sovviene una. Alcuni anni fa era mia abitudine uscire a correre con un’amica. Una cosa molto innocente. Col tempo però l’intimità è cresciuta e mi sono accorto che stava diventando davvero pericoloso. Mi sono accorto che lei, a un mio approccio più diretto, non si sarebbe opposta.  Queste cose si capiscono da tanti piccoli segnali. Ho avuto paura. La tentazione era forte. Mi piaceva. Avrei potuto avere una gratificazione immediata. Un piacere immediato. Una conquista che mi avrebbe fatto sentire desiderato e desiderabile. Poi? Avrei distrutto tutto ciò che avevo costruito fino a quel momento. Avrei tradito la persona a me più cara. Un macello. Sarei morto nello spirito. Ho preso allora la decisione più saggia che avessi potuto prendere in quel momento. Non ho sfidato la mia volontà, sono scappato. Ho smesso di uscire a correre con quell’amica. L’ho sostituita con un lettore mp3 e della buona musica. Aver avuto la forza di questa scelta mi ha donato una pace e una serenità che solo la certezza di compiere la volontà di Dio può dare.

Devo poi morire al mio orgoglio. Devo smetterla di sentirmi migliore degli altri. Smetterla di considerare ogni critica come delitto di lesa maestà. Accettare che sono imperfetto e fragile come lo è la mi sposa. L’orgoglio può essere a volte peggio dell’egoismo. Crea barriere che allontanano. Crea risentimento e incomprensioni. Avere ragione (sempre che l’abbia) non è la cosa più importante. La mia famiglia non è un sindacato dove portare istanze e lamentele. La mia famiglia è una comunità d’amore dove ci ama nella libertà di mostrare la propria fragilità sicuri di essere perdonati.

L’ultima morte che mi viene in mente è la morte della mia volontà. Smetterla di pensare che le cose debbano andare come dico io. Smetterla di desiderare che tutto sia perfetto. Ho quel lavoro e in quel lavoro Dio mi chiede di essere amato e servito. Ho quella famiglia e Dio mi chiede di servirla con tutti i difetti e limiti che presenta. Ho quella sposa, che non sempre si comporta come vorrei, che non sempre fa ciò che vorrei e pensa come vorrei. E’ meravigliosa così, perchè è diversa da me, perchè è libera e chiede di essere amata e di amarmi con tutta la libertà che la costituisce.

Antonio e Luisa

Insieme alla meta

Un immagine di sofferenza, di dolore, di malattia che evidenzia tutta la nostra finitezza e piccolezza. Questa immagine fissa un attimo degli ultimi giorni di vita di queste due persone. Non li conosco, non so che vita abbiano condotto, non conosco le loro gioie e le loro difficoltà e sofferenze. Ho solo questa immagine e le poche righe dell’articolo da cui ho preso questa fotografia. Leggo la sofferenza nel loro corpo malato e debole. I loro volti mi ricordano quello di Gesù sulla croce. Non è un’immagine bella, ma  c’è qualcosa che apre all’infinito, che apre alla speranza. C’è un segno che dà un senso alle loro vite che stanno giungendo alla fine, ameno su questa terra.  Quelle braccia che si aprono, le loro mani che si incontrano e si stringono. Un semplice gesto che significa tutto. Il loro matrimonio è stato un cammino di preparazione a questo momento. La loro relazione li ha preparati per questo momento. Adesso sanno che sta giungendo la morte, e penso abbiano paura nel cuore, ma trovare la mano della persona con cui hanno costruito la loro vita, con cui hanno condiviso tutto, la persona che gli ha aiutati a uscire da se stessi, dal proprio egoismo e li ha resi capaci di dono, di incontrare l’altro e di aprirsi all’altro. Quella persona che li ha educati a far posto nel loro cuore per far entrare l’amato/a e con lui Dio. Quella mani che si intrecciano significano tutto. Significano voler infondere coraggio nell’altro, significano riconoscere di non farcela da soli, di aver bisogno di amore e sostegno. Quella mano stretta alla persona che più si ama ha un significato molto profondo. Significa voler tener stretto l’amore, la vita e la luce per non arrendersi alle tenebre. E’ sentire la presenza di Dio che consola e infonde forza,  che passa attraverso il nostro amato. Il nostro sposo e la nostra sposa sono anche questo. Sono un dono grande.  La nostra vocazione è farci uno perchè possiamo giungere entrambi, aiutandoci e sostenendoci, all’incontro con Gesù. Loro hanno avuto la Grazia di arrivare insieme a quell’incontro e ora sono sicuro sono nella gioia eterna e nell’amore infinito di Dio.

Antonio e Luisa

Elisa ha sconfitto la morte.

Ho conosciuto la storia di Elisa da poco. Le storie come la sua non sono pubblicizzate come meritano e spesso finisce che molti non le conoscano. E’ strano perchè è una di quelle storie che dona respiro al nostro mondo asfittico, una prospettiva e un orizzonte che guardano all’infinito che poi è il desiderio più profondo di ogni uomo. E’ una storia cristiana ma prima ancora umana vera ed autentica. E così mentre vengo messo a conoscenza di ogni particolare del divorzio di Angelina e Brad, solo il post di uno dei miei amici di facebook mi ha regalato questa storia che, seppur racconta la storia di una giovane moglie e mamma morta prematuramente, apre alla speranza e alla luce. Questi sono i miracoli di Dio e di chi si fa suo strumento.

La sua storia la potete leggere a questo link.

Quello che mi preme condividere con tutti e la sua ultima lettera, una sua eredità spirituale per la sua famiglia ma che come tutte le opere che profumano di Dio si rivolge a tutti noi.

Luca, hai visto? Ce l’ho fatta ad esserti fedele sempre, ad amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita. La mia assenza ti strazierà, non sai come mi dispiace, però è il segno che ce l’hai fatta anche tu. Abbiamo mantenuto la promessa fattaci davanti a Dio e in lui quasi 12 anni fa. Sei un uomo di parola, sposo mio. Questa è fatta: missione compiuta. Proseguiamo con la prossima, adesso: io dal cielo, tu dalla terra. Che il nostro amore sia fecondo e generi figli liberi e capaci di amare; loro parleranno anche di noi e per noi.

Chiara, Francesco, Maria, ascoltate la mamma: io ho visto che Gesù è vincitore della morte. Io l’ho visto vivo oltre la tomba. L’ho visto vivo quando mi ha liberato dalle schiavitù della mia giovinezza, dal rischio di sprecare la mia vita. Anche voi potete vivere senza perdere tempo, facendo il bene senza stancarvi mai. L’ho visto vincitore quando mi ha liberato dall’egoismo, per rendermi capace di vivere per voi. Io ho visto Gesù vivo quando tutto il sangue, tutta la vita usciva dal mio corpo: la sua presenza – e accanto a lui c’era la mia amica Chiara Corbella – mi ha fatto trasalire. In quell’istante il sangue e le lacrime hanno smesso di scappare, e io ho visto che siamo nati e non moriremo mai più.

Famiglia mia carissima, mamma, papà, Alessandro, amici tutti: io ho fatto l’esperienza che l’ultima parola non è morte, ma vita in Dio, e così ve la trasmetto, con la mia ultima parola: Maddalena. Lei è annuncio di Risurrezione.

Luca mio, coi nomi dei figli abbiamo fatto un centro perfetto, non trovi?!