Facciamo l’amore! .. buon San Valentino

Facciamo l’amore ..

Lo scorso lunedì abbiamo iniziato a scrivere circa l’accoglienza al dono della vita, al prendersi cura della vita. Oggi vogliamo andare un po’ di più sotto le coperte, domandarvi quando è stata l’ultima volta che hai fatto l’amore? Hai mai parlato con lei di cosa le piace di quei gesti? Hai mai parlato con lui di quanti figli vorreste?

Fare l’amore vuol dire aprirsi alla vita. Dietro ad un gesto bello troviamo una conseguenza gigante, altrettanto bella, ma che ti cambia la vita. Fare l’amore non include solo tutto ciò che potremmo chiamare Eros, un’attrazione che porta a dei gesti che anche in natura gli animali compiono e da cui se ne trae piacere, ma include quella parte grande che possiamo chiamare tenerezza che deve abitare l’amore della coppia. Quella parte che spesso è più femminile, ma che deve invece appartenere ad entrambi. Fare l’amore è un’azione che non è finalizzata al piacere di coppia, o personale, ma a generare vita, a generare amore.

Molte coppie in certi periodi si trovano a vivere una sessualità che lascia poco spazio all’amore e tanto al solo piacere personale. In questo modo si rischia nel lungo periodo di svilire, sprecare, abbassare la bellezza che racchiude, si rischia di trovare solo noia, routine, che trasforma il gesto più bello dell’amore coniugale in una fatica, in qualcosa di difficile, di doloroso. Questi son campanelli di allarme che ci devono far interrogare su come viviamo la nostra intimità, ci devono spingere a dialogare, a domandarci cosa provi tu, capendo dove si è creata quella routine o quella ferita non detta. Imparando dal dialogo ad educarci vicendevolmente ad un amore sempre più bello.

Fare l’amore è un gesto bellissimo! Che la Chiesa dice di fare! Che Dio ha messo nelle mani dell’uomo fin dalla sua creazione. È l’unione dei corpi, il compimento del dono totale d’amore, l’uno e l’altro che si donano totalmente, che si mostrano nudi, senza vergogna, senza paura, ma in totale tranquillità, affidamento, apertura all’altro. In un habitat di gesti di tenerezza, in un habitat di fedeltà, di libertà, e in uno spazio temporale che non ha fine e non ha inizio. Fare l’amore per una coppia di sposi è sancire con il corpo quello che si è promesso con la voce, con un anello, con una cerimonia, è vivere il dono che è l’altro, che Qualcun’altro ha pensato per te, senza possesso, senza pretesa, con cura, attenzione, preziosità.

Fare l’amore è un gesto che genera vita sempre! Non solo quando si concepisce un figlio, ma ogni volta genera vita, perché una coppia che si ama, non riesce a trattenere quella gioia solo per lei, ma la esterna anche agli altri, aprendosi all’accoglienza e all’amore del prossimo. Come dicevamo, il primo figlio della coppia è la coppia stessa, e allora fare l’amore è generare vita nella coppia, alla coppia!

Fare l’amore, è un’azione che non si conclude in quel tempo specifico, non è guardare un film alla tv: spenta la tv finito l’amore. Il corpo dell’altro non è un interruttore della luce: accendi la luce facciamo l’amore. Fare l’amore è un’azione attiva che coinvolge tutta la mia persona, la mia giornata, la mia vita e la tua vita, la giornata dell’altro con tutti i suoi pensieri, con quello che ha vissuto, che deve fare, che prova. È da preparare allora l’amore, è da cercare, è da costruire. Da fidanzato facevi di tutto per lei, per stupirla, per conquistarla, per amarla.. la portavi a cena fuori, la portavi al cinema o a ballare, gli facevi regali, gli compravi un mazzo di fiori, sceglievi di portarla in posti unici a vedere il sole sorgere o tramontare. Lei si preparava tutta bella, truccata, vestita elegante, e facilmente si lasciava stupire da te. In tutti questi gesti di cura e attenzione, preparavi il terreno per un amore più grande, per imparare ad amarvi di più! Ora prepari il tuo terreno? Non si può andare in palestra se non prepari con cura la borsa e curi la tua alimentazione, non puoi mangiare una torta se non hai gli ingredienti, se non la prepari se non ci perdi del tempo.

Prepara l’amore! Ogni mattina..

Oggi ci fermiamo qua, di spunti per questa sera ce ne sono: Buon San Valentino!

To Be continued – Lunedì prossimo parleremo di amore-vita-piacere

Anna Lisa e Stefano – @cercatori di bellezza

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Non per scartare ma per includere!

Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me;
chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me.
Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà.

Matteo 10, 37-39

Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; Questo vangelo è una bomba. Se non si comprende il messaggio di Gesù, è una Parola che mette a disagio, che infastidisce quasi. Ma come? Gesù è un Dio geloso, vuole essere il più amato? Vuole che tutti i nostri affetti, i nostri legami più importanti vengano dopo di Lui? Perchè? Davvero Gesù ci sta mettendo di fronte ad un aut aut? O con me o contro di me? In realtà la traduzione più corretta è un’altra: chi mette qualsiasi relazione al di là di me non è degno di me. Gesù non ci sta chiedendo di scartare qualcuno, ma al contrario, ci chiede di includere Lui. Anzi di più ancora: ci sta chiedendo di includere qualcuno nell’amicizia con Lui. Cambia tutto! Tutto l’orizzonte della relazione è diverso. Mi rendo conto che è qualcosa che non è semplice da capire, lo si può fare solo quando si sperimenta nella vita di tutti i giorni il vero significato di queste parole. Io l’ho capito grazie a Luisa.

La mia sposa ha sempre messo Gesù davanti a me, è sempre stato più importante Lui di me. Questo è stata la nostra salvezza come coppia e come uomo e donna. Quando l’ho conosciuta ero un ragazzo del nostro tempo, pieno di pornografia e di impulsi erotici e sessuali. Ero pieno di fantasie che volevo mettere subito in pratica con lei. Lei, seppur attratta da me, innnamorata e desiderosa di costruire qualcosa di importante con me, ha sempre detto di no, non ha mai assecondato questa mia richiesta, anche quando si faceva insistente. Abbiamo passato momenti difficili, dove lei si sentiva sbagliata, perchè tutto il mondo faceva l’opposto, ed io mi sentivo arrabbiato e represso perchè in definitiva non mi sembrava di pretendere nulla di strano. Lei, amando Gesù più di me, è riuscita a volermi bene in un modo che nessun altro era stato capace di fare. Grazie al suo no ho iniziato un percorso di guarigione e di purificazione che mi ha permesso di assaporare il vero gusto di un amore profondo e autentico. E’ riuscita a includere anche me nel suo amore verso di Gesù. Mi ha fatto incontrare Gesù attraverso di lei. Gesù, attraverso questa Parola, ci sta dicendo di amare nostra moglie o nostro marito attraverso di Lui. Impara da me come amarlo/a. Conducilo/a a me. Prendi da me la forza.

Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà. Non si tratta di una vita materiale. Si tratta di tutta la nostra vita intesa in senso molto più esteso. La bellezza, la pienezza, la spiritualità, la trascendenza, qualcosa che davvero va oltre il nostro essere vita biologica. Chi tiene per sè non troverà davvero ciò che conta. Chi vuole possedere perderà l’amore perchè l’amore non è possesso ma è solo da donare e da accogliere. Chi non è capace di donarsi completamente perchè ha paura di restare ferito e tradito non può che accontentarsi di una relazione che non è piena. Per questo esiste il matrimonio: la relazione sponsale è la realtà umana che più si avvicina alla realtà trinitaria di Dio. Perchè solo perdendo la nostra vita, cioè donandoci completamente l’un l’altra possiamo trovare Dio, possiamo trovare una relazione che davvero apre al divino. Certo è un rischio. Stiamo affidando la nostra vita ad una persona fragile, peccatrice, limitata e imperfetta come ogni creatura umana è, ma è un rischio che dobbiamo correre se vogliamo sperimentare già su questa terra un amore che apre a Dio.

Anche chi dovesse essere tradito, chi dovesse riporre la propria vita nelle mani di una persona che spreca quel dono sarà comunque vincente. Un perdente che vince perchè sarà una persona libera. Una persona che nella libertà continuerà ad amare chi non restituisce nulla di quell’amore. Perchè nella libertà deciderà di prendere la sua croce e di seguire Gesù. Le nostre croci possono darci la forza non di lasciare qualcosa ma di andare verso qualcuno. Non di lasciare il nostro sposo, la nostra sposa, ma di andare verso Gesù. Prendere ciò che siamo, le nostre sofferenze, le nostre vergogne e di farne una scelta. Scelgo di prendere tutto questo e di farne una manifestazione della Grazia di Dio. Ringrazio tante persone che testimoniano con la propria vita quanto ho scritto. Grazie Ettore, Giuseppe, Anna e tanti altri.

Antonio e Luisa con fra Andrea

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Dirette 3 coppie 2.0. La castità (prima parte)

Oggi presenteremo attraverso questo blog quanto scaturito dalla diretta che noi di Matrimonio Cristiano, con le altre due coppie di Amati per Amare e Sposi&Spose di Cristo, abbiamo dedicato ad un altro tema fondamentale: la castità. Prevalentemente vissuta nel fidanzamento ma non solo.

I primi ad intervenire sono Pietro e Filomena. Loro hanno sicuramente un punto di vista originale. Un punto di vista formatosi dalla loro storia spiritualmente travagliata. Hanno pensato entrambi alla consacrazione reliosa prima di indirizzarsi verso il matrimonio e la loro vocazione autentica.

In particolare Filomena ha vissuto 13 anni di castità come religiosa. Filomena ha capito di aver compreso cosa davvero fosse la castità dopo il matrimonio, quando è diventata madre per la prima volta. La castità del cuore si riflette molto ed è evidente nel rapporto tra madre e figlio. Castità è verità. Ciò influenza moltissimo i rapporti con i nostri figli. Avere un atteggiamento possessivo verso i figli non è casto. Impedisce loro di imparare ad amare. Questo accade spesso. Addirittura nella mia esperienza mi capita di incontrare madri che fanno fatica ad accettare che i loro figli amino il padre e viceversa. Sono gelose. Lo vorrebbero tutto per sè.

Amare nella verità il proprio figlio significa non solo accettare, ma essere felici che il figlio senta la necessità di staccarsi da lei. Di essere una persona diversa da lei, che non è completamente fagocitato e dipendente. Ne va della felicità del bambino e del futuro adulto. Per la madre si tratta di un sacrificio a volte, ma un sacrificio necessario per farsi piccola e lasciare spazio all’uomo o alla donna che sta prendendo forma in quel bambino o in quella bambina.

Non si tratta di un distacco fisico naturalmente, ma soprattutto emotivo e affettivo. Accettare che il figlio possa amare altre persone senza coinvolgerla in quella relazione. Se la madre ha un rapporto casto la madre è felice di non essere più la protagonista della vita del figlio, ma facendosi da parte permette a lui di diventare protagonista della propria vita. Un protagonista libero, maturo e per questo capace di amare.

La castità non è quindi solo un atteggiamento e una modalità che riguarda i fidanzati, ma riguarda tutte le relazioni affettive. Per tutti la castità non è il rifiuto dell’altro, che nel fidanzamento si concretizza nel rifiutare l’altro nell’incontro intimo, ma piuttosto consentire all’altro di creare quello spazio mentale e spirituale con il quale riesca ad amare davvero nella verità e nella libertà. Perchè ciò possa avvenire serve anche un rispetto fisico, un rispetto del corpo dell’altro. Non esiste nulla che sia solo spirituale quando si parla di uomo. Noi siamo si spirito ma anche corpo e quanto succede ad una parte di noi ha conseguenze anche sull’altra.

Pietro e Filomena hanno deciso di partire dal rapporto madre-figlio, una relazione da cui tutti siamo passati e di cui abbiamo fatto esperienza proprio per evidenziare come la castità non sia qualcosa che riguarda solo l’ambito sessuale ma è molto di più. Il cuore della castità è proprio nel cuore dell’uomo. Un atteggiamento che ci accompagna tutta la vita. Un atteggiamento che ci apre ad una vita felice, perchè una vita felice non può prescindere dalla castità. Essere casti, lasciare uno spazio di libertà all’altro non solo consente all’altro di fare esperienza di Dio ma lo permette anche a noi, che facendoci da parte, rispettando la sacralità dell’altra persona, sappiamo non farci dio ma comprendiamo di avere noi stessi bisogno di Dio.

Nel prossimo articolo ci sarà modo si addentrarci maggiormente nell’aspetto sessuale. Questa premessa è stata però una meravigliosa introduzione.

Antonio e Luisa

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Finalmente lo riconoscono

In quel tempo, gli undici discepoli, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato.
Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano.
E Gesù, avvicinatosi, disse loro: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Matteo 28, 16-20

Finalmente lo riconoscono. Finalmente i discepoli, le persone che sono state più vicine a Lui, lo riconoscono per chi davvero è. Riconoscono Gesù, il loro Salvatore. Non tutti subito. C’è ancora chi dubita. Gesù ha sempre una grande pazienza e rispetto per ogni persona, e non forza nessuno a riconoscerlo. Però quando questo avviene ne è profondamente felice. Tutte le persone desiderano essere riconoscioute per quello che sono. Essere riconosciute ed amate per quello che sono.

Per questo il matrimonio è la risposta più completa ed autentica al desiderio del nostro cuore di essere riconosciuti ed amati per quello che siamo e non per quello che facciamo. Senza doverci sempre meritare l’amore dell’altro. Senza doverci nascondere dietro maschere per paura di essere giudicati ed emarginati. Senza dover essere sempre all’altezza della situazione. Liberi di mostrare le nostre fragilità.

