Fino alla fine. Un libro fuori dal coro

Qualche giorno fa è uscito il libro di un mio caro amico, nonché teologo, Marcelo Fiães che, presso il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II (Roma), ha ottenuto la Licenza in Sacra Teologia (Summa cum Laude, e premio seconda migliore tesi di licenza dell’Istituto per l’anno 2021), con la tesi intitolata “Il significato della separazione fedele”. Da questo lavoro è nato questo libro, Ti amerò fino alla fine (Il significato della separazione fedele nel matrimonio cristiano), nella collana “Saggi” di Mistero Grande, con la prefazione di Don Renzo Bonetti e questa è la sua presentazione:

Il matrimonio è da anni una realtà in crisi, con metà delle coppie che divorzia e intreccia nuove relazioni. I cattolici non fanno eccezione a questo trend e anche fra molti battezzati è diventato usuale “rifarsi una vita” dopo una separazione matrimoniale. Non tutti i credenti, però, ritengono questa una scelta obbligata. Alcuni, nonostante siano stati traditi o abbandonati dal coniuge, decidono di rimanere fedeli al Sacramento delle nozze e non cercano nuovi legami. Perché lo fanno? Qual è il significato di una scelta giudicata come insensata e fondamentalista agli occhi dei più? Cosa spinge i separati fedeli a continuare ad amare chi – per vari motivi – ha voltato loro le spalle? L’autore, a partire da una solida base teologica e dalla viva testimonianza di separati fedeli, propone alcune piste di riflessione per approfondire un tema poco conosciuto e raramente affrontato, anche in ambito ecclesiale. Un libro “fuori dal coro” che ha lo scopo di ricordare come il matrimonio cristiano, anche quando il legame fallisce, non perde il suo valore sacramentale e profetico, poiché conserva l’immagine delle nozze definitive dell’umanità con Cristo.

È un libro che ritengo molto importante, non solo perché ha basi teologiche solide e riporta testimonianze di separati fedeli, ma perché sottolinea il fatto che il Sacramento del matrimonio è efficace e generatore di frutti anche se il coniuge non è più fisicamente accanto. Non è una cosa facilmente comprensibile, perché nella stragrande maggioranza dei casi, i separati fedeli vengono visti come persone menomate che, poverini, sopravvivono in qualche modo, come fossero uccelli ai quali vengano legate le ali.

Questa è una visione errata, perché la capacità di amare e lo svolgimento della missione non sono legati alla presenza del coniuge: quest’ultimo è certamente un aiuto importantissimo nel crescere nell’amore gratuito, nell’unità, nel perdono, nella pazienza, nella tenerezza, nella reciprocità e complementarità, ma nel Sacramento del matrimonio viene benedetta la relazione e, poiché Gesù non divorzia mai da nessuno, qualsiasi cosa succeda, rimane ugualmente in piedi.

Paradossalmente il coniuge a volte può essere non un aiuto, ma un peso nello svolgimento della missione, se si limita tutto solo alla coppia e alla propria famiglia, senza guardare fuori, ritenendo che gli sposi “bastino a sé stessi”: è un atteggiamento che può portare alla fine di una relazione.

I separati fedeli sono chiamati non tanto a svolgere servizi vari in parrocchia o aiuto ai parroci, ma a rendere fruttuoso il loro Sacramento, a essere protagonisti nella Chiesa e per la Chiesa, non per i propri meriti, ma per la Grazia che deriva proprio dal Sacramento: ovviamente mostrano un volto particolare di Gesù, quello ferito, ma che lo Spirito Santo rende efficace, perché continua ad amare nonostante tutto.

Anche Papa Francesco ha voluto sottolineare l’importanza di questa scelta: Per evitare qualsiasi interpretazione deviata, ricordo che in nessun modo la Chiesa deve rinunciare a proporre l’ideale pieno del matrimonio, il progetto di Dio in tutta la sua grandezza…..Comprendere le situazioni eccezionali non implica mai nascondere la luce dell’ideale più pieno né proporre meno di quanto Gesù offre all’essere umano (Amoris Laetitia, 30).

Se qualcuno pensa che questa strada sia percorribile realmente solo da alcune persone, quelle magari particolarmente convinte o con le dovute qualità, sta di fatto mettendo un freno, un limite alla potenza di Dio e allo Spirito Santo: ho visto persone semplici, che non hanno studiato, rimanere fedeli attraverso una fede sincera e un totale affidamento a Gesù, seguendo il desiderio del proprio cuore.

Anche io m’inserisco fra le persone che, senza studi teologici, senza particolari doti e senza la presunzione di capire tutto, si sono messe in cammino giorno per giorno, confidando nella Provvidenza e ottenendo frutti inaspettati, gioie, consolazioni e tanti amici. Grazie Marcelo per questo tuo libro che sarà utile a tanti sposi!

Ettore Leandri (Presidente Fraternità Sposi per Sempre)

Non si annulla un matrimonio, semmai si dichiara nullo

Questo articolo nasce da due precedenti pubblicati qui sul blog. Nel primo articolo Ettore Leandri – presidente della Fraternità Sposi per Sempre – testimoniava quanto fosse stata feconda per lui la rinuncia a una nuova relazione dopo la separazione dalla moglie sposata sacramentalmente. Nel secondo Giorgio e Valentina, presentando l’esegesi del testo di Pinocchio e citandone il testo originale, scrivevano: “Allora il burattino, perdutosi d’animo, fu proprio sul punto di gettarsi in terra ed i darsi per vinto, quando nel girare gli occhi all’intorno vide fra mezzo al verde cupo degli alberi biancheggiare una casina candida come la neve.

Amici separati e divorziati, soli o in nuova unione, la Chiesa ha sempre ascoltato la vostra sofferenza, diventando quella casina, mettendo a disposizione uno strumento importante come la causa di nullità matrimoniale, strumento da secoli previsto dalla Chiesa, a cui negli ultimi anni hanno fatto più volte riferimento discorsi e documenti sia di Papa Francesco (Esortazione apostolica Amoris Laetitia, Motu Proprio Mitis Iudex Dominus Iesus) sia di Papa Benedetto (Sacramentum caritatis), nei quali la verifica della nullità del matrimonio è indicata come sostegno e conforto nell’accompagnamento delle persone ferite da separazione e divorzio.

Si tratta di causa di nullità e non di annullamento: la differenza è sostanziale. La sentenza conclusiva del procedimento di nullità si limita a dichiarare la non sussistenza del matrimonio: il consenso espresso dagli sposi davanti al sacerdote non ha generato nessun matrimonio. Non si annulla, perché annullare significa cancellare un’unione sponsale che esiste – e nessuno può farlo – ci si limita a rilevare, constatare, dichiarare che quel matrimonio è nullo, non è mai venuto a esistenza.

Che cosa indaga il processo? L’indagine è sul consenso degli sposi, perché è dal loro consenso che il matrimonio nasce.  La Chiesa presume validi tutti i matrimoni celebrati con la forma canonica, con la manifestazione del consenso degli sposi secondo la formula indicata dalla Chiesa. Nella causa di dichiarazione di nullità si va a verificare se al momento dello scambio del consenso (non dopo), entrambi gli sposi, o anche uno solo di essi, avevano l’intenzione di fare quello che la Chiesa intende per matrimonio.

Gli sposi escludevano uno degli elementi essenziali? Gli sposi (o uno di essi) volevano davvero il matrimonio sacramento, volevano tutti i suoi elementi essenziali, indissolubilità, fedeltà, bene dei coniugi, apertura alla procreazione? Se uno di questi elementi è escluso, quella volontà si indirizza a qualcosa che assomiglia al matrimonio ma non è il matrimonio. Quindi il matrimonio non nasce e la causa per verificarne la nullità potrà essere intrapresa anche dopo decenni.

Accogliendo gli sposi, il sacerdote li interroga sulla loro libertà e consapevolezza. Gli sposi avevano la libertà e la consapevolezza necessarie? Avevano la sufficiente consapevolezza di cosa significa che il matrimonio è un’alleanza tra due persone che si donano reciprocamente e per tutta la vita? Avevano la necessaria conoscenza reciproca per avere tale consapevolezza? Quando la Chiesa va a verificare la validità cerca di capire se gli sposi possedevano tale capacità di valutazione critica o se tale capacità era gravemente compromessa, se i soggetti (o uno di essi) mancassero della capacità di valutare praticamente e concretamente la scelta del matrimonio, gli effetti del matrimonio che stanno per celebrare con quel partner; se avessero la libertà interiore di autodeterminarsi rispetto alla scelta dei diritti e doveri coniugali.

Gli sposi erano capaci di quel dono di se stessi, che è l’oggetto del patto matrimoniale e che si concretizza nel farsi carico dei diritti e doveri coniugali,  in vista della costituzione del matrimonio? Il matrimonio è un impegno concreto rispetto ai suoi obblighi essenziali, è un prendersi cura l’uno dell’altro, della famiglia. Le difficoltà e le crisi non sono escluse ma ciò che la Chiesa analizza nel processo di dichiarazione di nullità non si ferma alle difficoltà insorte nel matrimonio; va a cercare di capire se entrambi o uno dei due avesse problematiche di ordine psichico che lo rendono incapace di quegli obblighi che dal matrimonio scaturiscono, come si riscontra ad esempio in presenza di disturbi di personalità che impediscono la reciprocità.

Sono quindi molteplici le cause per cui può esser dichiarata la nullità di un matrimonio. Come negli ultimi giorni ha rilevato il Cardinale Matteo Zuppi, Presidente della CEI e Arcivescovo di Bologna, proprio “la fragilità psichica” è il motivo che determina la maggioranza delle dichiarazioni di nullità matrimoniale. Il Cardinale ha anche auspicato un incremento delle procedure di nullità,  come strumenti “per guarire da una sofferenza che la separazione porta con sé”. “Non è il divorzio cattolico-ha aggiunto mons. Zuppi- ma un discernimento attento, profondo” per ricercare la verità, da cui può conseguire conforto, pace, serenità e nuove prospettive di vita per fratelli e sorelle sofferenti.

Avvocato nei Tribunali Ecclesiastici Paola Brotini

Solo una rinuncia o una vera scelta di vita?

Recentemente una donna mi ha posto questa domanda: Mi sono separata e successivamente ho conosciuto un uomo bravo, che mi riempie di attenzioni, che sa stare con i figli e che non lascerei per niente al mondo. Se fosse capitato a te, avresti rinunciato a tutto questo?”.

È una domanda simile a tante altre e che si può riassumere così: “Per quale motivo dovrei rinunciare a un qualcosa che io reputo bello, buono e che mi fa stare bene?”. Sinceramente è una domanda che mi sono fatto anch’io diverse volte, durante i vari anni e che deve trovare una risposta non banale, non superficiale o dettata da un sentimento momentaneo.

Innanzitutto, la parola rinunciare la percepisco come una nota stonata su una scelta di tutta una vita, perché mi richiama alla mente un qualcosa di negativo: è vero, ora siamo in Quaresima e siamo chiamati a fare qualche rinuncia, un fioretto, qualcosa che ci richiede un piccolo sacrificio; c’è chi rinuncia ai dolci, chi a Instagram o a qualche vizio, per togliere tutto quello che ci appesantisce nel cammino e che ci porta lontano da Quello che realmente conta.

Tuttavia si tratta di un periodo ben preciso e limitato, quaranta giorni, appunto, non mesi, anni o tutta la vita. Ritengo infatti che fare una scelta di vita e percepirla come una rinuncia, non può essere sostenibile o comunque mette già in conto numerose cadute o momenti in cui, per vari motivi (come stanchezza, stress, problemi vari), il vaso sarà talmente colmo da farci perdere il controllo.

Inoltre, non tutto quello che noi percepiamo come bene e bello, è effettivamente così, basti banalmente pensare ad esempio a chi fuma o a chi esagera nel bere: c’è qualcosa di piacevole che ci attira, ma alla fine il ritorno non è positivo per il nostro corpo; per questo motivo esistono il Vangelo e i comandamenti, per farci capire cosa è giusto e buono.

Specialmente all’inizio, quando mi sono separato a 37 anni, non avrei avuto difficoltà a trovare una ragazza, perché, anche se non ero interessato a frequentare altre persone, ho ricevuto delle proposte esplicite e mi sarei potuto “divertire”, secondo come la pensa il mondo.

Sarei un ipocrita se negassi di aver fantasticato a volte su quella che potrebbe essere stata la mia vita “se avessi accettato”, “se fossi uscito”, magari a quest’ora mi sarei trovato anche con altri figli; tuttavia, puntualmente, arrivo alla conclusione che non ho rinunciato a niente, ho solo scelto una strada, quella che reputo migliore, perché, anche dopo notti di passione, mi sarei comunque ritrovato solo con me stesso a domandarmi: “sto facendo una cosa giusta, cos’è davvero l’Amore, perché viviamo, perché accadono le cose, qual è lo scopo della vita e davvero con la morte finisce tutto?” (tralasciando poi il fatto che il mio benessere/egoismo sarebbe stato in contrasto con il bene delle figlie che hanno bisogno solo di un papà e di una mamma).

Aggiungo poi che, frequentando persone divorziate riaccompagnate o risposate, non è tutto oro quello che luccica: ci sono sempre difficoltà da superare, litigi e situazioni davvero complesse da gestire quando convivono figli delle precedenti relazioni e a volte anche quelli della nuova unione. San Francesco all’inizio amava i vestiti belli, trascorreva le giornate con gli amici, tra feste e divertimenti, desiderava diventare cavaliere, ma ad un certo punto “ha rinunciato” a tutto questo, o meglio, ha capito che non era la strada migliore da percorrere in questa vita per arrivare alla Vera pace, la perfetta letizia.

Se non si fosse spogliato dei suoi abiti, avremmo avuto un mercante in più e invece, grazie a lui, abbiamo avuto un benefattore dell’umanità che ha stravolto la chiesa di allora, con frutti numerosissimi ancora oggi, tanto da farlo diventare Patrono d’Italia, altro che mercante!

Scoprire che posso amare tante donne come sorelle senza andare oltre un abbraccio e che posso considerare i bambini che incontro come figli miei, anche se non li ho generati fisicamente, ha fatto si che la mia vita abbia preso una svolta inaspettata anche per me, dove anche la castità non è una rinuncia, ma un amare diversamente, a 360 gradi, senza barriere e confini di nessun tipo.

La croce, infatti, non è una scelta masochistica o da pazzi come molti credono, ma un abbassarsi per dare la vita, per servire e per amare ancora più intensamente: mi rendo conto che non è facile capirlo, ma se nostro Signore, Creatore di tutto, è venuto sulla Terra, non per essere servito e riverito, ma per morire per noi, allora significa che quella è la strada giusta. Credo non solo alla promessa che ho fatto a mia moglie, ma soprattutto a quella che ho fatto a Dio, cioè quella di esserGli fedele per tutta la mia vita, indipendentemente da quello che accade.

Dentro di me sento che sto facendo del bene a me stesso e alle persone che mi stanno intorno, a cominciare dalle figlie (e lo vedo dai numerosi frutti in questi dieci anni); infine credo sia evidente a tutti quanto i tradimenti, le separazioni e i divorzi influiscano sulla società in cui viviamo, dove alla base della violenza, spesso ci sono comportamenti che vanno contro la famiglia, cellula della comunità, formata da uomo/donna che rappresentano insieme il volto con cui Dio ha scelto di mostrarsi fin dall’inizio.

Ettore Leandri (Presidente Fraternità Sposi per Sempre)

Separazione e divorzio: differenza solo civile non cristiana.

Mi trovo ogni tanto a intervenire su discussioni inerenti alla differenza tra separazione e divorzio (ad esempio su domande del tipo: “È vero che un separato può fare la comunione, mentre un divorziato no?”) e vorrei chiarire un po’ come stanno le cose, per noi cristiani e non da un punto di vista legale, poiché non ho competenze in merito.

La separazione è una situazione permessa anche dalla Chiesa per situazioni gravi, in cui ad esempio è a rischio la vita e dovrebbe essere limitata al tempo necessario per risolvere i problemi (magari con l’aiuto di esperti) e tornare così a vivere insieme.

È in pratica un matrimonio che viene messo in pausa per un certo periodo, nel quale i coniugi sono chiamati a vivere in castità. Quando si decide, oltre alla separazione, di proseguire con il divorzio, le motivazioni sono essenzialmente due: contrarre un nuovo matrimonio civile o far cessare gli effetti ereditari. Infatti con il divorzio vengono sciolti gli effetti civili del matrimonio concordatario (nel diritto civile italiano, il matrimonio concordatario è un matrimonio che si celebra innanzi a un sacerdote, al quale lo Stato riconosce, a certe condizioni, effetti civili).

Per un cristiano l’accesso ai Sacramenti, in particolare la comunione, può avvenire solo se è in grazia di Dio, cioè se non ha commesso peccati gravi e questo non cambia se è solo separato o anche divorziato, perché davanti a Dio l’aver firmato un foglio, non vale assolutamente niente, è carta straccia.

Quindi una persona che sceglie di rimanere fedele a Dio (e conseguentemente alla promessa fatta e al coniuge), anche se divorziato può (anzi deve, perché è la sua sorgente di Forza e Grazia) accedere ai Sacramenti.

Se invece una persona chiede il divorzio per risposarsi civilmente, commette una colpa, come viene ben spiegato nel catechismo della chiesa cattolica (CCC), n° 1650:   “Oggi, in molti paesi, sono numerosi i cattolici che ricorrono al divorzio secondo le leggi civili e che contraggono civilmente una nuova unione. La Chiesa sostiene, per fedeltà alla parola di Gesù Cristo («Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio »: Mc 10,11-12), che non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la Legge di Dio. Perciò essi non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione”.

Aggiungo che se uno sposo, magari separato da diversi anni, chiede il divorzio non per sposarsi nuovamente, ma per tutelare il patrimonio e quindi i figli, non commette peccato (infatti, come ho spiegato sopra, con la sola separazione non cessa l’asse ereditario e pertanto ad esempio, in caso di morte, una parte di eredità andrebbe comunque al coniuge). In alcuni casi è addirittura consigliabile procedere con il divorzio, se c’è la possibilità che ai figli venga sottratta una parte dei soldi destinati, in particolare, allo studio e alla loro crescita/formazione.

Questo non lo dico io, ma sempre la Chiesa nei seguenti due articoli, CCC 2383: ”…Se il divorzio civile rimane l’unico modo possibile di assicurare certi diritti legittimi, quali la cura dei figli o la tutela del patrimonio, può essere tollerato, senza che costituisca una colpa morale”.

CCC 2386: “Può avvenire che uno dei coniugi sia vittima innocente del divorzio pronunciato dalla legge civile; questi allora non contravviene alla norma morale. C’è infatti una differenza notevole tra il coniuge che si è sinceramente sforzato di rimanere fedele al sacramento del Matrimonio e si vede ingiustamente abbandonato, e colui che, per sua grave colpa, distrugge un Matrimonio canonicamente valido”.

