L’arte di rovinare i matrimoni: romanzo per riflettere sul matrimonio sacramento

Lasciate che mi presenti: Il mio nome è Zecca. O meglio, è il nome che mi è stato assegnato quando mi sono unito al gruppo dei ribelli. Avete presente le mosche e le zanzare, che si aggirano nella vostra stanza, di notte, mentre voi vorreste solo dormire? Ecco, noi diavoli siamo questo, ma nelle vostre relazioni. Non so se lo sapete, ma anche i demoni vanno a scuola. Dopo tre anni di studio, ho conseguito la laurea che mi permetteva di diventare ‘disturbatore di base’. Desideravo però proseguire e specializzarmi in qualcosa. Così mi sono iscritto nella scuola che si occupa di insegnare a rubare la purezza e distruggere famiglie…

Dal libro “L’arte di rovinare i matrimoni. La missione di un giovane apprendista diavolo” (Mimep Docete, 2023)

Oggi vorrei parlarvi un po’ di questo romanzo, che, sebbene si serva della fantasia, affronta temi profondamente reali e sempre attuali. Al centro, c’è una coppia di sposi con un bambino: questa famiglia felice deve essere distrutta. Il demone – protagonista del racconto – vuole ottenere, infatti, facendo separare i due coniugi, una “laurea specialistica” che gli consenta di agire nel mondo con professionalità. Per raggiungere il suo scopo e superare l’esame, ha un aiutante (anche se fa tutt’altro che aiutarlo), Piattola, un demone molto impacciato e, agli occhi di Zecca, inutile e fastidioso.

I due, per vicissitudini che non spiego per non fare spoiler, sono “costretti” a collaborare. La coppia, sposata in Cristo, inizialmente resiste. Quand’è che i demoni sembrano avere la meglio? Quando i due sposi smettono di pregare, quando smettono di fidarsi di Dio e di credere che Lui ha un progetto di bene sulle loro vite.

Non posso svelarvi oltre, ma posso dirvi che il libro intende portare un messaggio di speranza. Ogni matrimonio è “sotto attacco” e tante possono essere le tentazioni. Si può arrivare persino ad una vera e propria rottura, all’apparenza irreparabile. L’amore può morire. Questo lo sappiamo tutti. Ciò che voglio dirvi col mio libro, però, è che può anche risorgere. Come?

Abbiamo bisogno di una fede piccola quanto un granello di senape e di buoni amici, che sappiano aver cura di noi quando non abbiamo, per primi, cura di noi stessi. Un altro tassello fondamentale? L’umiltà per chiedere scusa e ricominciare.

Ambientato a tratti sulla Terra, a tratti all’Inferno, ma con lo sguardo sempre rivolto al Paradiso, il libro non banalizza l’esistenza del demonio, né vuole terrificare il lettore. Utilizzando una storia di fantasia, simile ad una favola moderna che segue le orme de “Le lettere di Berlicche” di C.S. Lewis, vuole offrire un piccolo aiuto per ritrovare la fede nell’Onnipotente, anche di fronte alle tentazioni più grandi. Smascherando gli inganni del diavolo (quelli sì che sono reali!) e mostrando la superiorità di Dio, vorrei che il lettore arrivasse a chiedersi, come san Paolo: “Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?”

Un libro per sorridere molto e commuoversi; per scoprire la grande potenza del sacramento del matrimonio e per capire che l’indissolubilità non è tanto “opera nostra”, quanto un “dono da accogliere”. Il “per sempre” dobbiamo volerlo, ma con le sole nostre forze è un’impresa titanica.

Rovinare un matrimonio significa compromettere la comunione degli sposi. Lasciare che sia Dio a modellare la nostra relazione significa, invece, far sì che la comunione cresca o ritorni in tutta la sua bellezza, anche dopo le tempeste peggiori. A Luca e Chiara del mio libro succede, a me, a noi, a voi?

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Cecilia Galatolo

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“Codice Cuore”: Libro per Adolescenti sul Valore della Sessualità

Mi è capitato ben due volte, nell’arco di poco tempo, di sentire persone adulte affermare che non possono parlare a figli, nipoti o al catechismo di sessualità, in quanto bisogna essere “competenti”, preparati, e loro non si sentono all’altezza. Da un lato, questa umiltà è profondamente ammirevole. È bello riconoscere che si necessita di una certa formazione per toccare – senza fare danni! – temi così rilevanti per la vita di una persona.

Dall’altro, è quasi allarmante che persone adulte, sposate, con figli, non parlino con i più giovani di questi argomenti (se non lo fanno loro: chi lo farà?) e che non lo facciano perché non hanno “la formazione necessaria”. Verrebbe da chiedersi: se sono sposati, ma si sentono “ignoranti” su quello che è il “fulcro”, il “quid” del matrimonio, perché non hanno sentito l’esigenza di colmare la lacuna?

Cosa aspettano a porsi domande e cercare risposte che permettano anzitutto a loro di capire il significato di un gesto che li riguarda da vicino, che tocca “dal di dentro” la propria vita? Se non sanno come parlarne, allora come lo hanno vissuto, come lo stanno vivendo?

Forse, a dire il vero, la formazione di cui si sentono mancanti non riguarda neppure il “significato” del gesto. In un mondo che spesso riduce il sesso ad una ginnastica (ma più “pericolosa”, perché può portare a gravidanze indesiderate e malattie per nulla piacevoli), spesso le competenze che si richiedono negli incontri di “educazione sessuale” sono, per così dire, puramente “tecniche”. Questa mentalità di fondo fa sì che si pensi di dover parlare di certi argomenti solo con un approccio medico.

Eppure, è proprio la mentalità di fondo che va messa in discussione, perchè – è sempre più evidente – la sessualità non è solo un’attività che riguarda la nostra salute fisica: è un atto che coinvolge tutta la persona, lasciando segni non solo nel corpo, ma anche nella mente e nell’anima. Questo argomento non riguarda o interpella solo i medici (sebbene il loro punto di vista sia importantissimo). Non sono gli unici che hanno il diritto e il dovere di parlarne a chi diventa grande. Anzi, l’esempio di un adulto di fiducia, vicino, stimato, è prioritario per un/una giovane che si chiede come, dove, con chi, perchè vivere l’intimità fisica! E, se ci è successo, anche senza avere una laurea in ginecologia, possiamo (dobbiamo!) testimoniare una bellezza trovata e sperimentata.

Senza presunzione, allora, mi permetto di segnalare un libro che ho scritto per raccontarvi una scoperta che ho fatto: ovvero che la “teologia del corpo” risponde alla sete di amore del nostro cuore. È con questo spirito, cercando di seguire le orme di San Giovanni Paolo II (che ha promosso in tutto il suo pontificato la “Teologia del Corpo”), che è nato “Codice cuore. Istruzioni per l’uso. Trovare sé stessi per stare con qualcun altro” (Mimep Docete, 2025), uno strumento per parlare ai ragazzi della dignità del corpo, di come amarsi in modo autentico (imparando prima di tutto l’amore per sé stessi).

Il libro, suddiviso in dieci capitoli, affronta vari temi legati all’affettività. Ogni capitolo ha al suo interno delle testimonianze vere, per avvalorare i contenuti esposti.  

Il libro, nel suo complesso, vuol mettere in luce che la nostra sessualità è un dono da custodire: si cerca di mettere in guardia da una visione materialistica del corpo, quasi fosse un oggetto di poco valore. Si spiega che l’intimità fisica può fare male, quando privata di ogni significato: invece di riempirci, ci svuota. Inoltre, si testimonia che “Dio c’entra col sesso”: ce lo ha donato Lui. Lungi dal promuovere una visione negativa e pessimista, si afferma che l’atto sessuale è qualcosa di sacro e che si può scegliere di “fare l’amore a 360 gradi”. Dobbiamo temere la concupiscenza, non la sessualità in quanto tale. Mediante il gesto più unitivo e vincolante che ci sia, possiamo sperimentare una comunione profonda con l’altro. Oppure possiamo viverlo in modo tale da sentire una solitudine tremenda.

Non poteva mancare, poi, il tema della pornografia, che non svela troppo, ma troppo poco. Non ci mostra il sesso come linguaggio dell’amore, oscurando quindi il suo potenziale più alto. Ad esempio, non mostra “comportamenti sani”, come la conversazione amorevole, i baci e i gesti di affetto. Nella pornografia, “tutto è deviato e distorto”. Insomma, che vantaggi ne avremo usufruendone?

Si tocca anche il tema della vita nascente, offrendo uno sguardo di speranza, anche davanti a gravidanze apparentemente impossibili e la possibilità di perdonarsi, se si è scelto di rinunciare al proprio figlio. Si cerca, tra l’altro, di offrire una via d’uscita, una possibile rinascita, per chi crede di aver perso la purezza per sempre e con essa la possibilità di gustare un amore vero.

Si può sempre ricominciare da zero! La domanda da farti è: lo vuoi? Anche se non hai ancora una risposta, potresti continuare a interrogarti. Non sei obbligato a comprare il libro e nemmeno a trovarti in accordo con ciò che leggerai; però, potrebbe essere uno spunto per riflettere su quello che cerchi davvero.

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Cecilia Galatolo

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Il matrimonio non aggiunge nulla? La testimonianza di Lucia

Molti credono che il matrimonio in Chiesa non porti “nulla di nuovo”: non serve, in quanto non aggiunge niente all’amore di una coppia. Certo, aggiunge poco o nulla se gli sposi non accolgono la presenza di Dio in loro, tra loro. Quel dono va fa fatto fruttare con fede, altrimenti resta un tesoro sepolto. Il punto è che il Signore non può amarci e arricchirci contro la nostra volontà. Se, però, “sposarsi in chiesa” diventa “sposarsi in Cristo” allora cambia tutto. Segue la testimonianza di Lucia, una storia molto delicata e travagliata che, però, ci dà tanta luce.

Sono Lucia e, da alcuni anni, sono seguita dal mio vescovo, un esorcista. Tutti i vescovi sono esorcisti, lo so, ma quello della mia diocesi ha accolto il ministero, lo pratica, e mi sta aiutando a guarire da una situazione particolare, di cui non parlo quasi con nessuno, perché le poche volte in cui l’ho fatto – anche con i sacerdoti – ho trovato poca comprensione, se non indifferenza e resistenza.

Alcuni, poi, ci credono, ma dicono che la mia esperienza “impressioni” e che raccontarla può fare più male che bene. Eppure, è la mia storia, è qualcosa che vivo quotidianamente e se Dio permette una simile croce sicuramente ci deve essere dietro un bene più grande. E io voglio essere testimone della luce, non delle tenebre.

Mia nonna, che non ho mai conosciuto di persona, era satanista. Risalgono a quando aveva quattro anni i primi ricordi che mia madre aveva di una messa nera. Spesso diceva a noi figli, in adolescenza, di guardarci bene da queste cose: perché chi pratica l’occulto non lo fa “per scherzo”.

Una volta divenuta adulta, mia madre ha conosciuto e sposato un uomo di chiesa. I miei, insieme, hanno scelto Gesù, ma questo è costato molto a entrambi, perfino minacce di una certa gravità. Sono riusciti ad allontanarsi da mia nonna e dal suo giro, senza che ci fossero ripercussioni fisiche.

Eppure, mamma non è “guarita automaticamente”. Troppe volte mia nonna con i suoi “compagni” aveva operato riti su di lei.

Non so molto sulle modalità in cui avvenivano queste cose, mamma ha cercato di preservarci da tanta bruttura: ho saputo solo vagamente di galline sgozzate e sacrificate a Satana, di ostie consacrate profanate, di amuleti maledetti. Mia madre era costretta, da piccola, a portare indosso uno di quegli oggetti, sul petto, perché il suo cuore doveva essere “consacrato a Satana”.

Non chiedetemi come si possa arrivare a una simile perversione nella vita e come si possa fare questo ad una bambina. Non me ne capacito. Oggi so solo che tutto questo non si cancella in un giorno.

Io e i miei fratelli siamo cresciuti nel cortile di un convento, dove mia madre “andava a parlare” con un frate che era anche sacerdote. Io non sapevo cosa succedesse lì dentro, l’ho saputo solo una volta diventata più grande: mia madre, in quel convento, riceveva esorcismi, mio padre stava al suo fianco, mentre noi bambini, ignari, giocavamo fuori, con i cagnolini, insieme agli altri frati (super simpatici, questo lo ricordo bene!).

I miei genitori temevano che la nonna, nel suo ambiente, continuasse a farci del male, anche da lontano. Per questo non ci siamo mai allontanati dai sacramenti e da una vita di preghiera assidua, quotidiana. Mentre dico questo, voglio sottolineare che mamma è stata per me una vera testimone di fede, di quella fede che “ti salva letteralmente dal male”. Si è aggrappata a Gesù e lui l’ha riempita di grazie, nonostante non le abbia risparmiato le sofferenze. Però, in effetti, quello che è toccato a mia madre è toccato, in parte, anche a noi tre figli.

Per quanto riguarda me, era fine novembre del 2012, avevo vent’anni, mi ero da poco fidanzata con il mio attuale marito, quando ho avuto le prime manifestazioni fisiche dell’infestazione. Eravamo in un grande santuario dedicato alla Madonna, quando, durante la messa prefestiva di quel sabato, già all’inizio della celebrazione, i miei occhi hanno iniziato a ruotare verso l’alto (mi capita tutt’ora e, spesso, soprattutto durante la Consacrazione, devo mettere le mani davanti agli occhi per nascondere quella reazione involontaria e non impressionare i presenti).

Quel giorno di novembre, per la prima volta, ho visto la mia pancia muoversi avanti e indietro (senza che io facessi nulla) ogni volta che il sacerdote pronunciava il nome di Gesù o dello Spirito Santo.

Sentivo anche le gambe tremare. Al momento della comunione non riuscivo a ingoiare l’ostia, c’era qualcosa che faceva ostruzione nella gola. Mi sentivo soffocare. Quello è stato solo l’inizio.

Non voglio suggestionare nessuno, sono situazioni rarissime. E vorrei anche dire che l’azione ordinaria del diavolo (molto più nascosta) con cui tutti abbiamo a che fare, è sicuramente peggio: la vessazione è dolorosissima, ma per l’anima è “peggio” fare il volere di questo nemico, non riconoscendolo nei pensieri e nei consigli sbagliati che dà al nostro cuore. Insomma, peggio non credere nella sua esistenza che doverci combattere. La lotta spirituale contro di lui, in realtà, avvicina tantissimo a Cristo.

Tornando al racconto, nei giorni, nelle settimane, negli anni a seguire il malessere interiore, le manifestazioni fisiche sono aumentate. Da allora il combattimento è stato incessante, ma con Gesù ho sempre saputo che non dovevo temere.

Ricordo che, da studentessa fuori sede, a volte camminavo per strada per tornare a casa e quasi mi bloccavo per il peso di quella presenza che mi schiacciava. Entravo in chiesa, facevo un segno di croce con l’acqua benedetta, ed era come un refrigerio. Recuperavo le forze e riuscivo a rimettermi in cammino fino a casa. Dio non mi ha mai lasciata, mai.

Da un po’ di tempo sto meglio, i fastidi sono più lievi, sebbene la presenza ci sia ancora e faccia male, ma l’amarezza più grande è avere una “malattia” che per la maggior parte delle persone (compresi sacerdoti!) non esiste. Quanti mi hanno detto, più o meno carinamente, che è tutto frutto della mia fantasia. Capite che fa male sentirsi dire questo, quando tu passi una vita normale fino ai 20 anni, poi, ad un certo punto, devi trascorrere la vita universitaria a nasconderti in bagno perché non riesci a “contenere” i segni di una presenza (che tu senti e riconosci come estranea!) che ti “abita” contro la tua volontà!

Non voglio fare polemica: capisco, davvero, capisco chi non riesce a comprendere… se non lo vivi, le cose sono due: o ti fidi del Vangelo (Gesù parla continuamente di spiriti impuri e persone disturbate in modo anche serio) e di chi te lo racconta …o non puoi sapere cosa significhi e ne prendi le distanze pensando che sia da “creduloni”.

Ad ogni modo, il motivo per cui scrivo qui è che voglio sottolineare il fastidio del diavolo verso il matrimonio. Gioele, fidanzato con me da pochissimo quando tutto questo è venuto alla luce, mi è stato sempre vicino e, seppure a volte si sentisse inadeguato rispetto alla situazione, non ha mai dubitato di noi e di un futuro con me. Dopo tre anni insieme, mi ha chiesto di sposarlo.

Ricordo ancora che da fidanzati, quando ero in preda alla vessazione che si manifestava in modo violento (succedeva soprattutto quando io e Gioele eravamo soli), quando non riuscivo ad alzarmi da una sedia o da un letto per il malessere generalizzato o quando urlavo, lui si metteva lì, vicino a me, pregava il rosario per me e pian piano la situazione rientrava; se eravamo in macchina, con lucidità lui accostava e pregava. Oppure mi accompagnava in chiesa, dove, davanti al tabernacolo, il demonio si calmava. (Il demonio si sottomette solo a Cristo!).

La nostra situazione, però, è cambiata da quando siamo sposati: in Gioele il demonio, da quel momento, riconosce Gesù, allo stesso modo in cui lo riconosce nella Confessione e nell’Eucaristia.

Da fidanzati Gioele pregava, ma non rappresentava Cristo stesso per il diavolo come invece succede da otto anni a questa parte (esattamente dal giorno del nostro matrimonio). Mi credete se vi dico che la stola del mio esorcista e la mano di mio marito (lo ripeto, dal giorno della consacrazione nuziale), su quegli occhi che ruotano impazziti hanno lo stesso effetto? Scende su di me la stessa grazia. Il diavolo trema davanti alla fede benedetta, come trema davanti al crocifisso che il vescovo usa durante le sue benedizioni.

E quando facciamo l’amore (dobbiamo pregare molto prima, perché il demonio mi considera erroneamente “sua” e non vuole che mi doni a mio marito), la pace che vivo è una pace dell’anima. Il diavolo trema letteralmente durante ogni amplesso. Ciò che gli sposi cristiani sanno per fede, io lo sperimento: in ogni atto coniugale avverto la discesa dello Spirito Santo, che rinnova il sacramento. Lo avverto perché il demonio trema, come quando ricevo la comunione.

Ditemi pure che sono pazza: ho sofferto così tanto e ho visto così chiaramente ciò che vi sto dicendo, che i vostri giudizi non mi offendono, né hanno potere di cancellare qualcosa che sperimento e pure con una grande intensità. Oggi so cosa significa il buio dell’inferno, so cosa significa essere tormentati nel profondo e so cosa significa che Gesù lotta per noi e vince, alla fine, le tenebre.

Se racconto la mia storia – a costo di sembrare visionaria – non è per avere compassione, né per spaventarvi: è per dirvi di confidare in Gesù e di restare nella Chiesa anche se a volte delude. E perché sappiate quale grandezza abbiamo nei sacramenti, anche in quello del matrimonio, spesso troppo sottovalutato…

Voglio lasciarvi con un messaggio di speranza: tutto concorre al bene per coloro che amano Dio, anche il male, anche l’azione stessa del demonio! Non si contano le grazie che Dio mi ha donato, non si contano i frutti di bene, le scoperte che ho fatto sul suo amore. Se voi mi chiedeste che cosa mi ha lasciato, soprattutto, questa prova durissima, io vi direi “Tante benedizioni”. Attraverso questa croce grande, ho visto tanto, tanto bene e – paradossalmente, lo so – ho smesso di avere paura del demonio. Perché ho capito quanto Dio mi ama e che gli spiriti impuri si sottomettono a Lui. Oggi so che nulla potrà mai strappare la mia mano da quella di Gesù: nemmeno il diavolo in persona!