Che bello quando il tuo sposo ti chiede quello che tu desideri che ti sia chiesto, che bello quando la tua sposa ti chiede di perfezionare e manifestare i tuoi talenti, e lei ne è affascinata e rassicurata. Questo è dono di Dio. Dono del sacramento del matrimonio. Essere riconosciuti per quelli che si è.

C’è un’altra riflessione molto importante. Decisiva per noi sposi. Gesù se ne va. Lascia i suoi amici. Li lascia affinchè loro possano percorrere la loro strada. Non diventino dipendenti da Lui. Devono lasciare Gesù uomo per ritrovarlo in Dio. Gesù dice che il suo Spirito non ci lascerà mai. Dobbiamo però incontrarlo nella libertà di essere noi stessi, non nella paura di perdere qualcuno o qualcosa. Quanto questo è importante, anche nel nostro matrimonio. Infatti la paura di perdere l’altra persona spesso ci porta ad annullarci. Spesso ci porta ad essere dipendenti da lui o da lei. E allora smettiamo di cercare Dio, l’unico in grado di vederci belli/e sempre, e mendichiamo amore da una creatura che come noi è imperfetta e non potrà mai amarci con la pienezza e la libertà che desideriamo.

E’ un cammino da percorrere insieme, sposo e sposa, con la consapevolezza che l’altro/a non potrà mai amarci in modo infinito e perfetto come vorremmo, ma anche con la certezza che, con il passare del tempo, l’impegno costante e la Grazia del sacramento, ci potremo sempre più avvicinare al modo di amare di Dio e a sentirci amati dall’altro come Dio ci ama.

Buon cammino!

Antonio e Luisa

Classificazione: 1 su 5.

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La forza di dire NO

Saper DIRE DI NO dà la possibilità alla persona di mettere un confine con l’altro su cose spiacevoli, di esprimere i propri bisogni e le proprie esigenze.

Sembra una procedura egoistica in contrasto con i principali dettami della fede cristiana, che invece annuncia in lungo e in largo che l’amore è dono di sé, mettere davanti a sé l’altro. Facciamo chiarezza su questo punto, spesso controverso: per donarti ti devi possedere, per rinunciare a te stesso devi prima avere chiaro chi sei (identità profonda) perché Cristo ha scelto LIBERAMENTE di donarsi, nessuno gli ha tolto la vita, lui ha deciso di regalarla. C’è un tempo per dire di no e c’è un tempo per dire si. Ogni passo può essere fatto al momento giusto nel bene di noi stessi e delle nostre relazioni. Perciò la domanda più importante da farti per discernere quando dire si e dire no è: qual è il BENE in questa situazione per me e per l’altro? La risposta spesso è molto complicata e preferiamo categorie e letture estreme e nette, bianco o nero, dentro o fuori, piuttosto che fare i conti complicati, col divenire della nostra storia passata e presente. Ma facciamo un passo per volta. La rabbia è l’emozione che da la forza di dire no. Emozione sana, che aiuta a crescere, la rabbia è quell’energia che ti segnala che sta capitando qualcosa di spiacevole di più o meno grave: un abuso ai tuoi bisogni, al tuo confine, al tuo valore. La rabbia serve per proteggerti, difenderti, differenziarti, separarti dall’altro diventando sempre più autenticamente te stesso e questo è ciò che ti permette di conoscerti e farti conoscere dall’altro. Non ha niente a che vedere col passare la giornata a sbraitare e fare l’isterica. Non significa passare ogni cosa al setaccio strettissimo del tuo filtro in cui non ti va mai bene niente. La rabbia repressa non va bene. Essere perennemente nervoso e irritato non va bene. Se incassi, ingoi, subisci e fai finta di non sentire quello che senti prima o poi esploderai, magari con qualche azione impulsiva e sproporzionata, oppure somatizzerai e ti ammalerai, perché ciò che la bocca non dice il corpo lo urla. Se invece ti senti sempre teso e irritato vuol dire che il volume della tua rabbia è troppo alto, niente ti va giù, tutto ti urta e reagisci sempre in modo negativo. C’è qualcosa che non va. Starti accanto può diventare un incubo perchè non esisti solo tu. Come vedi emergono due polarità: in quella in cui non dici mai di no e non ti arrabbi mai, tu non esisti. In quella in cui ti arrabbi sempre, esisti solo tu. Che fare allora? Bisogna fare verità e fare un checkup di come gestisci questa emozione: sei consapevole o neghi? Reprimi o ti fai travolgere? Quali sono i temi caldi che ti toccano di più? Come sono collegati alla tua storia di vita e alla tua famiglia d’origine? Quando sei consapevole di sentirti arrabbiato, il passaggio successivo è accorgerti di cosa ti ha fatto arrabbiare (stimolo), verificare se l’emozione è appropriata o sproporzionata, esprimere in modo assertivo ciò che senti e desideri: “Non mi piace quando urli e ti chiedo di smettere”; “mi sento furiosa quando picchi i bambini senza un motivo”; “mi sento veramente irritato quando invadi il mio spazio personale”; “non mi piace sentirmi obbligato a mangiare tutte le domeniche a casa tua mamma”… e via discorrendo. Come puoi vedere si tratta dire di NO. La comunicazione è molto importante e può avere varie intensità a seconda della situazione: ci sono volte in cui è necessario alzare la voce, ma la cosa importante è essere padrone di ciò che stai scegliendo di dire o fare, piuttosto che agire impulsivamente. Più ti conosci, ti accetti, ti accogli, ti ami, esprimi dove stai, meno dipendi dall’altro, pretendendo che l’altro cambi come vuoi tu o facendo le cose per influenzare l’altro, per ricattarlo. Solo se ti possiedi davvero puoi donarti. Questo passaggio è fondamentale in tutte le relazioni. Perché poterti arrabbiare e dire no non significa costringere l’altro ad essere come vuoi tu, ma a poter esprimere la tua identità, assumendoti la responsabilità di cosa ti piace o non ti piace e poterlo comunicare e prendere posizione. Facciamo due esempi: con la famiglia d’origine e nella relazione di coppia. Se la tua famiglia d’origine è molto invadente (cioè le cose vanno fatte come dicono loro, quando dicono loro e non accettano differenze) saper dire di no è il mezzo con cui tagli il cordone ombelicale della dipendenza e ti impegni seriamente a costruire te stesso in quello che sei non in ciò che loro si aspettano. Questo passaggio ti aiuta a rigenerare la relazione e nella misura in cui trovi davvero te stesso e rafforzi il centro della tua identità, puoi a momento opportuno prenderti cura di loro ed esserci per loro come hanno bisogno, non per dipendenza o obbligo, ma per scelta d’amore. La differenza fra obbligo e scelta d’amore non sta nel fatto che non ti costa o che non soffri più, ma che tu per te ci sei, sei presente a te stesso e responsabile, sei libero, e ti senti al posto giusto a fare la cosa giusta per il bene di entrambe le parti. Quanto questo è più vero nel matrimonio. L’ho capito a mie spese grazie a Dio, senza farmi affossare dallo stereotipo della moglie cattolica che tutto sopporta indiscriminatamente senza discernere il bene. Nel mio matrimonio il bene della nostra relazione è stato che io urlassi un forte NO. Fermo, chiaro, libero, responsabile e centrato. Non il “no” di una pazza furiosa che sbrocca solo perché ne ha incassate troppe. Quando quel no esprime la tua identità, diventa il confine di quello spazio sacro che ti permette di ricordarti chi sei, chi sei tu per Dio. Figlio Amato. In modo direttamente proporzionale a questi bellissimi e sofferti no, oggi posso dire SI a tante cose nel mio matrimonio che prima mi sentivo solo obbligata ad ingoiare e oggi invece scelgo liberamente di tenere. Anche con la mia famiglia d’origine. Se ci sono stati momenti in cui potevo solo scappare, ora voglio restare. Se ci sono momenti in cui ho respinto, oggi accolgo. Nella misura in cui quei NO servivano a trovare me stessa, oggi spalancano le porte a tantissimi SI, che sono sicura cresceranno con i fatti della vita in cui il Signore mi chiamerà a gesti di amore forti e veri in cui sarò invitata a rinunciare a me stessa per quell’amore. E con la grazia di Cristo vorrò farlo, perché mi appartengo e mi posseggo. E voglio concludere con la Parola di Dio: Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. C’è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante. Un tempo per uccidere e un tempo per guarire, un tempo per demolire e un tempo per costruire. Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per gemere e un tempo per ballare. Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci. Un tempo per cercare e un tempo per perdere, un tempo per serbare e un tempo per buttar via. Un tempo per stracciare e un tempo per cucire, un tempo per tacere e un tempo per parlare. Un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace. […] Egli ha fatto bella ogni cosa a suo tempo.