Quindi, ricapitolando, quello che conta nel nostro cammino di fede non è l’aver firmato la separazione o il divorzio, ma è il nostro rapporto con Gesù (e quindi con il nostro coniuge): Lui si fonde con gli sposi in maniera indissolubile, cioè non è solubile, non si può sciogliere e guarda il nostro cuore.

Il matrimonio, infatti, civilmente è soggetto a delle leggi umane, ma la cosa più importante è che è stato scritto in maniera indelebile in cielo, nel cuore di Dio e nessuna sentenza lo può modificare nella sostanza (se è valido, naturalmente).

Come Dio non ha mai abbandonato la Chiesa e come Cristo non ha mai abbandonato l’umanità, così gli sposi sono segno di questa Alleanza di salvezza: è qui che si gioca tutto, nel credere in quest’Amore così grande!

Per me non fa nessuna differenza separazione o divorzio, continuo e continuerò a portare la fede al dito, segno e testimonianza di quello che è avvenuto e che nessuna legge umana potrà mai modificare.

Ettore Leandri (Presidente Fraternità Sposi per Sempre)

Resterà solo l’amore

Sono rimasto molto colpito dalla storia che mi ha raccontato una mia cara amica e per questo oggi voglio condividerla con voi, sintetizzandola: quello che dirò è tutto vero, ma, per ovvi motivi, chiamerò questa mia amica con un nome di fantasia, Marta.

Marta a un certo punto della sua vita si separa dal marito, ma sceglie di rimanere fedele a Gesù e conseguentemente rimane sola con i figli, senza “rifarsi una vita”.

Entra in contatto con la Fraternità Sposi per Sempre e capisce che è la sua strada: frequenta spesso, è una persona di grande fede, sempre sorridente, gioiosa e molto attiva nel volontariato e nella cura degli altri.

Intanto il tempo passa, i figli crescono e il marito addirittura si risposa civilmente, ma lei va avanti, nonostante le difficoltà e le persone che non capiscono la sua scelta (è fissata con la religione? E’ ancora innamorata? Illusa che tornerà o delusa dagli uomini?).

Dopo un po’ di anni il marito si ammala, lei da lontano prega per lui e chiede preghiere agli amici; i mesi passano e la situazione si aggrava, tanto che lui non può più nemmeno muoversi da casa: Marta chiede alla nuova moglie di poterlo andare a trovare, ma questo le viene negato.

Allora di nascosto, quando sa che lei non c’è, lo va a trovare: lui si meraviglia di questa visita, ma non la manda via; allora Marta con coraggio gli prende una mano e gli dice: “Lo sai, vero, che ti ho sempre voluto bene?”. E lui: “Sì, lo so” e si mette a piangere.

Dopo pochi giorni, lui viene a mancare e Marta con discrezione e stando in disparte, segue tutto, chiedendo anche di recitare lei una decina del rosario, prima del funerale. In seguito Marta viene a sapere dai figli che quando il marito stava male e delirava nel sonno, chiamava “Marta, Marta” e non la nuova moglie.

Ecco, quest’ultima confidenza mi ha fatto molto riflettere: innanzitutto a questi figli credo che nessuno dovrà loro spiegare come ama Dio, perché l’hanno visto e sperimentato in maniera indelebile nella propria famiglia, anche se ferita.

Io non posso che ringraziare questa sorella per la sua testimonianza che ha sicuramente colpito parenti, amici e conoscenti: in fondo lei avrebbe potuto farsi gli affari suoi, il marito l’aveva abbandonata, che prendesse le conseguenze delle sue azioni! Invece no, fino all’ultimo è rimasta, non ha amato secondo quello che ha ricevuto, è andata oltre, fino a perdonargli tutto il male fatto e a farlo così “andare” in pace.

Sicuramente il marito ha compreso chi davvero gli voleva bene, perché l’amore vero è nella verità e nella croce, in chi sacrifica la vita per gli altri, caratteristica unica dell’amore di Gesù: il chiamare “Marta” nella sofferenza ne è la riprova.

Per merito di Marta, che su questa terra è la persona che ha più potere su di lui (per grazia della relazione consacrata e benedetta da Dio il giorno delle nozze), io credo che quest’uomo sarà giudicato con particolare misericordia dal Creatore.

Infatti, su questa terra ci affanniamo tanto per guadagnare due soldi, avere potere, cose, prestigio, amicizie importanti, ma di tutto questo non rimarrà assolutamente niente: ci porteremo in Paradiso solo l’amore, quello vero, gratuito.

La vita solitaria di Marta, per il mondo “sprecata”, ha generato invece un tesoro invisibile, ma di grande valore, per se stessa e per le persone a lei legate, in primis il coniuge. È inutile mentire a noi stessi: un amore di convenienza (io faccio questo, tu fai quello), o di compagnia o di reciproca soddisfazione sessuale non ci basta e non ci fa stare tranquilli, anzi ci tiene sempre in uno stato di preoccupazione per mantenere costantemente un certo livello, una certa aspettativa, altrimenti si corre il rischio di essere lasciati per altre persone. Questo ci porta lontani dall’essere noi stessi e appena arriva una difficoltà seria, chi continuerà a starci vicino? Tutti lo desideriamo verso di noi, ma non è facile amare una persona “per sempre”, indipendentemente da quello che fa in positivo o in negativo; tuttavia con l’aiuto di Dio è possibile farlo, come Marta che l’ha saputo mettere in pratica con il marito. Grazie Marta

Ettore Leandri (Presidente Fraternità Sposi per Sempre)

L’indifferenza d’improvviso.

Una delle caratteristiche che riscontro spesso nelle separazioni è la totale indifferenza verso il coniuge da parte della persona che ha voluto dividersi e che se n’è andata: sembra quasi che ad un certo punto avvenga un cambiamento radicale, come un interruttore di una lampadina, prima c’era la luce e poi il buio. È un fenomeno che ho sperimentato anche sulla mia storia e che è stato causa di forte dolore, ma anche di riflessione.

Ricordo che, poco dopo la separazione mi sono dovuto ricoverare in ospedale per tre giorni a causa di un piccolo intervento ai denti; dissi a mia moglie che avrei dovuto ricoverarmi per qualche giorno, senza scendere in dettagli (avrebbe potuto essere anche una cosa più grave) e lei mi rispose solo di farle sapere quando avrei potuto riprendere le figlie, neanche la curiosità di conoscerne il motivo. Rimasi davvero scioccato per questo comportamento, davvero inspiegabile, perché proveniva da chi, anni prima, aveva promesso di prendersi cura di me e di essermi vicina nei momenti di gioia e di dolore.

Questo modo di fare fa più male delle cattiverie, dei tradimenti e di tutte le lotte che si fanno con gli avvocati: è difficile accettare che tu sei diventato una persona estranea per la tua sposa con cui hai condiviso tutto, perfino il talamo nuziale e la nascita dei figli. E così ho amici che hanno dovuto superare prove importanti, hanno avuto lutti in famiglia e non c’è stata nemmeno una telefonata per dire: “Cane, come stai?”. Più è grande l’amore che si prova e più è forte il dolore che si subisce per questa indifferenza e insensibilità alle tue prove della vita.

È difficile entrare nella mente delle persone, anche perché siamo tutti diversi, ma ritengo che quando qualcuno decida di separarsi, voglia lasciarsi tutto alle spalle, come girare la pagina di un libro per scrivere una nuova parte della propria vita, dopo aver cancellato tutto quello che c’è stato prima. E la cosa paradossale è che tu che sei stato lasciato, soffri, mentre l’altro sembra che sia finalmente felice e contento, magari frequentando altre persone.

Il tempo passa e le cose non cambiano nonostante le tue preghiere, il tuo affidare a Dio il tuo dolore, le tue opere di misericordia……che ingiustizia vero? Perché Dio non fai qualcosa, non vedi, sei distratto? Che cosa aspetti? Perché avviene questo? Sono domande che nascono spontanee, specialmente nei momenti di sconforto, quando sembra di essere stati sconfitti su tutti i fronti e di aver sbagliato tutto.

Io non so dare delle risposte, anche perché non avrebbe senso, derivano da una concezione di Dio sbagliata che prevede il Creatore ai nostri comandi e ai nostri servizi, come fosse una bacchetta magica. Spesso Dio lavora segretamente. Manteniamo salda la nostra Fede. Comprenderemo i Suoi piani al momento giusto, come si dice nel film God’s not dead (Dio non è morto).

Di sicuro nulla avviene per caso e questa indifferenza del coniuge può essere la spinta per affidarci ancor più a Dio e per cercare l’unità con Lui, non contando su nient’altro. Solo Lui è il centro e la nostra consolazione, nonostante il dolore. Anche Gesù ha sperimentato sulla sua pelle cosa vuol dire prima essere osannato e accolto come un re e poi lasciato completamente da solo, nel più totale menefreghismo, fino a toccare il vertice del dolore per il silenzio del Padre: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, Dio senza Dio.

Termino citando la parte più bella del film che ho appena nominato, quando c’è il dialogo tra il figlio, un avvocato di grido nel pieno vigore della salute e della carriera, e sua madre, malata e anziana: “Tu hai pregato e creduto per tutta la tua vita. Non hai mai fatto niente di male. Ed eccoti qua. Tu sei la persona più buona che conosco. Io sono la più cattiva. Tu hai la demenza senile. La mia vita è perfetta. Spiegami questo”. Così chiede Mark alla madre, ricoverata in una casa di riposo, ed evidentemente non si aspetta alcuna risposta. Lei, invece, si scuote per un attimo e parla: Talvolta il diavolo permette alla gente di vivere una vita libera da problemi, perché non vuole che si rivolgano a Dio. Il loro peccato è come la cella di una prigione, solo che tutto è bello e confortevole e che non sembrano esserci ragioni per lasciarlo. La porta è spalancata, finché un giorno il tempo scade, la porta si chiude di schianto, e improvvisamente è troppo tardi”.

Ettore Leandri (Presidente Fraternità Sposi per Sempre)

La sciagura del divorzio breve

Il divorzio breve

L’ultima novità, in fatto di matrimoni è… il divorzio breve. Divorzio sì, ma breve, anzi, brevissimo. Fino a ora si poteva divorziare da sei mesi fino a un anno dalla separazione. Ma chi volete che aspetti da sei mesi a un anno, nel mondo dell’instant marketing, del cibo d’asporto, dei treni ad alta velocità? Si poteva fare di meglio e, a quanto pare, è stato fatto.

Col divorzio breve, porre termine a un matrimonio è più che mai facile e veloce. Domanda di divorzio unilaterale e domanda di separazione si presentano contestualmente. Come c’era da aspettarsi, tanti plaudono alla cosa come a una grande conquista di civiltà.

Proprio ieri, ripensavo al mio matrimonio. Ci è voluto circa un anno per organizzarlo. Eppure, non avevamo fatto nulla di speciale. Allora ho controllato. Le cose non sono granché cambiate. Sui siti web dedicati al tema delle nozze, ho scoperto che guru delle cerimonie e wedding planner blasonati consigliano di partire coi preparativi almeno un anno prima. Leggete voi stessi, se non mi credete guardate questi siti (weddingtime sposinstyle).

Dunque, nel nostro strano mondo, ci vuole un anno per preparare una cerimonia che dura un giorno. Anzi, ben meno di ventiquattro ore. Però basta molto, ma molto meno, per dirsi addio per sempre, fra marito e moglie.

Il divorzio breve è il black Friday delle relazioni

Il divorzio, così semplificato e reso agile, ricorda l’acquisto “d’impulso”. Quello che la grande distribuzione conosce e attua a meraviglia. Avete presente il black Friday? Condizioni speciali, disponibili solo se si agisce in velocità. Ogni lasciata è persa. È un po’ come l’incantesimo della fata di Cenerentola: la magia finisce a mezzanotte in punto. Fra la decisione e l’acquisto vero e proprio, passano pochi minuti. Talvolta secondi.

Non c’è il tempo di ponderare, di mediare, di chiedersi se quello che stiamo per fare sia davvero giusto per noi. Lì il fattore velocità è tutto: quel che sia, purché sia, ma in fretta. Non c’è tempo per i ripensamenti. Non ci sono pause di riflessione. La decisione produce un effetto immediato irreversibile: riempire un carrello virtuale e perfezionare l’acquisto. Senza possibilità di reso. Come rendere il coniuge alla famiglia di origine. Anche qui in modo rapido e irreversibile. Senza spazio per dubbi o ripensamenti. Può sembrare un paragone azzardato, ma non lo è.

Basta un breve periodo di crisi, un litigio un po’ più serio, un fraintendimento che, sull’onda dell’emotività, si può chiedere e ottenere subito il divorzio. Senza concedere una seconda chance a chi ci ama e amiamo, e forse ha avuto un’uscita infelice. O forse attraversa un momento difficile.

Il divorzio breve azzera la perseveranza

Qualche giorno fa si è diffusa la notizia di una moglie che ha deciso di divorziare il giorno stesso delle nozze. Il motivo? Era molto arrabbiata col marito per uno scherzo. Lui le ha tirato la torta nuziale in faccia. Non si sa dove né quando ciò sia avvenuto di preciso. La notizia è stata ripresa da vari giornali.

Non è una storia italiana di certo. Però potrebbe diventarlo in futuro. Il problema del divorzio breve, è che azzera la perseveranza. È evidente che si desideri uscire al più presto da una situazione poco piacevole. Il fatto è che, nella quotidianità del matrimonio, possono verificarsi diversi episodi poco piacevoli. Questo non vuol dire che l’uomo (o la donna) che abbiamo al fianco siano mostri. Vuole solo dire che abbiamo bisogno di mediare, di perseverare. Dobbiamo darci tempo, per imparare a conoscere il consorte. Serve la volontà di affrontare e superare le difficoltà. E le difficoltà ci saranno certamente, al di là del sentimento.

Perché, come disse bene Gilbert Keith Chesterton: Ho conosciuto molti matrimoni felici, ma mai nessuno “compatibile”. Tutto il senso del matrimonio sta nel lottare e nell’andare oltre l’istante in cui l’incompatibilità diventa evidente. Perché un uomo e una donna, come tali, sono incompatibili. (nel libro: Cosa c’è di sbagliato nel mondo, lo avevo recensito qui.

Se esiste una via d’uscita veloce, perché dovremmo impegnarci nella fatica di trovare un equilibrio nella nostra relazione? Eppure, anche i matrimoni più riusciti, hanno affrontato una fase di rodaggio. Se gli sposi avessero gettato la spugna, sapendo di poterlo fare, sarebbero davvero diventate unioni solide?

Il nemico del matrimonio

La natura umana è instabile, debole, capricciosa. Per questo il divorzio breve è il più gran nemico del matrimonio. La migliore garanzia per la solidità coniugale è proprio nell’indissolubilità del matrimonio. Una unione che non può essere messa facilmente in discussione dai nostri umori alterni, ci costringe a lavorare su noi stessi. Ci impegna alla generosità, all’umiltà, al perdono.

Al contrario, un matrimonio senza impegno, a tempo determinato, facile da cancellare, asseconda proprio la nostra incostanza. Se si divorzia sull’onda dell’emotività, non esiste nessuna garanzia che una relazione successiva abbia miglior successo. Se proseguiamo, senza educare il nostro spirito alla perseveranza, incontreremo nuovamente degli ostacoli e di nuovo non avremo le risorse per superarli. Non ci sono matrimoni che funzionano grazie al pilota automatico, a un qualche sortilegio o miracolosa tecnica relazionale.

Divorziare è affrontare un fallimento

Ogni matrimonio è una scuola di disciplina personale. Non è scappare dalla scuola, che ci renderà più felici, ma solo più irrisolti. Divorziare, infatti, anche se diventa un atto amministrativamente più semplice, resta comunque un enorme fallimento di vita. Ci sono esperti che paragonano il dolore e l’alienazione del divorzio a ciò che si prova nel caso di un lutto.

Alleggerire la forma del matrimonio, non ne varia di un briciolo la sostanza. Al contrario, dà l’illusione iniziale che un legame così profondo, si possa cancellare assieme alle firme sulla carta da bollo. Ma l’apparenza di facilità e leggerezza dura poco.

Se ci siamo giurati amore davanti a Dio e alle nostre famiglie, probabilmente credevamo nel nostro amore. Vederlo naufragare, affrontare il distacco dall’altro, dover rinunciare ai sogni che avevamo coltivato su questa unione, sono delusioni profonde.

Il nostro senso di fallimento e dolore non si alleggerisce, per effetto di una proceduta amministrativa più rapida. Senza contare che, come ogni cattolico sa, il matrimonio non può essere sciolto, terminato, cancellato. Anche se i coniugi si allontanano, anche se divorziano per la legge degli uomini, rimangono sposati nel sacramento di Dio. Per questo, il divorzio breve rischia di essere l’ennesimo inganno, ai danni delle coscienze. L’ennesima promessa di finta serenità, destinata a lasciare rovine e amarezza.

Anna Porchetti 

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La rottura di un matrimonio. Lettera di Papa Francesco agli sposi

Con questo sesto articolo ci avviamo verso la conclusione di questa serie dedicata alla Lettera alle famiglie di Papa Francesco. Il Papa ha già affrontato diversi temi:

Ora il Papa entra in quello che credo sia l’argomento più difficile, entra nella separazione e nel fallimento della relazione. Lo fa senza nessun giudizio. Sappiamo bene che il fallimento può toccare tutti, quindi non c’è ombra di rimprovero o di biasimo. Il Papa offre uno sguardo di padre qual è e invita gli sposi feriti più che a fare qualcosa ad essere misericordia e perdono l’uno per l’altra.

La rottura di una relazione coniugale genera molta sofferenza per il venir meno di tante aspettative; la mancanza di comprensione provoca discussioni e ferite non facili da superare. Nemmeno ai figli è risparmiato il dolore di vedere che i loro genitori non stanno più insieme. Anche in questi casi, non smettete di cercare aiuto affinché i conflitti possano essere in qualche modo superati e non provochino ulteriori sofferenze tra voi e ai vostri figli. Il Signore Gesù, nella sua misericordia infinita, vi ispirerà il modo di andare avanti in mezzo a tante difficoltà e dispiaceri. Non tralasciate di invocarlo e di cercare in Lui un rifugio, una luce per il cammino, e nella comunità una «casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 47).

Non dimenticate che il perdono risana ogni ferita. Perdonarsi a vicenda è il risultato di una decisione interiore che matura nella preghiera, nella relazione con Dio, è un dono che sgorga dalla grazia con cui Cristo riempie la coppia quando lo si lascia agire, quando ci si rivolge a Lui. Cristo “abita” nel vostro matrimonio e aspetta che gli apriate i vostri cuori per potervi sostenere con la potenza del suo amore, come i discepoli nella barca. Il nostro amore umano è debole, ha bisogno della forza dell’amore fedele di Gesù. Con Lui potete davvero costruire la «casa sulla roccia» (Mt 7,24).

Da queste parole del Papa credo possiamo trarre alcuni insegnamenti chiave.