Cecilia Galatolo

I livelli del tradimento

Oggi voglio rispondere a una domanda che mi è stata rivolta da una lettrice. Riguarda il peccato. Mi è stato chiesto: tradire con la mente ha la stessa gravità che tradire con il corpo? Come non pensare ai versetti del Vangelo chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore (Matteo 5, 28)

Come dobbiamo leggere queste parole che sembrano tanto chiare? Dobbiamo leggere in modo non superficiale. Ci viene in aiuto il card. Ravasi che commentando questo versetto scrive: Non era la semplice emozione istantanea e spontanea di fronte a una persona o a una realtà attraente, bensì una decisione profonda della volontà che pianifica un progetto vero e proprio per conquistare l’oggetto del desiderio, anche attraverso una macchinazione o una tensione psicologica intima o una costante concupiscenza. 

Siete d’accordo che così cambia tutto? Mi permetto di fare alcune considerazioni. Esistono diversi piani di tradimento. Non hanno le stesse implicazioni e non credo neanche la stessa gravità. Come sempre io non voglio fare un discorso strettamente religioso e di peccato ma semplicemente umano per rivolgermi a tutti.

Primo livello. Il pensiero (la tentazione).

Permettetemi di essere chiaro. Essere attratti da altre donne che non siano mia moglie non è peccato. Naturalmente vale anche per mia moglie verso altri uomini. Le tentazioni ci sono e dipendono da una serie di diversi fattori. Non colpevolizziamoci se sentiamo attrazione per altri. Non sono pensieri volontari. Vengono e basta. Spesso dipendono da nostre fragilità o inclinazioni personali. Sono spesso istintive e non volute. Noi commettiamo peccato quando scegliamo di allontanrci dal nostro impegno quotidiano di mettere al centro del nostro amore nostro marito o nostra moglie. Quando lo decidiamo. Quindi arriviamo ora al secondo livello.

Secondo livello Nutrire il desiderio sbagliato.

Se ci fermiamo al primo livello stiamo sereni. Se entriamo invece nel secondo dovremmo prestare invece molta attenzione. Cosa succede nel secondo livello. Succede che quella persona che ci ha attratto prende spazio nei nostri pensieri e nel nostro cuore. Ma qui non c’è solo una dinamica involontaria ma iniziamo a provare piacere nel pensare a quella persona. Ciò può avvenire anche senza che quella persona sappia nulla. Senza che nostra moglie o nostro marito sappia nulla. Attenzione: quando una tentazione entra nel livello due spesso ciò è favorito dalla salute del nostro matrimonio. Se non viviamo un matrimonio sano dove c’è dialogo e cura reciproca faremo più fatica a resistere alle tentazioni. Quindi parte della responsabilità, in caso di cadute, va ricercata nella relazione stessa. Dove sta il peccato? Semplicemente che stiamo togliendo spazio alla persona che abbiamo sposato. In questo tipo di tradimento rientra anche la pornografia. Non stiamo tradendo fisicamente l’altro ma lo stiamo sostituendo. Stiamo dedicando spazio, tempo, energie fisiche e mentali verso qualcosa o qualcuno che ci allontana dalla nostra promessa sponsale. Stiamo sottraendo qualcosa che abbiamo donato all’altro. In questo livello rientrano tante situazioni. Mi viene in mente una sposa che si era rivolta a noi perchè quando faceva l’amore con il marito per eccitarsi pensava ad altri uomini. Siamo nel tradimento mentale. Oppure i sempre più frequesti tradimenti online. Dove non c’è contatto fisico ma semplicemente un corteggiamento o un dialogo allusivo. Capite dove sta il peccato? Peccare sappiamo che significa sbagliare bersaglio. E’ esattamente questo. Dedicare le nostre attenzioni ad altri o ad altro e, così facendo, impoverire sempre di più la nostra relazione sponsale allontanandoci sempre di più l’uno dall’altro.

Terzo livello Metterci il corpo.

Perchè questo è il livello più grave? Perchè è il più profondo. Il peccato è lo stesso del livello due ma le implicazioni sono molto più devastanti. Io credo che la maggior gravità dipenda da due fattori principali. Tradire fisicamente significa aver condotto il tradimento fino alla sua completa attuazione. Significa non aver voluto fermare tutto prima. Ma la cosa ancora più grave è aver vissuto quel tradimento in modo completo, in mente, cuore e corpo. Significa aver compromesso tutta la persona in una relazione che è altra rispetto a quella matrimoniale. Fare l’amore è il gesto che è parte integrante del sacramento del matrimonio. Dopo la promessa in Chiesa serve l’unione dei corpi per rendere il sacramento efficace. Questo proprio perchè nell’amplesso stiamo dicendo, con tutta la nostra persona, il nostro sì a voler essere uniti indissolubilmente. Quando avviene il tradimento fisico stiamo compiendo lo stesso atto unitivo con un’altra persona. Stiamo rinnegando dentro di noi quell’unità che abbiamo promesso all’altro e a Dio. Per questo il tradimento fisico è ancora più grave. Perchè non abbiamo lasciato fuori nulla di noi. Ci siamo dentro completamente. Ed è quello da cui poi è più difficile – quando scoperto – essere perdonati e che porta spesso a separazioni e divorzi.

Antonio e Luisa

Il gesto specifico del matrimonio? Diventare una sola carne

Una volta, una ragazza mi ha confidato i suoi timori sul futuro, in particolare riferendosi alla relazione che stava vivendo con un uomo. Diceva di vedermi con ammirazione, per aver compiuto il passo del matrimonio, le piaceva l’idea di sposarsi nella vita; in quel momento, però, non si sentiva pronta. “Convivo col mio ragazzo, – mi ha raccontato – ma non lo sposerei e non comprerei nemmeno una casa con lui… perché, anche se stiamo bene insieme e siamo entrambi sistemati lavorativamente, non sono sicura di amarlo”.

Non sposerebbe quell’uomo, non farebbe un mutuo per avere una casa insieme (cose senz’altro importanti e vincolanti), però vive con lui (non è quello che fanno due sposi?) e diventa una sola carne con lui (anche questo, non è esattamente ciò che fanno due sposi?).

Senza voler giudicare quella donna, che con tanta sincerità mi ha confidato una sua fatica (non era felice della sua situazione e avrebbe voluto fare chiarezza) non ho potuto evitare di pensare che era stata creata per qualcosa di più. Diceva di non essere pronta a costruire insieme a quella persona “una casa di mattoni”, però pensava di essere pronta a diventare un corpo solo, edificando una casa mediante la carne.

Eppure, non è forse “il tempio” del corpo il più importante da custodire?
Gesù è stato chiaro quando ci ha detto cosa distingue il matrimonio da ogni altra relazione e non ha fatto riferimento né ad una casa di pietra, né ad un mutuo, né tanto meno ad una firma. Ha detto: “I due saranno una sola carne”. L’atto coniugale è cioè il gesto che distingue l’amore sponsale da tutti gli altri affetti.

Quindi, questo significa che ogni volta che viviamo un atto sessuale con qualcuno lo stiamo sposando? Significa che quella ragazza, senza volerlo, si è sposata con quell’uomo, al quale non sente ancora di volersi legare nella vita? Ovviamente no. Ed è proprio qui che si origina la sua sofferenza.

Se è vero che quel gesto è stato pensato per realizzare, o, se vogliamo, per sigillare un matrimonio, quando tu vivi l’esercizio della sessaulità al di fuori di questa dimensione in fondo avverti che ti manca qualcosa. In fondo sai che stai sprecando un dono, una opportunità. Ovvero l’opportunità di vivere quel gesto unico per dire all’altro: “Io ti accolgo in me, senza riserve, ora e per sempre”.

Ecco cos’è, allora, un atto impuro: dimenticare che l’atto sessuale è stato pensato per dichiarare un amore e un’appartenza reciproca che si verificano prima di tutto nella vita.

Leggendo “L’ecologia dell’amore“, di Antonio e Luisa, ho riflettuto proprio su questo: il matrimonio è il sacramento del corpo. L’amore passa necessariamente attraverso il corpo. E se col corpo viviamo gesti che contraddicono la nostra chiamata ad un amore vero?

Ecco, dove manca coerenza, dove il dono di sè che si realizza attraverso la sessualità non è autentico, avvertiamo un dissidio. Ci manca la pace.

I cristiani, soprattutto quelli che avanzano l’ipotesi che si possa vivere un fidanzamento senza sesso, vengono spesso etichettati come “sesso-fobici.” Eppure, l’unica paura che abbiamo è quella di non vivere con la dovuta sacralità questo atto così grande e potente, bello e fonte di vita.

Se ti accorgi che finora hai sciupato questo dono e vuoi cambiare strada, sappi che è possibile. Non è mai troppo tardi per recuperare la purezza, per ridare alla sessualità il suo valore. Fidati: Dio fa nuove tutte – ma proprio tutte – le cose. Può rinnovare anche te, può ridonarti la verginità del cuore.

Cecilia Galatolo

Donna, conosci te stessa!

Torniamo a parlare di challenge, sfide lanciate sul web e raccolte nella realtà dai giovanissimi: avevamo affrontato nei precedenti articoli la NNN e la DDD per i mesi di novembre e dicembre. Purtroppo, quasi ogni mese ne propone una ed è il caso della FFF: Free Finger Friday. Rivolta solo alle ragazze, chiede di astenersi da qualsiasi tipo di rapporto o piacere per tutto il mese.

Come già ricordato in precedenza, speriamo vivamente che queste sfide virtuali non siano raccolte da nessuno e restino solo argomenti da clickbait per i siti di gossip. Tuttavia, c’è chi le ha pensate e lanciate e, probabilmente, anche chi le ha seguite e diffuse. Scelgo di parlarne per due motivi: il primo è che esistono e non possiamo ignorare il mondo in cui i nostri adolescenti vivono. Ciò che leggono o trovano sul web è un minestrone in cui siamo chiamati a mettere le mani, per non farci trovare impreparati di fronte alle sfide dell’adolescenza. Il secondo motivo è usarle (e non subirle) per parlare di tematiche calde, che possano interessare noi sposi, educatori, genitori. Sfruttarle è ciò che mi propongo, dal momento che non è possibile eliminarle.

In questo caso, soffermiamoci a guardare le ragazze, future donne del domani, noi spose cristiane: quante conoscono veramente il proprio corpo? Quante sanno cosa avviene e come, al suo interno, ogni mese? Quante sanno parlare di fertilità? Quante, più profondamente, conoscono il valore di sé stesse e della verginità (sempre più qualcosa da perdere in fretta)?

Alla donna, interlocutrice del serpente nell’Eden, è affidato molto: l’accoglienza dell’uomo ed eventualmente di un altro essere umano. Accettare l’unione con un uomo significa accettare l’eventualità di una gravidanza (anche quando nel matrimonio si usano i metodi naturali ndr): scindere questi due aspetti, per la Chiesa, è negare la Verità e implica l’uso dell’altro per mero piacere.

Ripensiamo a quanto sappiamo, noi donne, del nostro corpo e di come funziona: chi ci ha veicolato queste informazioni? Dove le abbiamo cercate? Torno spesso al tema del “campo di ricerca” perché se avere domande è sintomo di vitalità, cercarle nei luoghi sbagliati può essere dannoso. Oggi le risposte vengono, oltretutto, offerte da ogni lato. Basta accedere la televisione e si hanno risposte preconfezionate per molti dubbi – prodotti per la casa, shampoo indispensabili, aggeggi tecnologici imperdibili. E ci ritroviamo a desiderare questo o quell’oggetto, quella vacanza, quel vestito. Eppure, nessuno ha fatto domande!

Le risposte offerte prevengono le domande. Marketing spicciolo ma anche dinamica che va a stuzzicare ciò che nell’uomo è molto profondo: il desiderio. Orientarlo è compito suo ma ci sono mille distrazioni che tentano di ricalcolare il percorso.

Tornando al corpo della donna, va da sé che dalla televisione arrivano risposte fuorvianti, schizofreniche, pericolose: devi essere sempre giovane e bella ma anche accettarti per quello che sei; la bellezza non è tutto ma ci sono mille prodotti e creme per migliorare (perché dovresti); non bisogna oggettivizzare il corpo femminile ma poi in ogni talk ci sono vallette seminude. Da questo bipolarismo se ne esce silenziando gli stimoli che non ci aiutano a volerci bene: perché, in fondo, il messaggio è sempre uno. Tu non vai bene così come sei. Non sei abbastanza (e metteteci l’aggettivo che preferite).

Pensate, giovani spose, a quanto questo meccanismo possa essere intrusivo nella vita matrimoniale: non andiamo bene così come siamo, quindi nemmeno per il nostro sposo. Dovremmo cambiare, migliorarci, modificarci. Non potremo mai rilassarci perché a distrarci chissà che succede. Il risultato di tutto questo è un rapporto nevrotico che sfinisce.

Se tu, sposa, impari ad avvicinarti sempre più a Cristo, vedrai che attorno a te questi inciampi si faranno sempre più radi: silenziare il mondo non significa starne fuori. Significa mettere Gesù davanti ai nostri occhi, per evitare di cadere in trappole che ci faranno sempre più fragili e timorose. Ho parlato di televisione ma sono soprattutto i social il principale interlocutore di adulti e ragazzi: cara sposa, hai mai pensato ad un sano detox digitale?

Anche se i contenuti che visualizzi sono cristiani e portano valore alla tua vita, a volte c’è bisogno di far tacere tutto e far parlare Dio. Nessuna pagina ti farà pregare: per quello serve che stacchi internet, prendi in mano il Vangelo, fai un bel segno di croce e lasci che la Parola ti attraversi.

La Quaresima sia un’occasione per fare spazio, silenzio, preghiera. Capire dove cerchiamo le nostre risposte e ricalibrare il tiro quando le accettiamo da luoghi malsani, che non vogliono il nostro bene. Il nostro Matrimonio ne gioverà: perché una buona autostima è lavoro di tutta una vita e ne abbiamo un fondamentale bisogno per non creare rapporti nevrotici. Coraggio, dunque!

Buttiamoci in questo deserto quaresimale con letizia! Buon cammino di Quaresima!

Giada di @nesentilavoce

Che ora è oggi?

Dall’acclamazione al Vangelo di questo Lunedì:

Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza! (2Cor 6,2b)

Il mondo odierno sembra essere riuscito nel suo intento di convincere molti cristiani che la fede cristiana serva solo per guadagnarsi un posto in un fantomatico aldilà, ma che concretamente non c’entri nulla con questa vita. Ma siccome il Signore ha altri canali di trasmissione che non sono quelli che usa il mondo, ecco che la Sua Parola ci ricorda che la nostra vita futura (eterna… ricordiamocelo) si gioca tutta in questa corta vita : ” 70, 80 per i più robusti” recita il Salmo 89.

Se ci pensiamo bene la misura è esageratamente sproporzionata, è come paragonare una goccia ad un oceano… sarebbe qualcosa come un investimento finanziario di 1 centesimo per guadagnare 10 miliardi. Capite la proporzione? E’ incalcolabile, ma del resto il nostro Signore agisce così, quando si tratta di amore è uno “sprecone”, non bada a spese, diremmo.

Se la guardiamo così, la vita terrena appare proprio un investimento: cosa sono 80 anni in confronto all’eternità? Niente. Eppure il Signore ha deciso di giocare il tutto per tutto negli anni che concede ad ognuno di noi in questa vita. Lui non si lascia scappare nemmeno un secondo per donarci la Sua salvezza, e noi?

Non saremo mica di quelli che: intanto vivo come mi pare… domani mi convertirò… vero? nella vita spirituale non si può fare come con la famosa “dieta del Lunedi” della settimana mai dell’anno mai.

Se qualche coppia di sposi avesse ancora dubbi su quale sia il momento giusto per mettere mano alla manutenzione del proprio matrimonio e quindi della propria relazione, del proprio modo di amarsi… il versetto di acclamazione al Vangelo (tratto dalla Parola di Dio) non lascia spazio ad equivoci: Ecco ora il momento favorevole … non domani, ma ora, non dopo che avrete finito di leggere questo povero articolo, ma mentre state leggendo.

Perché se qualcosa si smuove nel cuore anche mentre stai leggendo, potrebbe essere un’intuizione che il Cielo, nella Sua infinita misericordia, ti manda, e allora non indugiare neanche cinque minuti imitando così i pastori del Natale.

Spesso gli sposi si lasciano imbrigliare come dentro una ragnatela dalle cose da fare, dalla gestione della casa a quella dei figli, dalla gestione del lavoro alla programmazione degli impegni in parrocchia, e chi più ne ha più ne metta… perdendosi il qui ed ora della propria salvezza. Se è vero che Gesù è la nostra salvezza, se è vero che Gesù significa proprio “Dio salva”, e se è vero che Gesù è realmente presente, inabita nella relazione sponsale sacramentale… allora il versetto dell’acclamazione è proprio vero.

Cari sposi, domani non sappiamo se ci saremo ancora su questa terra, ma oggi sì, ci siamo.. e quindi se oggi siamo sposi, è oggi che Gesù, salvezza nostra, abita nel nostro sacramento, quindi : ecco ora il giorno della salvezza!

Non aspettiamo domani per far abitare il Signore Gesù nel nostro matrimonio, Lui ha fretta di salvarci.

Coraggio, siamo ancora in tempo.

Giorgio e Valentina.

Una volta a casa diventano insopportabili per la moglie e i figli

Devo assolutamnente tornare sulla catechesi di mercoledì del Papa. Come saprete durante queste ultime udienze del mercoledì papa Francesco sta trattando i vizi capitali e nell’ultima si è occupato dellì’ira. Mi soffermo su una frase del Papa che merita di essere approfondita. L’atteggiamento da lui evidenziato è causa di tanta sofferenza. Quindi prestate attenzione.

Nella sua manifestazione più acuta l’ira è un vizio che non lascia tregua. Se nasce da un’ingiustizia patita (o ritenuta tale), spesso non si scatena contro il colpevole, ma contro il primo malcapitato. Ci sono uomini che trattengono l’ira sul posto di lavoro, dimostrandosi calmi e compassati, ma che una volta a casa diventano insopportabili per la moglie e i figli.

Quanta verità in queste parole! Mi rivolgo a me stesso in primis, sia chiaro. Ho una tentazione forte. Quando torno a casa dopo una giornata storta, quando mi porto a casa problemi, incomprensioni o litigate dal mio lavoro, o semplicemente quando è stata una giornata infruttuosa o frustrante per tanti motivi, tutto ciò mi toglie le energie. Capisco perfettamente che quelle serate possono essere particolarmente pericolose. Lo so! Basta poco, un pretesto qualsiasi per litigare.

Cerco la litigata perché quella frustrazione che ho dentro spinge per uscire. Una dinamica tipica del matrimonio. La persona più vicina rischia di diventare quella che deve assorbire la nostra miseria. Più si è in intimità con una persona, più la si conosce, e si è sicuri del suo amore incondizionato, e più si rischia di ferirla, sapendo che sarà sempre lì. Ed ecco che una pasta scotta può diventare motivo di durezza e di critiche, dimenticando che la pasta è scotta forse perché lei ha dovuto pensare ai figli nel frattempo. Dimentico che tutto ciò che fa per me è un dono e nulla è dovuto. Abbiamo il dovere di prendere coscienza dei nostri errori, anche questo fa parte del nostro impegno di sposi, ed è il primo e unico passo possibile per poi porvi rimedio.

Come detonare tutto? Non è difficile. Basta non tenersi tutto dentro. Tornare a casa e aprire il cuore. Sfogarsi e buttare fuori tutta l’amarezza, la frustrazione, l’ansia e preoccupazione che abbiamo dentro. Chiedere perdono se non siamo in condizioni quella sera di essere simpatici, attivi e accoglienti. Basta fare queste due semplici cose per scollegare il detonatore della bomba che sta per esplodere. Il motivo è semplice. Non ci si sente più in guerra con il mondo, ma parte di una famiglia che ci vuole bene. Aprire il cuore significa togliere ogni barriera e blocco tra di noi e questo di solito è un ottimo balsamo. Non dimentichiamo poi che siamo cristiani. Affidiamo a Gesù, anche con una semplice preghiera, ciò che ci tormenta. Chiediamo che ci doni la Sua pace. Non resta che trovare il modo di scaricare tutta la rabbia e aggressività che ci portiamo dentro. Io vado a correre. Mi serve tantissimo. Ognuno può trovare la soluzione più adatta.