Possa tu avere la forza di dire NO a suo tempo, per dire SI nel tempo giusto. A lode e Gloria di Dio, e per rivelare la meraviglia del Suo Amore.

Claudia Viola

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Essere genitori significa lasciar andare.

Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore.

Quando ho letto il Vangelo di oggi ho subito collegato un altro passo della Bibbia. Ho pensato ad Abramo. Abramo è diventato padre di una moltidune di persone, di un popolo intero. Per farlo ha dovuto superare una prova difficile, molto difficile. Ha dovuto trovare il coraggio e la forza di offrire il suo primogenito, il suo unico figlio Isacco.

E’ come se per diventare genitori davvero dobbiamo riconsegnare i nostri figli. Riconsegnarli a Dio. Comprendere che non sono nostri ma sono persone altre. Un’alterità che non ci appartiene e che noi abbiamo il compito di accompagnare, educare, sostenere, ma che non sarà mai nostra. E’ importante comprenderlo, ma comprenderlo davvero, con il cuore. Non sono nostri! Soprattutto non dipende da loro la nostra felicità. Ci sono alcuni pericoli da disinnescare.

  1. Non possiamo riversare sui nostri figli il bisogno di attenzione e di affetto. Rischiamo davvero di rovinare tutto. Di rovinare il nostro matrimonio e di non permettere ai nostri figli una capacità di staccarsi da noi quando sarà il momento per loro di formare una nuova famiglia. Non significa non amarli, ma amarli nel modo giusto.  La mia vocazione di sposo è prima di tutto amare la mia sposa. La vocazione della mia sposa è prima di tutto amare me. I figli sono il frutto dell’amore che ci unisce. E’ sbagliato quindi smettere di nutrire l’amore sponsale e la relazione di coppia per dedicarsi quasi esclusivamente al ruolo genitoriale.  Non significa che l’amore per i figli venga dopo e valga di meno. Significa che i nostri figli hanno bisogno di nutrirsi non solo dell’amore diretto dei due singoli genitori ma anche di percepire l’amore che i due genitori provano tra loro, perchè loro sono il frutto di quell’amore. E’ un errore gigantesco per gli sposi smettere di trovare momenti di intimità, di dialogo e di cura reciproca. Smettere magari anche di fare l’amore. Significa rovinare tutto. La stanchezza c’è, lo so bene. Abbiamo anche noi quattro figli nati a breve distanza l’uno dall’altro, ma non si può prescindere dalla nostra relazione sponsale. Ci occupiamo di tante cose anche quando siamo stanchi perchè dovremmo trascurare la nostra relazione che dovrebbe essere messa al primo posto?  Poi i nodi vengono al pettine.
  2. La nostra realizzazione non può dipendere dai nostri figli. Luisa è insegnante e si rende benissimo conto di una dinamica malata. Lei, come tutti gli insegnati, deve valutare gli alunni. A volte deve scrivere delle note disciplinari. E’ diventato un problema. I genitori spesso non accettano queste “critiche” o giudizi negativi e si precipano a chiedere spiegazioni. Luisa sbaglierà sicuramente alcune valutazioni, ma non è questo il punto. Questi genitori si sentono giudicati direttamente. L’errore del figlio diventa il loro personale errore. Capite che così non funziona. Non tanto con mia moglie che ormai sa come comportarsi. Con i loro figli stessi. Spesso i nostri figli non si sentono amati. Proprio perchè sentono l’amore dei genitori condizionato al loro comportamento o ai loro risultati. Dobbiamo uccidere  le nostre aspettative. E’ importante accogliere quel figlio per quello che è altrimenti passiamo l’idea di amarlo per quello che fa e non semplicemente per chi è. Passiamo l’idea di un amore condizionato che, in definitiva, non è amore. I nostri figli hanno bisogno di essere guidati da piccoli e accompagnati quando diventano un po’ più grandi. Dobbiamo mettere in evidenza i loro errori, ma mai identificare i nostri figli con il loro errore. Soprattutto mai colpevolizzarli se noi ci sentimo infelici o falliti. Devono già sopportsare le difficoltà della loro vita, non credo abbiano bisogno di dover sopportare anche la colpa per la nostra infelicità.