L’altro non è un nemico! Spesso quando c’è un fallimento, e di conseguenza tanto dolore e sofferenza, si rischia di trasformare tutto questo in rancore e desiderio di vendetta. C’è una ferita aperta che sanguina. Una ferita che ci è stata inferta da una persona che avrebbe dovuto renderci felici ed onorarci attraverso il suo amore. E’ un po’ questo il sentimento che provano tanti separati. Eppure, se lo vogliamo, può non essere così. Come? Se l’altro ci ha fatto così tanto male è perchè noi glielo abbiamo permesso. Non sto dicendo che gli abbiamo permesso compartamenti, gesti o parole. Non sto parlando dell’altro. Non abbiamo potere sulle scelte del coniuge. Siamo noi che dobbiamo custodire la parte più profonda di noi. Concretamente è importante essere consapevoli che siamo figli amati. Solo così l’altro, pur con tutto il male che può averci fatto, non riuscirà mai a penetrare, con le ferite che ci infliggerà, quella parte del nostro cuore che appartiene a Gesù e che continuamente ci dice: tu sei bello/a, tu sei il figlio amato, tu sei la figlia amata. Un consiglio: imparate, anche quando le cose tra voi vanno bene, a non far dipendere la vostra gioia e il vostro senso solo dall’altro e dall’amore che saprà darvi. Nutrite e perfezionate sempre più la vostra relazione con Gesù attraverso la preghiera e i sacramenti. Solo così, anche se le cose dovessero andare male, saprete affrontare la situazione senza rancore, ma con la capacità di cercare, per quanto possibile, di evitare di aggiungere altro male e altro dolore. Il mio pensiero va a quelle persone che ho conosciuto che non si sono mai arrese al male ma, seppur nel dolore della separazione, continuano a voler bene alla persona che se ne è andata, pregando per lei e affidandola a Gesù. Queste persone non solo non sono delle fallite, ma mostrano una luce abbagliante, la luce di chi è capace di amare e di perdonare.

Il perdono è una decisione interiore. Alcuni di voi diranno: Io voglio perdonare ma non riesco! Quello che mi ha fatto è troppo grave. Questa è l’esperienza di tanti soprattutto quando accadono, appunto, fatti gravi come le separazioni. Come fare? Naturalmente non esistono ricette preconfezionate. Qui si tratta di mettere mano alla nostra umanità ferita. E’ molto faticoso. Spesso si tratta di affrontare tanto dolore e di dover elaborare un vero e proprio lutto. Tutto parte dalla nostra libertà. Dobbiamo essere liberi di andare oltre il male che l’azione di nostro marito o nostra moglie ci sta causando. Andare oltre i sentimenti e le emozioni. Per fare questo serve tempo. Il perdono non si può pretendere proprio perchè spesso l’altro non è pronto. Riuscire a perdonare (davvero) significa attraversare un processo interiore che ci permette di dissociare il peccato che ci ha fatto del male dal peccatore che lo ha commesso. L’altro non è il suo gesto o la sua mancanza, L’altro è una meraviglia nonostante il suo errore che magari è molto brutto. Perdonare non è quindi dire Ti perdono con le parole, ma è la capacità di riacquistare lo sguardo di Dio verso l’altro. Uno sguardo benedicente.

Antonio e Luisa

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La compagnia del cigno: temi grandi risposte piccole

Eccomi di nuovo a commentare la serie televisiva “La Compagnia del Cigno”. Perchè perdere tanto tempo ad analizzare una fiction TV? Me l’avete chiesto in tanti. Semplicemente perchè i nostri ragazzi si nutrono di queste cose e le serie TV sono, in certo senso, lo specchio della nostra società. Possiamo davvero comprendere tanto. Nel primo articolo mi ero soffermata sulla morale sessuale, figlia della rivoluzione del ’68 e avevo accennato al fatto che i rapporti fuori del matrimonio sono all’origine dell’instabilità delle relazioni uomo-donna. Da questa instabilità: separazioni, divorzi, contraccezione, aborti. Tutto questo si vede nella Compagnia del Cigno, la cui mentalità è quella fluida che nasce proprio dal ’68. Fluidità che doveva garantire libertà e invece porta solo precarietà. Cominciamo dall’aborto.

Nella prima stagione, il maestro Luca Marioni e sua moglie Irene sono in crisi a causa della morte della figlia, a seguito di un incidente. Dopo un periodo di separazione, tornano insieme e lei resta incinta. In un primo momento Irene decide di abortire, perché ha troppa paura, non riesce a credere di nuovo alla felicità. Luca reagisce molto male (anzi molto bene, dimostrando di essere un vero uomo): prima l’accusa di ignorare il fatto che lui è il padre; poi le intima di andarsene da casa, se non cambierà idea. Irene non cambia idea e va a stare da un’amica.

Il colloquio tra lei e il ginecologo è un capolavoro di politicamente corretto. Lui vorrebbe parlarle, ma lei si irrigidisce subito, teme di avere davanti un obiettore con scrupoli di coscienza e afferma che abortire è un suo diritto, che esiste una legge dello stato italiano. Lui la rassicura: non è un obiettore, l’aborto è garantito per legge, lui ha praticato tante “interruzioni di gravidanza” proprio per garantire questo diritto (sic!) Ciononostante, vuole essere sicuro che lei faccia la scelta giusta per lei (non per il bambino!). Sapendo che lei ha perso una figlia e temendo che lei voglia abortire per paura, le dice che non si rinuncia a un figlio per paura (ma, io mi chiedo, chi abortisce, non lo fa sempre per paura?). Irene gli conferma che, se facesse nascere suo figlio, avrebbe paura di tutto e non sarebbe una buona madre. Lui le chiede scusa e lei, offesa, lo accusa di avere approfittato della sua solitudine e fragilità per farle la morale (una critica agli operatori dei centri di aiuto alla vita?). Quella sera Luca, sconvolto, tenta ancora di fermare la moglie: “Da fidanzati mi avevi promesso che non mi avresti mai fatto soffrire e ti avevo creduto: un coglione, un vero coglione!”. Finalmente, Irene decide di non abortire, ma da Luca vuole rassicurazioni che tutto andrà bene. Lui saggiamente le dice che non può, che bisogna rischiare, che lui vuole questo bambino, ma si rende conto che la decisione spetta anche a lei.

Nella seconda stagione, Matteo e Sofia per una volta non usano il profilattico e lei resta incinta. Segue una riunione di famiglie, quella di Matteo e quella di Sofia, durante la quale la madre di lei chiede ai due giovani di pensarci bene, prima di scegliere di tenere il bambino (sic!). Già, il problema della scelta, della decisione della donna, che continuamente ritorna in queste due vicende. Ho pensato subito alle parole della serva di Dio Chiara Corbella Petrillo a proposito dell’aborto (che le avevano prospettato dal momento che la sua bambina non sarebbe sopravvissuta fuori dall’utero materno): Alla base della decisione di abortire c’è una menzogna tanto forte ed efficace quanto più nascosta ed inespressa. La menzogna dell’alternativa. Se aspetto un figlio, sono sua madre, non posso più scegliere, sono sua madre anche se una legge dello stato mi permette di ucciderlo. Posso solo scegliere di essere madre di un figlio vivo o di un figlio morto, ma sarò sua madre per sempre.

Altro argomento trattato in modo politicamente corretto è la separazione dei genitori. Robbo e la sorellina ne sono le vittime. La loro madre piange tanto, perché i suoi figli soffrono e Robbo ingenuamente le chiede come mai non si possa tornare alla vita di prima. Lei risponde che non è più possibile, perché ormai è irreversibilmente innamorata di un altro uomo. Love is love! In seguito, si scopre che il primo a tradire era stato il padre. Come reagiscono i due ragazzini? Con filosofia: abbiamo scoperto che anche i nostri genitori commettono errori, che non sono perfetti. Questa saggia reazione non mi sembra realistica, piuttosto mi sembra quella che qualunque genitore separato si auspicherebbe da parte dei figli.

Per essere politicamente corretta, la serie televisiva non poteva tralasciare omosessualità, transessualità e bisessualità, nonché l’omofobia. Ne scriverò in un altro articolo.

Luisa

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Ti ringrazio del dolore che mi hai dato (A mio marito)

E’ vero che un matrimonio è sempre un fallimento quando la relazione finisce e gli sposi si separano? Sembra una domanda stupida. La risposta sembra scontata. Il matrimonio non può che essere un fallimento se ci si separa. E’ la fine! Ma è davvero così? Per entrambi gli sposi?

Certo, tutti ci auguriamo un matrimonio felice, una relazione che sia per noi appagante, un coniuge che sappia capirci, amarci e sappia accogliere anche le nostre fragilità. Io stesso sarei un bugiardo se affermassi il contrario. Questo però non è il parametro con il quale valutare se il nostro matrimonio sia una vittoria o una sconfitta. Il criterio principale con il quale valutare il nostro matrimonio è verificare quanto questa relazione ci abbia portato nella braccia di Gesù. Quanto questa relazione ci abbia aiutato a perfezionare e a rendere sempre più profonda la nostra relazione con Gesù. Quanto questa relazione ci abbia insegnato a farci dono per l’altro/a e ad amare gratuitamente e incondizionatamente.

Questo mi permette di pensare e di dire che anche un matrimonio, che in apparenza sembra fallito, può non esserlo, se chi è stato/a abbandonato/a non chiude il cuore a Dio, ma al contrario si affida ancor di più a Lui. Si affida a Gesù che è fedele, che è perfetto, che è capace di un amore infinito. Perchè vi scrivo queste cose? Ho ricevuto una mail con una poesia. Una poesia d’amore che una donna abbandonata dedica a suo marito. Dedica soprattutto a Gesù. Questo è il senso del testo che potrete leggere e meditare. Una poesia che contiene un significato grandioso. L’amore di Dio è più forte di ogni male e il matrimonio non è solo per noi, ma è Suo, è di Dio. Anche attraverso una storia finita si può raccontare al mondo come Lui ama. Una donna che nell’abbandono si è scoperta capace di amare nonostante tutto, di perdonare nonostante tutto, sentendo, in questo modo, la presenza amorevole e commossa di Dio.

Ti ringrazio del dolore che mi hai dato (A mio marito)

Sorda alla riconciliazione

è la nostra divisione

alla crisi coniugale non cerca soluzione

non lascia spazio dei cuori la conversione.

La usa per vivere una nuova dimensione

libero da una soffocante prigione

bene è per i figli che l’ unione finisce

Il tuo io e quel mondo senza Dio

te lo suggerisce.

E così andato via da lei è

ormai il tuo amore

mente e cuore miei

intrisi di rabbia e dolore.

A fatica mi avvicino allo specchio

spero vedere qualcuno intorno

neppure riflesso è il mio contorno

vedo soltanto una scartata pietra

mi sembra che arretra

quasi la invidio

non può avere il cuore ferito.

Che sia lei a raccontarmi la sua storia

Io non riesco a proferire alcuna parola

quella pietra scartata mi fa tremare

eppure la voce di Dio

mi torna a far sperare.

Mi dona la sua pace

innanzi a Lui il dolore tace

il divorzio da te voluto

valore alcuno ha per l ‘Assoluto.

Il progetto sponsale

per noi e con noi da Lui ideato

la Sua legge non vuole frantumato.

Vivo sempre è il Sacramento

possa anche tu averne giovamento.

Mi riguardo allo specchio

vedo il mio riflesso di

figlia di Dio

cosa che mi aiuta a decentrarmi dal mioio.

La Sua benevolenza porta

coraggio e pazienza

per la tua assenza.

Ed ecco perche ‘ posso dirti grazie:

il dolore che mi hai dato

giorno per giorno mi ha trasformato

dal mio Gesù mi sono lasciata trovare

in cambio dell’ amore che a me noi vuoi dare

il mio Gesu ‘ mi insegna a per te pregare.

Antonio e Luisa

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Al posto mio

Alcuni giorni fa ho ricevuto una mail da parte di una donna. Una delle tantissime persone abbandonate dal coniuge. Con questa mail questa moglie e madre ha voluto lanciare il suo grido. Un grido carico di sofferenza ma non di odio. Non c’è livore nelle sue parole. Vi possiamo invece leggere un sereno abbandono a Gesù che in una situazione tanto dolorosa si è fatto presente e vivo come mai. E’ una poesia dedicata a quella donna che ha preso il suo posto. L’autrice ha per questa persona parole quasi di sorella. Molto bella da leggere e meditare.

Al posto mio

Il nostro “si” abbiamo detto innanzi a Dio eppure tu da tempo ti trovi al posto mio tanto dolore ha provato il mio cuore ma ormai lo consegno al Suo Amore.

Tu del mio sposo hai il sentimento io per sempre del nostro matrimonio custodisco il Sacramento.

Tu vivi al posto mio, chissà che ne pensa DIO!! So che il giudizio non devo darlo io sono mossa da carità di una fraterna correzione nostro Padre dono ci fa’.

Agli occhi tuoi la mia ti sembrerà solo superbia e follia io voglio solo testimoniare la fedeltà mia. La Sua legge dell’indissolubilità se vogliam possiam amar.

Fonte di grazia è quel Sacramento soffoca ogni pensiero di odio per il tradimento e fa’ credere in un possibile ravvedimento.

Sorella mia, nostro Padre paziente aspetta dei suoi figli la conversione giacche’ della famiglia da Lui benedetta non vuole certo la divisione.

Tu e il mio sposo vivete una unione vinti certo da umana passione da essa discende dei vostri figli la creazione siano essi una benedizione. Con la figlia mia e del mio sposo vivano in fraterno amore liberi da questa storia intrisa di dolore.

Possa tu sperimentare il perdono di Dio la tua coscienza ti dirà che non puoi vivere al posto mio.

Puoi farla certo tacere  dirti che non hai nulla da temere loro avevano una crisi coniugale non ho fatto nulla di male.

Perche’ tanto nel cuore affanno  ho fatto quello che in tanti fanno il mio compagno e i miei figli sono un dono quella li’ lo chiama un abbandono.

Far tacere la voce di Dio  non significa che puoi vivere al posto mio. Ah se pensavi alla figlia mia quel di’ che iniziavi a vivere la vita mia.

Ai figli tuoi di grazia riesco a pensare il mio cuore di madre me li fa amare non sia la loro una storia di dolore intrisa qual è quella della mia famiglia divisa.

La figlia mia adolescente freme solo nel suo volto ha i genitori insieme. La prigionia del coronavirus l’ ha soffocata da me per rabbia per un po’ e’ scappata.

Tu l’hai ospitata. Chissa’ se l’hai amata. Di anni ne ho cinquanta da sola di strada ne ho percorsa tanta.

Il ritorno del mio sposo non c’è. la pace che Lui mi offre mi fa andare oltre  non mi vince piu’ il male confido nel bene universale.

Grazie a questa sposa sofferente per aver aperto il suo cuore con tutti noi

Antonio e Luisa

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Perchè un sacramento se il matrimonio esiste da sempre?

Perchè istituire il sacramento del matrimonio, se il matrimonio esiste da sempre? Il matrimonio esiste da sempre ma è stato riportato al suo significato originario da Gesù che lo ha reso indissolubile. E’ stato rinnovato e ricondotto alla verità. Per questo motivo il matrimonio indissolubile è un sacramento della Chiesa. Cerco di spiegarmi meglio. I sacramenti nascono con Gesù. Non esistevano prima della venuta di Cristo. Cosa sono? I sacramenti sono segni efficaci della grazia, istituiti da Cristo e affidati alla Chiesa, attraverso i quali ci viene elargita la vita divina (ccc 1131). Nei sacramenti quindi è Gesù stesso che si dà a noi e che ci rende partecipi di sè stesso e del Suo amore. Attraverso lo Spirito Santo possiamo sperimentare e vivere dello stesso amore di Gesù.

E’ vero che il matrimonio esisteva anche prima, ma non era indissolubile. Anche gli ebrei contemporanei di Gesù avevano la possibilità di ripudiare la moglie. Eppure la Chiesa afferma che il matrimonio indissolubile non è solo una legge da rispettare e magari subire, ma è la risposta a qualcosa che ci costituisce. E’ la risposta ad un desiderio che abbiamo nel cuore. Il matrimonio nasce con l’uomo. E’ raccontato già nella Genesi. Qualcosa quindi che anticipa la venuta di Cristo di millenni. Esiste da sempre. E’ proprio inscritto nel nostro essere sessuati maschio e femmina e nel nostro essere creature sociali e bisognose di relazione. Si potrebbe azzardare che Dio ci ha voluti così, diversi e complementari, proprio per farci sposare. Perchè la differenza diventasse alleanza e comunione. Potessimo sperimentare un amore così profondo e totale da essere una scintilla di quello divino.

Perchè allora istituire il sacramento del matrimonio? Non bastava il matrimonio come si era concepito fino ad allora? Evidentemente no. La risposta arriva da Gesù stesso.

Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: «È lecito a un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?». Egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li fece maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne? Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». Gli domandarono: «Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e di ripudiarla?». Rispose loro: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli; all’inizio però non fu così. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di unione illegittima, e ne sposa un’altra, commette adulterio»

Matteo 19, 3-9

Gesù non si è messo a dibattere con i farisei sul piano della legge. La legge del tempo consentiva il ripudio. I farisei avevano ragione. Gesù cambia prospettiva ed orizzonte. Gesù dice ai farisei di ascoltare il loro cuore e di leggervi la nostalgia, di amare ed essere amati per sempre, che lo abita. Lo ha detto ai fasrisei e lo dice anche oggi ad ognuno di noi. Si, la legge ci consente di divorziare e di cercare un’altra strada, però sappiamo che il nostro cuore desidera un amore radicale. Desidera essere capace di amare e di essere amato senza condizioni e senza limiti, neanche di tempo. Possiamo essere felici solo se saremo capaci di amare dando tutto di noi stessi.

Gesù conosce l’uomo, conosce la fragilità e la caducità che ci contraddistingue. Conosce quanto possa essere difficile per noi amare la persona che sposiamo per sempre. Per questo ci ha fatto un dono. Ci ha donato il sacramento del matrimonio. Durante la sua passione e morte si è offerto al Padre per noi. La Sua offerta ci ha reso capaci di vivere un amore sponsale che ci riporta all’armonia delle origini. Certo, serve la nostra volontà, la nostra fatica e il nostro sacrificio, ma ora sappiamo che amare per sempre ci è possibile.

Solo così possiamo comprendere la grandezza del nostro sacramento. Abbiamo già detto che per essere felici desideriamo amare ed essere amati totalmente, senza condizioni, senza limiti, senza merito. Non ne siamo però capaci. Gesù ci rende capaci e quindi ci permette di sperimentare un amore divino già su questa terra, grazie proprio al sacramento del matrimonio. Ecco a cosa serve il sacramento del matrimonio. Non ci viene chiesto di dare più di quello che possiamo dare, ma ci viene altresì chiesto di non risparmiarci. Se daremo tutto il resto lo farà Gesù e la Sua grazia.

Antonio e Luisa

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I figli sono un noi che si fa carne!