Antonio e Luisa

Tradire mia moglie? No grazie!

Questo è un articolo un po’ provocatorio, così tanto per favorire una riflessione personale o magari anche un confronto attraverso le vostre risposte o i vostri commenti sui vari social dove posterò questo articolo.

Ne stavo giusto parlando alcuni giorni fa con mia moglie. Alcuni si sorprendono della libertà con cui affrontiamo certi argomenti ma la trasparenza – sempre con carità e rispetto – resta la base di una relazione matrimoniale sana. Serve a disinnescare tante insidie perchè si affrontano insieme. Lei ha otto anni più di me ed ora che ha superato la cinquantina da un pezzo si ritrova un marito che non ha ancora cinquant’anni. Lei ha un po’ di timore. Se ne sentono tante. Un marito di 49 anni potrebbe tranquillamente trovare una donna con vent’anni meno di lei.

Io mi sento di rassicurarla. Non perchè io sia particolarmente virtuoso (ci provo ma non mi reputo forte e infallibile). Io posso serenamente affermare che sono più sicuro adesso che non tradirò mia moglie rispetto ai primi anni di matrimonio. E vi darò anche alcune motivazioni che per me sono chiare ed evidenti.

La relazione salda. È fondamentale quello che si è costruito. In questi ventuno anni ho costruito con Luisa una relazione per me meravigliosa e irrangiungibile con qualsiasi altra donna. Io amo mia moglie ma non è solo quello. È la mia migliore amica, è la mia consigliera, è la persona su cui posso contare sempre e mostrarmi senza difese per quello che sono. È l’amante che mi conosce e che sa come amarmi. Questo me la rende unica. E il corpo? Il corpo di Luisa è oggettivamente invecchiato. Eppure mi appare meraviglioso. Più di quando ci siamo sposati. Questo perchè noi tutti non abbiamo uno sguardo puramente superficiale e oggettivo. Il matrimonio permette di conoscere sempre meglio una persona. Di conoscerla in tutti gli aspetti. Conoscerla nel corpo, nello spirito, nella sensibilità, nei dolori e nelle gioie. Il matrimonio permette di condividere anni insieme in ogni situazione bella e brutta. Quanti abbracci, quanti perdoni, quante anche incomprensioni e musi lunghi. Questo modifica il nostro sguardo. Diventa – utilizzando le parole di papa Francesco – uno sguardo photoshoppato. Io non vedo il corpo di Luisa ma vedo Luisa fatta di tutta la sua persona ed è sempre più bella.

La fatica e l’ansia da prestazione. Dopo aver affermato che con Luisa sto bene come con nessun altra potrei esserlo, analizziamo un altro aspetto. Quello più basico e meno romantico. Esaminiamo l’animale che c’è in noi. La parte pulsionale e ormonale. Come ho scritto diverse volte ho un’età per la quale non ho ancora raggiunto la pace dei sensi. Sono attratto da tante donne, alcune delle quali sono anche raggiungibili in quanto amiche e colleghe. Con alcune ho anche intuito una certa simpatia reciproca. Allora perchè non è mai successo nulla? Oltre che per il motivo espresso prima che fa di Luisa la più bella per me c’è anche un aspetto meno nobile e più egoistico. Con un’altra donna dovrei far fatica, dovrei ricominciare da capo e non potrei certo mostrarmi liberamente in tutte le mie fragilità.

Tenete a mente che l’ansia da prestazione è presente soprattutto dove non c’è amore. Dove non c’è un amore solido e costruito nel tempo. Dove non c’è la sicurezza di essere amati gratuitamente. Due amanti non si amano gratuitamente ma cercano entrambi qualcosa nell’altro. Arriviamo quindi al rapporto fisico che è una sintesi rappresentativa di quello che è il rapporto affettivo a tutto tondo. Spesso le disfunzioni sessuali sono dovute non a cause organiche ma psicologiche. Le persone che soffrono meno di disfunzioni sessuali (eiaculazione precoce, perdita dell’erezione, vaginismo ecc ecc) sono proprio quelle che vivono una relazione stabile e ricca di amore autentico. Queste persone sanno di essere amate senza dover dimostrare nulla. Queste persone sanno di non dover dimostrare nulla e durante il rapporto pensano solo a donarsi l’uno all’altra e non alla performance. Sanno che non saranno giudicate per come fanno l’amore ma saranno accolte sempre e comunque perchè amate. Che bello imparare ad abbandonarsi nella fiducia e nell’amore l’uno all’altra. Ciò vale per l’incontro intimo ma vale anche per tutta la relazione in ogni momento della nostra vita. Non è quello che promettiamo il giorno del matrimonio? Capite perchè l’intimità nel matrimonio è più bella! Nessuna amante potrebbe rendermi l’intimità bella e in una profonda comunione di accoglienza e dono come riesco a avere con Luisa.

Tutto questo articolo per dire cosa? Se avete la tentazione di cercare altrove quello che non trovate nella coppia abbiate il coraggio e la libertà di parlarne con l’altro. Alla fine dipende da cosa cercate. Io non cerco del sesso e basta ma di vivere in pienezza il fine di quel gesto tanto coinvolgente: la comunione in anima e corpo. Esperienza che posso vivere solo con mia moglie. Per questo credo possa dormire sogni tranquilli. Non ho nessuna voglia di cercare fuori quello che posso avere all’ennesima potenza con lei! E voi?

Antonio e Luisa

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Una sessualità redenta

Nella teologia del corpo di Giovanni Paolo II emerge un’importante prospettiva sul matrimonio come sacramento del corpo e della sua redenzione. Questa prospettiva non è solo di natura sacramentale, ma ha anche profonde implicazioni etiche e sostanziali che permeano le sue riflessioni. L’idea che il matrimonio sia non solo un sacramento del corpo, ma anche della redenzione del corpo stesso, sottolinea l’importanza e la santità dell’unione matrimoniale. Questa visione incarna il significato profondo dell’amore coniugale e della responsabilità reciproca tra i coniugi, offrendo una nuova luce sulla dimensione sacramentale della vita coniugale e della sessualità.

San Giovanni Paolo II ci insegna che non possiamo fare esperienza di Dio se il nostro cuore è chiuso. Se il nostro cuore è indurito dall’egoismo, dal peccato, dalla lussuria e da tutti quegli atteggiamenti che fanno dell’altro una persona da usare e sottomettere a noi, e non una persona da incontrare in una relazione d’amore.

Il sesso è spesso un terreno in cui emergono l’egoismo e il desiderio di possedere e usare l’altro a proprio piacimento. Chi è chiuso in se stesso non riesce a donarsi e a entrare in comunione veramente con l’altro. A volte si maschera di tenerezza e romanticismo, ma è solo un’apparenza falsa. Molte volte non è neanche consapevole della falsità dei propri sentimenti.

Giovanni Paolo ci insegna che il matrimonio può essere un sacramento di redenzione, anche in questo contesto. L’eros, canalizzato in una relazione oblativa (donativa), come è quella nuziale, diventa un vero desiderio di incontro. La vita di tutti i giorni, fatta di servizio, di cura reciproca e di gesti carichi di tenerezza e di riguardo, dovrebbe diventare educativa. Con il tempo e con la Grazia di Dio, noi sposi dovremmo riuscire ad eliminare l’egoismo che attanaglia il nostro cuore. Piano piano, il nostro sguardo dovrebbe spostarsi dall’io al tu. Dovremmo essere sempre più capaci di “guardare” l’altro e desiderare il suo bene prima del nostro. Uso il condizionale perché spesso non viviamo il nostro matrimonio dando tutto. Una relazione sponsale vissuta davvero fino in fondo non può che cambiarci in meglio e rendere noi sempre più capaci di donarci.

Tutto questo lo portiamo anche nell’incontro intimo. Saremo sempre più capaci di liberarci dall’egoismo e dalla lussuria e l’amplesso sarà sempre più un vero incontro tra noi sposi, e ci permetterà sempre più di fare esperienza di Dio. Per questo gli sposi che vivono l’amore sponsale in pienezza non si stancano di fare l’amore. Sarà ogni volta più bello perchè loro saranno sempre più capaci di amarsi.

Così, la vita di tutti i giorni fatta di tanti piccoli gesti nutre il desiderio erotico e l’eros vissuto come incontro profondo nutre il desiderio di amare il nostro coniuge nella vita di tutti i giorni. Un circolo che ci permette di perfezionare sempre più il nostro amore e ci avvicina sempre più a Gesù.

Antonio e Luisa

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“Faccio sesso con un amico, siamo ancora amici? Lui dice di sì”: domande che spezzano il cuore

Di recente, mi è capitata sotto agli occhi una rubrica – dai toni ironici – tenuta da una nota influencer e modella, sui temi dell’affettività e dell’amore di coppia.

La nota ragazza – che ha quasi tre milioni di followers – rispondeva, nelle sue storie di Instagram, a dei quesiti che le venivano posti dalle utenti.

Dalle domande che tante ragazze le indirizzavano, è apparsa in modo evidente la sete di verità e di bene di molti cuori smarriti. Al contempo esse ci parlano di una seria emergenza nell’ambito della sessualità e dell’educazione all’amore.

Una domanda, in particolare, ha catturato la mia attenzione: “Faccio sesso da un po’ di tempo con uno dei miei migliori amici, ma non so se ora siamo solo amici, lui dice di sì”.

La risposta dell’influencer è stata ironica, ma faceva capire che si trattava di un’amicizia inquinata. E questo non è poco, in un ambiente impastato di pornografia quale è quello dei social e dei media in generale. Eppure, non è sufficiente.

Ciò che ho pensato leggendo quelle parole da far stringere il cuore (avrei voluto averla davanti, la ragazza della domanda, e dirle che merita molto, molto di meglio!), mi sono detta che dobbiamo fare di più per i nostri giovani, per non lasciarli soli, in balia degli istinti, della pornografia, di relazioni non chiare e non mature. Dobbiamo davvero fare di più.

Non molto tempo fa ho scritto un libro: “Amore, sesso, verginità. Le risposte (e le domande) che cerchi” (Punto Famiglia Editore, 2022), con la speranza di offrire uno strumento utile a educatori, genitori, catechisti, insegnanti. So che è solo una goccia, gettata nell’oceano di una mentalità pornografica dilagante, che risucchia nel suo vortice tante anime, ma è una goccia che a tutti noi, se vogliamo bene ai giovani, viene chiesta.

Dobbiamo testimoniare con coraggio che esistono un momento e un contesto “giusti” per vivere l’intimità sessuale. Dobbiamo testimoniare la gioia che viene dalla tenerezza e mettere in guardia dal degrado del possesso. Non tutto è perduto, come il demonio tenta di farci credere. Negli adolescenti e preadolescenti – prima che il mondo li indottrini con le sue bugie – brucia dentro proprio questa domanda: “Quando e come devo vivere la mia sessualità? Con chi? Qual è il momento giusto?”. 

È in quella fase della vita, nella pubertà, che dobbiamo intercettarli, prima che il mondo inoculi il suo veleno. Non possiamo adeguarci anche noi cristiani al politicamente corretto, per cui nella consensualità si può fare di tutto: spieghiamolo presto ai ragazzi, quando sono ancora innocenti, che sono nati per amare ed essere amati.

Cerchiamo un dialogo con i giovanissimi, prima che il mondo li convinca di non poter sperare in qualcosa di grande, in un amore vero e duraturo. Intercettiamoli quando sono ancora timidi, impacciati, fragili e dunque teneri. Intercettiamoli prima che seguano la massa, solo per non restare indietro.

Spieghiamo loro che sperimentare il sesso non è una conquista personale (ce lo insegnano i film: perdere la verginità sembra il passaggio che ti rende finalmente “uomo” o “donna”), spieghiamo che è il gesto d’amore più grande e profondo che un uomo e una donna possano scambiarsi e non ha senso viverlo senza responsabilità e senza cura, magari per gioco, nel contesto di “amicizie” che non possono essere tali, se sporcate dal sesso senza impegno. (L’amicizia, per inciso, è una forma d’amore, ma ha per caratteristica la gratutià e la non esclusività. Non comprende vincoli sessuali, che sono propri di un amore sponsale. Confondere i due piani ci porta a perdere armonia nella vita e pace interiore).

Recuperiamo il concetto di “fidanzamento”, come tempo di grazia e di verifica. Parliamo di vocazione, discernimento, attesa: non sono delle torture o delle limitazioni della libertà. Al contrario delimitano i nostri rapporti, ci permettono di viverli nella limpidezza, nella purezza, nell’autenticità. Dobbiamo dirlo ai giovani, che castità non significa castigo.

Facciamo volare alto i ragazzi: diciamo loro, senza paura, che possono, anzi devono, chiedersi a quale progetto d’amore sono chiamati e che il premio sarà grande. Perché ai puri di cuore è concesso nientedimeno che vedere Dio.

Organizziamo incontri, momenti di lettura, visioni di film, recite… Pensiamo a qualunque cosa, pur di intercettare i ragazzi e far dischiudere dai loro animi i sogni più belli che hanno.

Il bene è già nel cuore umano, ma va tirato fuori, portato alla luce, come fa lo scultore con un’opera d’arte, che prima di prendere forma grazie ad uno scalpello era silenziosamente racchiusa nel marmo.

Non abbiamo timore, Dio si fida di noi. Prendiamo in mano ognuno il suo scalpello e diamoci da fare.

Cecilia Galatolo

Nell’intimità le parole devono esprimere bellezza e meraviglia.

Vi scrivo per chiedervi un parere. Io e mia moglie dopo la nascita della nostra figlia non abbiamo fatto l’amore per 9 mesi, più che altro perché tra l’ impegno con i figli e abituati a dormire insieme, rimandavano di giorno in giorno. [..] Il consulente ci ha anche detto di usare il dirty talk. Credete sia un buon consiglio?

Questo messaggio ci è arrivato per mail qualche tempo fa. Pubblico la risposta con un po’ di ritardo perchè durante il Natale ho preferito dedicare gli articoli del blog a temi specifici di un tempo tanto importante e bello.

Spesso i nostri sacerdoti sono impreparati ad aiutare le coppie cristiane ed è lì che però si annidano le ferite e i problemi più grossi. Lasciare spazio a terapeuti non cristiani o peggio ancora al web e al fai da te spesso provoca disastri nella coppia. Istruire sulla preghiera e sulla fede serve a poco se poi la coppia non vive autenticamente la sessualità e vive il sesso in un modo che è fuori da ogni verità ecologica e sacramentale.

La mail era molto più lunga e raccontava tanto altro. Ho già risposto privatamente e chi mi ha scritto. Credo però che sia interessante un articolo rivolto a tutti su un atteggiamento in particolare evidenziato dallo sposo. Il consulente, abbinato ad altri consigli più o meno condivisibili, ha suggerito di praticare il dirty talk durante il sesso per riaccendere il desiderio.

Prima di tutto cosa si intende per dirty talk. Si tratta di rivolgersi al marito o alla moglie -noi ci rivolgiamo primariamete a coppie sposate sacramentalmente – con parolacce e termini volgari ed aggressivi.

Secondo Nes Copper, un’esperta e terapista sessuale, le parole trasgressive attivano varie aree del cervello che portano piacere, rilasciando ormoni del benessere come la dopamina e l’ossitocina. Un altro ormone coinvolto è il testosterone, capace di incrementare l’entusiasmo e favorire il raggiungimento dell’orgasmo.

Quindi va tutto bene? Assolutamente no! Noi non stiamo facendo solo del sesso, non è semplicemente ginnastica o un’attività piacevole, noi stiamo compiendo un gesto sacro. Se non arriviamo a comprendere che nel momento dell’intimità noi sposi stiamo elevando a Dio una delle preghiere più belle e stiamo rinnovando un sacramento, ci accontenteremo sempre delle briciole.

Valutiamo l’atteggiamento partendo però da un piano strettamente umano. Quando viviamo l’intimità con nostra moglie o nostro marito stiamo facendo esperienza sensibile, la più completa e profonda, della comunione che c’è tra noi e della bellezza di godere della persona che più amiamo attraverso il suo corpo. Ci sentiamo completamente fusi l’uno nell’altra. Almeno dovrebbe essere così. Quindi un gesto che dice con il corpo all’altro – moglie o marito che sia – quanto sia bello per noi, quanto rispetto noi abbiamo nei suoi confronti e quanto sia per noi prezioso. Stiamo dicendo che è l’unico per noi.

Può essere la parolaccia un modo per trasmettere amore e bellezza? Possiamo con le parole dire qualcosa che è completamente stonato rispetto a quello che stiamo dicendo con il corpo? È possibile che con le parole si esprima amore e con il corpo si trasmetta qualcosa di completamente diverso, come il desiderio di dominio e controllo. O viceversa. In ogni caso stiamo mentendo. Probabilmente con il corpo stiamo dicendo alla persona amata che per noi è la più bella ma con il cuore abbiamo solo l’istinto di dominarla ed usarla.

Il consiglio che è stato dato dal consulente e la citazione della terapista mettono in luce un approccio che non si focalizza primariamente sulla relazione, bensì fa leva sull’istinto e sulla dimensione ormonale. Questo suggerisce a chi non prova più desiderio di concentrarsi sulla pulsione fisica e sulle fantasie erotiche. È interessante notare come tali fantasie siano spesso alimentate dalla pornografia, un fenomeno di cui la maggior parte degli uomini, e sempre più frequentemente anche molte donne, si avvale.

Utilizzare un certo linguaggio irrispettoso e volgare mette semplicemente in evidenza non il desiderio di unirsi all’amato/a ma la spinta a sfogare una pulsione con l’altro. L’altro diventa uno strumento da usare e non una persona da amare.

Il consiglio che mi sento di dare a questa persona – come ai tanti cristiani che si comportano nello stesso modo – è quello di cercare di accrescere il desiderio nella relazione. Il desiderio – come abbiamo già scritto tante volte – ha diversi generatori. C’è sicuramente la parte pulsionale e istintiva ma ce n’è una più importante: l’amore vissuto nella quotidianità. È essenziale comprendere che il desiderio non è semplicemente una reazione istintiva, ma può essere alimentato e arricchito dalle azioni quotidiane e dalla consapevolezza all’interno di una relazione. Quando l’amore è vissuto e coltivato nella vita di tutti i giorni, diventa un potente motore di desiderio e di connessione profonda.

Certo impegnarsi a fondo nella relazione è molto più faticoso che dire parolacce per eccitarsi. Solo però con la fatica di ricostruire la relazione tutta e non solo l’intimità si può sanare in modo autentico la relazione stessa. Chi pensa di sfruttare la lussuria per alimentare il desiderio sta solo illudendosi e, in realtà, sta causando ancora più danni alla relazione. Se desiderate che il desiderio reciproco ritorni, amatevi attraverso gesti d’affetto quotidiani, nel modo che soddisfa lui o lei. Solo così avrete voglia di fondervi con l’altro, anziché considerarlo un semplice oggetto da usare.

Antonio e Luisa

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Vale anche col pensiero?

Vale anche col pensiero?

Quando si parla di tradimento, vale pure col pensiero? Questa è la domanda che mi rivolge una lettrice del blog. Siccome mi prega e mi scongiura di non rivelare il suo vero nome, la chiameremo Cunegonda. Sono pronta a scommettere che non conoscete nessuna che si chiami così. Cunegonda è sposata e la sua storia d’amore le sembrava perfettamente normale. Finché non ha scoperto che il marito ha una intensa relazione virtuale con una signorina, attraverso una app di incontri. Lui ha ammesso e minimizzato l’accaduto. Ma lei non trova pace. E chiede a chiunque le capiti a tiro (me compresa) se sia veramente così.

Se sia una cosa da niente. Mica un vero tradimento. Oppure, se l’infedeltà valga anche col pensiero. In linea di principio siamo tutti abbastanza concordi nell’affermare che un tradimento consumato fisicamente sia una ferita grave in un rapporto amoroso. Ci sono matrimoni che si sfasciano, a causa dell’infedeltà. Ma come classificare tutta quella zona grigia, che non è più del tutto innocente, ma non è ancora in flagranza di tradimento? È davvero così irrilevante?