Antonio e Luisa

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A mio figlio

Al vederlo restarono stupiti e sua Madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io ti cercavamo angosciati”. Ed egli rispose: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Luca 2, 48-50

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La cosa non si spiega. O forse si. Più cresci, più per me è difficile lasciarti andare figlio mio. Darti la libertà emotiva di fare le cose a modo tuo, con i tuoi tempi, accogliendo ogni emozione, mentre ti educo a crescere. Darti la libertà di affrontare i tuoi errori, i blocchi, le chiusure, le cadute, le delusioni, i successi e i progressi. Darti il diritto di non sapere che emozioni stai provando, di non capirci nulla di quel marasma a confine fra l’essere bambino bisognoso di coccole e ragazzo forte e indipendente. La sera è nostra! Quando mi chiami implorante di sdraiarmi assieme a te sul tuo letto a parlare di tutto anche per mezz’ora. Mi chiedi la mia storia, mi fai domande sul passato di papà, mi chiedi di Dio, del perché siamo stati creati, chi ha inventato la scuola, chi ha costruito la prima casa. Amore mio non ho tutte le risposte. La maggior parte riguardano la mia storia e le mie esperienze personali, ma molte di queste non ti andranno bene perché tu dovrai trovare le tue. E poi alle dieci di sera amore mio è tardi sono k.o. e ho bisogno di rilassarmi per conto mio, ma tu non mi molli e mi chiedi di parlare ancora e ancora. A volte finisco addormentata accanto a te. A volte invece sono troppo stanca e ti respingo bruscamente dicendoti che ti basta un bacio e la buona notte. Siamo su un filo sottilissimo che ci guida entrambi verso una cosa difficilissima: CHI SEI TU. CHI SONO IOCONTE. Dodici anni fa quando ho saputo che c’eri non stavo nella pelle dalla gioia, anche perché forse non saresti potuto mai arrivare. Pensarmi senza figli mi straziava, ma nello stesso tempo ero certa che avremmo trovato il modo, io e tuo padre di portare vita. Ma invece tu sei arrivato come un regalo di natale inaspettato e incredibile. Nonostante il rischio di perderti ogni mese, ad un certo punto hai deciso di vivere e di nascere, ma un po’ prima del previsto. Trentaduesima settimana. Contrazioni. Distacco di placenta. Corsa in ospedale. Signora dobbiamo correre in sala operatoria. Ma io non sono pronta e piango. Ho paura. Per me, per la mia vita, per la tua. Mi sembra di prendere un sacco di sberle da ogni lato, ma devo lasciarmi andare, mollare il controllo e lasciare che i medici si prendano cura di noi. Ho cinque minuti per chiamare tuo padre per farlo correre in ospedale. Chiamo tua nonna, che dalla Sicilia con furore, ficca due mutande e due magliette in una valigia e arriva dritta nella mia stanza di ospedale –contro ogni regola di reparto- ancora prima che l’intervento sia finito. Nessuno può fermare una mamma siciliana, soprattutto la mia! Nasci nel subbuglio e nelle urla dei medici che imprecano come sia possibile che io sia arrivata in quelle condizioni. Io mi agito e comincio a piangere perché non ti sento appena ti tirano fuori. Ma è tutto apposto, stai bene, respiri da solo. Ma sei piccolissimo. Un kilo e mezzo per quarantaquattro centimetri. Ti portano in terapia intensiva e posso vederti solo l’indomani. Nonostante non riesca a riprendermi dall’anestesia e svengo e vomito di continuo, mi ostino a voler arrivare a quella cazzo di sedia a rotelle, perché devo vederti. Sei vivo e bellissimo. In quel momento sono ad un bivio: la depressione o la lotta. Io scelgo la lotta amore mio, tu uscirai di li e vivrai, anche perché sopra la tua culla termica c’è l’icona della Madonna. E lì, prendo una delle peggiori decisioni della mia vita per te: giuro che non dovrai mai più soffrire amore mio, perché stai già soffrendo tanto! Certo se la Madonna avesse detto queste parole su Gesù, a quest’ora stavamo tutti senza Salvezza. Perché il passaggio per me è proprio questo figlio mio: custodire nel mio cuore la certezza che dalle sofferenze e fatiche ed errori che attraverserai passa la tua salvezza, e forse anche la mia. Non è forse stato così anche per me?! A volte capisco di essere rimasta lì, al tuo kiloemezzo, e mi perdo tutto il resto, la tua forza, la tua creatività, la tua capacità di sorprenderci. MARIA SERBAVA TUTTE QUESTE COSE MEDITANDOLE NEL SUE CUORE. Voglio farmi ispirare da Lei, per maturare nel mio cuore che non sei roba mia, e che voglio lasciarti andare intimamente. Un giorno scriveremo un libro a quattromani come hai detto tu, e sarà un successo! Perché la storia dell’uomo è sempre un successo quando tende all’amore e alla ricerca di senso. TI AMO FIGLIO MIO E DI DIO.

Claudia Viola

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Il mio matrimonio non è il paradiso ma la porta per entrarci.

Sposando tua moglie o tuo marito, hai promesso di consacrarti a Dio attraverso l’amore a questo uomo, a questa donna, tutta la vita. Quanto è complicata e ardua l’avventura del matrimonio vista in quest’ottica di vita! Ma quanto è alto e sorprendente questo progetto esistenziale. Si tratta di una qualità straordinaria della relazione con l’altro, in cui il centro non è tanto il partner, ma il desiderio di incontrare Cristo Gesù nel tuo sposo, nella tua sposa. Il Vangelo di oggi ci parla del Regno dei Cieli. Cosa è il regno dei Cieli nel nostro matrimonio. Il Paradiso nel mio matrimonio si è realizzato quando il centro della mia vita è stata la mia relazione col Signore nelle cose e non più i difetti o le mancanze di Roberto. Il frutto di questa relazione e dell’incontro con Dio è un pieno d’amore esagerato per me stessa in cui io esisto, sono preziosa e sono l’amata. Questa dotazione d’amore è un olio inestinguibile che mi terrà sempre pronta in ogni cosa della mia storia con Roberto e con i miei figli, con l’unico fine di incontrare la Salvezza di Dio per me e le persone che mi circondano. Per amare tua moglie tutta la vita ti ci vuole un equipaggiamento esagerato che ti aiuti ad entrare nei suoi tempi e nella sua sensibilità, oltre la concretezza e la praticità, sintonizzarti con quegli aspetti emotivi che per te sono spesso incomprensibili. Per amare tuo marito ogni giorno ti ci vuole una scorta dolcezza, pazienza e affetto che ti porti a valorizzarlo ed apprezzarlo oltre ogni tua pretesa disattesa. Tocca organizzarsi e sapere aspettare, perché il tempo di Dio non sono i tempi della tua e della mia fretta, del tutto e subito. Le vergini stolte non se l’aspettavano che ci volesse tutto questo tempo all’arrivo dello Sposo, la volevano cotta e mangiata! E anche io tante volte mi sono sentita così nel mio matrimonio, pretendendo ora e adesso quei cambiamenti e quelle trasformazioni che invece, per essere autentiche e profonde, richiedevano tempo. Sono stolta se mi baso solo sui miei desideri e sulla mia realtà per relazionarmi con gli altri, perché questo mi bloccherà e ostacolerà nel sintonizzarmi con mio marito e i miei figli. Se uso solo le mie coordinate per relazionarmi con chi mi circonda, l’altro non sempre rientrerà nei miei parametri e questo mi frustrerà enormemente facendomi sentire delusa e scontenta. Ma questo è il salto di qualità che porta il Paradiso in un matrimonio: usare tutti gli equipaggiamenti e le dotazioni possibili per mettere a disposizione della mia relazione di coppia tutto ciò che sono e che ho, una grande riserva di beni, per entrare in un incontro d’amore per cui vale la pena mettere in ballo ogni cosa. Ci ho impiegato dieci anni, ma ho fatto proprio centro ad investire molto e tutto in questo incontro con mio marito, perché attraverso la relazione con lui ho incontrato l’Amore di Dio per me e la Sua salvezza per la mia storia. Non è possibile improvvisare in un matrimonio, occorre prepararsi per crescere nella relazione col tuo sposo, con la tua sposa e incontrare il Signore nelle cose. A volte il Signore ti chiede un salto di qualità, una novità, un cambiamento in cui entrare, una sfida da cogliere. Tu che farai. Sii saggio e prudente, e utilizza il tempo per prepararti a questo incontro speciale con il tuo partner e con Dio, e il frutto sarà sempre e solo l’AMORE PIENO.