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E’ appena stato pubblicato uno studio americano. Uno studio importante e significativo del Centers for Disease and Control Prevention, un ufficio statunitense che si occupa di prevenzione e malattie a livello federale. Ne è scaturito un quadro chiaro riguardo un aspetto in particolare. I bambini figli di divorziati hanno maggior possibilità di contrarre patologie più o meno gravi. Vengono equiparati, in questa categoria di maggior pericolo, a chi ha subito abusi fisici, emotivi o sessuali, chi ha vissuto la violenza domestica, a chi ha avuto un familiare che ha tentato il suicidio, tossicodipendente o incarcerato. Isomma, questo studio ha evidenziato quello che già sapevamo: il divorzio è un trauma molto grave paragonabile ai peggiori disastri che un/una figlio/a possono affrontare. Perchè il divorzio è così devastante? I nostri figli sono nati da quel sì che io e Luisa ci siamo promessi il giorno del matrimonio. Loro sono costituiti dall’amore che io e Luisa abbiamo concretizzato quel giorno. Loro sono fatti biologicamente di quel noi. Metà patrimonio genetico è mio e l’altra metà è di Luisa. Loro sanno di non essere solo un prodotto biologico. Loro sono frutto di un amore. Loro sono frutto di un’unione. Loro sono frutto di una promessa che diventa vita. Loro sanno di essere tutto questo. Non lo sanno esprimere e non ne sono consapevoli, ma nel loro profondo lo sanno benissimo. Ecco perchè fino a quando sono stati piccoli hanno consumato il filmino del nostro matrimonio a forza di guardarlo. Guardando quel film ne restavano affascinati. Vedevano gioia e amore. Vedevano i loro genitori che si volevano e si vogliono bene. Vedevano qualcosa di meraviglioso. E pensavano. Pensavano e pensano tutt’ora che se è meraviglioso quello da cui sono nati sono meravigliosi anche loro. Se papà e mamma si vogliono bene allora significa che sono belli, che sono desiderati, che sono amati. Che sono preziosi! Capite il male che provoca il divorzio nella profondità dei nostri figli? I genitori separati possono comunque amare singolarmente i figli. Possono dare loro anche più attenzioni e cura di prima, ma non possono evitare ai loro figli una sofferenza profonda causata dalla distruzione di quel noi. Una ferita che segna. Dividendosi e separandosi lanciano un messaggio chiaro: Voi siete il frutto di qualcosa che non è bello, che non mi piace più. Questo è devastante. Ecco cosa scrive un bambino ai propri genitori in una lettera che potete trovare sul web:

Mi state insegnando che sono nato da una persona che non è amabile e che ha torto, e che in qualche modo sono sbagliato anch’io

I nostri figli si nutrono del nostro amore. Non solo dell’amore che io posso dare loro come papà, ma ancor di più dell’amore che manifesto alla loro mamma. Godono nel vedere le mie attenzioni verso la loro mamma. Sono felici di un mio abbraccio e di una mia carezza alla loro mamma. Sto dicendo loro che sono preziosi perchè è preziosa la relazione da cui sono nati.

Papa Francesco nel 2015 affermò questa verità con parole molto chiare e nette. Come se desse voce a tutti i figli vittime del divorzio:

Marito e moglie sono una sola carne. Ma le loro creature sono carne della loro carne. Se pensiamo alla durezza con cui Gesù ammonisce gli adulti a non scandalizzare i piccoli – abbiamo sentito il passo del Vangelo – (cfr Mt 18,6), possiamo comprendere meglio anche la sua parola sulla grave responsabilità di custodire il legame coniugale che dà inizio alla famiglia umana (cfr Mt 19,6-9). Quando l’uomo e la donna sono diventati una sola carne, tutte le ferite e tutti gli abbandoni del papà e della mamma incidono nella carne viva dei figli.

Antonio e Luisa

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Preziosi perchè frutto dell’amore

Il giorno del nostro matrimonio è speciale. E’ uno di quei momenti fondamentali e fondanti nella vita di una persona tanto da creare un prima e un dopo. Esiste la mia vita prima del matrimonio con Luisa e una vita dopo. Sembrano, almeno per quello che mi riguarda, due vite completamente diverse. E’ stata una vera e propria nuova creazione. Una rinascita a vita nuova dove il mio essere uomo si poteva realizzare nel noi di quella coppia unita e saldata dal fuoco consacratorio dello Spirito Santo. Come la maggior parte delle coppie di sposi abbiamo voluto un ricordo di quel giorno tanto importante. Abbiamo voluto le fotografie e il film del nostro matrimonio. Ci sono coppie che spendono migliaia di euro per queste cose. Noi ci siamo accontentati di un amico con la passione del montaggio video. Ci è costato un invito a cena. La fine di questi dvd e filmati è più o meno sempre la stessa. Finiscono a prendere polvere. Per amici e parenti è spesso una noia mortale guardarli e lo fanno solo se esplicitamente invitati e per non far rimanere male gli sposi. Gli stessi sposi sono risucchiati nella nuova vita fatta di nuovi e maggiori impegni e non c’è più tempo e voglia di rivedere le immagini di quel giorno. Eppure c’è qualcuno che non smetterebbe mai di guardare quel film. Qualcuno che, la maggior parte delle volte, neanche c’era quel giorno. Si tratta dei figli. I nostri non fanno eccezione.  Naturalmente non ora che hanno superato tutti i dieci anni. C’è stato un momento nella loro infanzia che tutti e quattro non desideravano altro che guardare in tv quel video. Più dei cartoni della Disney. Si mettevano davanti alla TV è guardavano. E si nutrivano di quelle immagini. E chiedevano. Chi erano quelle persone? Chi aveva scelto il vestito? Se ci volevamo bene, se eravamo contenti. Tantissime domande e poi volevano rivederlo. Si nutrivano di quelle immagini. Questo è normale. Loro sono nati da quel sì che io e Luisa ci siamo promessi quel giorno. Loro sono costituiti dall’amore che io e Luisa abbiamo concretizzato quel giorno. Loro sono fatti biologicamente di quel noi. Metà patrimonio genetico è mio e l’altra metà è di Luisa. Loro sanno di non essere solo un prodotto biologico. Loro sono frutto di un amore. Loro sono frutto di un’unione. Loro sono frutto di una promessa che diventa vita. Loro sanno di essere tutto questo. Non lo sanno esprimere e non ne sono consapevoli, ma nel loro profondo lo sanno benissimo. Ecco perchè consumerebbero quel filmino a forza di guardarlo. Guardando quel film ne restano affascinati. Vedono gioa e amore. Vedono i loro genitori che si vogliono bene. Vedono qualcosa di meraviglioso. E pensano. Pensano che se è meraviglioso quello da cui sono nati sono meravigliosi anche loro. Se papà e mamma si vogliono bene allora significa che sono belli, che sono desiderati, che sono amati. Che sono preziosi! Capite il male che provoca il divorzio nella profondità dei nostri figli? I genitori separati possono comunque amare singolarmente i figli. Possono dare loro anche più attenzioni e cura di prima, ma non possono evitare ai loro figli una sofferenza profonda causata dalla distruzione di quel noi. Una ferita che segna. Dividendosi e separandosi lanciano un messaggio chiaro: Voi siete il frutto di qualcosa che non è bello, che non mi piace più. Questo è devastante. Ecco cosa scrive un bambino ai propri genitori in una lettera che potete trovare sul web:

Mi state insegnando che sono nato da una persona che non è amabile e che ha torto, e che in qualche modo sono sbagliato anch’io

I nostri figli si nutrono del nostro amore. Non solo dell’amore che io posso dare loro come papà, ma ancor di più dell’amore che manifesto alla loro mamma. Godono nel vedere le mie attenzioni verso la loro mamma. Sono felici di un mio abbraccio e di una mia carezza alla loro mamma. Sto dicendo loro che sono preziosi perchè è preziosa la relazione da cui sono nati.

Papa Francesco nel 2015 affermò questa verità con parole molto chiare e nette. Come se desse voce a tutti i figli vittime del divorzio:

Marito e moglie sono una sola carne. Ma le loro creature sono carne della loro carne. Se pensiamo alla durezza con cui Gesù ammonisce gli adulti a non scandalizzare i piccoli – abbiamo sentito il passo del Vangelo – (cfr Mt 18,6), possiamo comprendere meglio anche la sua parola sulla grave responsabilità di custodire il legame coniugale che dà inizio alla famiglia umana (cfr Mt 19,6-9). Quando l’uomo e la donna sono diventati una sola carne, tutte le ferite e tutti gli abbandoni del papà e della mamma incidono nella carne viva dei figli.

Antonio e Luisa

 

Indissolubilità e separazione, due parole che apparentemente non possono stare insieme.

Alla luce dell’offerta di “scappatoie” sempre più sottili e di facile accesso, quali la separazione e il “divorzio breve”, oggi ha ancora senso parlare di indissolubilità? Ma soprattutto si può parlare di indissolubilità nella realtà di un cristiano che sceglie di rimanere fedele al suo sacramento nonostante la scelta dell’altro di andarsene?

Fortunatamente noi apparteniamo alla Chiesa Cattolica, la quale ci è Madre e Maestra, e riesce a rispondere a queste domande in modo chiaro e non fraintendibile.

Già nel 1981, quando i divorzi non erano così numerosi come oggi, San Giovanni Paolo II scrisse un’Esortazione Apostolica che al giorno d’oggi risulta profetica. Il documento è la Familiars Consortio.

 

«Non raramente all’uomo e alla donna di oggi, in sincera e profonda ricerca di una risposta ai quotidiani e gravi problemi della loro vita matrimoniale e familiare, vengono offerte visioni e proposte anche seducenti, ma che compromettono in diversa misura la verità e la dignità della persona umana. E’ un’offerta sostenuta spesso dalla potente e capillare organizzazione dei mezzi di comunicazione sociale, che mettono sottilmente in pericolo la libertà e la capacità di giudicare con obiettività» (cf. Familiaris Consortio 4).

Negli anni 70 in Italia venne introdotta la legge sul divorzio, la quale, di fatto, legittima lo scioglimento del vincolo matrimoniale, questo, purtroppo, ha portato ad una riduzione del vincolo matrimoniale ad un semplice contratto. Oggi sciogliere un matrimonio (a livello civile, s’intende) è molto facile, e questo delegittima ancora di più questo vincolo, che per noi cristiani risulta sempre e comunque un vincolo sacro. A tal proposito al nr. 6 di FC leggiamo che: «alla radice di questi fenomeni negativi sta spesso una corruzione dell’idea e dell’esperienza della libertà, concepita non come la capacità di realizzare la verità del progetto di Dio sul matrimonio e la famiglia, ma come autonoma forza di affermazione, non di rado contro gli altri, per il proprio egoistico benessere».

Al nr. 7 viene evidenziato che: «Fra i segni più preoccupanti di questo fenomeno, i Padri Sinodali hanno sottolineato, in particolare, il diffondersi del divorzio e del ricorso ad una nuova unione degli stessi fedeli». Quante volte, e ne fa parte anche il mio caso, il nostro coniuge rompe il vincolo matrimoniale perché innamorato di un’altra persona, oppure perché “con te non ne vale più la pena?”.

Ma la Chiesa che cosa risponde ad una persona che vive la condizione di separato che sceglie di rimanere fedele al suo matrimonio?

Al nr. 9 FC illustra che: «Alla ingiustizia generata dal peccato –profondamente penetrato anche nelle strutture del mondo di oggi- e che spesso ostacola la famiglia nella piena realizzazione di sé stessa e dei suoi diritti fondamentali, dobbiamo tutti opporci con una conversione della mente e del cuore, seguendo Cristo Crocifisso nel rinnegamento del proprio egoismo: una simile conversione non potrà non avere influenza benefica e rinnovatrice anche nelle strutture della società». Ecco noi separati a che cosa dobbiamo fare riferimento: solo e soltanto a Cristo Crocifisso, solo Lui e Lui soltanto può dare un senso alla nostra sofferenza e darle anche un orientamento salvifico. Al nr 12, infatti, leggiamo: «E lo stesso peccato, che può ferire il patto coniugale diventa immagine dell’infedeltà del popolo al suo Dio: l’idolatria e prostituzione (cfr. Ez 16,25), l’infedeltà è adulterio, la disobbedienza alla legge e abbandono dell’amore sponsale del Signore. Ma l’infedeltà di Israele non distrugge la fedeltà eterna del Signore e, pertanto, l’amore sempre fedele di Dio si pone come esemplare delle relazioni di amore fedele che devono esistere tra gli sposi (cfr. Os 3)». Ecco quindi che se anche gli sposi dovessero prendere strade parallele, il Signore comunque rimane fedele al vincolo che ha stretto con loro nel giorno del matrimonio e, ogni giorno rinnova questa sua fedeltà. Pertanto, «in virtù della sacramentalità del loro matrimonio, gli sposi sono vincolati l’uno all’altra nella maniera più profondamente indissolubile. La loro reciproca appartenenza è la rappresentazione reale, per il tramite del segno sacramentale, del rapporto stesso di Cristo con la Chiesa» (CF. FC 13), è proprio in virtù di questo rapporto Cristo Chiesa che un separato trova la sua più piena realizzazione, perché la promessa di fedeltà eterna di Cristo non si esaurisce con l’uscita di casa del coniuge.

Giuliaheaven (G.M.)

 

Una continua scelta tra ciò che è giusto e ciò che è bene.

Ho ricevuto e pubblico volentieri questa lettera. Una lettera che vuole essere una  risposta alla precedente testimonianza di una sposa abbandonata che ho pubblicato alcuni giorni fa (per leggerla cliccate qui)
Cara Sorella (si proprio Sorella perché capisco e vivo la tua stessa esperienza), ho 33 anni, sposata da 6 e separata da 9 mesi.
Capisco in profondità e in radicalità ciò che stai vivendo:  il giorno in cui l’uomo che hai sposato consapevolmente ti dice: “amo un’altra donna, me ne vado di casa” il mondo ti crolla addosso nel vero senso della parola. In tutta la mia vita non ho mai provato un dolore così grande e così lacerante come questo: tutti i miei sogni di famiglia felice, di “amore per sempre” distrutti e calpestati in una frazione di secondo, ma la cosa peggiore è che l’autore di tutto questo è stato l’uomo (e forse lo è ancora) che amo più della mia stessa vita. Per settimane ho pianto tutte le lacrime che avevo, sono arrivata al punto di piangere senza lacrime, sì le avevo finite.
Ma arriva un giorno che devi fare i conti con tutto questo dolore, in qualche modo lo devi “esorcizzare”, non ti può fagocitare, hai una vita meravigliosa da mandare avanti, e aspetta solo te per essere vissuta.
Io da subito ho avuto chiara la scelta di rimanere fedele al mio Sacramento, è stata così forte e così chiara che non ha mai (per ora) vacillato. Per me sono state importanti le parole sentite da un Santo Sacerdote: “Quando celebrate il vostro Sacramento siete sempre in 3: sposo, sposa e Cristo. E anche se entrambi gli sposi vanno in direzioni opposte, Lui resta, resta fedele PER SEMPRE”. Gesù avrebbe potuto scendere dalla Croce, ma non l’ha fatto, ha scelto di morire PER ME, per il mio Matrimonio, per la mia Salvezza, e quindi, chi sono io per scendere dalla mia croce?
Questo non vuol dire che io sono felice di stare sulla croce o che gioisco di questa sofferenza, ma se portata PER Cristo, CON Cristo e IN Cristo davvero la sua promessa del “giogo dolce e il peso leggero” si concretizza. Che cosa voglio dire: nell’ottica della mia resurrezione e della resurrezione del mio matrimonio io sono chiamata a restare su questa croce (STACCE! come dice Costanza Miriano), con i miei limiti, le mie cadute, le mie arrabbiature con Dio (si, cara sorella è “terapeutico” anche arrabbiarsi con Dio).
Il dolore con il tempo cambia colore. La sofferenza rimane, chiaro, ma assume contorni diversi, diventa parte di te, ma no ti sovrasta, non ti “guida”, diventa offerta per gli altri (per la malattia di qualche persona, per i sacerdoti in crisi, per le altre coppie in crisi, per chiunque si affida alla tua preghiera). Il tuo dolore rimane, non te lo toglie nessuno, ma vissuto nella prospettiva della resurrezione (si torniamo sempre lì) anche questa cosa così disumana diventa vivibile.
Ovvio i momenti di sconforto ci sono, sono molti e fanno male e anche dentro di me risuona quel desiderio di “sentirmi amata e rispettata da un uomo” ed è lì e rimane anche quando incontri qualcuno di “interessante”, qualcuno che ti fa dire “però dai, non male questo ragazzo”, ed è lì che inizia la battaglia, il vero discernimento tra ciò che è giusto e sacrosanto (sentirsi amata) e ciò che è bene (amare fino a dare la vita per il mio sposo, anche se lui non mi ama, anzi mi odia con tutto se stesso).
Oggi la strada della fedeltà non è una strada semplice, non è una strada “del mondo”: quante amiche che mi dicono: “ma si sei giovane, trovati un ragazzo che ti ami e che ti rispetti”, ma io in questo non mi ci sento, non mi ci vedo, mi sento di mancarmi di rispetto e se non mi amo e mi rispetto io, come posso pretenderlo dagli altri?
Non ho la ricetta per come rimanere fedeli, io so solo che ogni giorno all’Eucarestia chiedo di rinnovare la mia fedeltà al mio Sacramento, e, per ora, funziona.
Tutto quello che vivo è solo per Grazia di Dio. Io so che Gesù sta soffrendo con e più di me per questa situazione, ma Lui mi ci fa stare perché deve insegnarmi qualcosa, deve guidarmi verso quel progetto meraviglioso che Lui ha su di me e sulla mia vita.
Mio marito tornerà? Nessuno può rispondere a questa domanda. Forse non tornerà mai ma io sento forte che sono chiamata a pregare per lui e per la sua salvezza.
Io non sono una santa, non sono illuminata, sono solo una povera donna peccatrice che vuole fidarsi del suo Signore, di Colui che tutto può.
Grazie
G.M.

Mi strapperei la pelle. Non mi appartiene più.

Un commento ad un mio precedente articolo mi ha colpito dritto al cuore. Parla anche di noi. Anche di noi che siamo lacerate dal desiderio di essere amate da un uomo che ci voglia davvero bene e ci faccia assaporare il calore dell’amore e la volontà di restare fedeli al matrimonio.

Ho contattato l’autrice del commento e le ho chiesto di provare a raccontare le sue emozioni, il suo dolore, le sue difficoltà e la sua fede. Lei lo ha fatto. Condivido la sua lettera perchè penso possa essere utile per riflettere su come sia importante avvicinarsi con tanto rispetto alle persone che vivono situazioni dolorose e di separazione. Che non serve gettare il peso della legge sulle spalle di queste persone, ma bisogna avere la sensibilità e la capacità di portarle e accompagnarle alla verità, di condividere il loro dolore e non farle sentire sole. Solo così potranno trovare la forza di aggrapparsi a Gesù e di accettare il loro martirio.  Sono persone che stanno portando una croce pesantissima e non siamo sicuri che noi stessi, nella medesima situazione, saremmo capaci di fare altrettanto.