Anche il pensiero ha il suo valore

Se lui mette i cuoricini a tutte le foto in cui l’altra appare ammiccante, sta tradendo la moglie o no? E se lei gli manda foto senza veli? O se entrambi condividono una fantasia compromettente? E’ tradimento anche se poi non succede niente? Il problema è che la virtualità ha innescato tutta una serie di interazioni impossibili nella vita reale. Interazioni che lusingano la vanità, rilasciano l’adrenalina, fanno assaporare il gusto della conquista, ma si fermano a un passo dalla realizzazione concreta di un adulterio. E allora? Questi comportamenti sono da condannare o li dobbiamo assolvere, ascrivendoli alla sfera dei giochi innocui? Nostro Signore, che conosceva il cuore umano, ha pensato bene di sgomberare il campo da ipocrisie:

Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha gia commesso adulterio con lei nel suo cuore. Mt 5:27-28.

E quindi sì, vale anche con il pensiero. inutile girarci attorno.

Il tradimento del corpo e quello del cuore

Il tradimento del corpo è più tangibile, più immediato. È innegabile. Ma non è l’unico modo di tradire il coniuge. Né necessariamente il più grave. Esiste una forma di infedeltà altrettanto grave e distruttiva, che avviene anche se il partner non ha una relazione intima al di fuori del matrimonio. C’è un tipo di infedeltà che, addirittura, avviene anche in assenza di un/un’amante. Si tratta del tradimento del cuore. Avviene anche se il coniuge è fisicamente presente e la vita di coppia sembra normale. In questi casi, al di là dell’apparenza, quella persona non è emotivamente fedele. Questo significa che non prova sentimenti profondi o non è coinvolta affettivamente dal rapporto con l’altro.

In questi casi, si crea terreno fertile perché fra marito e moglie si insinui qualcun altro. Una persona estranea che gratifichi questi bisogni emotivi non soddisfatti nel matrimonio. I tradimenti del cuore o del pensiero sono altrettanto gravi e pericolosi di quelli fisici. Anche se potrebbero sembrare meno importanti. In questo vuoto affettivo, si crea spazio per una relazione parallela. È solo questione di tempo: appena le condizioni esterne lo renderanno possibile, ci sarà l’infedeltà. Una relazione affettiva parallela può minare le fondamenta del matrimonio, anche se con l’amante non c’è stato nemmeno un bacio.

Perché tradire col pensiero è grave?

In un matrimonio, ci si giura fedeltà reciproca. Esiste, fra marito e moglie, una sorta di patto di esclusività, che include l’amarsi, ma non solo. Anche l’onorarsi l’un l’altro e l’essere fedeli sempre. Il matrimonio non prevede che si intrattenga con nessun’altra persona un rapporto della profondità e dell’intimità che si ha con il coniuge. Spesso non si considera che, essendo gli sposi una carne sola, tradire l’altro equivale a commettere un gesto di slealtà. Non solo verso la moglie (o il marito) ma nei riguardi di sé stessi, verso l’impegno matrimoniale che si è assunto liberamente. E anche rispetto alle promesse fatte in prima persona. In definitiva si tradiscono i propri valori, oltre che l’altra persona. Questo indispensabile patto di lealtà con sé stessi e con il coniuge viene meno sia che il tradimento si consumi davvero, sia che rimanga allo stadio di pensiero.

Come affrontare la situazione

Alla nostra amica Cunegonda, io consiglierei di capire cosa ci sia dietro al tradimento del marito. Aveva bisogno di conferme? Questa nuova conoscenza ha lusingato il suo amor proprio? O lui sente che qualcosa nel rapporto matrimoniale gli manca, e ha pensato di cercarlo fuori? Se lui minimizza l’accaduto, può darsi che non voglia mettere in discussione il matrimonio. Questo non vuol dire che si debba fare finta che non sia accaduto nulla. Un tradimento, seppure realizzato solo col pensiero, è un segnale d’allarme. Una sorta di spia rossa nel cruscotto della relazione matrimoniale. Richiede comprensione della situazione e del contesto. Comprensione ancora prima del perdono, per fare sì che l’esperienza dolorosa aiuti a capire su cosa lavorare nella coppia, per evitare di tradirsi ancora e lasciarsi.

Anna Porchetti

Come tutto è iniziato: https://annaporchetti.it/2022/10/18/mi-faccio-un-blog/

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Quante volte ti sei sentita forestiera!

Non era forse tu affamata? Affamata di tenerezza, di intimità, di essere amata, curata e ascoltata. Ogni volta che mi sono reso conto di questa tua fame e l’ho soddisfatta, ho nutrito Gesù in te e in noi. Questa fame del cuore, così profonda e innata, spesso passa inosservata nella frenesia della vita di tutti i giorni. Ma quando abbiamo la fortuna di riconoscerla, non lasciamo scappare l’opportunità di diventare strumenti di Dio per amare.

Non era forse assetata, come lo siamo tutti? Assetata di senso e di una vita piena. Una vita che non sia buttata al vento. Insieme abbiamo cercato di costruire una famiglia unita, dove si può trovare un amore che dà senso e che ci avvicina alla sua fonte. Un amore che ci apre a Dio. Solo così possiamo spegnere la nostra sete. Per questo riconosco in Luisa uno dei doni più grandi che Dio mi ha fatto e sono sicuro che sia lo stesso per lei.

Quante volte ti sei sentita forestiera. Incompresa. Quasi come se parlassi una lingua straniera. Quante volte ti ho vista tornare a casa abbattuta e scoraggiata. Quante volte ho ascoltato le stesse storie, le stesse lamentele. La mia tentazione è sempre quella di interromperti o fingere di ascoltarti. Ma tu hai bisogno di dirle quelle cose, di essere ascoltata e compresa. Hai bisogno di condividere e trovare compassione e sostegno. Devi sapere che almeno io desidero ascoltarti.

Quando l’ho rivestita? Questa domanda non ha una risposta semplice. Ho rivestito la tua bellezza con la mia meraviglia, più di qualche volta spero. Attraverso il mio sguardo, ho cercato di restituirti la tua unicità e la tua femminilità. Uno sguardo che non si affievolisce con il passare degli anni, ma anzi si rafforza. Uno sguardo carico di desiderio e di gratitudine. Ti ho rivestita con il mio sguardo.

Eri malata e carcerata. Nessuno è privo di sofferenza e fragilità. Tutti noi portiamo con noi pesi e difficoltà che talvolta rendono complicato aprirsi agli altri. Le ferite, le esperienze passate, i pregiudizi e anche il peccato che fa parte della nostra esistenza rischiano di ostacolare la possibilità di vivere un amore autentico. Solo una relazione libera, in cui la persona amata ci sostiene anziché giudicarci per i nostri errori e imperfezioni, può aiutarci a guarire le ferite e a liberarci dalle prigioni in cui noi stessi ci siamo imprigionati. Siamo tutti bisognosi di comprensione e di un amore sincero che ci aiuti a superare le nostre difficoltà.

Solo vivendo la mia relazione in questo modo starò onorando la mia sposa e, attraverso di lei, anche Dio. Prendiamo coscienza della profonda connessione esistente tra un matrimonio felice e la spiritualità. Quando ci impegniamo a vivere la nostra relazione nel rispetto, nell’amore e nella fedeltà, stiamo onorando non solo il nostro partner, ma anche Dio.

Antonio e Luisa

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Oggi con me in paradiso

Il regno di Dio è già in mezzo a voi. Siamo rientrati a casa dopo giorni di immensa Grazia. Giorni fatti di fatica, sudore, magliette puzzolenti, 4 bagni per 130 persone, sveglie all’alba per arrivare prima degli altri a fare colazione alla macchinetta onde evitare di stare un ora e più in fila ad aspettare con le tazze in mano per tutta la famiglia.

Notti fredde e notti calde, notti silenziose e notti rumorose, 60 bambini di tutte le età, bambini che piangono, che si lamentano a ogni passo, che corrono, giocano, fanno mille domande sotto il sole. Giorni fatti di passeggini che si incastrano sul ciottolato lungo i sentieri (facciamo un elogio alla Chicco, perché siamo tornati a casa e il nostro passeggino, contro ogni aspettativa, è tornato a casa integro e funzionante!-non è una pubblicità per loro, nessuno ci paga per dire questo!), di spalle e braccia che fanno invidia a Yuri chechi, di mani volenterose e fratelli e sorelle disponibili, che faticando con te e come te, spingono, sollevano, trainano figli che non sono loro ma che in quel momento è un po’ come se lo diventassero.

Giorni di canto, di festa, di giochi, di inno, ripetuto, gustato: “con me tu sei, in Paradiso, con me tu sei in paradiiiisooooo”. Giorni di fratellanza, in cui abbiamo assaporato cosa vuole dire essere una grande Famiglia, dove ciascuno segue il suo passo ma la meta è la stessa e la carità rende tutto più tollerabile e bello oltre che più forti lungo la strada. Abbiamo percorso 6 giorni di tutta sta roba per andare dove? Chi ce l’ha fatto fare?!

Eravamo in cammino verso il PERDONO DI ASSISI! Festa che si celebra il 2 agosto. (Se non sai di cosa si tratta, in fondo all’articolo c’è un breve racconto). Quest’anno la marcia francescana aveva come titolo e tema: OGGI CON ME IN PARADISO!!

Ecco cosa ci ha spinto: il Paradiso!! Ma chi non vorrebbe conquistarselo, arrivarci correndo! Spesso si pensa al Paradiso come qualcosa che ci accoglierà in un futuro (più in là possibile), dopo che siamo morti. Pensarla così, non è propriamente una cosa tanto bella a cui aspirare.. è bello sicuramente, ti fidi che sia così, ma questa cosa mette anche paura. Il Paradiso può arrivare solo se facciamo esperienza del passaggio dalla vita alla morte. Quindi magari, Paradiso aspetta va.. ci risentiamo più in là.

Alt! Forse non è poi così vero. Quando da giovani seguivamo i corsi di Padre Giovanni, abbiamo capito una cosa bellissima, difficile da mettere sempre in pratica, ma bella perchè ti avvicina al pensiero di Dio.. ovvero a ragionare fuori schema. Dio ragiona andando fuori schema. Ma spesso questi fuori schemi sono più semplici di quanto possa sembrare.

Gesù ci dice nel Vangelo di Luca che il Regno dei Cieli è già qui in mezzo a voi. Waaaaa!!  Allora non devo morire per forza per cominciare ad assaporare un piccolo pezzetto di Paradiso. E anche quando questo passaggio avverrà, allora il Paradiso sarà totale!! Ecco allora cos’è il Paradiso: è la presenza viva di Gesù in mezzo a noi! È qui, oggi, mentre sto leggendo questo articolo di sta famiglia pazza e squinternata, che anela al Paradiso ma che ha tanto bisogno di essere perdonata!

È qui oggi, mentre stai prendendo la macchina per andare al lavoro, tempo prezioso per metterti in relazione con il Padre. È qui oggi, mentre stai lavando, stirando, facendo la spesa, urlando a tuo figlio di fermarsi prima del capitombolo seriale seguito da pianto e stridore di denti (e intano tu pensi “glielo avevo detto”). È qui oggi, quando pensi che la tua vita non abbia un senso, uno scopo, dove ti senti triste perché vorresti un di più che non hai. È qui oggi, quando devi arrancare per arrivare a fine mese. È qui oggi nell’abbraccio del tuo sposo, nelle risate con i tuoi figli, nel desiderio grande di una benedizione nell’arrivo di figli che non arrivano, o che arrivano e sono più pronti di te, di voi per varcare già ora le porte del Paradiso. Il Paradiso è già qui. Tutti possiamo già ora sperimentarlo.. non riesci a vederlo?

Fai questa prova: prenditi del Tempo e vai a messa. Fermati e sosta durante l’Eucarestia. Semplicemente guarda quello che accade di fronte a te… non è allucinazione, non è un gesto tanto per… è lì! Gesù ti chiama lì! In quell’ostia spezzata, il quel corpo dato e offerto solo per te, per amore tuo. Per dirti ancora una volta che Lui è la tua salvezza, e che non devi temere. Ogni volta che avviene quel miracolo, la distanza tra cielo e terra svanisce. Cielo e terra si toccano, per dirti che il paradiso è già qui, è già ora. E che Gesù è vivo!

Quando poi esci da messa, torna a casa. E anche se quando varchi la porta può venirti voglia di richiuderla e tornare dopo, non farlo. Entra e guarda. Quell’assaggio di Paradiso è nell’intimità con tuo marito o tua moglie. È quella paternità e maternità verso i tuoi figli, e quando questi non ci sono verso l’umanità intera: la genitorialità è sempre un privilegio, il cui unico obiettivo è far conoscere il Padre. Il Paradiso è nel Tempo che scegli di vivere, come vivere, con chi vivere. Trova sempre un pretesto per metterti in relazione con Lui.

Il Paradiso è come già detto, anche nei gesti spesso abitudinari della quotidianità. Tutto ciò che faccio lo faccio perché amo! E non dimenticare che anche nella sofferenza di coppia, qualsiasi essa sia, la morte non ha l’ultima parola!

Allora concludiamo con questo incoraggiamento, che ci è stato donato e che ci accompagna in questo nostro oggi: NON TEMERE, Anna .. Stefano… Michele… Marta… (metti il tuo nome) PERCHÉ HAI TROVATO GRAZIA PRESSO DIO. Ripeti ogni giorno questo annuncio dell’angelo a te! Così è davvero! Ieri, oggi e domani sei figlio Amato.

A presto!

Anna e Ste – Cercatori di Bellezza

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Sotto un breve riassunto di come è nata la festa del perdono di Assisi

l 2 agosto si ricorda SANTA MARIA DEGLI ANGELI e del perdono, Madonna alla quale è dedicata una Basilica in Assisi, e dove Ella apparve a San Francesco, il quale svolse parte della sua opera nella cosiddetta Porziuncola, una chiesetta ottenuta in dono dai monaci Benedettini del monte Subasio nella quale fondò l’Ordine dei Frati Minori, da lui stesso rimodernata e sistemata e presso cui si ritirava in preghiera e meditazione.

Proprio qui si narra che un giorno di luglio del 1216 San Francesco si trovasse a pregare quando gli apparve in tutto il suo fulgore la Madonna seduta alla destra di Gesù Cristo e circondata da angeli la quale gli chiese in che modo poter esaudire il suo desiderio di mandare tutti in paradiso.

San Francesco rispose prontamente: “Signore, benché io sia misero e peccatore, ti prego che a tutti quanti, pentiti e confessati, verranno a visitare questa chiesa, conceda ampio e generoso perdono, con una completa remissione di tutte le colpe”. Quale altruistica richiesta! Che tutti quelli che nel corso degli anni si fossero recati a pregare nella Porziuncola, avessero ottenuto la completa remissione delle loro colpe, quello che viene conosciuto come il Perdono di Assisi.

Gli fu infatti risposto di recarsi dal Papa in carica, ovvero il Pontefice Onorio III il quale dopo averlo ascoltato e concessa l’indulgenza gli chiese se volesse un documento, ma il frate rispose sicuro: “Santo Padre, a me basta la vostra parola! Se questa indulgenza è opera di Dio, Egli penserà a manifestare l’opera sua; io non ho bisogno di alcun documento, questa carta deve essere la Santissima Vergine Maria, Cristo il notaio e gli Angeli i testimoni”. Così il 2 agosto di quell’anno San Francesco promulgò il Grande Perdono per ogni anno in quella data a coloro che fossero andati nella chiesetta della Porziuncola, oggi all’interno della Basilica di Santa Maria degli Angeli.

L’intimità. Una chiacchierata tra donne. /2

Proseguiamo oggi con l’interessantissima intervista di Anna a Nicoletta. Qui potete trovare la prima parte.

Quali consigli dare alle mogli, per mantenere una buona intesa e una sessualità sana e gratificante? E ai mariti?

È fondamentale per tutti e due, gli uomini e le donne. Quindi è un aspetto su cui lavorare, altrimenti l’intimità scende. Magari, se il tipo che dell’intimità pensa: È importante anche per me, anche se non ci penso mai! Ecco ricordati che lavorare in questo aspetto aiuta ad avere un rapporto migliore col proprio corpo, un rapporto migliore con il corpo dell’altro, un’intimità che cresce e tante altre cose belle.

Canali comunicativi

Ricordiamoci che l’altro mi conosce e sa qual è il mio canale comunicativo. Sa che per me è importante una manifestazione d’amore “narrativa”: per esempio che mio marito mi dica con le parole: sei bella, mi piace stare con te. Serve che mi conquisti, mi aiuti ad entrare nell’intimità, ad accendere il mio desiderio, usando il mio canale di comunicazione.

Oppure so che l’altro ha un canale privilegiato visivo quindi: ciò che vedo mi eccita. Vedo che sei particolarmente curata oppure vedo che questa sera spegni il pc prima del solito e che ti dedicherai a me e non al lavoro.

Queste differenze ci sono, e io sono chiamata a sintonizzarmi sul tuo canale comunicativo e a raccontarti tutte le volte che tu fai qualche cosa che mi aiuta ad accendere il desiderio. In un corso che abbiamo fatto online con le copie che si chiama: accendi il desiderio abbiamo parlato di questo, perché il desiderio erotico cresce. Dobbiamo ricordarci che l’altro è diverso, e i suoi canali erotici sono diversi dai miei.

Troppo spesso si leggono dichiarazioni di personaggi pubblici (in questi giorni quella di un uomo di spettacolo) che ammettono di concedersi delle distrazioni sessuali fuori dal matrimonio e le giustificano a motivo di un sesso coniugale scarso come qualità e quantità. Quali sono i rischi per la relazione, nel cercare fuori quello che si dovrebbe coltivare nella coppia?

L’intimità è la costruzione che la nostra coppia fa di uno spazio speciale, in cui entriamo solo noi. Significa che tu sei il mio solo, il mio unico con cui vivo una cosa simile. Sperimentiamo una cosa particolare della nostra relazione che batte e la potenza di questo battito è data dai gesti che tu ed io viviamo esclusivamente. Quando qualcun altro entra in questa intimità, questo cuore della coppia si modifica. In alcuni casi si ammala gravemente. In certi casi si rompe proprio. È un’attività rischiosissima che nell’intimità entri qualcuno. È rischioso se uno di noi ha fatto entrare nel nostro spazio di intimità una fantasia, che magari potevamo addirittura esserci raccontati e condiviso insieme. Tuttavia, nel momento in cui la viviamo, genera delle cose che possono essere difficili da gestire.

L’invasione dell’intimità

L’intimità è una stanza speciale e quindi ci siamo solo io e te, la nostra coppia. Ogni volta che entra qualcun altro, mettiamo a rischio la nostra intimità, cioè il cuore della nostra coppia. Incontro coppie che hanno messo in atto delle fantasie, magari anche condivise, che hanno generato danni pazzeschi.

Ci sono anche coppie che hanno vissuto il tradimento, magari concluso. Hanno avuto una storia con un lui o con una lei, poi chiusa e hanno scelto di nuovo il proprio partner, ma non riescono a capacitarsi della sofferenza che questa cosa ha generato nella coppia, in se stessi, nell’altro. Né spesso riescono ad affrontare la fragilità in cui hanno messo tutti e due, il rischio sul proprio futuro. Si tratta di azioni che mettono a repentaglio la coppia. Questo lo dobbiamo sapere.

Il valore della fedeltà

Non è essere più o meno chiusi, a parer mio, è essere saggi. La nostra intimità è una stanza speciale, in cui ci siamo solo noi due. Ogni volta che consentiamo qualcun altro di entrare lì dentro, mettiamo la nostra coppia in grandissimo rischio. Se io sono molto interessato noi due, non farò entrare altri. Questo richiede un lavoro, perché la fedeltà è lavoro, è il capolavoro di una coppia.