Claudia Viola

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Articolo originale

“Sto facendo una passeggiata e ti rubo la pace”.

..DI PIETRO ANTONICELLI E FILOMENA SCALISE..

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Ero fermo in macchina questa mattina, avevo accostato lungo un viale alberato in città e con le mie 4 frecce lampeggianti ero tranquillo mentre cercavo di caricare un video su instagram ed ascoltavo “Liberami” (un canto allo Spirito Santo scritto e suonato dai mitici Kantiere Kairòs).

Ed è così che oggi il Signore mi ha liberato. Ve lo racconto rapidamente…

Un vecchietto si avvicina al finestrino e con fare amichevole inizia a salutarmi e a parlarmi. Abbasso un po’ il volume dello stereo e un po’ il finestrino per capire cosa stesse dicendomi questo sconosciuto.

Lui mi chiedeva: “Come stai? Tutto bene? Stai lavorando in questo periodo?” e mentre mi inizia a raccontare che lui con questa bella giornata è uscito a farsi una passeggiata, infila la mano nell’abitacolo e tenta di aprire dall’interno lo sportello cercando a tentoni la maniglia.

A quel punto gli sposto con fermezza la mano fuori dal finestrino e gli dico: “Vai via!!!”.

Lui si allontana ed io resto lì con il cuore che mi batteva forte per lo spavento: un uomo stava cercando di rubarmi qualcosa. In questi casi ci si agita molto ed il cuore batte forte.

Questo simpatico uomo sulla settantina oggi,  con questo bel sole e clima primaverile, era uscito a fare una passeggiata…con l’intento di rubare qualcosa a qualcuno.

Ed ha incontrato me e mi ha messo in crisi poiché mi sono tornate in mente le parole di Gesù: “Dov’è il vostro tesoro, là è anche il vostro cuore”. (Matteo 6,21)

Ed ecco il mio tesoro che stamattina ho temuto di perdere: un cellulare cinese, una Panda, pochi spiccioli in tasca. Ma aldilà del valore economico, quello che ho temuto è che il vecchio ladro potesse rubare qualcosa di mio.

“MIO”: ecco il problema. Il vento che ha soffiato sul mio cuore e gli ha fatto fare le onde si chiama “possesso”.

Appena tocchi il Tesoro, il Cuore si agita.

Lo dice Gesù. Tesoro e Cuore sono legati ad un’unica corda. Appena ti toccano il Tesoro, il Cuore suona l’allarme.

…altro esempio…

Oggi pomeriggio ero sul divano e mentre accendevo il PC per fare cose importantissime (tipo c-a-z-z-e-g-g-i-a-r-e) mia moglie mi dice:  

“C’è la bambina da vestire e portare dai nonni. Lo fai tu?”.

Io le rispondo con l’aria di un grande imprenditore che deve salvare la sua azienda:

“Io??? Noo di certo! Non posso perdere tempo, ho da fare!”; e in sottofondo sento il cuore che ancora una volta batte due colpi forti: “Tum Tum!!

Hoi Hoi! Pare che qualcuno abbia nuovamente toccato il mio Tesoro e lo dico con certezza, giacché ho subito mostrato i denti per difenderlo dopo aver sentito il cuore che mi si agita.

Ecco ancora qualcosa di “MIO”, ed ecco non posso permettere che mia figlia mi rubi il tempo che, appunto, “è MIO”.

Ed è quando hai questa mentalità nel sangue che…passa un vecchietto qualunque o una figlia che ha bisogno di essere accompagnata dai nonni…ed ecco che riescono a rubarti la pace, quella del cuore, si.

Ma allora in questa giornata di tesori rapinati e cuori agitati, in cui – per Grazia – riconosco di quanto miseramente sto lasciando attaccare il cuore a cose futili e che queste cose futili mi portano via la Pace, con le mani giunte e gli occhi al cielo prego il Signore Gesù chiedendogli di realizzare in me quel passo del Vangelo in cui Lui dice:

“Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassìnano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano.” (Matteo 6, 19-20)

Morale della storia (non è una favola): ho capito che se il mio cuore si lega al Cielo e a Chi lo abita sarò veramente libero.

Ed è così che il Signore oggi con quel vecchietto mi ha permesso di liberarmi un po’.

“Liberamiiii Spirito di Diooo” 

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Grazie, Pietro e Filomena.

 

..qui il link all’articolo originale: http://www.artigianatodaimonasteri.it/sito/sposi-e-spose-di-cristo-blog/beni-materiali-pace-cuore/

Perdono e libertà

Il perdono è sicuramente uno dei gesti più difficili e più complicati, ma che più profondamente rimandano a Cristo.

 

Lungi dall’essere un obbligo morale o una legge a cui sottostare, il perdono nella vita di coppia è quanto mai necessario per crescere nell’amore reciproco, ma soprattutto per eliminare quel continuo rodimento e rimuginio interiore che ci fa sentire perennemente vittime abusati dell’altro che non ci capisce e ci fa del male. Il perdono è un cammino a breve termine per le questioni più semplici, a lungo termine per le sofferenze più complicate. Esso ci apre a qualcosa di ancora più importante che è la riconciliazione. Per riconciliarsi occorre che la persona ferita apra lo spazio della possibilità e perdoni, e la persona che ha fatto male ripari secondo il linguaggio d’amore dell’altro. Ma quante volte questa storia del perdono o del perdonare ci apre lo scenario dello zerbino sottomesso che permette all’altro di fare come gli pare?! Soprattutto la donna secondo me rischia di rimanere incastrata nello stereotipo di DONNA-ZERBINO che subisce ogni tipo di atteggiamento menefreghista dell’UOMO-STRAFOTTENTE, salvo poi fargliela pagare con quei tipici atteggiamenti passivo-aggressivi tipo musi lunghi e silenzi interminabili o sfoghi isterici che l’uomo, con una maestria direi forse evolutiva, è capace di ignorare, distratto dalla televisione o dalla gazzetta dello sport. Alla fine il risultato è quello di una solitudine che raggiunge le proporzioni di una voragine di incomunicabilità, piena di dolore, tristezza e dispiacere.