Ciao Antonio, ti avevo promesso di scriverti la mia esperienza del matrimonio e di come ci si sente in un incubo quando finisce e soprattutto di come, nonostante la vita vada avanti, ti senti sempre fermo nello stesso punto con mille dubbi, pensieri, desideri, voglia di amare ed essere amati. Ti risparmio gli anni di fidanzamento, diciamo che ci siamo sposati nel 1996, il 27 luglio. Abbiamo detto un si senza costrizioni, credo (almeno da parte mia), ma con qualche restrizione(su questo mi soffermare dopo). Da subito ne fui felice, credevo di essere finalmente libera di ‘amare’ quest’uomo. La routine familiare arriva ben presto, le paure che avevo sentito prima di sposarmi, arrivano subito, però pensando che fosse normale, ho continuato questo cammino. Il nostro matrimonio è durato circa 17 anni, con alti e bassi, mancanze gravi e meno gravi… Ad un certo punto ho capito che la ‘frittata’, era stata fatta, forse lui non era l’uomo giusto per me, ma ormai c”era. Avevo detto “si’, a Dio, e mi dovevo tenere quest’uomo difficile da amare. Senza avere un’idea ben precisa di Dio, mi sono seduta un giorno su una sedia, le mani fra i capelli e Gli ho detto che visto che lo avevo sposato, me lo dovevo tenere e che lo dovevo amare… Per cui, ho chiuso gli occhi, ho mandato via i pensieri strani e mi sono adattata alla situazione. Mi sono adattata così bene che ho amato per due, senza rendermene conto. Tutti ci dicevano che eravamo la coppia più bella del mondo… Abbiamo (ho) superato mille difficoltà, ma il mio impegno non è bastato. Quando la sua nuova compagna è entrata nella sua vita, per me è stato uno sconvolgimento totale. Lui non mi ha dato grosse spiegazioni, ha preso la palla al balzo per rivoltare alcune situazioni, ma è andato via. Lui era un uomo che non sapeva fare sorprese, non era capace di parlare, teneva sempre tutto dentro… Ma la ‘sorpresa’ me l’ha fatta subito, appena è andato via. Li ho cominciato a sentirmi vecchia, brutta, inutile, incapace di amare, impossibilitata ad essere amata, fragile. Piangevo sempre, ero io che lo dovevo lasciare, non lui. Io che avevo preso con serietà il matrimonio e mi ero impegnata ad amarlo. Ho iniziato un cammino con il ‘rinnovamento’, ho messo tutte le mie energie affinché si potesse salvare questo matrimonio, ho cominciato un poco a conoscere Dio, ho iniziato piano piano a vedere le sue meraviglie, ma…

Ma… Dopo circa 4 anni di preghiere intense per il recupero di questo matrimonio, messe quotidiane, lacrime, sorrisi, gioie, ferite… all’improvviso, il dolore per il fallimento del mio matrimonio è sparito. Mio marito non era più il centro della mia attenzione, delle mie preghiere ecc ecc. Ho continuato e continuo a pregare per lui, ma non con la stessa intensità. Credo che se una cosa deve essere lo sarà. E poi non lo sento più mio marito. In questi 4 anni, adesso 5, sono cambiate alcune cose. Ho preso consapevolezza dei miei errori e forse anche dei suoi. Ho chiesto la separazione e adesso siamo in fase di divorzio.

Se qualcuno mi prospetta un suo ritorno, vengo presa dalla sensazione che vorrei strapparmi la pelle di sopra. Non mi appartiene. Credo che mio marito non mi abbia mai ‘amata’ e credo che questo matrimonio sia stato un grosso errore. Però… Che si fa? Qualche sacerdote mi ha detto di intraprendere la strada della nullità ed è quello che sto cercando di fare. Nel mio cuore sento il vuoto, la mancanza, l’abbandono e sento anche il desiderio di essere amata, non da mio marito, ma da qualcuno che mi ‘ami’ davvero, qualcuno che si preoccupi per me, che mi curi, che mi tenga in considerazione per quella che sono… Per cui sento il peso del ‘peccato’ sia se faccio dei semplici pensieri su un uomo (considerando la possibilità di iniziare una storia) sia se per caso me ne innamoro, come è successo. A quel punto entro in un turbine di sensi di colpa che non mi fanno vivere più serenamente. Per cui se non c’è nessuno sto male perché vorrei essere amata, se c’è qualcuno sto male perché non vorrei mancare di rispetto a Dio. Tutto questo mi lacera giorno dopo giorno e se faccio qualche piccolo passo in avanti nel mio cammino, altre volte mi ritrovo persa in queste considerazioni e in questo stati d’animo. Per cui, nonostante le mille gioie, i sorrisi, le belle azioni, le bellissime parole, i dolori sono forti e le lacrime scendono lo stesso.

Anonima

 

La carità non avrà mai fine

Perdonare vuol dire donare qualcosa di sé. Gesù ci perdona sempre. Con la forza del suo perdono, anche noi possiamo perdonare gli altri, se davvero lo vogliamo. Non è quello per cui preghiamo, quando diciamo il Padre nostro? I figli imparano a perdonare quando vedono che i genitori si perdonano tra loro. Se capiamo questo, possiamo apprezzare la grandezza dell’insegnamento di Gesù circa la fedeltà nel matrimonio. Lungi dall’essere un freddo obbligo legale, si tratta soprattutto di una potente promessa della fedeltà di Dio stesso alla sua parola e alla sua grazia senza limiti. Cristo è morto per noi perché noi a nostra volta possiamo perdonarci e riconciliarci gli uni gli altri. In questo modo, come persone e come famiglie, impariamo a comprendere la verità di quelle parole di San Paolo: mentre tutto passa, «la carità non avrà mai fine» (1 Cor 13,8).

Il Papa, ora, si sofferma sul perdono. Altro tema che ho affrontato innumerevoli volte su questo blog. Non mi fermerò quindi sul perdono in sè, ma dirò qualcosa di grande. Parlerò del perdono come profezia dell’amore di Dio che ci è affidata in modo peculiare e specifico in quanto sposi. Il perdono, l’amore che si fa misericordia è la profezia più grande che noi sposi possiamo dare al mondo. La misericordia tra noi è ciò che ci rende profeti. I profeti non erano persone che prevedevano il futuro o che facevano chissà quale magia. I profeti nella cultura e nella religiosità ebraica erano coloro che manifestavano la volontà di Dio. Profezia è una parola derivante dal latino che significa “parlare per”. Nel nostro caso è colui che parla al posto di Dio, che dà voce a Dio. Concretamente è colui che traduce la Parola di Dio in un linguaggio attuale e comprensibile. Noi tutti siamo profeti. Lo siamo in virtù del battesimo. E’ uno dei doni di Gesù. Lo Spirito Santo ci rende profeti. Nel matrimonio questa nostra capacità profetica si traduce, tra le altre cose, nel mostrare l’amore fedele di Dio. L’amore fedele di Gesù che anche sulla croce continua ad amare i suoi carnefici.

Non c’è una situazione più pesante e dolorosa per il cuore di uno sposo o di una sposa dell’essere tradito. Il tradimento è la crocifissione di una persona. Non ho usato questa immagine a caso. Questa situazione ricalca in modo molto aderente quella che è stata la passione e morte di Gesù. La sofferenza più grande per Gesù non è stata la crocifissione fisica, seppur è stata dolorosissima, ma è stata la sofferenza del cuore nel vedere il suo popolo che lo tradiva, nel vedere i suoi apostoli che lo abbandonavano. Ciò che ha profondamente ferito Gesù è stato il vedersi ripudiato. Nonostante questo ha continuato ad amarci. Quando pronuncia quelle parola sulla croce “Perdona loro perchè non sanno quello che fanno”,è l’estremo tentativo che Gesù fa nei confronti del Padre di scusarci fino in fondo, come a dire li amo così tanto che ci passo sopra. Li voglio con me tutti. Questo è l’amore al quale potremmo essere chiamati. Ci sono tante spose e tanti sposi che vivono questo tradimento. Anche se non viviamo queste situazioni sulla nostra pelle, conosciamo certamente persone che vivono queste situazioni drammatiche. Cosa diciamo loro? Usiamo forse le parole del mondo? “Se ti ha fatto questo lascialo, devi rifarti una vita, non puoi restare solo/a devi pensare a te e alla tua felicità”. Noi come cristiani che diversità portiamo? Abbiamo il coraggio di dire: “Guarda, è terribile quello che ti è successo, ma devi confidare che sei sposa/o in Cristo. Gesù non ti abbandona e sei chiamata/o in un modo misterioso a vivere questa tua situazione in modo fedele. Vedrai che se ti aggrappi alla Grazia di Dio, Dio ne trarrà un bene più grande. Che non significa sempre che il coniuge tornerà, ma che in modo conosciuto solo da Dio questo dolore e amore fedele lavora il cuore dell’altro/a, e fosse anche all’ultimo respiro porterà alla conversione e alla salvezza della persona che hai sposato”

Gesù è come uno sposo abbandonato che vede la sua sposa avere una relazione  con un secondo e poi magari con un terzo uomo. Cosa fa Gesù con noi tutti, che siamo la sua sposa infedele? Ci abbandona alla nostra miseria? No, Gesù non ci abbandona, continua ad amarci e tutti gli anni, il giorno dell’anniversario, manda una lettera d’amore alla sposa. Gesù non ha fatto così con ognuno di noi?

Abbiamo il coraggio di dire questo? E ancor prima, ci crediamo a questo?

Mi permetto di fare una piccola critica all’Esortazione Amoris Laetitia. E’ un documento fantastico. Soprattutto nel capitolo quarto dove spiega benissimo le dinamiche dell’amore sponsale. E’, però, mancante di qualcosa. A una giusta attenzione per le situazioni irregolari e di fragilità non è seguito un doveroso riconoscimento a tutti  quegli sposi che nella fatica, nel dolore, nella incomprensione generale e nella solitudine vivono la fedeltà nel ripudio. Quelle persone sono profeti luminosi che dovrebbero essere ringraziati e mostrati al mondo. Stanno mostrando l’amore di Gesù nel momento del sacrificio più alto. Nel momento della croce.

Oggi c’è bisogno di una nuova profezia. Dobbiamo metterci in ascolto e capire. Io penso che ci sia bisogno di sposi santi, che aiutino a riscoprire la bellezza di un progetto che si sta perdendo. Ci si sposa sempre meno, si crede sempre di meno ad un amore fedele e indissolubile. C’è un disincanto che non permette a tante persone di vivere in pienezza la propria vocazione all’amore. Ed ecco che Dio ha bisogno di sposi profeti. Sposi che possano tradurre la Sua Parola e il suo disegno al mondo. Sposi che mostrino la bellezza e la meraviglia di un amore sponsale vissuto in tutta la sua autenticità e radicalità. Nessuno deciderà di sposarsi perché ha sentito una bella predica, ma forse deciderà di farlo se vedrà la gioia di due sposi realizzati.

Antonio e Luisa

Articoli precedenti

Il contrario di famiglia è solitudine 

I santi della porta accanto

Il nostro matrimonio è un tè da gustare

L’abbraccio del perdono

Dammi tre parole

 

L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto.

In quel tempo, Gesù, partito da Cafarnao, si recò nel territorio della Giudea e oltre il Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli l’ammaestrava, come era solito fare.
E avvicinatisi dei farisei, per metterlo alla prova, gli domandarono: «E’ lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?».
Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?».
Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla».
Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma.
Ma all’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina;
per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola.
Sicché non sono più due, ma una sola carne.
L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto».
Rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed egli disse:
«Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei;
se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio».

Il Vangelo che ci presenta la liturgia di venerdì è assolutamente da commentare. Uno delle poche occasioni in cui si affronta il tema matrimoniale. Ed è Gesù stesso a parlare.

I farisei cercano di metterlo alla prova. Cercano di farlo esporre su un tema molto discusso nella società del tempo. Esistevano varie scuole di pensiero. C’era chi ammetteva il ripudio per casi molto gravi e circoscritti e c’era chi lo prevedeva per centinaia di motivi, anche i più futili. C’era qualcuno, molto pochi per la verità, che rifacendosi alle origini non lo prevedeva affatto. Gesù non cade nella trappola. Gesù rilancia con un’altra domanda: Che cosa vi ha ordinato Mosè? Mosè, la legge. Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla – rispondono i farisei. Gesù può adesso dare la stoccata decisiva: Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma all’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina. Gesù cosa vuole affermare con queste parole? Ci vuole rendere consapevoli che l’atto di ripudio era il male minore. Vuole tirar fuori l’ipocrisia del cuore umano. Il vostro cuore era troppo duro – dice. L’atto di ripudio era un modo per arginare il male dell’uomo. Per arginare i danni dell’egoismo umano. Non è un riconoscimento di verità in quel modo di agire. Dovete sapere che una donna cacciata era destinata all’emarginazione sociale e alla povertà assoluta. Poteva sperare di sopravvivere elemosinando o prostituendosi. Nulla di più. Parlo solo di donne perchè era facoltà esclusivamente maschile quella di ripudiare. L’atto di ripudio era quindi fondamentale. Restituiva dignità e giustizia alla donna cacciata. Attraverso l’atto di ripudio la donna era libera e “riabilitata” agli occhi della società. Poteva sperare in un nuovo matrimonio. Capite ora il significato di quello strumento giuridico? Non era un riconoscimento del divorzio come cosa buona, ma un modo per attenuarne gli effetti negativi sulla parte più debole. Gesù a questo punto risponde ai farisei e dice Ma all’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne.

Gesù non parla di leggi. Non dà ragione ad una corrente di pensiero o ad un’altra. Ad un rabbino o ad un altro. Gesù torna alle origini per rispondere. Gesù torna alla creazione, al cuore dell’uomo, a quello che Dio ha pensato per l’uomo prima della caduta e della corruzione del peccato. Gesù vero uomo, oltre che vero Dio, è venuto a riportare la situazione alla verità. Adesso potete capire. Io vi ho mostrato la verità dell’amore.

Solo con Gesù si è raggiunta la pienezza della carità e del perdono misericordioso a cui siamo chiamati. Pienezza delle origini che viene ripresa da Gesù anche per il matrimonio. Gesù, vero uomo e vero Dio, che attraverso il suo esempio, la sua testimonianza, il suo amore e soprattutto la sua forza redentiva scaturita dalla sua passione, morte e resurrezione, sembra dirci: ora non avete più scuse. Non solo ci ha mostrato come si fa, ma ci ha dato anche la forza per farlo. Non si accontenta più dell’atto di ripudio, del divorzio diremmo oggi, ma è morto in croce perchè noi potessimo fare altrettanto, se necessario. Ci ha mostrato la via, che è stretta e a volte dolorosa e ingiusta, ma è la sola via per vivere in modo autentico e pieno, senza accontentarsi di una via di mezzo che è tiepidezza e non sa di nulla. Come Gesù stesso dice, non è venuto ad abolire la legge ma a portarla a compimento. La crisi delle relazioni e dei matrimoni è figlia di una crisi ancora più grande: non riconosciamo più Gesù come Signore della nostra vita.

Giovanni Paolo II durante un’udienza del mercoledì ebbe a dire in una delle sue numerose catechesi sull’amore umano:

Quanto è significativo che Cristo, nella risposta a tutte queste domande, ordini all’uomo di ritornare … alla soglia della sua storia teologica! Gli ordina di mettersi al confine tra l’innocenza-felicità originaria e l’eredità della prima caduta. Non gli vuole forse dire … che la via sulla quale Egli conduce l’uomo, maschio-femmina, nel Sacramento del Matrimonio, cioè la via della”redenzione del corpo”, deve consistere nel ricuperare questa dignità in cui si compie, simultaneamente, il vero significato del corpo umano, il suo significato personale e “di comunione”?

Il Papa ci chiede un cambio di prospettiva. Non chiedetevi, come i farisei, se sia lecito ripudiare la persona che avete sposato. Dovete farvi un’altra domanda. Farla ogni giorno, in ogni momento. Ho fatto di tutto per cercare la comunione con il mio sposo o la mia sposa? Solo così, con la Grazia del sacramento, si potrà tornare all’amore delle origini e alla gioia dell’unione vera dei cuori e dei corpi. Non ci sarà spazio per la divisione e il divorzio.

Antonio e Luisa

L’alfabeto degli sposi. Z come zavorra.

L’ultima lettera. Ho lasciato alla fine uno delle riflessioni più indigeste e più difficili. Dobbiamo impegnarci, con tutta la nostra volontà e determinazione, per combattere i nostri vizi, smussare i nostri spigoli e rompere i legacci del peccato che ancora ci imprigionano e non ci permettono di spalancare il cuore allo Spirito Santo. Dobbiamo gettare le nostre zavorre. Dobbiamo trovare la forza per farlo. Senza un impegno costante a liberarci del vizio il nostro matrimonio parte già fallito Rimanere nel vizio significa appesantire il cuore di macigni che non permettono alla sorgente del nostro amore, lo Spirito Santo, di riempirci e dissetarci. Abbiamo queste pietre più o meno grandi che non vogliamo togliere, ma che ci fanno male e rendono tutto più difficile. Ognuno ha le sue. Pornografia, gioco, prostituzione e adulterio. Voglio concentrarmi su questi quattro nemici mortali del matrimonio. Ce ne sono anche altri, ma in questo momento storico questi sono i più comuni. Già! Comuni, perchè riguardano un numero enorme di persone e tra queste anche, per forza di cose, tante persone sposate. Non sto parlando di casi rari, ma di comportamenti diffusi. In Italia i consumatori abituali di contenuti a luci rosse (foto e video) sono non meno di 7 milioni. Sono 17 milioni gli italiani che hanno giocato almeno una volta alle slot (fonte: Cnr) e 2,5 milioni i giocatori abituali e, dunque, a rischio dipendenza (anche se appena 7 mila sono in cura presso le Asl). 45%. È questa la percentuale di italiani, sposati o in coppia, che ha dichiarato di aver tradito il partner ufficiale almeno una volta. Percentuale che risulta essere la più alta d’Europa. Lo dichiarano i dati raccolti da un sondaggio IFOP (Istituto francese di opinione pubblica), commissionato qualche mese fa da Gleeden su scala europea.Nove milioni sono i clienti che comprano sesso, con un giro d’affari di 90 milioni di euro al mese Pensiamo che queste cose debbano succedere solo agli altri. La verità è che ci sono dentro tantissime famiglie. Una piaga che distrugge non solo il sacramento, ma anche la dignità, l’integrità e la speranza delle persone. Quanti ci sono dentro? Quanti vivono questi drammi? Milioni di persone. Milioni di sposi, che magari hanno una vita apparentemente impeccabile e dentro hanno un cuore incancrenito dal peccato. Spesso neanche il coniuge sa fino in fondo. Perchè ho scelto questa riflessione? Potevo scrivere qualcosa di meno forte. Perchè è adesso il momento di smettere. Non è troppo tardi, ma ogni giorno che passa la guarigione sarà sempre più difficile. La strada possibile è solo quella di un apertura con il coniuge in un dialogo sincero. Solo così, umiliandosi, chiedendo aiuto, e facendosi aiutare, condividendo la difficoltà e la sofferenza con chi hai sposato e, se necessario, affrontando un percorso di cura e di guarigione con una figura professionale adeguata, potrai espellere il veleno dal tuo cuore e tornare a vivere. Non solo serve anche che il coniuge sappia accogliere queste grandi fragilità dell’amato/a senza giudicare, ma con lo sguardo stesso di Cristo che compatisce, patisce con. Così si potrà trovare nell’unità e nell’unione la forza per venirne fuori, insieme, con la Grazia di Cristo.  La forza va trovata, infatti, per noi sposi cristiani, nella Grazia del nostro matrimonio, nella nostra relazione sponsale che è nostra forza.