Si può ripartire anche dopo i tradimenti, si può ripartire anche dopo aver ospitato fantasie che non ci hanno fatto bene, ma è molto molto molto difficile. L’aspetto più saggio ricordarsi che la fedeltà è preziosa. È essenziale ricordarci che questa unicità deve essere preservata. Se la infrango non so veramente quale fatica ciò porterà la nostra coppia 

Di recente avete pubblicato un nuovo libro, dedicato alla fertilità della coppia (La fertilità che non ti aspetti). Di cosa di tratta?

La fertilità che non ti aspetti è stato un bellissimo regalo. Ci hanno chiesto di scrivere un libro legato a questo aspetto: alla vita delle coppie che scoprono di non poter avere figli e si trovano a vivere una dinamica di non fertilità fisica loro interno. Siamo rimasti un po’ colpiti, perché la richiesta ci è arrivata e chi ce l’ha fatta sa che noi abbiamo avuto la fortuna di essere genitori di cinque figli. Pensavamo di non essere le persone adatte. Abbiamo messo in campo le nostre conoscenze. Abbiamo pensato anche alle narrazioni che raccogliamo in giro a fare incontri, alle storie che raccolgo io nella mia attività di lavoro.

Ci siamo resi conto che poteva essere una occasione per narrare ciò che, secondo noi, è essenziale. Che cos’è che aiuta una coppia a mantenersi non solo in piedi, ma essere una coppia che riesce a continuare a camminare nel proprio progetto di coppia?

Il ricalcolo

Abbiamo imparato che l’abilità più essenziale è quella del ricalcolo. Ricalcolare il percorso, perché ciò che fa la stabilità, la grandezza della nostra coppia, non è raggiungere gli obiettivi che ci eravamo prefissi. Quello che chiamiamo: “il nostro progetto di coppia iniziale”. Rispetto a una serie di obiettivi, abbiamo pochissimi poteri.

Magari le coppie avevano in programma di viaggiare molto e poi uno dei familiari prossimi si ammala e siamo chiamati ad assisterlo. Oppure l’obiettivo di costruirsi una casa in campagna, poi uno dei due perde lavoro. E l’obiettivo di avere dei figli e poi non arrivano perché questo non ci è concesso. Di fronte a questa realtà, ci siamo proprio interrogati e abbiamo elaborato questa storia in cui accompagniamo una coppia a effettuare uno dei ricalcoli più complicati. In questo caso, il ricalcolo è quello di fare i conti con una fertilità che non era come si aspettavano.

La falsa narrazione del desiderio

Prendiamo in mano gli aspetti essenziali della vita di coppia. Primo fra tutti, che non basta desiderare a fondo una cosa per averla. Desiderare è una trappola grande. Il primo aspetto della trappola del desiderio sono le narrazioni in cui siamo immersi, ovvero che se desideri una cosa la puoi ottenere. Invece posso desiderare ardentemente qualcosa che non dipende interamente da me.

Invece bisogna sviluppare la capacità di vedere come all’interno della coppia viviamo il dolore in modo differente, la capacità anche di esaminare insieme quali sono le persone che frequentiamo e se sono buone per noi, per la nostra crescita. Interrogarci se la nostra rete relazionale sia composta da nodi che aiutano la nostra coppia oppure no.

Si tratta di un altro aspetto su cui non sempre riflettiamo con saggezza. Il ricalcolo- ovvero il frutto del ricalcolo – migliore che i protagonisti fanno sul finire del libro, la dinamica più preziosa del ricalcolo è che, mentre ricalcoliamo, ci raccontiamo che questo è possibile perché tu ci sei. Questa avventura, questo cambio di programma è fattibile perché tu ci sei.

Il ricalcolo diventa quello che effettivamente deve essere: un momento che, pur nella sofferenza e smarrimento, porta alla riscoperta dell’importanza di averti come compagno di viaggio. Per questo, ricalcolare non ci allontana, anzi ci dà la possibilità di riscoprire ancora una volta il seme che abbiamo ricevuto quando il nostro amore è nato. Tutti gli amori quando nascono ricevono dei semi, che sono chiamati a portare frutto. Non sappiamo ancora che frutto sarà. Seminare, annaffiare, curare questi semi e ciò che custodirà la nostra coppia. Vedremo poi che cosa veramente porteranno per noi e per gli altri. 

Che posto ha l’intimità fisica all’interno di questo concetto di fertilità della coppia?

L’intimità è preziosa per tutte le coppie. In qualsiasi momento hanno bisogno di custodirla. Ricordiamoci che l’intimità è un ventaglio di gesti che comprendono a fare l’amore ma anche molti altri: baci, abbracci e coccole sono piccole oasi che generano legami di piacere. Possono essere i momenti passati insieme, la liturgia buona dell’incontro nella quotidianità, ecco questi devono essere mantenuti vivi e custoditi e curati. Proprio come una pioggia benefica che accompagna le copie dei momenti di fatica. 

Nicoletta Musso Oreglia è laureata in Legge, mediatrice familiare, counselor professionista, consulente in sessuologia, coordinatore genitoriale sistemico, accompagna coppie e singoli da vent’anni.

Anna Porchetti è autrice del libro: “Amatevi finché morte non vi separi” e blogger

L’intervista è apparsa per la prima volta qui: https://annaporchetti.it/2023/07/29/intimita-nel-matrimonio-intervista-a-nicoletta-musso-oreglia/

L’intimità. Una chiacchierata tra donne

Ospitiamo sul blog un’intervista molto interessante. Sarà proposta con due articoli, oggi e domani. Anna Porchetti (autrice del libro: “Amatevi finché morte non vi separi” e blogger) intervista Nicoletta Musso Oreglia (mediatrice familiare, counselor professionista, consulente in sessuologia, coordinatore genitoriale sistemico, accompagna coppie e singoli da vent’anni).

Nicoletta, tu e tuo marito vi occupate da tempo del tema dell’intimità nel matrimonio, ne avete scritto in un manuale e dialogate con molte coppie. Quali sono le esigenze più sentite? E le maggiori difficoltà che incontrano le coppie?

Le esigenze più sentite sono sicuramente fare pace con le differenze. Queste differenze derivano dal fatto che siamo persone diverse, ciascuno di noi ha la sua storia. Sono diversa io, sono diversi i nostri corpi. Siamo diversi nei modi di sentire. Abbiamo bisogno di fare pace con queste differenze. Dobbiamo scoprire che per fare pace, è necessario che io impari raccontarti le mie differenze e ad ascoltare le tue.

L’alfabeto dell’intimità

Quindi dobbiamo comprendere che è importante costruirsi un alfabeto dell’intimità. Ovvero, un’abitudine a raccontare a condividere la nostra vita. L’altra esigenza fondamentale è arrivare a vivere -non solo a costruire- l’intimità per quella che: un vestito su misura di altissima sartoria. Un abito che ogni coppia taglia seguendo le proprie curve e che viste perfettamente la coppia. Quindi non è omologato, non è una taglia unica per tutti. E’ invece assolutamente unico. A questo lavoro di alta sartoria, che segue il profilo di ogni coppia, le sue forme e le esalta si arriva, facendo pace con le differenze. Costruire un alfabeto dell’intimità su misura, ci fa superare gli ostacoli. Ci fa far pace con il mio corpo, con il tuo corpo con i nostri tempi differenti.

L’intimità cambia, nel corso di un matrimonio? Quali sono, se ci sono, le differenze principali?

L’intimità cambia nel corso il matrimonio, certo! Perché cambio io, così come Davide. La vita intima, il senso del fare l’amore è legata al senso che gli diamo. Ha un aspetto ludico ma poi anche un aspetto semantico, sociale. La modalità con cui noi viviamo l’intimità e la desideriamo, cambia, perché noi desideriamo cose diverse: il piacere di vivere con te un momento bello, il piacere di raccontarti che ho bisogno di essere ritrovata, corteggiata. È il modo di dire che sei contenta di stare con lui, l’uomo con cui sei felice di esserti imbarcata in questa avventura! O anche la differenza di vivere insieme un’intimità quando attraversiamo dei momenti di fatica.

La vita intima nel matrimonio cambia, perché cambia la vita intorno a noi. Facciamo l’amore in modo diverso, di volta in volta. Anche se magari compiamo gli stessi gesti, il senso e il desiderio che ci mettiamo sono diversi. La condivisione di questi aspetti è ciò che rende più grande e più bello l’incontro delle coppie. 

Parliamo di intimità nelle coppie di lungo corso. In molti sostengono che attrazione e desiderio siano prerogative delle prime fasi del matrimonio e che poi la vita sessuale delle coppie appassisca, ma è davvero così?

È una bellissima domanda, perché ci aiuta a raccontarci un aspetto fondamentale che abbiamo chiamato: i miti sbagliati del sesso. C’è una mitologia legata all’intimità, che non rispondi assolutamente la realtà. Uno di questi assiomi dice che: da giovani fiamme e poi dopo arriva il riposo dei sensi. Professionalmente seguiamo molti giovani, che fanno fatica a iniziare la loro vita intima. Tutte noi coppie di lungo corso, ci possiamo raccontare serenamente che la nostra intimità col passare del tempo è diventata migliore, perché è cresciuta la capacità di raccontarci e di condividere l’intimità. La bellezza del vivere un’intimità di coppia non ha nulla che vedere con la tonicità muscolare! È una tonicità del cuore.

Il segreto dell’intimità è il cammino

Che cos’è che rende bello stare insieme fisicamente e vivere e fare l’amore? È sicuramente legato al cammino che abbiamo percorso insieme. Io faccio l’amore con un uomo con cui stiamo cercando di dare una mano a dei figli grandi. Un uomo che mi sostiene anche educativamente, che mi dà un grande aiuto per la mia crescita professionale eccetera eccetera. È questo che rende così bella l’intimità di coppia, perché è gustosa la vita che abbiamo insieme a tutto tondo. Io faccio l’amore con un uomo con cui ho condiviso tante battaglie. L’ho trovato fianco a fianco con me. È un aspetto molto prezioso, molto bello, molto erotico. Questo si ha col passare del tempo.

La moneta nell’intimità

Quindi, se è vero che c’è una moneta con cui si può in qualche modo far crescere l’intimità, questa è proprio il tempo. Il tempo che passiamo insieme, il tempo che abbiamo condiviso, la vita che abbiamo alle spalle. C’è una crescita dell’intimità nelle coppie di lungo corso, soprattutto se ci ricordiamo che l’intimità è preziosa e importante. Richiede proprio che noi abbiamo più attenzione ancora col passare del tempo. Perché la nostra coppia cresce esattamente come un bambino e ha bisogno di avere nutrimenti diversi.

Un conto è nutrire l’intimità di una coppia che ha qualche mese di vita. Dopo molti anni, ciò che serve sarà maggiore, non minore! Sarà maggiore in termini di attenzione e di cura, di condivisione e di custodia del desiderio. Quando cresci nella tua vita di coppia, impari ciò che piace all’altro. Impari ad andargli incontro e anche conoscere le tue fatiche e questa è una grandissima risorsa. 

Una soddisfacente vita intima è importante anche dopo molti anni di matrimonio? Perché?

Certo che è importante! L’intimità è il respiro della coppia. È un respiro speciale, perché genera complicità e intimità. L’intimità è una torta. Ci piace definirla così. È un’immagine che ci hanno regalato. È una torta con molti ingredienti. C’è fare l’amore sì, ma c’è anche un certo tipo di di coccole e di abbracci e di baci profondi appassionati, di caffè preso insieme la sera, quando tutti i figli sono andati a letto.

Siamo noi due come unità. Questa torta con tanti ingredienti la cuciniamo ancora meglio, se abbiamo alle spalle la vita insieme che ci ha concesso di conoscerci. Per questo l’intimità è importantissima anche dopo molti anni di matrimonio. Se si spegne quella, si spegne il respiro della coppia e ci perdiamo la complicità. È il cuore della nostra relazione. Altrimenti corriamo il rischio di perderci, diventiamo una cooperativa che fa cose insieme. Ricordiamoci sempre che la vita intima è questa torta con tanti ingredienti: fare l’amore ma non solo quello anche molto altro, è fondamentale. 

Quali sono i nemici principali di una gratificante vita sessuale nelle coppie stabili? E i principali alleati? Ne avete gia’ parlato nel vostro libro: il manuale definitivo per l’intimità della coppia. Vogliamo brevemente ricordarli?

C’è un nemico su cui dobbiamo lavorare: il rapporto che io ho con me stessa. Devo volermi bene. Devo riuscire a raccogliere il buono di me. Far pace col mio corpo, qua dove sono. Perché sennò diventa complicato: io cercherò nell’intimità un risarcimento, un riconoscimento. Quindi il primo aspetto è che devo fare pace con me stessa e devo volermi un po’ bene. Questo vale sia per gli uomini che per le donne.

Cercare l’altro

Un altro ostacolo che viviamo è che pensiamo all’interno della coppia che uno dei due abbia sempre voglia di fare l’amore. Le donne lo pensano degli uomini. Questa è una trappola tremenda. Se nella coppia pensiamo una cosa simile, smettiamo di corteggiarlo e di cercarlo, perché lui è “voglia munito”! In realtà non è vero. Ognuno di noi ha momenti in cui riesce ad avere un contatto più facile con il desiderio e altri nei quali ha bisogno di essere cercato. La coppia si trova in difficoltà, quando uno dei due smette sistematicamente di cercare altro, perché attende sempre che l’altro si faccia avanti. 

L’intimità ha tempi diversi

Un altro ostacolo fondamentale è pensare che la buona intimità di coppia sia legata a fare tutto nello stesso tempo e nella stessa modalità. I tempi della coppia sono molto differenti. I tempi che ci mettiamo sono diversi. La strada è differente. Anche l’immaginario è diverso. Più spesso la donna racconta la fatica di non perdere il filo dell’orgasmo. la coppia c’è quando diamo a tutti il tempo che serve, non quando ci omologhiamo: non è una gara per diventare uguali! È uno spazio in cui poter vivere queste differenze e non perdersi di vista.

Una competenza che si guadagna con il tempo

L’altro ostacolo è il falso mito: fai tutto da giovane che, poi dopo ti passa tutta la voglia! È un ostacolo grande, perché l’abilità erotica è una questione di corpo, di cuore. È una competenza che si guadagna col passare del tempo altro.

Il passato

Un altro ostacolo è il passato. A volte abbiamo accanto noi uomini e donne che hanno avuto relazioni con altre persone e questo passato che non molla. Può essere complesso da gestire per l’intimità. Il passato dell’altro, in qualche modo io devo imparare ad abbracciarlo. Non a scandagliarlo o investigare. Invece imparare ad abbracciarlo.

Il porno non aiuta l’intimità

L’altro aspetto è che i momenti di fatica ci sono. Ci sono dei momenti in cui l’intimità viaggia meglio e altri nei quali invece fa fatica. Bisogna allora fare un’analisi e mettere insieme quello che ci può aiutare. Noi raccontiamo senza mezzi termini che, nei momenti di fatica, il ricorso al porno non aiuta. Anche se è una realtà diffusissima. Non aiuta, perché ci pone davanti un prodotto che non è fatto incontrarsi o a riprendersi dopo momenti di difficoltà o di allontanamento. Non aiuta le coppie a ritrovare la capacità di condividere le paure, i timori, le risorse. Tutto questo ha a vedere con l’alfabeto dell’intimità di cui parlavamo all’inizio, non con il ricorso o con l’uso di materiale pornografico.

Il conto corrente erotico

Naturalmente, tutto questo ha a che vedere con le risorse. Noi raccontiamo queste risorse, in questo modo vivere l’intimità di coppia serve a scoprirsi e crescere in questa intimità. Rendersi conto di quello che noi chiamiamo il conto corrente erotico. Esattamente come in banca, tu vai e prelevi qualcosa, ma solo se ogni tanto hai versato. Altrimenti non arriva nulla. Questa risorsa cresce non per quanto ci versiamo sopra, ma di più ancora per il numero di versamenti che facciamo. Il nostro conto corrente erotico cresce se versiamo con frequenza maggiore. Naturalmente, la frequenza maggiore non vuol dire che tutti i versamenti saranno con un desiderio una voglia erotica grandissima.

Nella nostra vita noi sperimentiamo il desiderio di stare con l’altro pari a 10, dove 10 è il massimo. Ci sono però anche i momenti in cui noi sperimentiamo un desiderio e pari a cinque a quattro. Noi pensiamo che sia fondamentale che le coppie quel poco che hanno lo versino comunque. Quindi stasera ci vediamo e ho voglia di fare l’amore è un versamento grande. Stasera ci incontriamo e siamo stanchi tutti e due e la sola cosa che io riesco a fare vorrei baciarti, accarezzarti o dirti che sono contenta di stare qua. Anche questo versamento è importante. 

Le onde del desiderio

A volte invece le coppie pensano che si debbano attendere solo momenti di grande intensità. Invece ci sono tante piccole onde di desiderio, chi impara con le onde piccole, poi sarà bravo anche a individuare a scovare quelle grandi. il desiderio erotico è responsivo: risponde a me che lo chiamo. Ci sono momenti in cui ci abbracciamo, ci baciamo in modo tenero, in modo profondo e dopo una giornata faticosa e so già che non avremo l’energia per fare l’amore, tuttavia, questo piccolo versamento che io faccio serve. Serve proprio la capacità, in fondo alla giornata, di versare quello che ho. Ci vuole però anche l’abilità, ogni tanto, di ritagliarci del tempo per far crescere l’intimità. Questa è un’abilità che si conquista. 

Quali consigli dare alle mogli, per mantenere una buona intesa e una sessualità sana e gratificante? E ai mariti?

Domani potrete leggere il proseguo dell’intervista.

L’intervista è apparsa per la prima volta qui: https://annaporchetti.it/2023/07/29/intimita-nel-matrimonio-intervista-a-nicoletta-musso-oreglia/

La comunione è un traguardo da raggiungere

Il matrimonio, questa sacra unione che ci invita a maturare e crescere nell’amore, è davvero una relazione privilegiata. È un’opportunità unica per scoprire la nostra vera vocazione e per diventare una comunione d’amore. Tuttavia, dobbiamo comprendere che non è sufficiente essere generosi con il nostro coniuge, offrendo tempo, azioni e doni. Non è solo una questione di unilaterale apertura verso di lei o verso di lui. Per provare una vera intimità, è necessario essere completamente aperti e vulnerabili. Solo così si creerà una vera comunione. Quando il dono si trasforma in comunione, il rischio di creare una relazione che porta l’altro a dipendere da noi o a essere subordinato sparisce. Non vogliamo che il nostro partner si senta come un tappetino, che teme di perdere il nostro sostegno. Non vogliamo alimentare la nostra vanità, l’egoismo o il desiderio di possesso, perché queste non sono manifestazioni d’amore autentico. Scegliere di vivere l’amore con piena consapevolezza richiede coraggio e impegno, ma è solo attraverso questa apertura profonda che potremo comprendere appieno la bellezza e la potenza dell’amore coniugale. Che sia la reciproca donazione, il reciproco supporto o la condivisione delle gioie e delle fatiche della vita, tutto ciò contribuirà a radicare il nostro amore e farlo crescere sempre di più. E così il matrimonio diventerà il luogo in cui la nostra anima può fiorire e il nostro amore può raggiungere livelli di profondità e gioia che mai avremmo immaginato.