Nella vita di coppia non siamo chiamati a fare gli zerbini. Siamo chiamati ad essere UOMINI e DONNE LIBERI, che nella libertà scelgono di fare un regalo a se stessi e all’altro rompendo le catene del rancore, del covare, dell’astio. La LIBERTA’ è la caratteristica fondamentale di ogni dono d’amore nella relazione.

Nel mio matrimonio ho vissuto parecchio tempo come la donna-zerbino che resisteva senza alternative ad un marito troppo preso da se stesso per accorgersi. La vita insieme era come uno scontrino troppo lungo che tiravo fuori dopo anni di sopportazione, con un conto troppo alto da pagare per mio marito e relativo mio senso di frustrazione e delusione. Mi sembrava di perdonare tutte le volte che si ricominciava, ma non era così perché in fondo covavo rancore e mi sentivo imprigionata in questo stereotipo cattolico della donna che tutto regge e sostiene. Lo devi fare! Questa è la tua croce a vita e te la devi tenere!!! Che prospettiva misera se la relazione di coppia fosse solo questa. Non si può perdonare per paura di perdere l’altro, o per mancanza di rispetto verso di sé, o perché non hai altra scelta, o per paura della solitudine. Ho scoperto qualcosa di più grande nella mia storia che per prima, ha liberato me stessa dalla schiavitù di un cliché riduttivo e dannoso. Questo è uno spazio sacro dentro di me, tutto pieno della mia relazione d’amore con Dio. Li sono sempre amata, preziosa e sostenuta, li niente mi può fare del male e nessun attacco esterno mi può affondare, neanche la strafottenza di mio marito. Quando ho cominciato a pensare a me stessa e al mio valore, senza ribellioni e colpi di testa, ho trovato la pace e mi sono sentita libera di tenere con serenità quei pesi che prima mi distruggevano. E di fronte a quelle fragilità sempre uguali di mio marito ero veramente libera di perdonare, perché mi sentivo libera e amata. Quello che distingue uno zerbino da una persona è la libertà da cui partono le azioni. Mio marito dal canto suo, ha scelto di rispondere positivamente a questo amore che a volte in modo duro, a volte con dolcezza gli ho regalato. Così, la nostra relazione si è davvero trasformata. Ma non sempre tutte le storie vanno così. Ci sono donne che perdonano, e tengono pesi indicibili aspettando un cambiamento che non arriva. Io dedico questo articolo a queste splendide donne cristiane e non, perché non si arrendano mai alla speranza dell’amore, e perché continuino ad amare non da schiave e prigioniere ma da donne libere e piene di Spirito Santo, amate e custodite da Dio. Il Signore ricompensi con la pace il dolore delle vostre ferite.

Claudia Viola e Roberto Reis

Amati per Amare

 

Sposi sacerdoti. Uno sguardo infinito. (37 articolo)

Alzati, amica mia,
mia bella, e vieni!
[14]O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia,
nei nascondigli dei dirupi,
mostrami il tuo viso,
fammi sentire la tua voce,
perché la tua voce è soave,
il tuo viso è leggiadro».

Alzati e vieni. Io voglio godere della tua bellezza, sposa mia. Non nasconderti. Non mettere barriere tra me e te. Mostrati interamente. Non aver paura del mio giudizio. Non aver paura dei tuoi difetti. Quello che non ti piace del tuo corpo, del tuo carattere, della tua persona è parte di un tutto che per me è meraviglia. Sei tu proprio perchè sei così, sei unica. Lo sguardo dell’amore vero è tale solo quando si posa tutta la persona. Il contrario di questo sguardo è lo sguardo pornografico. Che non è solo di chi fruisce di certi contenuti per adulti, ma è ormai comune a tanti. E’ lo sguardo che oggettivizza ogni persona. Lo sguardo di chi usa l’altro/a per soddisfare pulsioni ed egoismi. Lo sguardo di chi guarda per prendere e non per donarsi.  Chi guarda così non è capace di guardare la persona nella sua interezza e profondità, ma si ferma al solo corpo, a volte addirittura a parte di esso. Nei discorsi da bar quante volte una donna viene identificata con una parte del suo corpo. Quante volte viene identificata e ridotta al suo sedere o al suo seno. Questo è lo sguardo pornografico che non permette di amare in modo autentico e di godere della bellezza profonda di una donna, che è molto di più di un corpo. Lo sposo del Cantico ha uno sguardo puro. Per questo riesce a godere appieno della bellezza della sua amata. Mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce. Attraverso il tuo corpo e la tua voce traspare tutta la tua bellezza che è per me irresistibile e affascinante. Nelle parole di Salomone si può intravedere il rispetto di chi si mette innanzi ad un mistero, ad una meraviglia che riempie gli occhi e il cuore. Lo sguardo dello sposo chiede all’amata di svelarsi per vivere la promessa d’amore che Dio ha nascosto nei loro cuori di uomo e di donna. Uno sguardo che non è solo richiesta di svelarsi, ma è anche sostegno per la sua sposa. La Sulamita sentendosi guardata in quel modo, sentendosi pienamente rispettata ed accolta, non sentendosi usata, sarà più libera di mostrarsi e svelarsi senza difese e senza barriere. Davvero il nostro sguardo, cari maschi, va purificato. Non siamo educati a guardare le nostre spose in questo modo. Loro lo sanno, percepiscono se il nostro è uno sguardo purificato o è ancora inquinato dalla pornografia. Loro avvertono tutto. Costa fatica, impegno e combattimento. Vi assicuro però che quando si riesce a recuperare lo sguardo d’amore del Cantico tutta la relazione cambia. La nostra relazione diventa davvero un canto d’amore, diventiamo noi Salomone e la Sulamita, diventiamo noi i protagonisti del Cantico. Dio ci ha donato questo libro affinché potessimo concretizzarlo nella nostra vita e nel nostro matrimonio. Questa è la via.