Vi lascio con una testimonianza di Luca Marelli, sposo e padre, che ha vissuto l’esperienza della dipendenza dalla pornografia, del recupero e guarigione  ed ora si spende per aiutare chi è imprigionato e logorato da questa vera piaga che distrugge, nel silenzio generale, persone e matrimoni. Insieme ad altri amici ha fondato l’associazione PURIdiCUORE e gira l’Italia promuovendo conferenze e percorsi di guarigione. Ho avuto modo si scambiare qualche messaggio con lui e ho trovato il loro lavoro molto interessante ed utile.

Vi lascio il link del sito della sua associazione www.puridicuore.it

Antonio e Luisa

Il divorzio uccide anche i frutti.

Ieri a Latina l’ennesimo dramma familiare finito in tragedia. Non voglio parlare di femminicidio o dell’uomo cattivo. Non sono nè competente nè informato. Lascio ad altri i commenti. Voglio soffermarmi su un mio pensiero che da ieri mi provoca tristezza ed amarezza. Perchè ha ucciso le figlie? Come può un padre arrivare a tanto. Nella sua testa malata il nemico era la moglie. Perchè allora uccidere le figlie. Non so se sia corretto quanto sto per scrivere. Credo, però, che almeno in parte lo sia. Vedeva in loro il frutto dell’amore, della relazione con sua moglie. Amore malato, amore frainteso, certo, ma non cambia questa consapevolezza naturale. Il figlio è frutto di una relazione d’amore. Sono sicuro che nella testa malata di quell’uomo si era insinuata l’idea che se davvero era morta la sua relazione ne dovevano morire anche i frutti. Non doveva restare nulla. Questo mi permette di ribaltare la riflessione. Mia moglie, nella sua esperienza di insegnamento nelle scuole medie, constata e sperimenta come i ragazzi siano sempre più ingestibili. Solitamente quelli più disturbati sono figli di separati. E’ naturale che sia così. Inutile raccontarsi che il divorzio, se vissuto in modo pacifico e apparentemente amichevole, non lascia strascichi. Probabilmente ne lascia meno, ma è comunque una ferita profonda di cui i figli devono farsi carico. Il divorzio breve proposto dal nostro ultimo governo non può essere la soluzione. Servono strutture e competenze che si mettano al servizio delle coppie sofferenti. Serve una società che promuova il matrimonio come unione stabile (almeno questo) come prima cellula della nostra società e dove far crescere serenamente i futuri cittadini. La Chiesa fa la sua parte, ma non basta. Serve l’impegno di tutte le componenti sociali. Invece la coppia si trova spesso sola. Amici e parenti consigliano la separazione. Così, coppie che con un percorso di ricostruzione e di guarigione potrebbero, senza neanche troppa fatica, ritrovare intimità e comunione, si separano. Ognuno per la sua strada. I figli che perdono le sicurezze e il nutrimento indispensabile per una crescita serena e armoniosa. Inutile far finta che non sia così. I figli sono frutto di una relazione. Avete notato cosa succede quando i nostri figli piccoli vedono noi genitori che ci vogliamo bene? E’ qualcosa di facilmente verificabile. I bambini quando vedono mamma e papà che si abbracciano e che si baciano sono felici. Non solo, spesso si avvicinano, perchè vogliono entrare in quell’abbraccio, farne parte e farsi coccolare in quel luogo sacro che è lo spazio contenuto nell’abbraccio, in cui l’amore si manifesta e si rende visibile, in cui l’unione dei cuori di papà e mamma e chiaramente percepibile, ancor di più dallo spirito puro di un bambino. I nostri figli hanno bisogno di vedere il nostro amore reciproco perchè loro sono frutto di quell’amore, e finchè quell’amore c’è ed è buono e da gioia, anche loro si sentono sicuri, sentono di essere desiderati ed amati. I bambini sono l’amore degli sposi che diventa carne. Sono il frutto di quella relazione d’amore e di quel vincolo sponsale. I bambini si nutrono dell’amore di papà e mamma. Questo è il motivo che rende il lettone di papà e mamma tanto ambito ai bambini, non vedono l’ora di entrarci (mi raccomando lasciateli fuori). Perchè quello è il luogo dell’unità dove papà e mamma sono uno e loro lo sanno e vogliono farne parte, si sentono sicuri e protetti. Fateci caso, si mettono sempre al centro, come a volersi abbandonare a quell’amore e a quel calore che percepiscono nel bene che papà e mamma si vogliono. Quando una relazione finisce, muore ed è considerata cattiva, anche loro si sentono allo stesso modo. Si sentono finiti, morti e cattivi. Il Papa nel 2015 ha espresso benissimo questa realtà durante l’udienza del 24 giugno:

Marito e moglie sono una sola carne. Ma le loro creature sono carne della loro carne. Se pensiamo alla durezza con cui Gesù ammonisce gli adulti a non scandalizzare i piccoli – abbiamo sentito il passo del Vangelo – (cfr Mt 18,6), possiamo comprendere meglio anche la sua parola sulla grave responsabilità di custodire il legame coniugale che dà inizio alla famiglia umana (cfr Mt 19,6-9). Quando l’uomo e la donna sono diventati una sola carne, tutte le ferite e tutti gli abbandoni del papà e della mamma incidono nella carne viva dei figli.

Terribile! Quando l’uomo e la donna sono diventati una sola carne, tutte le ferite e tutti gli abbandoni del papà e della mamma incidono nella carne viva dei figli.

Per questo bisognerebbe considerare con più gratitudine l’impegno di quei genitori abbandonati che continuano a restare fedeli alla loro vocazione e alla loro relazione. I figli di quelle persone, pur non essendone consapevoli e senza darlo a vedere, si sentono profondamente amati, vedendo come almeno uno dei genitori continui a credere anche nella sofferenza in quella relazione che li ha generati.

Antonio e Luisa

Amare è un’altra cosa: come?

Non ti amo più è l’affermazione più comune e più ordinaria che viene fatta quando, uno dei due, nella coppia, uomo o donna, decide di abbandonare il campo.

La frase esatta è “io non amo più te”.

Passo indietro.

Giorno del Sacramento del matrimonio.

“Io Adamo accolgo te Eva come mia sposa e, con la grazia di Cristo, prometto di…..

“Io Eva accolgo te Adamo come mio sposo e, con la grazia di Cristo, prometto di…..

Non osi SEPARARE l’uomo ciò che Dio ha UNITO.

Giorni prima del Sacramento del matrimonio:

Guai a chi si permette di affermare che non siamo ancora pronti, che siamo immaturi, che dobbiamo vivere nella verità perché noi sappiamo benissimo chi siamo, cosa vogliamo, come ci ameremo. Noi staremo insieme per sempre!

 

Giorni dopo il Sacramento del matrimonio:

Guai a chi si permette di affermare che dobbiamo rimanere insieme per un “per sempre”, che siamo dono reciproco, che l’amore non è l’innamoramento, che c’è tempo per maturare insieme, che i figli soffriranno eccetera, perché noi sappiamo benissimo ciò che egoisticamente è giusto, del resto, IO NON AMO PIÙ TE!

Tra il giorno prima del matrimonio e il giorno dopo passa un tempo variabile di sentimenti alternanti che può durare anche molti anni. Noi ad esempio abbiamo vissuto 10 anni nella non felicità della vita di coppia.

Sapete perché tutta l’umanità ad un certo punto afferma verso l’altro “io non ti amo più”?

Ascoltiamo questa parola:

12Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. 13Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. 14Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando.”(GV 15,12-14)

Questa amorevole parola di Gesù ci chiede di amarci come LUI ci ha amati. Cioè non ci da una indicazione diversa o peculiare alle nostre modalità o diversità ma, esattamente dice di amarci nel modo in cui ci ha amati Lui, Gesù. Addirittura ce lo pone come un comando. Il comando per Dio è una legge d’amore che designa per noi il massimo del benessere. È come se ci dicesse: “sei stanco? Stenditi comodamente in un letto e riposati per tutto il tempo che ti occorre”…..cioè, stai bene!

Come ci ha amato Gesù? Lo spiega esattamente di seguito dicendo che consiste nel dare la vita per gli amici, indi, per la moglie, il marito, i figli, i genitori, i colleghi, i suoceri, i fratelli nella carne e nella fede e, come vedremo persino per i nemici.

E che significa dare la vita?

Significa propriamente mettere il dono più importante che abbiamo ricevuto, cioè l’esistenza, nella morte altrui.

Dare la vita non vuol dire morire o crepare ma dare, consegnare, riempire, donare a chi non ha una vitalità che riempia la sua morte interiore e faccia rinascere la stasi totale dell’altro. Ti faccio un esempio. Hai mai visto il recupero di un uomo in mare che stava affogando? Cosa facciamo appena viene recuperato? A dispetto di ogni ribrezzo cercheremo di ridare vita e faremo, anche se non medici, la respirazione bocca a bocca.

Questo è dare la vita per l’altro, cioè mettere a disposizione tutto te stesso per chi hai di fronte. Non sai se riuscirai a salvarlo ma tu tenterai sino alla fine, dando tutto il fiato che possiedi per riempire i polmoni di un tuo amico. Perché anche se non lo conosci non puoi ignorarlo, è un tuo fratello, figlio dello stesso Padre, ha un cuore come te!

Allora capisci che trappola è nascosta nella frase “non ti amo più”?

La trappola è che, quando crediamo di non amare l’altro è perché siamo entrati nella condizione di morte in quanto, stanchi di dare la vita, atterriti, imprigionati.

Infatti la parola AMORE nella sua radice latina di A-MORS significa SENZA MORTE, cioè VITA proprio perché l’amore è donare vita.

Dunque dire non ti amo più significa affermare di non volerti più dare vita.

Come combattere quindi la vocina interiore che mi dice : io non ti amo più?

La combatto con la contro vocina che mi dice: guarda che tu non sei capace di amare nessuno…..a meno che non ti metti in testa che puoi amare solo come IO TI HO AMATO.

Come ti ho amato figlio mio? Con i chiodi e il martello. Ti ho amato così, senza riserve, sono risorto per te.

Amare è un’altra cosa rispetto alla tua capacità pensante. Fosse per te potresti amare tantissimi e nessuno, ma per amare la tua scelta, cioè colei o colui per cui dicesti il tuo SI, occorre che prendi il martello e inchiodi il tuo “come”. Cioè, puoi amare l’altro non COME tu lo ami ma COME Gesù ama te ed ama lei o lui.

Ricordi quel “con la grazia di Cristo” il giorno delle nozze per cui hai detto si?

Eccomi, sono GRATIS. Io amo “gratis”!!!

Amico mio che leggi, se sostituisci il soggetto del COME sarai capace di sprofondare in un’Amore così immergente, dilatante e vero da non riconoscerti più!

Quel “come” ti farà conoscere un amore che forse non avevi mai sperimentato perché ti sei sempre fermato al modo con cui sei stato amato dalle persone, da tua mamma, da tuo papà, dai fratelli, dagli amici, da tutti.

Hai mai sperimentato come ti ama Dio? Provaci!

Ama come Lui ti ama e il tuo oggi sarà colmo di gioia.

Cristina Righi

L’ultimo abbraccio

Stavo scorrendo con il dito lo schermo del mio smartphone. Stavo scorrendo i post di facebook quando l’algoritmo della app mi fa un bel regalo. Mi tira fuori, dalle migliaia di post che ho pubblicato in questi anni di relazioni social, un video che pubblicai nel 2016. Un video di cui avevo perso memoria. L’ho riguardato con interesse. L’interesse ha lasciato posto alla commozione. Anche Luisa, che nel frattempo si era avvicinata, è restata affascinata dalla semplicità del messaggio che rivela la bellezza dell’amore. Una bellezza fragile. Come un fiore può appassire senza che ce ne si renda neanche conto. Un fiore che senza acqua è destinato a morire nel giro di qualche giorno. Così un matrimonio che non è bagnato dall’acqua della tenerezza è destinato a seccare. Il matrimonio, però ha sempre un’altra possibilità, non muore mai del tutto. Si può sempre ricostruire. C’è la possibilità di ricominciare a bagnare il terreno del nostro amore con un abbraccio. Basta un abbraccio per risvegliare quel germe di vita che sopito e nascosto sembrava ormai perduto per sempre. Questo video è un bel video. Una pubblicità progresso, diremmo in Italia, pensata e distribuita dal governo cinese. Anche in Cina fanno cose buone. La Cina è piagata dal divorzio. Ci sono costi sociali enormi dovuti alle separazioni. Pensate che, secondo le statistiche del 2014, i divorzi in Cina sono stati circa tre milioni. Lo scrivo in numero per rendere meglio l’idea. In Cina i divorzi sono stati 3.000.000. Una cifra enorme. Spesso, come ho già spiegato in un articolo di alcuni giorni fa, questi divorzi non sono causati da gravi fratture e tradimenti. Spesso ci si perde di vista. Non si dialoga più davvero. Ci si scambiano informazioni sull’organizzazione della famiglia, ma nulla di più. Persi in mille impegni e mille attività che interessano più che trovare tempo per nutrire quell’amore che è l’unica cosa che davvero conta. Lo sapevate che sono in forte aumento i divorzi maturi? Quelli di matrimoni che hanno anche vent’anni o più di vita comune. I figli crescono e ci si ritrova soli. Soli e sconosciuti. Già, perchè le persone in vent’anni cambiano. Non solo nel fisico. D’improvviso si guarda l’altro e non lo si riconosce più. Abbracciatevi finchè siete in tempo. Io non perdo occasione per farlo. Abbracciarsi è bello. Basta un abbraccio per ricominciare. L’abbraccio può rassicurare, perdonare, trasmettere amore e tenerezza. L’abbraccio è vicinanza, intimità e unione. L’abbraccio è togliere ogni difesa e barriera, eliminare quei confini che ci separano dall’altro per farlo entrare in noi, nel nostro spazio.

Basta chiacchiere vi lascio al video.

 

Antonio e Luisa

Fireproof. Un film molto istruttivo

Fireproof. La prova del fuoco. Si perché a volte il matrimonio diventa un incendio dove, se non si è pronti ad intervenire, se non si fa squadra con il compagno, c’è il rischio concreto di mandare tutto in fumo. Di bruciare la nostra relazione, la nostra unione, la nostra vocazione, la nostra famiglia. In una parola: la nostra vita.

Torniamo al film. Per chi non lo conosce, è un film americano del 2008. Un film cristiano, non cattolico. Il protagonista è un pastore battista. La trama si snoda intorno alla vita matrimoniale dei due protagonisti. Caleb, comandante dei vigili del fuoco. Catherine, cura le pubbliche relazioni dell’ospedale della città. Presi dai rispettivi lavori si perdono. Non hanno più quella intimità, quella complicità, quello sguardo, quella tenerezza che rende vivo e bello un matrimonio. Ognuno è incentrato sulla propria vita e vede nell’altro solo le mancanze. La loro vita insieme diventa un inferno di recriminazioni e litigi e un deserto sentimentale e sessuale. Lui è scivolato nella pornografia on line. La pornografia succhia energie, tempo e interesse alla coppia. Non è qualcosa di innocuo, distrugge la coppia per tante ragioni che in un altro articolo prenderemo in considerazione. La frase più brutale detta da lei su questo vizio del marito esprime tutta la sofferenza, l’umiliazine, lo scoraggiamento che colpisce una donna quando scopre che il marito fruisce di contenuti pornografici. Catherine dice: “Da quando non gli sono bastata più io?”. E’ una frase terribile detta da una moglie. Sembra tutto perso. Tanto che anche lei trova nelle attenzioni di un medico dell’ospedale dove lavora quello che non riceveva più dal marito e desiderava nel cuore. Prima del tracollo interviene il padre di Caleb che chiede al figlio un ultimo tentativo prima di arrendersi alla separazione. Attraverso un diario Caleb deve mettere in atto ogni giorno un’azione verso la moglie. Naturalmente la moglie non crede a questi gesti e tratta il marito con indifferenza e freddezza. Lui non molla e alla fine riesce a riconquistare l’amore perduto. Vediamo ora quali sono i verbi che hanno permesso a Caleb di ricostruire un matrimonio che sembrava ormai morto.

SPOSTARE

Caleb riesce, con impegno e determinazione, a spostare il centro del suo sguardo, del suo interesse. Capisce che la priorità non sono i suoi desideri, i suoi pensieri e le sue aspirazioni. Il centro deve essere volere la felicità del coniuge e fare di tutto per ottenerla. Anche rinunciare a qualcosa per sè. Rinunciare all’orgoglio è la cosa più difficile.

NUTRIRE

Si sono persi perchè non hanno nutrito il loro rapporto di tenerezza e cura reciproca. La loro relazione come una pianta senza acqua è seccata. Caleb, con tanta difficoltà, riesce a ricostruire questa modalità di essere coppia. Riescono ancora a guardarsi con gli occhi di chi ama ed è amato. Il cuore di pietra grazie alla tenerezza, linguaggio d’amore imprescindibile torna a battere e ad essere di carne.

FARE SQUADRA

Tutto il film ruota attorno al lavoro di Caleb. Un lavoro dove il gioco di squadra è determinate e può fare la differenza tra la vita e la morte. Così è per il matrimonio. Bisogna saper condividere gioie, sofferenze e dolori. In una scena del film un amico di Caleb dice: “Ci si sposa promettendo fedeltà e amore nella buona e cattiva sorte, ma in realtà si intende solo nella buona”. Se non c’è la volontà di entrambi di superare la crisi non c’è possibilità che la relazione sopravviva.

TAGLIARE

Tagliare con i nostri vizi è fondamentale. Caleb per riconquistare Catherine lotta con determinazione per uscire dalla dipendenza della pornografia. La tentazione è lacerante. Arriva a distruggere il PC con una mazza da baseball.

PERDONARE

Questo verbo l’ho indicato per ultimo, ma è forse il più importante. Se non ci perdoniamo non si può ricominciare. Il perdono trasforma una crisi in un’occasione che fortifica e accresce l’amore.

Antonio e Luisa

 

 

 

La Grazia non è magia.