La comunione è un traguardo da raggiungere, un obiettivo da perseguire con determinazione e impegno costante. Questo traguardo implica la creazione di una relazione profonda e significativa, basata sulla parità e sulla reciprocità. Significa essere pronti ad ammettere di avere bisogno dell’altro, di donarsi e riceversi a vicenda. Inoltre, la comunione implica anche la capacità di riconoscere e accettare le proprie ferite e fragilità, di abbracciare la propria povertà. È un atto di umiltà e di consapevolezza che ci rende più umani, più vicini agli altri e a noi stessi. Entrare in comunione richiede di abbattere le barriere emotive e le maschere che indossiamo, anche quelle della generosità che possono limitare la nostra autenticità. Significa mostrarsi così come siamo, senza filtri o artifici, accogliendo e accettando noi stessi e gli altri nella loro interezza. Per me, la consapevolezza di queste verità non è stata immediata. Mi ci sono voluti anni per imparare, per superare i blocchi emotivi e rompere i legami che mi tenevano prigioniero. Ma oggi posso dire che è meraviglioso, tutto va sempre meglio. Ho conquistato una libertà nel modo di amare, di accogliere, di ricevere, di donare e di incontrare la mia sposa, che non credevo di poter raggiungere. La comunione si traduce in un’apertura sincera del cuore, senza paura di essere giudicati, con la volontà di essere veramente uniti a livello profondo. È un’esperienza che richiama alla mente anche la comunione che viviamo con Cristo nell’Eucaristia. Jean Vanier scrive nel suo libro “Lettera della tenerezza di Dio“:

Entrare in comunione è riconoscere che si ha bisogno dell’altro, come Gesù, stanco, che chiede alla samaritana di dargli da bere. Gesù non le chiede di cambiare, le dice semplicemente che ha bisogno di lei, la incontra in profondità, entra in comunione con lei, entra in una relazione dove si dà e si riceve, dove ci si ferma e si ascolta. È più facile dare che fermarsi, soprattutto quando si è angosciati. […] È richiesto l’essenziale: il cuore. La via discendente è la via della risurrezione ma è molto pericolosa perché ci fa perdere qualcosa. Implica anche di scendere dentro di noi stessi ed è ancora più difficile scoprire le proprie ferite e le proprie fragilità. La via discendente ci fa scoprire progressivamente, vivendo con il povero, la nostra povertà, questo mondo di angoscia che abbiamo dentro, la nostra durezza, la nostra capacità di fare anche del male. Io stesso ho sperimentato davanti a certe persone quest’ondata di potenze violente, nascoste nel più profondo di me ma molto presenti. Davanti all’intollerabile mi sono sentito capace di far male, di ferire il povero. So bene che c’è un lupo alla porta della mia ferita e che può risvegliarsi. (…) Questa via discendente allora è dolorosa, ma è la via della salvezza e della guarigione profonda.

Questa è la via della salvezza. Solo entrando in comunione con l’altro, le sue fragilità non saranno motivo di distruzione della relazione, non faranno risvegliare il lupo che è alla porta della mia miseria. Entrando in comunione, le nostre fragilità riconosciute e accettate divengono luogo di incontro profondo e via di guarigione e salvezza.

Antonio e Luisa

Nel nostro nuovo libro affrontiamo questo tema e tanto altro. Potete visionare ed eventualmente acquistare il libro su Amazon o direttamente da noi qui.

Amore fecondo: Giobbe e sua moglie

“Per Laura e Luigi in realtà sarebbe corretto dire che all’inizio c’era stato un programma più che un progetto: avevano pianificato tutto. Era estate, erano sposati da pochi mesi e immersi nel fervore dei primi tempi, quando vuoi metter su casa, famiglia, e mettere radici, tutto insieme. Così avevano aperto i cantieri, certi che tutto sarebbe andato secondo i loro piani. Laura era al settimo cielo, ne era certa: presto avrebbero trovato una casetta, (erano già in cerca, mica perdevano tempo, eh!), la gravidanza nel frattempo sarebbe avanzata e negli ultimi mesi di attesa avrebbero arredato casa…tutto chiaro, no? Poi sarebbe arrivato un cucciolo, principe della casa e dei loro cuori…pronti a vivere felici e contenti. Eppure niente era andato come avevano pensato: la vita non aveva risposto alla loro disponibilità e i mesi erano passati portando solo dubbi e sconforto. Laura si chiedeva perché, perché proprio a loro? Cosa sbagliavano? (…) Dopo un anno niente stava cambiando, e loro erano al punto di partenza. Anzi, no, erano consapevoli che a volte nella vita non tutto va secondo i propri piani, ma neanche secondo i desideri, e neppure secondo le speranze. E la tristezza ormai ogni tanto bussava alla porta. E tornavano sempre le stesse domande, gli stessi perché, e lo stesso vuoto: nessuna risposta. Ogni volta, poi, che si incontravano con gli amici, tutti erano percorsi da un brivido di imbarazzo; lei li vedeva, li notava che distoglievano gli occhi al loro arrivo, cambiavano discorso, si scambiavano cenni di intesa. E, poi, ogni tanto  iniziavano con lunghi discorsi, la prendevano alla larga, ci giravano intorno prima di arrivare alla domanda sui figli.” (E voi, ancora niente figli? Al di là della fertilità, la chiamata di ogni coppia alla fecondità, S. Paolo, 2021)

Abbiamo parlato di vocazione, fecondità e missione, abbiamo distinto la fertilità dalla fecondità, ora entriamo in un tema che ci tocca tutti: il dolore. Perché, certo, è facile essere fecondi quando nutri un sogno, un desiderio,  quando poi tutto fila liscio, e ti ritrovi soddisfatto e ricco di frutti. Ma nella bontà delle intenzioni non è solitamente inclusa la garanzia dell’happy end.

Il dolore

Il dolore di solito non te lo vai a cercare, ma ti raggiunge, magari proprio in qualcosa di bello. Non è la punizione per una colpa, il dolore arriva. Di suo. Puoi provare a fuggirlo, ma poi, lo trovi lì. Solitamente non se ne va da solo. E, allora, sei chiamato a scegliere come starci dentro. Ti abita e, se non prendi posizione, prende possesso di te, del tuo sguardo sulle persone e sulla storia, delle tue relazioni, ti ruba persino i sogni e le prospettive future.Nel mondo sembra brutto parlare di dolore, è tabù farsi vedere deboli o feriti; tendiamo a mostrare il lato scintillante della vita. Nessuno ci insegna ad abitarlo, a gestirlo: meglio la scorciatoia, la distrazione, l’alternativa. 

Il dolore nell’infertilità

Non viviamo tutti le stesse cose, ma è possibile che tutti abbiamo attraversato un dolore nella nostra vita, e, se ci confrontiamo con l’infertilità che l’abbiamo incontrato, individualmente oppure come coppia. Di infertilità solitamente parlano gli specialisti proponendo ‘soluzioni’, difficilmente si trova qualcuno con cui parlarne profondamente. Infatti anche i più vicini a una coppia infertile, non essendosi confrontati con il tema e non sapendo cosa fare, spesso si trovano disorientati, si attivano con zelo, mossi dall’affetto, per cui propongono suggerimenti di tutti i tipi…ma non richiesti. C’è chi pensa che ci sia qualche responsabilità (…se mangiaste più sano…foste meno stressati… lasciaste da parte qualche impegno…se non aveste aspettato tanto…), chi si orienta per i suggerimenti spirituali (…ti faccio avere la novena giusta…vai in quel santuario…) o simili (Dio ti sta correggendo…). L’alternativa è il silenzio, anche collettivo, quello condito di imbarazzo. In realtà spesso una coppia che attraversa il dolore dell’infertilità ha bisogno solo di prossimità, che può significare ascolto, presenza, amicizia, normalità…o silenzio rispettoso. Sì, perché l’infertilità coinvolge l’immagine che la donna ha di sé, il rapporto con il proprio corpo e la propria ciclicità, lo sguardo su se stessa, sul coniuge e sulle altre donne (ti sembrano tutte grandi uteri pronti ad accogliere la vita!). Colpisce l’immagine che l’uomo percepisce di sé, il suo senso di potenza e virilità (gli altri uomini ti sembrano tutti dotati di grandi falli pronti a dare la vita!), il suo ruolo in famiglia e nella società. Attiene alla coppia, alla sua vita intima e sessuale, alla sua progettualità.

È prezioso accogliere le emozioni che viviamo quando siamo nel dolore, altrimenti il rischio è che, anche inconsapevolmente, stiamo vicini ma soli. Ciascuno con il proprio dolore, ciascuno con la propria rabbia, magari ripiegandoci nel silenzio, oppure attaccandoci al telefonino per sfogarci con le amiche, la mamma, la psicologa, il sacerdote… qualcuno di esterno alla coppia. Non c’è niente di male a vivere diversamente le proprie emozioni, ma è prezioso non escludere l’altro da ciò che viviamo, non isolarci, rimanere un “noi”.È prezioso riuscire a  risintonizzarci come coppia, a trovare una frequenza comune, a imparare a stare insieme in questa ferita perché l’infertilità ci chiede di rileggere i sogni comuni, ma anche ricollocarci in un futuro condiviso.

Giobbe: rimanere in relazione con Dio

E Giobbe cosa c’entra con tutto ciò? Giobbe è stato un uomo ricco, che ha perso le proprietà, gli animali, i figli, la salute ed è stato rifiutato dalla moglie che non condivide la sua fedeltà a Dio (di fronte al dolore la coppia può prendere strade diverse, può scoppiare). Lui non accoglie le parole degli amici, i suggerimenti di pregare più e meglio, di riflettere che forse ha qualche colpa, di rassegnarsi alla propria storia, di sublimare quel dolore vivo. Giobbe rifiuta un Dio che agisce secondo la dottrina della retribuzione e nella rabbia, nella sofferenza, grida a Dio, alza a Lui lo sguardo come a un padre, sa che c’è un “tu” con cui dialogare. La sua fede è certezza della paternità di Dio. E rimane nella propria storia, capace di accettarla, abbracciarla, non disertarla. La storia di Giobbe ci racconta della nostra libertà. Di fronte al dolore siamo chiamati a scegliere come reagire. Possiamo incattivirci, amareggiarci, piangerci addosso, persino allearci con la sventura e accomodarci in essa, e vivere della compassione nostra e altrui, possiamo fuggire, eluderlo, volgere lo sguardo, voltarci altrove, cercare scorciatoie o accettare il macigno della colpa, oppure possiamo accettare il suo buio, nonostante la paura, e attraversarlo, possiamo restare al nostro posto, nella nostra storia e lì dentro, in quel dolore, come singoli e come coppia, come è avvenuto a Giobbe, possiamo incontrare Dio. La fede cui siamo chiamati non è nel credere che Dio esista, ma sapere di essere amati, credere al Suo amore nonostante la situazioneRimanere è credere, è saper disobbedire all’evidenza della morte presente.

📌 Vi invitiamo a prendere un tempo come coppia per rileggere un momento in cui, nel dolore, siete rimasti o meno nella fede.

📌 Un aiuto… fissate una durata, decidete voi prima di iniziare quanto tempo avete a disposizione.

  • Mettetevi in preghiera invocando lo Spirito Santo, oppure ascoltate un canto, o facendo un tempo di lode. 
  • Quindi prendete un tempo da soli (fissate prima quanto tempo!) e segnate su un foglio alcuni momenti difficili (scegliete voi se indicare quelli più o meno difficili, oggettivamente o soggettivamente avvenuti, individuali o di coppia) dell’ultimo semestre. Riflettete se li avete vissuti con fede, se avete pregato per quella situazione, se avete escluso il Signore.
  • Incontratevi e ciascuno condivida all’altro come lo ha vissuto, se lo ha vissuto nel Signore.
  • Infine pregate ciascuno per quanto condiviso dall’altro perché il Signore lo custodisca.

Buon cammino!

Maria Rosaria e Giovanni

L’articolo originale è pubblicato sul blog mogliemammepervocazione.com

Amore, sesso, verginità: abbiamo il coraggio di parlarne con gli adolescenti?

Un po’ di tempo fa mi sono ritrovata a dare la mia testimonianza sulla castità. Ero stata chiamata a parlarne ad un gruppo di ragazzi delle scuole medie che si preparavano a ricevere il sacramento della Confermazione. Sapevo di dover essere prudente: a tredici o quattordici anni c’è chi si pone molte domande, chi brucia le tappe e chi, invece, è ancora un bambinone. Volevo essere cauta.

Al tempo stesso, ero consapevole di avere un’occasione unica: potevo offrire loro una visione diversa da quella che propone il mondo; avevo la possibilità di essere una voce diversa rispetto a quelle che si ascoltano dai ragazzi più grandi, sui social o in tv. Sono partita da qui, dicendo loro che avevo qualcosa di insolito da dire: “Vorrei darvi un’opzione che forse pochi vi avranno dato fino ad ora, se non nessuno…”. Quindi ho continuato: “I miei genitori mi avevano insegnato che era bello aspettare l’uomo della mia vita, mio marito, per fare l’amore. Io mi fidavo di loro. Crescendo, però, mi sono accorta che nessuno la pensava come loro e ho iniziato a mettere in discussione ciò che mi avevano insegato. Chi aspettava ancora il matrimonio, nel ventunesimo secolo, per il sesso? Dove si vede questo?”.

Qualcuno dei presenti, un ragazzino alto e dall’aria simpatica, ha risposto: “Nei film indiani!”. Aveva ragione. “Proprio così: – gli ho detto – la castità mi sembrava una cosa del passato o di un’altra cultura. Non la sentivo vicina al mio tempo, non mi sembrava una scelta possibile per la mia generazione, nell’Occidente moderno, diciamo”.

Ho ammesso, con il cuore in mano, di essermi lasciata convincere dal mondo: “Durante gli anni del liceo, mi dicevo che, in fondo, se fossi stata innamorata, non avrei dovuto aspettare un sì davanti all’altare per unirmi ad un ragazzo, per avere rapporti con lui…”. Poi, però, qualcosa è andato storto. Sui film – dove le persone fanno sesso con tanta facilità – non si vedono tutte le ripercussioni psicologiche di aver donato totalmente sé stessi alla persona sbagliata, nel momento sbagliato… Eppure, come dice Padre Giovanni Marini, Dio perdona sempre, gli uomini qualche volta, le leggi morali, fisiologiche e psicologiche non perdonano mai. Vivere lontani dalla castità (ovvero non approcciarsi alla sessualità nella logica del dono) fa male. E anche tanto.

Io mi sono fatta male. “Dopo una relazione in cui credevo tantissimo, ma finita male, avevo il cuore lacerato. Quella storia ha lasciato in me segni molto profondi, e, sapete, mi sono chiesta se i miei genitori non avessero ragione…”, ho raccontato a quei ragazzi. Mi sono sentita un po’ come il figlio prodigo della parabola: credo sia naturale pensare a chi ti vuole bene, come i tuoi genitori o gli amici veri, quando ti ritrovi a mangiare ghiande in mezzo al fango. Loro avevano provato a preservarmi, per il mio bene…

A quel punto, ho chiesto al Signore di mostrarmi quale fosse la via, quale fosse il modo più sano per vivere la mia vita affettiva, le mie relazioni e l’intimità. Poco tempo dopo, ho incontrato una coppia, durante un ritiro spirituale con i salesiani. La loro testimonianza è stata decisiva. “Quello che hanno detto i due sposi mi è entrato dentro e non mi ha più lasciato. – ho detto ai ragazzi – Parlavano di verità e coerenza: ciò che dici con il corpo, lo devi dire anche con la vita. Con il corpo dai tutto, quando fai l’amore, ma sei pronto ad accogliere quella persona per sempre, sei pronto a sposarla? Se la risposta è no, perché le dai tutto di te con il corpo? È come fare un regalo a qualcuno e poi riprenderselo… non posso dare un bracciale d’oro a lei – ho detto indicando una ragazza in prima fila – poi ripensarci e riprendermelo. ‘Scusa, ho cambiato idea’. E il vostro corpo vale più di un bracciale d’oro!”.

Sono passati undici anni da quando ho ascoltato quella testimonianza, ma ricordo ogni parola, come se fossi ieri. Perché mi ha cambiato la vita. “Quando mi sono fidanzata, ho dovuto dire al mio ragazzo che avevo scelto questo anche per me: fino al matrimonio, fino a quel sì, non gli avrei dato tutta me stessa. Volevo dirgli ‘Ti appartengo’ solo se nella vita lo avevo accolto per sempre. E questo non puoi dirlo a una persona con cui stai da un mese… – ho spiegato – Temevo la sua reazione. Invece sapete cosa mi ha detto? ‘Sarà difficile immagino, ma per te aspetterei anche tutta la vita!’”. Quell’uomo, che oggi è mio marito e padre dei miei figli, ha scelto me: mi ha messo prima del sesso. Era pronto a conoscermi senza vincoli.

Insieme, abbiamo imparato la cura, il rispetto, la tenerezza e il valore dell’attesa. – ho detto ai cresimandi – Oggi posso testimoniare che la castità non uccide il rapporto, lo fa crescere”, ho concluso, per poi lasciare spazio alle domande. Sapendo che potevano provare imbarazzo, ho offerto loro dei bigliettini, su cui scrivere. Più di una persona ha scritto di non essere d’accordo; qualcuno ha detto che ognuno è libero di fare del proprio corpo ciò che vuole; qualcun altro ha detto che “basta farlo sicuro”, dove la sicurezza implica solamente “usare le precauzioni”. Non ho insistito: il mio seme lo avevo gettato. Come lo avevano gettato i miei.

Ho consegnato loro il mio libro, scritto proprio per gli adolescenti, dal titolo “Amore, sesso, verginità. Le risposte (e le domande) che cerchi” (Editrice Punto Famiglia, 10 euro). L’hanno accolto volentieri (chiedendomi anche l’autografo). Poi, quando stavo per andare via, si è avvicinato un ragazzo. Voleva parlarmi. Non sapeva bene nemmeno cosa dire, ma era rimasto colpito e mi ha promesso che avrebbe riflettuto sulle mie parole. In un attimo, è riaffiorata in me la speranza. Pensavo di essere andata lì a vuoto: vedendo i loro riscontri, mi sembrava di aver fatto un buco nell’acqua. O meglio, mi dicevo che evidentemente, per loro, i tempi non erano maturi. Per molti no, forse, ma almeno per uno di loro sì. Il mio cuore è esploso di gioia. Non dobbiamo mai credere che seminare sia inutile. Alcuni semi, purtroppo, verranno soffocati dai rovi, ma altri, al tempo opportuno, riempiranno la terra di frutti.

Cecilia Galatolo

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Guarigione affettiva: presupposto necessario per parlare di amore

Qualche giorno fa mi capita sotto agli occhi un articolo dove si parlava di due donne che si sono unite in un’unione civile davanti ai loro figli, avuti da precedenti relazioni. Preferisco non citare il giornale che pubblicava il pezzo, né i luoghi e i nomi delle persone coinvolte, perché mi preme molto di più riflettere su tematiche urgentissime nel nostro tempo e che riguardano tutti: in primis la differenza tra “infatuazione” e “amore”; in secondo luogo, il legame che può esserci tra “scelte avventate” e “ferite affettive pregresse”. Il giornalista metteva in chiaro, fin dall’inizio, che nell’articolo si sarebbe trovato “materiale in abbondanza” per “mandare in tilt” i sostenitori delle cosiddette “famiglie naturali”. Poiché mi trovo tra costoro (nel rispetto delle persone che la pensano diversamente, credo sia la relazione coniugale di un uomo e di una donna il fondamento della famiglia) incuriosita da questo incipit, che aveva tutta l’aria di preludere a qualcosa di rivoluzionario al suo interno, ho proseguito la lettura.

La prima cosa che mi è ha “mandato in tilt” è stato vedere che si parlava di “amore”, quando la relazione in questione aveva tutti i tratti di un’“infatuazione”. Andiamo con ordine. Protagoniste della vicenda sono due donne, entrambe sopra ai trent’anni, le quali si sono “unite in matrimonio” – così scriveva il giornalista – “lasciandosi alle spalle le precedenti relazioni”. Queste due donne avevano più di un figlio ciascuna, da altre storie, alcuni adolescenti, altri molto piccoli (sotto ai 10 anni). Le due mamme si conoscevano da tempo – si tenevano aggiornate sulle rispettive gravidanze ecc. – ma tra loro c’era una semplice amicizia. Entrambe avevano, appunto, una famiglia. Ad un certo momento, hanno iniziato a messaggiarsi, fino a passare delle notti sveglie per parlarsi e hanno sentito sbocciare un’attrazione tra di loro. Un giorno si sono incontrate e c’è stato un bacio. Un mese dopo questo bacio hanno iniziato a parlare di “matrimonio”. (Infatti, una ha chiesto all’altra di “sposarla” … sì, dopo appena un mese).