Antonio e Luisa

1 Introduzione 2 Popolo sacerdotale 3 Gesù ci sposa sulla croce 4 Un’offerta d’amore 5 Nasce una piccola chiesa 6 Una meraviglia da ritrovare 7 Amplesso gesto sacerdotale 8 Sacrificio o sacrilegio 9 L’eucarestia nutre il matrimonio 10 Dio è nella coppia11 Materialismo o spiritualismo 12 Amplesso fonte e culmine 13 Armonia tra anima e corpo 15 L’amore sponsale segno di quello divino 16 L’unione intima degli sposi cantata nella Bibbia 17 Un libro da comprendere in profondità 18 I protagonisti del Cantico siamo noi 19 Cantico dei Cantici che è di Salomone 20 Sposi sacerdoti un profumo che ti entra dentro. 21 Ricorderemo le tue tenerezze più del vino.22 Bruna sono ma bella 23 Perchè io non sia come una vagabonda 24 Bellissima tra le donne 25 Belle sono le tue guance tra i pendenti 26 Il mio nardo spande il suo profumo 27 L’amato mio è per me un sacchetto di mirra 28 Di cipresso il nostro soffitto 29 Il suo vessillo su di me è amore  30 Sono malata d’amore 31 Siate amabili 32 Siate amabili (seconda parte) 33 I frutti dell’amabilità 34 Abbracciami con il tuo sguardo 35 L’amore si nutre nel rispetto. 36 L’inverno è passato

La giustizia di Dio

Le vie del Signore sono diverse dalle mie. I pensieri del Signore e i suoi disegni sovrastano la mia spiegazione degli eventi e dei fatti della mia vita. La mia storia di salvezza è nata su un’esperienza in cui, ciò che nella mia vita era disgrazia e sofferenza, si è trasformato in un’OCCASIONE. L’occasione per me di sentirmi voluta bene, sentirmi amata, sentire che quel dolore a cui non c’era spiegazione e che sembrava una condanna, in realtà era per me una benedizione. L’occasione di diventare una donna vera, adulta, pacificata e capace di amare. 

Nel mio matrimonio ci sono stati momenti veramente lunghi in cui le crisi di coppia vissute sembravano una disgrazia! Che avevo fatto di male per meritarmi un marito così egoista ed egocentrico?! Ma non avevo già sofferto abbastanza nella mia vita?! Perché anche queste rogne?!  Quell’8 dicembre hanno preso tutti una cantonata. me compresa! Nei primi anni del mio matrimonio ho covato tanta rabbia e un forte desiderio di vendetta: che anche lui soffrisse quello che pativo io! Questo odio camminava parallelamente al desiderio di scoprire il disegno di Dio per me, per noi come coppia, un ricamo di cui vedevo solo il rovescio e che avrei voluto tanto buttare via. Ho scelto di non gettare via nulla e di stare. Stare ad aspettare. E ho aspettato parecchio. Almeno 8 anni. Sono tantissimi 8 anni. 

Tuttavia desideravo che Dio mi facesse giustizia e pensavo che Roberto dovesse essere punito per quello che faceva. E anche quando fosse cambiato, avrebbe dovuto pagare per i suoi errori. C’era di fondo dentro di me l’idea che mentre lui si permetteva di pensare solo alle sue esigenze, io invece soffrivo subendo tutto ciò. Lui non mi mostrava la sofferenza che viveva dentro, e io non volevo vederla o accoglierla. Il peccato non è spassoso e ha il suo grosso prezzo esistenziale. Mio marito ha pagato il suo e io ho pagato il mio. Nella crisi e nel nostro peccato, quello che ci accomunava era la solitudine. Lui così centrato su di sè da non permettere a nessuno di volergli bene, nemmeno a Gesù. Io, chiusa nella delusione e nell’amarezza delle mie aspettative idilliache infrante, continuavo a pretendere costantemente che fosse Roberto a sanare e compensare le mie mancanze e se questo non avveniva, e credetemi che non avveniva per niente, rimanevo a bocca asciutta e non mi prendevo la responsabilità della mia “fame”, quella che può essere saziata solo dall’amore di Chi ci ha creati. Vivevo il matrimonio con quel rodimento di fegato e quell’invidia, senza sapere che invece ero libera di fare ciò che volevo. Ma non me lo permettevo perché dovevo essere la “buona” della situazione. Nel cuore non avevo la grazia di comprendere che stare lontano da Dio non è divertente, ne piacevole. Il mio cuore era al buio, perché in una parte non piccola di me vivevo il matrimonio come un obbligo a sopportare ed incassare, come mi avevano insegnato le mie nonne prima di me. Il mio non era dono d’amore gratuito, ma pretesa e rinfacci continui. Eppure mi sentivo nel giusto. Giusto. Giustizia. La mia giustizia era la sete di vendetta, alimentata da una rabbia spesso velata e indiretta, come solo noi femmine sappiamo fare, mettendo il muso e creando provocazioni e tensioni continue. Spesso esplodevo, di una violenza incontrollata che era peggio della rabbia passiva. Alla fine dei giochi il mio cuore era infelice. Perché cercavo la giustizia degli uomini, non quella di Dio. Questo l’ho capito alla mia terza figlia. Quando durante la gravidanza si stavano ripetendo le stesse dinamiche di egoismo e trascuratezza di mio marito. Mi sono detta: se la mia strada non ha funzionato, forse è giunto il momento di andare dove non so, per un sentiero che non so. Ho invocato il nome del Signore e ho chiesto veramente di fare giustizia nel mio matrimonio. Di portare quella pace e fecondità che desideravo da troppo tempo. La prima intuizione del cuore frutto della preghiera è stata questa: RIPARTI DA TE. E così ho fatto, cominciando a prendermi la responsabilità del mio valore e del mio diritto di riguardo e attenzioni. Ho smesso di pretendere ed esigere, tipo esattore delle tasse, perché non volevo più far dipendere da Roberto la pace del mio cuore. Ho cambiato il modo di trattarmi, ho costruito per me quel riguardo, quella gentilezza, quell’affetto che negli anni di matrimonio avevo dimenticato. In fin dei conti Roberto mi trattava come io mi trattavo. Seconda intuizione: SE NON TI SENTI AMATA NON PUOI DARE NESSUN AMORE. Così sono andata a dissetarmi alla fronte più preziosa e inesauribile che c’è, la mia RELAZIONE CON DIO. Perché è in questo spazio che riscopro chi sono, quanto sono voluta bene e desiderata, sempre e comunque. Ho scoperto che se mi sento profondamente amata e voluta bene, se sono consapevole di quanto sono unica e preziosa, non c’è fuoco che non posso attraversare! E mentre sono cambiata io e cambiato anche mio marito. Ma la vera giustizia di Dio per me non è stato il cambiamento di Roberto, per cui ringrazio Dio ogni giorno, ma la LIBERTA’ per il mio cuore, la cui pace non dipendeva più da un altro, da fatti esterni, ma era legata unicamente alla mia meravigliosa condizione di Figlia di Dio Amata da un Padre che non mi abbandona mai. La mia giustizia non è quella di Dio. Quella di Dio va molto oltre la legge del contrappasso. Perché il mio Dio è un Dio che va continuamente in cerca dei suoi figli e quando li trova e li incontra nel suo Amore, la Grazia è per quel figlio se il figlio la accoglie. La salvezza dell’amore e del perdono, è generosa e porta frutto di gioia, pace e amore. Avessi cercato questi frutti per me prima, piuttosto che giudicare chi avevo accanto! L’invidia e l’ira non mi permettevano di vedere a quale vita nuova ero chiamata. La giustizia di Dio è l’Amore sovrabbondante e fuori misura. Prenditi per te questo amore oggi e vedrai il tuo cuore rifiorire, le emozioni, i pensieri e le azioni cambiare.

Claudia Viola