Perchè tanti divorzi e separazioni anche tra chi si sposa in Chiesa davanti a Gesù? Il Papa ci ha ricordato come tanti matrimoni siano in realtà nulli, ma è solo questo? Perchè la Grazia di Dio non ci salva da noi stessi e dai nostri errori? La Grazia non è una magia. Lo Spirito Santo per poter entrare in noi e cambiare le nostre debolezze e fragilità ha bisogno di noi. Lo Spirito Santo ha bisogno che  noi apriamo il nostro cuore alla Sua azione. Dobbiamo volere che Gesù abiti in noi e nella nostra unione. Il sacramento del matrimonio non ci assicura nulla senza il nostro impegno. Il sacramento del matrimonio è come una fonte di acqua pura che disseta ma se noi abbiamo un bicchiere bucato non riusciremo nè a bere nè a dissetarci. Questo è il nostro cuore, che se reso bucato dal peccato e dal nostro egoismo, non riuscirà a riempirsi di Dio. Diventa così tutto un’illusione e se le cose non vanno ce la prendiamo con Dio che non ci ha preservato dal fallimento.  Mi viene in mente un’affermazione di Tarcisio Mezzetti, una persona di Dio che si è spesa fino alla fine per fidanzati e sposi. Tarciso, sulla base di una ricerca statistica americana, aveva evidenziato come un matrimonio su tre finiva in divorzio (questo alcuni anni fa, oggi è ancora peggio). L’incidenza scendeva a uno su cinquanta se il matrimonio era stato celebrato in Chiesa e se la coppia partecipava regolarmente alla Santa Messa. La statistica sorprendentemente mostrava come l’incidenza crollava vertiginosamente quando la coppia oltre a essersi sposata in chiesa e partecipare alla Messa, pregava regolarmente unita. L’incidenza in questo caso scendeva a addirittura uno su millecento. Incredibile?

No non è incredibile. Semplicemente la coppia ha tenuto fede alla sua promessa matrimoniale, non escludendo Cristo dalla propria vita e dalle proprie scelte. Sempre qualche mese fa, lessi su un sito cattolico la storia di Siroki­Brijeg. Siroki­Brijeg è una città bosniaca di alcune migliaia di persone dove non si sono verificati mai divorzi. Sembra che la motivazione di questo incredibile risultato sia nella fede dei suoi abitanti e nel rito del matrimonio che la chiesa locale segue.

Quando i fidanzati vanno in chiesa per sposarsi, portano con sé un crocifisso. Il sacerdote lo benedice, e invece di dire che i fidanzati hanno trovato il partner ideale con cui condivideranno la vita dice: “Avete trovato la sua croce! È una croce da amare, da prendere su di voi. Una croce che non è da scartare, ma da custodire nel cuore”.

Quando la coppia pronuncia i voti matrimoniali, la sposa mette la mano destra sul crocifisso, e lo sposo la mano destra sopra quella di lei. Sono uniti tra sé e uniti alla croce. Il sacerdote copre le mani degli sposi con la stola, mentre loro promettono di amarsi a vicenda nella gioia e nel dolore, proclamando fedelmente i propri voti in base ai riti della Chiesa.

Poi i due baciano la croce. Se uno abbandona l’altro, abbandona Cristo sulla croce. Perde Gesù! Dopo la cerimonia, i neosposi attraversano la porta di casa per collocare il crocifisso in un posto d’onore. Diventa il punto di riferimento della loro vita, e il luogo di preghiera della famiglia. La giovane coppia crede fermamente che la famiglia nasca dalla croce.

Nei momenti di difficoltà e incomprensione, che sorgono in tutti i rapporti umani, non si ricorre non all’avvocato, al terapeuta o all’astrologo, ma alla croce. Gli sposi si inginocchiano, piangono lacrime di pentimento e aprono il proprio cuore, chiedendo la forza di perdonarsi a vicenda e implorando l’aiuto del Signore. Queste pratiche pie sono state imparate fin dall’infanzia.

Ai bambini viene infatti insegnato a baciare con reverenza il crocifisso tutti i giorni e a ringraziare il Signore per la giornata trascorsa prima di andare a letto. I bambini vanno a dormire sapendo che Gesù li tiene tra le braccia e che non c’è nulla da temere. Le loro paure e le loro differenze scompaiono quando baciano Gesù sulla croce.

Termino con un insegnamento di don Dino Foglio, tra i fondatori del Rinnovamento nello Spirito in Italia e sacerdote che abbiamo avuto la fortuna di incontrare e ascoltare per alcuni anni:

Con la sola volontà non si fa nulla. con la sola Grazia non si fa nulla, con la volontà e la Grazia si fa tutto.

Se il nostro matrimonio è in crisi o siamo noi ad essere in crisi, non accusiamo Dio ma cerchiamo di capire come aprire il nostro cuore alla Sua Grazia.

Antonio e Luisa

Separazioni, divorzi, crisi familiari: amare è una forma di preghiera.

Le ultime riflessioni dalla trincea separazioni e divorzi sono, innanzitutto, che siamo sempre più fragili.

Se dovesse arrivare veramente l’ISIS, o chiunque l’altro, sarà sufficiente una piccola spintarella per farci cadere e andare completamente in frantumi. Magari, addirittura, non sarà nemmeno necessario, nel frattempo saremo caduti da soli.

Parliamo di noi stessi come di una civiltà e dei musulmani come di «incivili», mentre la realtà è – tutto all’opposto – che qui da noi ormai non c’è più nessuna civiltà (a meno di non ritenere segni di civiltà, ad esempio, le leggi europee sull’obbligo di mettere il cartello «toilette» sui bagni), ma solo una mandria di vacche, mentre quella islamica, per quanto da molti non condivisibile, è una vera civiltà, intesa come comunità osservante con profonda convinzione un nucleo fondamentale di regole comuni.

La mancanza di cose davvero serie e gravi da affrontare ci ha fragilizzato, ha determinato la venuta di una generazione debolissima, inadeguata ad affrontare la vita o anche solo a capirne il senso e, di conseguenza, a darsi significato, che è una cosa, per l’essere umano, irrinunciabile.

Nel grande libro magico, c’è scritta una cosa assolutamente fondamentale che oggigiorno non segue quasi più nessuno: «Per questo l’uomo abbandona suo padre e sua madre e si unisce alla sua donna e i due diventano una sola carne» (Genesi 2, 24).

Il punto irrinunciabile è dunque abbandonare la famiglia di origine, lasciare madre e padre e capire che la famiglia, dopo il matrimonio o la formazione della convivenza, è quella con il coniuge. Prendere questo estraneo, che è il partner, è diventare più che un parente di sangue con lui («una sola carne»).

I miei amici atei sostengono simpaticamente che la bibbia sarebbe solo un testo compilato da pastori ignoranti 8.000 anni fa, in realtà, se così fosse, a quei pastori andrebbe dato atto di aver capito, da ignoranti e 8 secoli fa, una cosa fondamentale, che oggi, che siamo tanto evoluti, non siamo più in grado di comprendere nè, tantomeno, interiorizzare. Quei pastori analfabeti erano molto più saggi dell’uomo occidentale medio, formato da anni di scuola, contemporaneo.

Ma torniamo al punto: abbandonare il padre e la madre. È vero, i nostri genitori ci hanno amato tantissimo, in modo assoluto, ma, per qualche strano mistero, non è a loro che dobbiamo restituire questo debito, bensì ai nostri figli, dando lo stesso amore. Senza esagerare, peraltro, chè se li amiamo troppo finiamo, anche noi, per rovinarli. Forse questo è il motivo per cui chi sceglie di non avere figli finisce poi per riempirsi la casa di gatti, o per prendere un cane e mettergli il cappottino. È per questo che la vita si vive all’avanti, senza guardarsi mai indietro, se non vogliamo diventare statue di sale come la moglie di Lot.

Il secondo punto è che amare davvero è qualcosa per la gente con le palle e purtroppo oggi ce ne sono davvero poche.

Amare non è affatto un rapporto sinallagmatico, io ti amo se tu mi ami, amare è una scelta, una promessa, un qualcosa che ha a che fare con il trascendente e ci mette in contatto con esso. Come ha detto Guillaumet, qualcosa che solo l’uomo può fare, perché l’uomo è a immagine e somiglianza di Dio. Amare davvero è sicuramente una forma di preghiera, per lo più quotidiana, costante, dolce e vera. Non è per le cose e le persone del mondo che si ama, ma per qualcosa di superiore.

Invece è lunghissima la teoria di gente che mi trovo davanti tutti i giorni che si lamenta del coniuge, perché ha fatto, o non fatto, questa o quell’altra cosa. Il fatto è che per amare non dobbiamo dipendere da nessuno fuorché da noi stessi, o da Dio per chi crede: se vogliamo amiamo, decidiamo di amare, altrimenti pace, vaffanculo, basta, evidentemente non è una cosa per noi, siamo negati, meglio lasciar perdere.

Tutti sono capaci di amare chi li ricambia, tutti. Chi ama davvero prescinde da queste cose, chi è cristiano addirittura deve essere capace di amare il suo nemico; e notare che, tra i propri nemici, spesso bisogna annoverare noi stessi, per cui anche su questo il cristianesimo vince a mani basse.

Un qualche genio ha detto che saremo giudicati per come trattiamo gli animali. Posso dire che lo saremo anche per come trattiamo il nostro coniuge, o compagno, colui che abbiamo promesso di amare, la persona che ci è stata messa accanto nella vita, quella speciale, che può essere solo una, non possono essere né due, né tantomeno tre o quattro o oltre?

E poi basta pensare solo al giudizio o al regno dei cieli. Fare certe cose, fare la cosa giusta, è un piacere e una realizzazione già qui, sulla terra, è ciò che ci dà quel significato di cui oggi abbiamo disperato bisogno, che mendichiamo in continuazione ma che ricerchiamo in cose che non ce lo possono dare, come gli oggetti, come certe ideologie assolutamente demenziali e contrarie alla nostra natura, nelle quali tuttavia ci spertichiamo per credere e alle quali siamo istericamente attaccati.

C’è un piacere squisito nel fare quello che crediamo giusto, piuttosto che quello che ci piacerebbe fare secondo gli istinti, o che sarebbe più comodo e conveniente. È il piacere di chi si vuole bene e dà significato a sé stesso, accettando la sofferenza che serve a qualcosa e dimostrando a sé stesso che vale, che è qualcosa di diverso da una bestia; o, detto in altri termini, non è il solito povero coglione che va dove lo porta il suo cuore (salvo aver regolarmente bisogno, poco dopo, che il suo cervello lo vada a riprendere).

Amare è una scelta assoluta e senza compromessi. Non è possibile giustificarsi dicendo cose come «No, ma perché lei, quando io sono stato ammalato, non è andata nemmeno a prendermi la Tachipirina!». Se facciamo così, subordiniamo noi stessi, la nostra identità e il nostro significato a delle cazzate, ma soprattutto finiamo per rendere la nostra stessa vita una cazzata. Potete dire quel che volete, ma è così.

Non è giusto nemmeno dire «Io ho le mie colpe, ma anche lei/lui…». Va bene solo, ed esclusivamente, la prima parte: occupiamoci delle nostre colpe e lavoriamo su noi stessi. Se vogliamo convincere il nostro coniuge, continuiamo a guardare nella direzione che desideriamo, ma non facciamo altro. Quanto agli altri, infatti, dovranno essere loro ad occuparsi delle proprie eventuali colpe, sono cazzi loro.

Dio non ama e non aiuta chi si lamenta, questa è un’altra cosa che la nostra generazione di immaturi, abituati a lamentarsi per invocare l’aiuto di mamma, papà e, spesso, del coniuge – coniuge che nell’immaginario malato di molti li deve sostituire -, non capirà se non in rari casi e difficilmente.

Dio aiuta chi si aiuta da solo e per primo, secondo il noto, e verissimo, adagio. Ma anche secondo il Vangelo: a chi ha sarà dato, a chi non ha sarà tolto anche quel poco che ha (in questo passo c’è la chiave della vita, ci torneremo sopra).

Una volta che si sceglie di amare, comunque, bisogna farlo per sempre e fino in fondo a prescindere da quel che si riceve indietro, dalla meritevolezza dell’altro. Basta metterci sempre al centro, basta dire «Io», io ho fatto questo e quell’altro e anche lei o lui ha sbagliato. Ovviamente anche lei o lui ha sbagliato, grazie al cazzo, tutti sbagliano, non è questo il punto, il punto sono le palle che hai tu o non hai.

Le tue palle dipendono solo da te stesso, mai da nessun altro.

Non aspettate nessun altro per essere come vi sembra giusto, altrimenti la vostra vita sarà solo una processione di giustificazioni, intervallata da lamentele.

Tiziano Solignani (Avvocato)

 

Articolo tratto dal suo blog

Il figlio: il nostro amore che diventa carne.

Avete notato cosa succede quando i nostri figli piccoli vedono noi genitori che ci vogliamo bene? E’ qualcosa di facilmente verificabile. I bambini quando vedono mamma e papà che si abbracciano e che si baciano sono felici. Non solo, spesso si avvicinano, perchè vogliono entrare in quell’abbraccio, farne parte e farsi coccolare in quel luogo sacro che è lo spazio contenuto nell’abbraccio, in cui l’amore si manifesta e si rende visibile, in cui l’unione dei cuori di papà e mamma e chiaramente percepibile, ancor di più dallo spirito puro di un bambino. I nostri figli hanno bisogno di vedere il nostro amore reciproco perchè loro sono frutto di quell’amore, e finchè quell’amore c’è ed è buono e da gioia, anche loro si sentono sicuri, sentono di essere desiderati ed amati. I bambini sono l’amore degli sposi che diventa carne. Sono il frutto di quella relazione d’amore e di quel vincolo sponsale. I bambini si nutrono dell’amore di papà e mamma. Questo è il motivo che rende il lettone di papà e mamma tanto ambito ai bambini, non vedono l’ora di entrarci (mi raccomando lasciateli fuori). Perchè quello è il luogo dell’unità dove papà e mamma sono uno e loro lo sanno e vogliono farne parte, si sentono sicuri e protetti. Fateci caso, si mettono sempre al centro, come a volersi abbandonare a quell’amore e a quel calore che percepisce nel bene che papà e mamma si vogliono.

Cosa succede quando la relazione dei genitori si rompe? I bambini si sentono persi e vedono crollare le loro sicurezze e il loro mondo,  perchè l’amore che li ha generati non è più una cosa buona. Di seguito una lettera molto bella dove un figlio scrive ai genitori divorziati. Da meditare.

Cari mamma e papà so che state soffrendo, sto soffrendo anche io.

Mi sento coinvolto nelle vostre attenzioni, paure e shock.

Anche se sono giovane e non riesco a parlare di quello che succede nelle vostre vite, ne risento ugualmente. Il mio cuore si spezza tutte le volte che devo rinunciare a stare con uno di voi. Ho perso la mia sicurezza.

Non date per scontato che io sia forte, non date per scontato che la mia vita sarà esattamente come prima, che continuerò a sentirmi ugualmente amato da entrambi. Sono un essere umano come voi, i miei bisogni sono come i vostri. Ho bisogno di amore, attenzione, cura, stabilità, coerenza, affetto, comprensione, pazienza e soprattutto di sentirmi desiderato.

Quando litigate su di me, o mi mettete al centro delle vostre discussioni, mi comunicate il messaggio che vincere sull’altro sia più importante della mia vita. Imparo da voi che aver ragione è più importante di amare ed essere amato. Imparo da voi che sono venuto da una persona che era poco amabile e sbagliata, e che, in qualche modo, sono sbagliato anche io.

Quando confidate le vostre ferite al mio cuore, avete accumulato un dolore per adulti derubandomi la mia fanciullezza, mi state portando via la mia convinzione che l’amore sia incondizionato e lo sostituite con il messaggio che devo diventare duro, di non amare perchè sarò ferito e non sarò capace di ristabilirmi.

Potreste non essere in grado di capirlo oggi, e io sono così piccolo che non state pensando al mio futuro, ma mi mettete a maggior rischio di divorziare anche io da grande, sempre decida di sposarmi.

A volte metterete a rischio la mia sicurezza per riempire un vuoto nei vostri cuori. La mia sicurezza è compito vostro. Senza di voi e la vostra protezione sono come un mollusco senza guscio nel mondo. Questo si manifesterà in paure irrazionali, perchè resterò in uno stato di lotta e fuga per il resto della mia vita.

Un giorno questo iniziale shock lo avrò dimenticato, ma come sceglierete di attraversare questa crisi come miei genitori non lo dimenticherò mai. Io potrò sentire la vostra assenza egoistica o il vostro sostegno e protezione, oppure avrò una ciccatrice sul cuore con una scritta: “Le cose belle capitano alle brave persone, devo essere cattivo”.

Pensierosamente

Il figlio del divorzio

Antonio e Luisa

La fedeltà ti fa re.

Parto con una breve storia che ho letto in un libro di Christiane Singer. La riporto col le mie parole, con quello che mi ricordo. Mi piacciono le favole. Avendo quattro ragazzi ne ho lette a centinaia.

Un tempo lontano e in un regno lontano il re chiamò i suoi tre figli, e disse loro che avrebbero dovuto trovarsi una sposa, poichè un re senza regina è ben poca cosa. Dopo brevissimo tempo il principe più grande tornò a casa. Si presentò con la sua principessa, figlia del re del regno vicino, seguito da un corteo di servitori e animali carichi di ogni ricchezza terrena. Il secondogenito, ancora in viaggio, venne a conoscenza del successo del primo, e si impegnò ancor di più a cercare la sposa più adatta per il regno che ambiva a governare. Trovò una poetessa, molto giovane, bella e colta. La portò a casa convinto che le ricchezze dello spirito della sua futura sposa avrebbero colpito il padre più della ricchezza della principessa del fratello. Rimase l’ultimo principe che ancora era alla ricerca, quando, dopo aver attraversato boschi, fiumi e montagne, si trovò in un regno sconosciuto, Un regno molto strano abitato da creature simili a scimmie ma con abilità da uomini. Venne preso prigioniero da queste creature brutte e sgraziate. Nel buio della prigione sentì una voce dolcissima di donna che lo affascinò e lo fece innamorare che gli chiedeva di sposarlo. Lui innamorato promise solennemente di farlo e in quel momento sentì come se un sigillo di fuoco si imprimesse sul cuore. Il giorno dopo arrivarono le guardie che lo presero, lo lavarono, lo rivestirono e lo portarono in chiesa dove il prete e la sua sposa lo stavano aspettando. Frastornato alzò il velo della donna e con sua terribile sorpresa si trovò di fronte il volto peloso massicio di una scimmia. Aveva tanta voglia di scappare, era terrorizzato e si sentiva in trappola. Non si tirò però indietro e pronunciò le parole che lo legarono alla donna. Immediatamente le fattezze della donna cambiarono. Il giovane si trovò di fronte una creatura così bella che nulla in natura era paragonabile a lei. Lei abbracciandolo disse che tutto il suo popolo era prigioniero di una maledizione dovuta all’incoerenza e all’incostanza delle loro azioni. Solo la fedeltà di un uomo avrebbe potuto liberarli. Il principe tornò a casa e raccontò la storia al sovrano suo padre il quale lo proclamò suosuccessore, perchè nulla su questa terra, non le ricchezzee non le conoscenze possono brillare come la fedeltà e la lealtà. Il trono spetta di diritto a chi  nella prova ha tenuto fede al suo giuramento.