Senza voler giudicare la vita di nessuno (non spetta di certo a me!), ammetto che mi sono posta delle domande. La prima è stata dove si trovassero i padri dei loro figli mentre le due donne messaggiavano tutta la notte. Nell’articolo non si capisce se ci sia stato un tradimento oppure se le due si fossero incontrate da single…

Se erano storie già concluse, forse avevano lasciato delle ferite tanto profonde da far desiderare una fuga? (Me lo domando non perchè sono omofoba o perchè mi piace viaggiare con la fantasia, ma perché ho ascoltato la testimonianza di una ragazza che mi raccontava proprio questo. Era sposata con un uomo che faceva uso compulsivo della pornografia e lei si sentiva “trattata come un oggetto” nella sfera intima. Un giorno mi ha detto, molto seria: “Se dovessi riaccompagnarmi con qualcuno, sarà con una donna!”).

Forse le storie precedenti di queste due mamme hanno generato delusione, rammarico e un’immensa sete di comprensione?Se invece le due donne erano ancora sposate, forse non c’era reale comunione?

Non conosco bene la vicenda, ma parlo di quello che vedo nelle mie conoscenti e nelle persone che mi scrivono: una relazione dove non c’è profonda unità – o peggio, si verificano abusi o si vive male l’intimità – lascia un senso di amara solitudine. Questo può portare a cercare affetto altrove (talvolta, purtroppo, ovunque), senza, però, prima aver risolto e sanato le ferite generate da quella relazione nociva. E se due mamme parlano di “matrimonio” dopo un mese dal primo bacio, è giustificato chiederselo: cosa c’è nel loro passato?

Non sto scrivendo questo articolo per fare l’inquisizione, nè per generare pettegolezzi, ma perchè simili storie le leggono tanti giovani alla ricerca di sè stessi. Il giornalista dice che il pezzo è pensato per mandare in tilt chi difende la famiglia naturale… ma il pezzo, in realtà, a prescindere dalla comprensione della famiglia che si ha, ha tutte le carte in regola per mandare in tilt chiunque pensa che delle scelte importanti (e vincolanti per intere famiglie!) vadano soppesate con cura e prudenza…

Personalmente, troverei sconcertante sentir parlare di matrimonio dopo un mese di frequentazione (soprattutto quando si hanno dei figli a cui render conto delle proprie azioni!) anche se si trattasse di un uomo e di una donna. Queste storie mi fanno pensare che abbiamo bisogno urgente – ma che urgente? Di più! – di evangelizzatori che si prendano a cuore in modo particolare l’educazione all’affettività dei giovanissimi, che li aiutino a comprendere il peso delle proprie scelte, prima che finiscano in relazioni che lacerano i loro cuori e lasciano questo vuoto.

I ragazzi hanno bisogno – e diritto! – di sapere come costruire storie solide, che diano senso e pienezza alla vita. Come vivere un serio discernimento.

I nostri lettori conoscono la comprensione che abbiamo della famiglia (sposiamo, infatti, la visione del Magistero della Chiesa, che poggia sul Vangelo), ma lascia perplessi che anche chi abbia una comprensione diversa della famiglia esalti scelte così affrettate, senza intravedere dietro a tutto questo delle fragilità, che, forse, hanno bisogno di essere sanate (anche nell’interesse dei figli, che prendono come primi modelli relazionali proprio i genitori!).

Dopo cinque mesi dal primo appuntamento arriva la celebrazione dell’unione civile in comune davanti ai bambini e ai ragazzi delle due donne. La storia si conclude così: “‘Gli abbiamo detto come stavano le cose. Ci hanno detto: ‘Vediamo come sorridete, come siete felici, e lo siamo anche noi’. Più facile di così…”

Proprio questo lascia perplessi: sembra tutto troppo facile. Senza giudicare nessuno (auguriamo tutto il bene del mondo a queste donne e alle persone loro care) ai ragazzi che ci leggono vorrei dire: non abbiate fretta, scavatevi dentro, fate discernimento, cercate di capire quello che vi sta succedendo, risolvete la vostra affettività e infine sappiate che, anche in un mondo iper-sessualizzato come il nostro, si possono sperimentare ancora amicizie vere anche senza erotismo, nella gratuità. Cercatele e le troverete.

Cecilia Galatolo

Sesso… come si fa e cos’è?

Oggi vogliamo partite da questa parola, un po’ forte, un po’ ambigua, che fatichiamo a pronunciare, che sembra togliere pudore alla lingua che la pronuncia. Che significato ha la parola sesso? Cosa vuol dire Fare sesso? A cosa associamo il sesso?

Se cerchiamo un po’ in internet, o guardiamo quanto abbiamo intorno, quanto i media ci mostrano e quindi ci educano a pensare, il sesso è possesso, è sfamare un istinto, è raggiungere il piacere. Sesso è poter fare tutto, è non avere regole, sesso è tante cose. (non stiamo ad elencarle per non stuzzicarci la carne proprio in questo tempo di quaresima). Ora fermiamoci! Fermiamo i cattivi pensieri carnali che la mente ci produce e facciamo pulizia insieme, aprendo la porta del cuore.

Per sesso possiamo intendere gli organi maschili e femminili, oppure il genere sessuale maschile o femminile con cui si presenta una persona, “di che sesso sei?”, oppure il complesso dei caratteri anatomici, morfologici e fisiologi o aggiungiamo anche psicologici che determinano l’essere di una persona. Ma il significato su cui vogliamo far luce, è l’etimologia greca della parola. Sesso, dal greco TEKOS, generato, Tek generare, intessere, creare. A sua volta dal verbo τίκτω (tikto) = generare, procreare, produrre, (da cui deriva anche la parola ostetrica) ancora più in origine dalla radice tak- (con la mutazione della t in s).

Sesso= generare

Quanta bellezza! L’avreste detto? Noi che stavamo a farci nella testa i film porno (=dalla radice di prostituzione) invece dietro una delle parole più nascoste, non pronunciate per pudore, per vergogna, che ne hanno fatto un tabù della società, della vita di coppia, c’è la generatività. Fare sesso, fare l’amore che all’orecchio è sicuramente più consueto e dolce, nasconde la generatività di vita. Sesso che non può essere dunque inteso e vissuto come solo ed esclusivo piacere come lo è il masturbarsi, sennò l’atto sessuale si chiamerebbe masturbazione tra sessi opposti o masturbazione in compagnia. Sesso che dev’essere inteso come il gesto grande con cui si sancisce l’unione tra un uomo e una donna, che è dettata dall’amore che c’è tra i due, che genera vita perché il sesso ci fa stare bene, rilassa, sviluppa gli ormoni del piacere, le endorfine, le ossitocine, che agiscono positivamente su entrambi gli amanti.

Sesso che produce forza, energia attorno a noi e che genera vita, perché sappiamo che in certe condizioni fisiche del corpo maschile e femminile si può generare da quell’unione, da quell’amore, da quell’atto sessuale, la vita trasformandoci in creatori, da amanti innamorati che eravamo. Oggi, come negli ultimi 50 anni, la parola sesso è tra le meno pronunciate nelle nostre case, tabù silenzioso, come se noi non fossimo nati da sesso/da un atto sessuale/da un atto di amore. Tabù silenzioso come se fin dalle prima cotte adolescenziali il corpo umano non è richiamato in maniera naturale ad un contatto che nel suo apice vive l’unione dei corpi, che può essere generativo: il sesso.

Tabù silenzioso perché non ne conosciamo il significato. Se ne può parlare ma fraintendendo la bellezza dell’amore che racchiude. In questo vuoto, in questo silenzio, in questo tabù silenzioso che la società, la famiglia e anche la Chiesa stessa ha creato dietro una parola dal significato così etimologicamente semplice e bello, si è inserita la rivoluzione sessuale che ha fatto suo il termine stravolgendolo. Una luce si è spenta sul significato splendente che ha il termine nel suo senso generativo, per lasciare spazio al buio riconducendo alla parola tutto ciò che è piacere rapido, veloce, peccaminoso, accostandolo più al porno, all’erotismo possessivo invece che all’amore e alla vita.

Cos’è il sesso?

È vivere l’amore. L’amore nell’azione della generatività, l’amore nell’unione dei corpi. L’amore, che non è dunque fatto di possesso, di potere, ma di tenerezza che accoglie la libertà dell’altro. Una coppia di sposi che si ama, vive la tenerezza, vive le carezze, gli abbracci, i baci, vive la cura, vive parole e gesti di tenerezza, di dolcezza. Vive il farsi dono l’uno per l’altro. Vive il sostenersi a vicenda, vive il rendere l’altro migliore. Vive l’amarsi nella gioia e nel dolore, nell’ obbedienza, nella fatica, nella malattia. E molto altro… parlare di amore è cercare di rendere finito l’infinito e non si ha mai fine quindi per descriverlo.

Un ultimo aspetto: vivere l’amore di coppia è vivere il morire per l’altro, non nel senso esclusivo del sacrificio, ma nella gioia stessa che è insita nell’amore e che ci porta a dire all’altro io ti amo, sono disposto a morire per te, a lasciare ciò che è mio per amore tuo. Chi si ama, vive l’amore e quindi può arrivare a vivere anche il sesso per ciò che è veramente. L’unione che dà vita, che genera, sempre e comunque, indipendentemente che sia vita che nasce dal grembo o vita che nasce dai frutti di bene seminati dalla coppia. Unione che genera Vita, che genera Amore. Non si può vivere il sesso senza amore! Quale male sarebbe per il corpo e lo spirito di entrambi!

Ferite grandi si aprono dal dono del corpo dato nel piacere.

Non si può vivere il sesso senza amore e pensare che questo non porti vita. Perché l’unione, lo stesso amarsi genera vita in senso biologico ma anche in senso spirituale per la coppia.

Al prossimo lunedì.

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Amore o non amore!?…Grazie!

Ah l’amore! Domani è San Valentino!

Il giorno degli innamorati, il giorno in cui si celebra l’amore. Il giorno in cui un mazzo di rose o una cena fuori o un cioccolatino lo si riceve o lo si regala. Il giorno in cui un’attenzione in più tra le mura domestiche ti raggiunge, il giorno in cui anche solo con un abbraccio o un bacio provi ad amare e ti lasci amare.

Grazie! Perché anche se è una festa dettata un po’ dal consumismo, san Valentino celebra l’amore!

Grazie perché una volta all’anno sul calendario troviamo segnato un cuore che ci ricorda di amare.

Ora svoltiamo: se lo guardiamo dall’altro lato della medaglia, dal lato, credo, della maggioranza delle persone, san Valentino è una festa tutt’altro che bella. Chi perché l’amore fatica a incontrarlo e si ritrova a vivere il giorno degli innamorati, volendo amare, ma senza avere una persona accanto da amare. Chi con l’amore si è ferito e non ci crede più, e non si mette in gioco più, e non gli apre più la porta del cuore. Chi “con l’amore ha già dato”: con una storia lunga, un matrimonio, una convivenza e ora vive con l’indifferenza all’amore, come se si potesse vivere senza amore.

Eh già! L’amore, è la cosa più bella di tutte, eppure anch’esso ci mette in disaccordo, ci fa schierare fra gli amanti e i non amanti. Fra i pro amore e i non amore.

Eh già! L’amore, il sentimento più forte che fa smuovere le montagne, che ti rialza dalla morte, che ti trasforma e ti rende folle nel periodo dell’innamoramento, che ti chiama a donare tutto di te, che ti chiama a generare vita, è anche quello che se non lo si sa usare ti butta nella fossa.

Quante coppie spaccate, quanti divorzi, quante convivenze che dopo saltano, quanti matrimoni che magari dopo molti anni finiscono. È questo il risultato dell’amore?

No! Come può succedere? Come si può cambiare schieramento? Come si può passare dal vedere il bello del vivere l’amore, al vivere la rassegnazione o l’odio o l’indifferenza?

Tutto quel che si rompe non ha origine nell’amore! Perché l’amore è vita, è dono.

Il problema è che bisogna ogni giorno interrogarsi e cercare la bellezza dell’amore!

Stolto chi pensa di saper amare, di saper cos’è l’amore. Perché l’amore è qualcosa di infinito più grande di noi, pertanto irraggiungibile, ma che dobbiamo provare a vivere con tutte le nostre forze.

Oggi è la vigilia di san Valentino, la vigilia del giorno di chi è innamorato, di chi si ama, eppure non troviamo facilmente chi ci spiega come vivere l’amore! L’amore quello vero, quello per sempre, quello che si fa spreco e dono gratuito. L’amore che si lascia lavare i piedi, servire e che ti cambia il cuore.

Che poi, come diceva un frate amico, l’amore o è vero o non lo si può chiamare amore. Lo chiameremo vogliamoci bene, vogliamoci tanto tantissimo bene, ma non amore.

Oggi vogliamo incoraggiarci tutti a risvegliare l’appetito dell’amore! Tutti! Chi si è da poco innamorato, chi è sposato da cinque, dieci o quarant’anni di matrimonio, chi è stato appena lasciato, chi lo cerca senza trovarlo, chi continua sempre a fallire. Tutti!

Diceva Chiara Corbella: “L’Amore è il centro della nostra vita, perché nasciamo da un atto d’amore, viviamo per amare e per essere amati, e moriamo per conoscere l’amore vero di Dio”.

Quante volte ripetiamo questa frase! Quanto ci piace!

L’amore è il centro della nostra vita! Non possiamo stare senza! Coraggio! Senza amore non si può vivere!

Perché il contrario dell’amore è il possesso, è la morte.

Il significato della parola amore è “senza morte”.

Allora la bellezza della parola amore è andare oltre la morte, è la vita, è dare la vita. Amare è far trionfare sempre per sua natura la vita sulla morte, il bene sul male. Bellissimo!

Certo poi la parola amore racchiude in sé anche le sue forme di Eros, Agape e Philia. Termini che descrivono l’amore secondo caratteristiche che predominano l’una sull’altra come attrazione, bisogno, condivisione, donazione perché L’Amore non è solo quello sponsale o più superficialmente genitale, ma racchiude in sé anche una relazione genitoriale, materna e paterna, filiale, fraterna, amicale, filantropica…

Che cosa grande l’amore!

L’amore è insito in ogni uomo e donna. Fin dalla nascita siamo spinti ad andare l’uno verso l’altro, ad entrare in dialogo, ad interagire.

L’amore è insito in noi dalla creazione nostra e del mondo. C’è qualcuno che con un atto di amore ci ha generato, c’è qualcuno che con un atto di amore ci ha portato in grembo, ci ha voluto, custodito, desiderato, accolto, dato alla luce.

E c’è qualcuno più grande ancora che ci ha chiamato alla vita con il soffio dello Spirito, e ci ha dato le istruzioni per vivere la nostra vita: amarci! (rileggiti Genesi 2)

Va bene, forse la stiamo facendo lunga.. avremmo pagine di appunti e spunti che vorremmo condividere.

Diamo un colpo di forbice e vi diciamo: oggi, domani, sempre, accogliti/accorgiti di quanto sei amato!

Domani dovete amare la vostra vita!

Mettere i piedi giù dal letto e dire: grazie!

Grazie perché mi ami, grazie perché sono in piedi, sveglio, grazie perché magari vado al lavoro, ho una moglie, ho dei figli. Grazie perché ho fatto colazione.

Grazie per il sole e questa Alba splendida, grazie per il freddo e l’alternarsi delle stagioni. Per tutta questa grande ricchezza.

Solo riconoscendosi figli amati dal Padre e da chi abbiamo attorno possiamo amare dello stesso amore che ci è dato.

Cosa aspetti a dire il tuo grazie?

Buona festa di san Valentino, buona festa degli innamorati! Aggiungiamo noi buona festa dell’amore!

Non si esaurisca a domani però la gratitudine di essere figli amati, ma da domani viviamo ogni giorno amando e lasciandoci amare.

Solo nell’amore troviamo la nostra vocazione vitale per affrontare ogni giorno, sia che siamo sposi, single, sacerdoti, religiosi, vedovi o divorziati.

Concludiamo con un breve monito di Papa Benedetto XVI, che in poche righe esprime quanto detto fino a qui, ricordandoci qual è il vero e unico senso della nostra chiamata alla vita:

“Fa sì che l’amore unificante sia la tua misura, l’amore durevole la tua sfida, l’amore che si dona la tua missione”

 (Papa Benedetto XVI)


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45° giornata per la vita! Ama e vivi.

Ieri una domenica bella! Bellissima! Una domenica bella come il Natale, dove non c’era spazio per la tristezza, per il grigiore. Ieri si celebrava la vita!

La giornata per la vita non dev’essere volta solo a celebrare l’aspetto della natalità. Tema importante, centrale, radicale. Ma come il Natale non è solo la nascita di un bambino in una mangiatoia ma molto, molto di più. La giornata per la vita riguarda tutti, perché non solo chi è in gravidanza, chi vive la maternità, chi ha vissuto un dolore neonatale deve sentirsi parte di essa. Anche tu, vivi e hai il dovere di vivere e non vivacchiare! Anche tu puoi donare vita, puoi aiutare la vita, puoi incoraggiare la vita, puoi custodire la vita, puoi accogliere la vita. Pensiamo al ruolo dei nonni quando in casa c’è un bambino piccolo. Pensiamo all’importanza delle coppie di amici affianco nel cammino. Pensiamo ai bambini, come hanno bisogno di giocare tra loro per vivere la vita. Pensiamo ai giovani che cercano la bellezza della vita, che vivono l’amore, che si interrogano sulla loro vocazione, che fanno del bene. Pensiamo ai volontari, agli educatori, …Anche tu hai il dovere di prender parte alla vita!

Ma cos’è la vita? Convenite con noi che è qualcosa di importante, un po’ come il cibo o l’acqua. L’uomo ha bisogno di sfamarsi, ha bisogno di bere, ha bisogno di vita e di vivere. Ma io mangio regolarmente, faccio colazione, pranzo, cena… ma vivo? Genero vita? Se la vita è importante come il cibo, forse di più, cosa faccio per la vita? Cos’è la vita? vediamo etimologicamente cosa vuol dire:

Vita: che è da ricondursi alla radice ariana giv- ed, in particolare, al sanscrito g’ivathas = vita, dove la g’ aspirata è stata sostituita dalla v nel latino arcaico vivita che, a sua volta, si è contratta nel latino vita. Per vita si intende lo “stato di attività della sostanza organizzata”. Si dice che la vita sia l’unica bolla di resistenza contro il caos, l’unico sistema capace di mantenere costante il livello di entropia (caos…) al proprio interno. La vita è ciò che ci permette di essere qui ancora oggi a parlare perché qualcuno l’ha donata a noi, perché noi possiamo donarla ad altri. La vita è ciò che non è morto, finito, esaurito, distrutto; la vita è la speranza di un futuro, è immagine di eternità.

Amore e vita si intrecciano, la vita è incatenata all’amore, è unita ad esso e non ci può essere vita se non c’è amore. Ed è folle l’uomo che pretende di vivere senza amare e di amare senza vivere. Impossibile pensare di non amare, poter dire “io non amo”, io non so cosa sia l’amore. Una persona che vive senza amare non riesce a vivere. Una persona che ama senza vivere è fuori natura perché la natura dell’amore è la vita. Cos’è allora la vita se non Amare! La spiegazione di ciò che è vita è racchiusa nell’amore.

Vivi tu? Ami tu? Chi vive ama! E chi ama vive! E crea vita! Proviamo a dircelo in un altro modo:

Vita, parola che illumina, come se fosse lo spazio bianco attorno a tutte queste lettere nere di inchiostro, messo a dura prova nel mondo attuale dalle variabili di un mondo che ci sta togliendo la bellezza dell’amore e del sesso, sue parti vitali. Dove sta la bellezza dell’amare se ho paura di far nascere nuova vita? Come un contadino che ara e lavora la terra ma non vuol vedere nascere il frutto del suo lavoro.

Amore vuol dire etimologicamente SENZA MORTE e quindi VITA. Amore è Vita. La vita è amare e riconoscerci amati, sentirsi amati, e comprendere che la vocazione inscritta nel cuore di ognuno di noi è l’amore, siamo fatti per amare. “L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non l’esperimenta e lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente” (Giovanni Paolo II Redemptor hominis n. 10.)

È meraviglioso amare ed essere amati, ma tale fascino non cresce spontaneamente, richiede un impegno di tutte le energie. Bisogna imparare ad amare con il cuore e con il corpo. Non ami se sei posseduto dal sesso, che brucia in te la vera capacità di amare. Il corpo è mezzo espressivo dell’amore. Non hai amore se sei abbandonato e guidato dai tuoi istinti, intrisi d’egoismo. Non sei libero nel vortice dei sensi, ma posseduto. Solo nella libertà si ama veramente. Dominare l’egoismo e le passioni ad esso legate dovrebbe essere la tua gioia, per far emergere l’autenticità della tua umanità, che è fatta per l’amore.

Solo impegnandoci a comprendere cos’è l’amore diventiamo gaudi, felici, vivi perché l’amore è vita e solo l’amore rende attraente la vita. Possa la giornata di ieri farci riconoscere che è importante celebrare la vita. Possa incoraggiarci ad amare per far crescere la vita intorno a noi. Possa risvegliarci dal nostro sonno in cui viviamo anestetizzati in una vita che non vive. In una vita che vivacchia. In una vita dove i piedi sono in due scarpe. Dove camminiamo ma in una rotatoria dove il bello e il brutto si ripetono ma non si prende mai una direzione. Vivi! Possa risvegliarci dal vivere appoggiati come parassiti ad un altro, o ad un idolo che non ci fa vivere ma ci toglie vita. Vivi! Un santo Papa disse una frase semplice un giorno, ma che forse tutti ricordiamo: Prendete in mano la vostra vita e fatene un capolavoro!! Abbiamo solo questa vita per vivere! Fanne un capolavoro. Non vivendo esperienze estreme, egoistiche, che nascono dal tuo io. Ma vivendo l’amore!! Abbiamo solo una vita per amare! Il capolavoro lo dipingi se pitturi un quadro -per gli altri!

Ci hai già provato? E sei caduto? Hai fallito? Rialzati subito! Non hai un’altra occasione. Riparti!! Non ti abbiamo detto che era facile fare un capolavoro. Anzi te lo diciamo: è faticoso! Ma per questo sarà stupendo…Concludiamo citando un altro gigante bianco: Fa sì che l’amore unificante sia la tua misura, l’amore durevole la tua sfida, l’amore che si dona la tua missione (Papa Benedetto XVI). Alla prossima: restare vivi!!

Anna e Ste – @Cercatori di bellezza

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E se l’attesa del piacere fosse essa stessa (parte del piacere)?

E se l’attesa del piacere fosse essa stessa (parte del piacere)?

L’estate andiamo sempre al mare. Due settimane, quando va proprio bene tre. Aspetto quel momento tutto l’anno. Riuscite a immaginarlo? Cinquanta settimane ad aspettare quei quindici giorni di mare. E Natale? Vogliamo parlare di Natale? Adoro Natale. Lo aspetto tutto l’anno. Trecentosessanta quattro giorni di attesa. Trecentosessanta cinque, negli anni bisestili. Eppure, è un’attesa ampiamente ricompensata. E del matrimonio non ne parliamo? Il giorno tanto sognato, magari dopo anni di fidanzamento. E finalmente arriva. Il giorno del coronamento. Quello in cui ci giuriamo amore eterno.

E il sesso? No, col sesso no. Per quello non si può attendere, dice il mondo. Quello va consumato il più presto possibile. Magari già al primo appuntamento. Comunque, entro il terzo. Così recitano le regole non scritte del galateo amoroso, nel mondo moderno. Anche se questo tizio qua tu lo conosci appena. Non hai idea se ci sarà un altro appuntamento. Se avrai voglia di vederlo di nuovo. Perché mica hai ancora deciso se ti piace o no. Ma intanto, già che ci sei, potresti andarci a letto. Che male c’è? E poi, lui un po’ se lo aspetta. Così fan tutte, direbbe Mozart. E tu? Perché vuoi fare quella stramba? Non sarai mica vergine? Cioè, non di segno zodiacale. Proprio vergine-vergine. Vergine che non ha mai… Vergine che non ha ancora… no dai, non è possibile. E invece.

Diciamo subito una cosa: una volta era più semplice. Esisteva un confine netto, quasi invalicabile, fra castità e sessualità. Il confine, il fotofinish della verginità, era il matrimonio. Tagliato quel traguardo, si cominciava a esplorare anche l’intimità fisica. D’altro canto, a quel punto era anche la cosa più naturale del mondo: si era una carne sola. Poi è arrivata la modernità. Sinonimo di rivoluzione sessuale. Sinonimo di proposte indecenti a cui non puoi dire di no. Perché sennò sei bigotta. Sei frigida. Sei un po’ bacata. Aggiungete pure aggettivi spregevoli a piacere.

Credetemi, le donne sessualmente più libere sono le cattoliche. Non è una provocazione. Se la libertà vuol dire poter scegliere, le uniche rimaste a scegliere sono loro. Quelle che non hanno paura di dire di no. La castità è una cosa incomprensibile per i più. E molto fraintesa. Viene dipinta come una innaturale e crudele rinuncia. Una sofferenza inutile. Perché l’istinto è buono per definizione. E va sempre soddisfatto. La nostra è una cultura bulimica, che fa scorpacciate di tutto. Di cibo, di droga, di oggetti. E, naturalmente, di sesso. La gente ne consuma così tanto, così spesso, che ogni tanto ne fa indigestione. Lo chiamano “calo del desiderio”. Metà degli psicologi che conosco ci si paga il mutuo, col calo del desiderio dei suoi pazienti. Non c’è niente di male nel sesso. Questa idea che ai cattolici il sesso non interessi, che addirittura ci faccia un po’ schifo, è una bugia. Una delle tante, inventate dalla propaganda del nemico (l’altra è che siamo gente noiosa, invece ho amici credenti, con cui mi faccio un mare di risate).

I cattolici non condannano il sesso, non ne hanno paura. Sanno, come diceva Fulton Sheen, che il corpo non può donarsi, se l’anima non si dona. Che il sesso, fuori da una relazione di vero e profondo amore, è solo ginnastica. (del suo bellissimo libro sul matrimonio, ho parlato qui: https://annaporchetti.it/2022/11/10/lamore-cose/) La castità non è privazione ma attesa. Come col Natale. E’ consapevolezza che non ogni momento è quello giusto. Che arriva il tempo per ogni cosa. La verità è che, oggi, non vogliamo più attendere. Lo facciamo mal volentieri, vorremmo tutto e subito. Desideriamo soddisfare i nostri desideri, appena si presentano. Ogni lasciata è persa. E se invece l’attesa del piacere, fosse essa stessa (una parte) del piacere? Basterebbe capire che, in fondo, l’attesa delle cose belle non ci ammazza.

Attendiamo con trepidazione il nostro compleanno per essere festeggiati, la finale di Champions per vedere la nostra squadra vincere o il concerto del gruppo preferito, che non abbiamo mai ascoltato dal vero. Tutta la vita è fatta di traguardi, intervallati da lunghe, talvolta lunghissime attese. La castità è l’attesa che precede il piacere, acuisce il desiderio. Lo rende più puro, più consapevole. L’amore frutto di attesa non è solo un istinto da soddisfare, è una scelta, una decisione, un gesto che mette insieme la parte razionale e quella emotiva, il cuore e la testa, l’anima e il corpo. Richiede disciplina ed è per questo che forma la volontà. La castità ci protegge da noi stessi, dall’istinto animale ed egoistico che ci porterebbe a usare l’altro come mezzo per soddisfare i nostri desideri e non come fine per crescere umanamente e spiritualmente. Il sesso coniugale è un frutto dell’amore. Quello vero. Come ogni frutto, va colto al momento opportuno, quando è maturo. Un frutto acerbo ci lascerebbe un sapore aspro. Per questo l’attesa è essenziale, è preparazione a cogliere il meglio. Gabriel Garcia Marquez, premio Nobel per la letteratura (mica una mezza calza con all’attivo un manualetto e un blog, come me), racconta che Florentino Ariza attese Fermina, la donna che amava, per cinquantun anni, nove mesi e quattro giorni. Per questo il suo romanzo: “l’amore ai tempi del colera” è una grande storia d’amore e non una lettera strappalacrime a una qualunque posta del cuore, scritta da una donna sedotta e abbandonata.

Chi ama davvero, non teme l’attesa del piacere… sa che essa stessa ne è parte!

Il bellissimo romanzo di Gabriel Garcia Marquez, Nobel per la letteratura, si trova qui: https://amzn.to/3gysHWd

Il mio articolo si trova qui: https://annaporchetti.it/2022/11/25/attesa-piacere/

seguimi sul blog: www.AnnaPorchetti.it. il mio libro si trova qui: https://amzn.to/3VqM5nu

Invito, relazioni e accoglienza per una Chiesa missionaria! 

Qualche settimana fa, un sabato pomeriggio, abbiamo partecipato ad un momento semplice di preghiera, di affidamento e benedizione dei bambini alla Madonna. Appuntamento ricorrente, organizzato dalla nostra parrocchia in occasione della festa della Madonna di ottobre. È stato bellissimo veder la chiesa quasi piena. Quel pomeriggio era gremita di famiglie, di genitori e figli come quasi mai succede durante l’anno. Sembrava che una BENEDIZIONE avesse attirato tutti quei bambini! Che bellezza! A far riempire la Chiesa non è stata solo una “voglia” di benedizione, ma a contribuire è stato anche un INVITO fatto dalle scuole materne del comune ai bambini. 

Prima parola: INVITO. Se basta un invito della maestra dell’asilo per portare tutti quei bambini in chiesa, tutte quelle famiglie, dovremmo chiedere alle maestre di invitare tutte le domeniche i bambini a messa. Non è nel compito e vocazione di una maestra invitare alla liturgia, ma allora a chi spetta questo compito? Chi dovrebbe invitare a messa? Ma davvero, se ci fosse un invito le nostre chiese sarebbero più piene? Noi invitiamo qualcuno a messa? noi invitiamo qualcuno alla preghiera?

Riflettiamo su questo aspetto dell’INVITO. In genere non si va da soli al bar, non si va da soli al cinema, non si va da soli allo stadio o in tanti altri luoghi ma si invita qualcuno. E chi inviti? Qualcuno che abbia più o meno la stessa passione, che vuole vedere lo stesso film, che tifa la tua stessa squadra, qualcuno con cui si ha voglia di passare del tempo nutriente, del tempo assieme, facendo qualcosa che ci piace. In chiesa la domenica tu chi inviti? La messa domenicale può essere il tempo dell’incontro (post celebrazione) sul sagrato, il tempo per un caffè o un aperitivo insieme, un saluto. 

Riflettiamo ancora insieme. Certe cose come: andare al bar, a teatro, al cinema, allo stadio, o dove vi piace a voi andare, le si fanno per passione, o in alcuni casi per tradizione, perché ho sempre fatto così. Facciamo due esempi: il pane l’ho sempre comprato lì, la carne per la grigliata mia mamma la prendeva sempre da quel macellaio, oppure: vado allo stadio per passione per una squadra, sono appassionato di cinema, etc. E in chiesa perché si va? Perché si ha voglia? Per voglia, Si finirebbe subito. 

Tu perché vai in Chiesa? Forse per tradizione? Sì, forse molti ancora vanno per quello, ma come vedete passano gli anni e le tradizioni iniziano a perdersi. Allora forse dovremmo andare per passione, passione di Cristo, del Vangelo, della celebrazione, dell’Eucarestia, della preghiera. Ma si sa forse si fatica a restare appassionati di Gesù.

Perché vai in Chiesa? Il cinema o le squadre di calcio attirano le persone con dei grandi eventi. La Chiesa in che modo lo fa? Con nuovi Santi? Con un miracolo? .. non è la strada di Gesù. Ognuno risponda per se alla domanda. Forse per ascoltare la Parola di Dio, per nutrirsi, per fede, perché crede e quindi è appassionato di Gesù. Forse se ci andassimo perché ci giunge anche un invito, perché sappiamo di trovare una relazione, ci andremmo molto più volentieri. È la RELAZIONE quella che sta venendo a mancare nelle nostre comunità parrocchiali, tra noi e Lui e ancora più tra di noi.

Sicuramente abbiamo visto in questi anni di lockdown quanto siano importanti le relazioni. Forse siamo un po’ matti, anzi lo siamo di certo, ma crediamo che un primo passo verso una riscoperta della messa domenicale lo si ha restaurando RELAZIONI, invitando i propri amici e imparando ad accoglierci. Invitare l’altro non è altro che essere missionari, il missionario esce di casa e ti porta un annuncio di bene, di amore, ti invita a seguirlo. Oggi abbiamo bisogno che le famiglie diventino vere missionarie! 

Non il prete che da solo deve gestire parrocchie e impegni come manager di multinazionali. Lui è uno solo in un comune di mila e mila abitanti, noi siamo già più di uno tra i mila abitanti dello stesso comune. Tu che aiuto dai alla tua Chiesa? Ricordo quando in fondo alle panche si vedevano sempre quel gruppo di vecchietti che per amicizia si trovavano tutto insieme alla stessa messa, occasione poi per far due chiacchere, per stare insieme, per salutarsi. Ricordo quando facevo il chierichetto con i miei amici e l’andare alle funzioni era anche occasione per vederci. Ricordo quando mia nonna andando a messa la domenica, trovava tutte le sue amiche fuori di chiesa e tra un saluto e una chiacchierata tornava a casa alle 12.00, ma la messa era finita alle 10.

Oggi chi fa così? Forse non abbiamo il tempo per due ore di saluti e chiacchere la domenica mattina? Forse non ci piace più stare in compagnia? Cosa è cambiato? Son cambiate le relazioni? Ci viene da pensare che mia nonna aveva e ha delle relazioni più salde delle tue e delle mie nonostante non conosca né i social né i telefonini. Riflettiamoci! Che bellezza poter vivere non solo la celebrazione liturgica come un tempo che ci arricchisce ma anche il fuori chiesa, il post messa, come un tempo nutriente che ci rende comunità. Cristiani felici insieme! Siamo battezzati e camminiamo nella e con la comunità cristiana, coltiviamo allora le relazioni perché non vengano mai a mancare, sono il bisogno primario del cristiano di oggi! Coltiviamo unitamente la relazione con Dio! Oggi vi lasciamo qua. Andremo avanti domani con uno spunto ancora più bello! .. buona giornata e stay Tuned!

Anna Lisa e Stefano – @cercatori di bellezza

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Va e ripara la mia casa

San Francesco!

Oggi vogliamo fermarci a contemplare ancora una volta la bellezza del poverello di Assisi! Santo a noi molto caro, patrono della nostra Italia, piccolo giovane proveniente da una città per noi seconda casa.

C’è quell’aggettivo che abbiamo usato prima per descriverlo che però dovrebbe stonare con la bellezza: poverello.

Un povero ma bel giovane!

Francesco ha scelto davvero una vita povera, Francesco ha lasciato una famiglia ricca per farsi vicino al povero, per vivere secondo il Vangelo! Un gesto estremo per i nostri giorni, ma anche per 800 anni fa!

Trovare il coraggio di lasciare tutto per vivere nella verità del cuore, per vivere per l’Amore. Trovare il coraggio anzitutto di cercare il significato di quelle parole che risuonavano nella sua mente. È da un ascolto profondo, da una ricerca di verità, di bellezza che lui è partito e ancora oggi si mostra a noi.

Fra le tante parole che Francesco ha ascoltato ce n’è una che gli è arrivata dal crocefisso di San Damiano: VA E RIPARA LA MIA CASA.

Una frase semplice, breve, da far risuonare nel cuore.

Va: mettiti in cammino, alzati, parti, non star fermo. L’amore è un verbo di movimento non statico. L’amore ha fretta di amare, domani sarà tardi. Va allora! Cosa aspetti? Non lasciare che le cose le faccia qualcun altro.

Ripara: aggiusta, sistema, non scartare, non buttare, non dividere, non vedere la fine come se non ci fosse più speranza. Va e aggiusta, abbi fede! C’è speranza! Ripara! Fidati!

Che bello! Il Signore ci rilancia (va..), ci spinge a partire ma non per nuove costruzioni ma per riparare, verso quel che c’è già! Bellissimo!

Il nostro non è un Dio dello spreco, non è il general manager di una compagnia usa e getta, acquista – monta e quando ti stanchi o si rompe: cambia! No, ripara!

Nel libro dell’apocalisse al capitolo 21 sta scritto “ecco io faccio nuove tutte le cose”, il Signore non fa nuove cosa ma fa nuove tutte le cose! Bellissimo!

Il Signore Gesù: artigiano d’amore!

La mia casa: cos’è questa casa? La Chiesa in senso di struttura fisica? La Chiesa in quanto istituzione? Cos’è “la mia casa”? Come posso fare a risanare la mia casa, la chiesa?

È qua che ci siamo soffermati, è qua che nasce il dubbio, l’incomprensione, il vuoto, forse ci sentiamo spaesati, sembrava una frase semplice che avevamo compreso ora sorge una domanda “dov’è la tua casa Signore? Cosa vuoi che ripari? Dove mi mandi? “

Per noi, questa casa è il tuo cuore!

Per noi, questa casa è la tua vocazione!

Per noi questa casa, è il tuo vivere quotidiano! Quanto calcestruzzo serve per curare la vita di ognuno di noi, ognuno con i propri limiti, i propri peccati, le proprie cadute più o meno grandi, le abitudini sbagliate etc

Quanti cuori feriti, infranti, traditi, freddi, insensibili.

VA E RIPARA il tuo cuore, LA MIA CASA!

Quante vocazioni non curate, non scelte, non allenate con il passare degli anni che si smarriscono, rallentano, si inaridiscono. Quanta difficoltà a dire sì, quanta fatica oggi a scegliere di mettersi in ascolto della Parola che dona vita, invece di continuare ad inseguire come Francesco i propri sterili sogni di gloria, il sogno di diventare cavaliere. Lui ha avuto la (s)fortuna di cadere da cavallo. Te che aspetti a dire sì all’amore?

VA E RIPARA la tua vocazione, LA MIA CASA.

Ed il significato più bello, il più nostro, per questo blog. Va e ripara la mia casa; per noi, questa casa è la famiglia! La tua famiglia!

La tua relazione sponsale. Da qui si può aiutare e riparare la Sua casa, la Chiesa: che altro non è che famiglia di famiglie.

Come riparare la chiesa se litigo con mia moglie? se non so essere volto di amore per i miei figli? se non coltivo la mia relazione? se non dialogo con lei/lui? Se non ho tempo per lei/lui? Se non vivo la nuzialità, l’unione, quell’eros e agape che rende saldo il nostro essere marito e moglie?

Quante crepe, quanti litigi, quante fatiche anche nelle nostre famiglie! Cosa aspetti, la festa del Poverello di Assisi arriva anche quest’anno e ci riporta quelle parole “VA E RIPARA la tua famiglia, LA MIA CASA”.

Sposi sì ma testimoni di amore! Famiglia sì ma che viva con ambizione di santità, in casa, con i figli, ma anche in ogni ambito in cui papà, mamma e figli vivono!

Da come ci amiamo dovranno capire che il Signore è risorto!

“Va e ripara la mia casa”

Forse anche noi oggi possiamo fermarci a contemplare san Francesco chiedendogli di aiutare a vivere in risposta a questa richiesta vivendo l’amore che oggi son chiamato a dare, per me, per il mio prossimo, per il mio collega, per mia moglie, per mio marito, per i miei figli.

Mettendoci in ascolto, facendo spazio a Lui, alla sua parola.

Questo è il il lavoro più bello che possiamo fare per riparare la SUA CASA.

La sua casa sei te! È la tua vocazione! È la tua famiglia! È il tuo cuore!

Anna Lisa e Stefano – @cercatori di bellezza

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