Questa storia ha un significato metaforico molto importante. Il Re non può essere che Dio, nostro padre e nostro Re. Noi che siamo figli di Re, siamo principi ma non ci bastiamo. Nostro padre non può lasciarci il suo regno se non impariamo ad amare e possiamo farlo solo nell’incontro con una alterità complementare a noi. Certo questo vale per chi ha nel cuore la vocazione al matrimonio e non alla vita consacrata. Ci mettiamo in cammino, c’è chi si ferma subito pensando che le ricchezze siano la soluzione, pensando che ogni problema possa essere risolto comprando qualcosa o qualcuno. Naturalmente si illude e il Padre non può dargli il suo regno perchè ha imparato a soddisfare istinti e piaceri ma non ad amare e una volta finite le ricchezze tutto si distruggerà. Il secondo figlio rappresenta chi cerca sinceramente di amare ma pensa di bastarsi, di riuscire a costruire tutto da solo. Che la coppia sia vincente grazia alle qualità che possiede. Si crede forte e non pensa di avere bisogno del Padre. Anche a lui il Re non può lasciare il suo regno perchè sarebbe destinato a fallire alla prima vera prova. Il terzo figlio è quello meno sicuro di sè, l’ultimo dei tre fratelli, l’ultimo anche a trovare la sposa. Consapevole però della sua miseria e fragilità e per questo con valori forti che diventano fondamenta e forza per lui. Si innamora. Per innamorarsi basta poco, basta un modo di camminare, di parlare o una caratteristica fisica e si è così presi e coinvolti che si può arrivare a  promettere amore eterno a quella donna. Senza l’innamoramento probabilmente nessuno avrebbe la forza e il coraggio di promettere tanto. Ma poi bisogna essere capaci di non venire meno alla promessa. Quella promessa così vera tanto da imprimersi a fuoco nel cuore. Quel principe siamo noi. Quando nella vita quotidiana l’innamoramento è messo alla prova da tante situazioni e atteggiamenti e quella donna che abbiamo sposato ci sembra non più così bella, vediamo le sue fragilità, imperfezioni, la sua parte brutta che ci urta  ma ci facciamo forza con quella promessa e chiedendo aiuto a Dio, e continuiamo ad amarla, se non con i sentimenti, almeno con la volontà e l’agire. Ed ecco che accade il miracolo, quelle fragilità ed imperfezioni che ci potevano allontanare da lei sono diventate occasione per vederla in tutta la sua magnificenza, nella sua fragilità, vederla con gli occhi di Dio. Solo allora il Padre ti fa re di quel regno, di quella piccola chiesa domestica che è la tua famiglia. Solo allora che hai imparato ad amare facendoti servo e libero, libero di dare senza chiedere.

Antonio e Luisa

 

Ho portato la croce, come Lui.

Amoris Laetitia, l’esortazione apostolica di Papa Francesco è uscita ormai da un anno. Era il mese di aprile del 2016 quando è stata resa pubblica. Il risultato di due sinodi sulla famiglia, un vero dono per il nostro tempo e bussola di navigazione per le famiglie cristiane.  Sebbene Papa Francesco abbia più volte ribadito che non è il documento che autorizza i divorziati risposati a riaccostarsi all’Eucarestia (anche se apre alla valutazione caso per caso) i media ne hanno fatto il centro di tutto il documento. Cori di approvazione e di gioia si sono alzati dalla società civile e politica, perché finalmente la Chiesa ha cancellato questa discriminazione insopportabile, questo retaggio di una morale stantia e non al passo con i tempi. D’altronde oggi tutto è fluido, il lavoro, la casa, gli interessi e anche la famiglia non fa eccezione. Il divorzio breve, da poco approvato anche in Italia è la prova che lo stato non ha interessa a mantenere stabilità ma piuttosto ad accontentare questa schizofrenia globale. Sembra tutto bello, basta lacci e catene. L’amore finalmente può essere libero di guidare la nostra vita e il cuore può divenire la nostra bussola. Ma, se vai oltre le statistiche e le leggi, e incontri e conosci le persone che vivono tutto questo disastro, trovi tanta povertà, insoddisfazione e sofferenza. Ferite aperte che si continuano a curare con medicine sbagliate. Non va tutto bene. Mi viene un’immagine forte. E’ come se gli uomini come Adamo ed Eva avessero mangiato dell’albero del bene e del male e si fossero scoperti nudi, si fossero scoperti fragili e incompleti. Come se volessero continuare a ritrovare la pienezza dell’origine, restare nellEden, nascondendosi da Dio. Una continua ricerca del paradiso perduto che però sbaglia il bersaglio e non può che comportare ulteriore sofferenza e dolore.

Ho trovato invece pace, consapevolezza e speranza, seppur vissute nella sofferenza dell’abbandono, proprio in quelle persone che hanno subito la separazione, hanno visto colui o colei che ha promesso di amarle per sempre calpestare quella promessa senza vergogna. Ne ho incontrata una. Si tratta di una giovane donna che non avrebbe difficoltà a trovare una nuova famiglia. Ma è quello che vuole?

Provo a capirlo con lei, ponendole alcune domande. Lei è siciliana e la chiameremo Giusy visto che vuole restare anonima.

Giusy, raccontaci brevemente della tua storia con lui. Del matrimonio.

La nostra è una storia pulita nata tra due ventenni, cresciuti insieme nel rispetto e sulla fiducia reciproca. Complici e rispettosi l’uno delle idee e dei valori dell’altro, dopo anni di fidanzamento abbiamo deciso di sposarci ma la vita è stata caina con noi, quello che sarebbe dovuto essere il periodo più felice della nostra vita, è stato caratterizzato da lutti che evidentemente, piuttosto che avvicinarci, ci hanno allontanato. Probabilmente il dolore ci aveva cambiati e mentre io chiedevo del tempo per guarire…lui si sentiva sempre più solo…lui gridava il suo bisogno d’amore…io presa dal mio dolore non ho capito.

Quando lui se ne è andato come ti sei sentita? Quale è stata la tua prima reazione?

Ero incredula, non pensavo che sarebbe potuto accadere a noi due, che quei ragazzi pieni aspettative, di vita e d’amore si fossero persi per davvero. Pensavo che tutto si sarebbe risolto, che fosse preso dalla rabbia, dalla delusione e invece, aveva tutto chiaro, come mi disse un prete, nessun uomo lascia la propria moglie per tornare dalla madre…c’era già l’altra, ed io non mi ero accorta di nulla.

Quanto è stato importante per te credere nel sacramento del matrimonio nonostante tutto?

I lutti precedenti avevano fatto si che mi allontanassi da Dio…la separazione mi ha riportato a Lui e messa da parte la fede nuziale (che ahimè, a malincuore ho dovuto sfilare dal dito), ho ritrovato la fede in Dio, quelle parole pronunciate sull’altare, nella buona e nella cattiva sorte, in salute e in malattia, mi rimbombano nella mente…ho scoperto cosa significa vivere nella cattiva sorte, l’ho promesso a Dio che ci sarei stata…e non me la sento di venir meno alle mie promesse.

La tua fede in questi anni di prova come è cambiata? E’ maturata?

La mia fede è cresciuta, in Dio trovo la forza per affrontare i momenti bui di cui è piena la mia vita. Dicono che la separazione sia un lutto a tutti gli effetti, io di lutti gravi ne ho vissuti nella mia vita e posso smentire questa affermazione…un lutto lo elabori, trovi la pace perchè ad un certo punto accetti che chi non c’è più è tra le braccia di Dio, una separazione no…è molto più laboriosa, chi non c’è più, chi ti ha abbandonato, ferito, rinnegato, umiliato, diffamato lo ha fatto perchè ha deciso di farlo, perchè non ha saputo dir di no al peccato, perchè preso dalla sua debolezza, non ha saputo dir di no al male.

Come hai fatto a trovare la forza per perdonare tuo marito?

Perdonare? è un parolone…non credo di odiare chi mi ha fatto del male, ho molta rabbia, sono profondamente delusa perchè, chi mi avrebbe dovuto difendere, in realtà mi ha ucciso…e lo ha fatto con le parole, con le umiliazioni, rinnegando quel noi che Dio aveva sigillato. Sto lavorando sul perdono, più che altro, provo profonda pena nei confronti di chi, non ha capito cosa è il vero amore, nei confronti di chi, è andato via venendo meno alle sue promesse, solo per del sesso. Prego continuamente per la conversione di questo uomo e seppur con difficoltà, cerco di pregare per lei, affinchè riconosca che quello non è il suo ruolo, vada via, lasciando in pace la mia famiglia, restituendomi la mia casa

Perché pensi che non sia possibile per te stare con un altro uomo?

Provo amore per il mio “carnefice”, non riesco neanche ad immaginarmi con un altro uomo, chiedo a Dio discernimento, di aiutarmi a capire, non credo ci saranno altri uomini dopo lui, ho tolto la fede al dito, ma io sento che quel legame va al di là della presenza fisica…c’è un filo sottile che ci unisce, il sigillo di Dio sento non spezzerà mai ciò che è stato.

Cosa ti senti di dire a chi come te non vuole mollare e crede ancora nel suo sacramento nonostante tutti, amici, colleghi e parenti non capiscono questa scelta?

Credo fermamente che chi non si trovi in una situazione simile, non possa capire. Non è facile seguire la croce e non sono nessuno per dire alla gente ciò che è giusto e ciò che non lo è, sento però di dire che, chi sente di dover seguire gli insegnamenti di Dio, chi si sente fedele nonostante l’infedeltà del proprio coniuge, non stia ad ascoltare nessuno se non il proprio cuore. Siamo saliti in croce con Gesù Cristo, in realtà mi sento onorata di poter dire, anche io, in minima parte, ho portato la croce, come Lui.

Le persone come Giusy sono una pietra d’inciampo. Meglio ignorarle o considerarle delle sfigate. Dicono alla nostra povera società malata ed individualista che si può essere fedeli a una promessa fatta a una persona, senza porre condizioni. Dicono alla nostra società che l’amore non è solo un cuore che batte ma anche sofferenza e forza di volontà. Dicono alla nostra società che Gesù non è morto invano, che ci si può fidare di Lui e che dopotutto quella croce è sempre meglio della incapacità di rispondere alla vocazione all’amore che ognuno di noi ha. Quelle persone, che portano la croce come Gesù,  che mostrano al mondo che la fedeltà nella sofferenza non solo è possibile, con la grazia di Dio, ma può incredibilmente donare pace e senso. Queste persone sono esempio e fonte di meraviglia e speranza per tutto il popolo di Dio

Antonio e Luisa

La strada per il paradiso

Oggi pubblico una bellissima, accorata e autentica testimonianza di Rosella, che nonostante stia vivendo il suo matrimonio nella sofferenza e nell’abbandono, continua a sperare aggrappandosi al sacramento e a Gesù.

 

Nella mia situazione la lettura di altre esperienze simili mi permette di rielaborare la mia e lo scrivere, prendendo spunto da altre storie, a volte mi aiuta a rendere meno “vano” questo dolore. Allora ho scritto. ” Mi attraggono gli articoli in cui si parla di matrimonio, e di ciò che il matrimonio porta con se gioia, speranza, amore, fatica, fedeltà, dolore. Mi attrae conoscere, per quanto possibile, come le coppie vivono la vita matrimoniale o, purtroppo, la fine di quella vita e anche ciò che rende possibile una unione salda o quello che può determinarne la fine. Parlare della gioia, dell’innamoramento, di amore ricambiato, di emozioni, di scelte condivise, di progetti è facile Ma parlare del dolore è un’altra cosa. L’argomento “dolore” in alcuni di questi articoli, attira la mia attenzione. Perché il dolore è difficile da raccontare e ancora più difficile da digerire. In più sono gli articoli più soggetti ad un vissuto personale anche se leggendo ci si rende conto che le dinamiche sono più o meno le medesime. Difficile dare un senso al dolore, l’unico senso che si riesce a vedere nel dolore è toglierselo più rapidamente possibile di “dosso”. Direi togliere “la pelle rivestita di dolore” per metterne a nudo una “nuova” . Specie se questo dolore lo si deve affrontare in solitudine. Durante questo periodo di Quaresima, la Chiesa, con le letture, il Vangelo, le meditazioni, ci parla di conversione, di pentimento, di rientrare in se stessi, di “potature”. Meditando questo, non ho potuto fare a meno di pensare a come sono stata “potata” io nel mio matrimonio. Una potatura quasi alla radice. Non perché “iellata” ne tantomeno perché “benedetta” dal dolore (inteso come purificazione). Non mi sento ne da compatire, né da ammirare, ne da biasimare. Sono semplicemente una donna alla quale la sorte ha riservato un dolore comunissimo a tantissime donne e uomini, che cerca di vivere come Gesù comanda ed insegna. E, volendolo fare, non posso che percorre la strada che ho preso sin dall’inizio della potatura, consapevole che è quella la sola strada che mi potrà portare, alla pace, alla gioia qui e soprattutto per l’eternità. I rami potati sono stati molti durante la mia vita, ora ne ho consapevolezza, ma il più importante, quello che dava un senso alla “vocazione” della mia vita, è stata la potatura più dolorosa. Attaccata alla Vite (e alla Vita) è rimasto un moncone che continuo a percepire come vivo, dove continua a scorrere la linfa vitale anche se ancora non compare il nuovo tralcio e tanto meno il frutto o i frutti: la fedeltà al sacramento del mio matrimonio. Lui, mio marito, è andato via. Dopo aver subito, pianto, elaborato, pregato, aver chiesto a destra e manca consigli, aiuti, preghiere, ascolto, una sola è stata la risposta (che al momento ho chiara davanti a me) anche se faccio fatica ad esprimerla: lui non ritorna. Lui ama un’altra. Lui pensa che sia io la responsabile della sua infelicità e della nostra separazione. Lui è convinto che amare non sia una decisione ma piuttosto un’emozione. Lui che proprio per questo non mi ama più. Anzi a volte mi detesta ma, più ancora, ostenta indifferenza. Questo ha completamente scompaginato quel libro che io e mio marito avevamo progettato e pensato di poter scrivere insieme. (Forse perché a lui piace leggere soprattutto gialli e quindi ha voluto provare a scrivere un altro libro…) . Ma il matrimonio, che implica una scelta radicale, è anche questo ed forse proprio qui la sua bellezza: riuscire quando si presentano le difficoltà, a prendersi per mano, anche quando sembra che non ci sia più speranza, guardarsi negli occhi e magari con un po’ di insicurezza, dirsi: “insieme ce la faremo”. E’ qui che il sacramento del matrimonio rivela l’immensità e la potenza che viene da Dio e che permette agli sposi, anche nelle situazioni più assurde ed umanamente incomprensibili, di sperare perché niente è impossibile a Dio. La speranza, quella vera, è frutto di sofferenza profonda e di lotta che si vince se si combatte insieme. Invece lui è andato avanti con il suo cuore cieco e non disposto a lottare per paura di fallire. Più facile ricominciare con un nuovo amore dove si può dare il meglio di se e farsi “vittime”. Se lui sia felice oggi non lo posso sapere, dai nostri sporadici incontri, mi sembra non sereno e persino trasandato, non pensate (forse in parte sarà anche vero) che sia un’alibi che mi racconto per sperare ancora. Posso dire con certezza se io sono felice: io non sono felice. E forse non è la felicità che cerco, ora. Sarei troppo ambiziosa. Cerco e prego per la gioia e la serenità e la pace dei nostri figli,(per i quali eravamo la pace, la stabilità e la sicurezza e che, all’improvviso si sono ritrovati senza più niente di tutto ciò e il loro mondo è diventato scuro instabile e tristemente doloroso; figli orfani di genitori viventi), ed oggi anche dei nostri nipoti e anche per me. Non smetto mai di chiedere perdono per il male che anche io, non solo mio marito, ho procurato loro con la mia sofferenza. Per lui chiedo, ormai da tempo, a Dio l’impossibile: la conversione. Non solo per lui, ma anche per colei che ha contribuito a tutto questo, E lo faccio con sempre maggiore determinazione e convinzione. L’amore che nutro ( nel senso proprio che lo alimento) per lui questo mi chiede: cercare di mostrargli ancora e nonostante tutto il volto misericordioso di Dio, un Dio che è oceano di misericordia, prima che di giustizia. Verrà anche la Sua giustizia ma la temo ancor più per me, peccatrice e miserabile che non posso non chiedere per lui (mio marito) un diluvio di misericordia. Ancora e ancòra, avverbio e sostantivo, ancora come promessa senza spergiuro. L’ancòra come attracco sicuro, se mai lui volesse tornare, l’ho gettata ai piedi della Croce. Non ho mai tolto la fede dal dito. L’ho fatto per almeno due motivi: il primo è ricordare ogni giorno a me e al Signore il mio giuramento. Si lo ricordo anche al Signore,: “Gesù ricordati, ho promesso davanti a Te, Tu mi sei Testimone che gli sarai stata fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, che lo avrei amato e onorato tutti i giorni della mia vita”. Proprio così, specialmente quando mi viene la tentazione di pensare male di lui, di farmi atterrire dal pensiero di loro due insieme. Il secondo motivo è che si tratta di un segno che non “esibisco” ma che “mostro”. Mostro a coloro che conoscendo la situazione, di moglie tradita e abbandonata, la prima cosa che dicono “non è giusto che soffri”,” pensa a rifarti una vita, te lo meriti”, “trovati un compagno”. La fede al dito risponde per me. Questo mi da la libertà, inimmaginabile, quando mi trovo in compagnia o quando conosco nuove persone, di essere disponibile, accogliente, sorridente anche afflitta a volte, senza incorrere in malintesi del tipo “questa ci vuole provare” o, al contrario, “ quasi, quasi ci provo”. A volte la fatica di indossarla (la fede), si fa sentire. Il pensiero di sfilarla si insinua. Poi penso al significato che racchiude, al fatto che lui fece farle da un’orefice di una forma un po’ bizzarra: quadrata, e tutto torna a posto. Quel piccolo segno al mio dito sta a significare che lui è mio ed io sono sua. Davanti a Dio lo saremo per sempre e il mio cuore si riempie di nuovo di speranza, speranza che non delude. Questa è la mia particolare palestra. Una palestra dove ci si rinforza in pazienza, perdono, misericordia, speranza Ancora oggi sono più che mai convinta che non esistono coppie perfette o perfetti matrimoni, ma che esiste la decisione di fare di un matrimonio imperfetto un matrimonio felice permettendo a Dio di essere fedele alla promessa. E nella sua promessa, alla nostra. Qualcuno ha detto: “La strada per il paradiso, per noi due, ormai è la stessa e dobbiamo farla per forza insieme, altrimenti in paradiso non andremo né lui ne io. Questa è quello che si chiama la grazia del sacramento del matrimonio”. Vorrei che le mie parole potessero aiutare qualcuno che magari cerca una parola, un senso a ciò che gli sta capitando. Una preghiera per me.

Rosella